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Autore: bicorn    21/09/2018    7 recensioni
What if?
E se la storia fosse andata diversamente?
Se Clarke Griffin non fosse vissuta nello spazio durante tutti quegli anni, se i suoi antenati fossero stati tra i pochi sopravvissuti alla tempesta nucleare che ha distrutto la terra?
Se Clarke fosse stata una terrestre, sarebbe andata diversamente?
E se..Clarke fosse stata una sangue nero, come sarebbero andate le cose? Quale sarebbe stato il suo rapporto con Lexa?
Ho provato a scoprirlo con questa ff dando sfogo a tutta la mia fantasia, enjoy!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Anya, Clarke Griffin, Lexa, Luna, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terzo capitolo.
 

Il corpo di Lexa era cambiato. Non aveva nulla a che vedere con il fisico esile e mingherlino della ragazzina che Clarke aveva conosciuto tre anni fa.

Ora era muscoloso, tonico. I suoi addominali sembravano scolpiti dagli dei in persona.

Ma non era solo questo. Le sue forme erano cambiate: più femminili, più tonde, più morbide..

Le era cresciuto il seno. Certo, non era prosperoso come quello di Clarke, ma questo non significava nulla.

Le era cresciuto il seno, e Clarke se n'era resa conto solo qualche giorno fa, quando avevano fatto il bagno nude nel lago; Lexa l'aveva abbracciata da dietro, facendo aderire i loro corpi come due pezzi di un puzzle. I seni minuti schiacciati contro la sua schiena. Si era sentita accendere e avvampare, sia fuori che dentro, e aveva sperato ardentemente che l'acqua del lago placasse tutto prima di dare vita ad un incendio.

Lexa era diventata una donna bellissima e Clarke non riusciva a fare a meno di guardarla.

Si erano viste nude tante volte, ma solo adesso Clarke era arrivata ad una consapevolezza diversa.

Era diventato strano dormire insieme, ma non spiacevole. Ogni mattina, si svegliava con una gamba dell'amica infilata fra le sue, e le mutande completamente bagnate.

Si vergognava da morire. Non perché fosse una donna, anzi, nella sua cultura erano più frequenti le relazioni omosessuali che quelle eterosessuali.

Si vergognava da morire perché quella era la sua migliore amica, e sentendo tutte quelle cose si sentiva come se l'avesse tradita.

Aveva cercato di giustificarsi, dicendosi che era normale a 16 anni provare tutte quelle sensazioni e avere ogni cellula del proprio corpo in costante fibrillazione.

Aveva provato a sfogare tutta questa sua frustrazione in altri modi.

Una sera Jorum, uno dei tredici natblida, aveva tentato di baciarla e lei non aveva opposto resistenza. Muoveva le labbra passivamente, non sentendo assolutamente nulla. Solo conati di vomito salirle in gola.

Quando lo aveva raccontato a Lexa, aveva visto il suo sguardo trasformarsi e assumere una sfumatura che non aveva mai visto.

Non le aveva rivolto parola per giorni. Clarke non capiva, ovviamente non capiva. Come avrebbe dovuto? Era così presa dai suoi arrovellamenti mentali, che non aveva fatto caso nemmeno una volta al modo in cui Lexa la guardava; al modo in cui cercasse contatto con ogni minima scusa; alla venerazione e eccitazione che trapelavano dai suoi occhi ogni qual vola la bionda si mostrava nuda in sua presenza.

Non aveva notato tutte quelle cose e non lo avrebbe sicuramente fatto in quel momento.

Da quando quei bastardi degli uomini della montagna avevano rapito Anya per continuare i loro sporchi esperimenti, il loro fleim keepa aveva dato inizio ai preparativi per il giorno del conclave.

Come se non bastasse, un altro fatto anomalo aveva gettato Polis e l'intera coalizione in uno stato di spaventosa anarchia: erano atterrati gli alieni.

O meglio, avevano visto una navicella schiantarsi sulla terra, e da questa uscire un centinaio di essere simili in tutto e per tutto a loro.

Li avevano osservati a lungo. Vestivano in maniera diversa, e quasi sicuramente anche la loro cultura era diversa..senza ombra di dubbio erano tecnologicamente più avanzati di loro, come se venissero dal futuro.

Nonostante non sapessero ancora le loro intenzioni, di una cosa erano certi: erano convinti che la terra fosse disabitata.

Avevano dato per scontato che non ci fosse nessuno sul pianeta, e questo aveva dato tempo alla coalizione per prepararsi ad un futuro attacco.

La concorrenza tra i natblida era diventata spietata: sembravano in costante lotta tra di loro non solo sul campo di allenamento, ma anche al di fuori. Tutti non vedevano l'ora di combattere al conclave e di governare il loro popolo, tutti tranne due persone.

Clarke e Lexa non erano spaventate, erano letteralmente terrorizzate. Non perché temessero la morte, o di non riuscire a battere gli altri pretendenti al trono; ma perché non sapevano davvero cosa sarebbe successo quando si sarebbero trovate faccia a faccia sul campo di battaglia, come uniche sopravvissute.

Lexa era diventata spietata, una vera macchina da guerra. Non c'era un guerriero che sapesse tenerle testa. O almeno questo era quello che credevano i mentori.

L'unica sua debolezza era Clarke Griffin. E Titus, dal primo giorno in cui aveva iniziato ad educarli, aveva detto loro che l'amore era una debolezza e che come tale andava messo da parte per un bene più grande.


 

Era l'alba. Il freddo pungente di Gennaio si faceva sentire anche sotto le spesse pelli delle due combattenti.

La lama affilata di Lexa si serrò sulla gola di Clarke, costringendola a rimpicciolirsi contro il tronco di un albero. Il corpo della mora si schiacciò contro quello dell'amica, blu nel verde, i respiri così vicini da mescolarsi.

“Mi sembri un po' troppo disattenta oggi, Griff” soffiò Lexa direttamente sulle sue labbra.

Clarke reagì spingendola e impugnando nuovamente la spada per sferrarle un attacco, ma la mora fu più veloce e le fece uno sgambetto facendola inciampare e cadere per terra.

Una smorfia di dolore si aprì sul viso di Clarke “sei terribile.”

“E tu troppo lenta. Cosa ti prende oggi?” Domandò Lexa aiutandola a rialzarsi, per poi allontanarsi bruscamente subito dopo.

Clarke la osservò silenziosa mentre la ragazza di fronte a lei prese ad asciugarsi i capelli impregnati di sudore con una piccola asciugamano. Le goccioline di sudore bagnavano la sua fronte e il suo petto, scivolando un po' troppo lentamente nelle fasce che coprivano i seni dell'amica. Il pantalone aderente fasciava le sue forme perfette, e mentre lo sguardo di Clarke percorse avidamente quel corpo tonico, non poté fare a meno di mordersi un labbro.

“Terra chiama Clarke. Ci sei?” Domandò Lexa divertita.

“Scusa. Sei bellissima”, si lasciò sfuggire, vergognandosi subito dopo della sua sfacciataggine.

Lexa sospirò “perché fai così?”

“Così come?”

“Come se fosse sempre tutto normale.”

“Non capisco di cosa tu stia parlando”, rispose Clarke confusa.

Era da un po' di tempo che Lexa era cambiata. Certo, Clarke non poteva negare di non essere più la stessa persona da quando aveva iniziato a maturare dei sentimenti ai quali non riusciva (o forse non voleva) dare un nome. Si sentiva in preda ad una tempesta di sensazioni che non era pronta ad affrontare, e il suo porto sicuro questa volta non sarebbe accorso a darle una mano.

Ma Lexa? Qual'era la ragione che l'aveva spinta a cambiare atteggiamento con lei? Era diventata così fredda..la riempiva ancora di attenzioni e di sguardi speciali che solo a lei riservava, ma la vedeva diversa..come se dovesse frenarsi ogni volta che erano insieme.

Lexa le si avvicinò di nuovo, costringendo Clarke ad indietreggiare “sei..destabilizzante. Prima mi avvicini e poi mi distruggi. Mi sento come una stupida falena attratta dal fuoco, e ho così paura di scottarmi.”

Si era avvicinata così tanto che ora i loro respiri si mischiavano di nuovo; Clarke in un primo momento non seppe cosa dire, poi si permise di lasciar scivolare lo sguardo sulle sue labbra, non nascondendo questa volta il desiderio che sgorgava dai suoi occhi.

Solo dopo pochi e interminabili secondi si rese conto che Lexa stava facendo la stessa cosa.

Che Lexa fosse..

“Lo vedi?” Esclamò Lexa, in preda alla frustrazione e allontanandosi bruscamente “lo vedi come fai? Mi porterai ad impazzire..”

Clarke la prese per un braccio e l'avvicinò a se, facendo scontrare i loro corpi e provocando una scarica di brividi sul corpo di entrambe “non è come credi..io..non so come affrontare tutto questo. Io sento qualcosa Lexa, qualcosa che..”

“Cosa?” Lexa tornò a guardarla, una luce speranzosa nei suoi occhi. Automaticamente la mano destra cercò la sua, mentre la sinistra si posò sui fianchi di Clarke.

“Io non lo so”, ammise Clarke “so solo che i tuoi occhi, lo stesso sguardo che mi stai rivolgendo in questo momento, mi accendono ogni volta. Qui..” portò la mano di Lexa sul suo petto, all'altezza del cuore “e qui” concluse, spostando la mano sul suo basso ventre.

Le labbra di Lexa si schiusero e una consapevolezza nuova la colpì in pieno stomaco: Clarke provava le sue stesse cose. Qualunque cosa fosse, Clarke si sentiva esattamente al suo stesso modo e per tutto quel tempo aveva creduto di essere l'unica stolta a provare dei sentimenti così forti per la sua migliore amica.

Voleva baciarla. Dio, se voleva baciarla. D'altronde, chi glielo stava impedendo?

Gli occhi verdi di Lexa si puntarono in quelli blu della sua migliore amica, scendendo poi in una corsa disperata verso il neo che ornava le sue labbra..lo aveva sempre trovato così eccitante. Poi si pose sulle sue labbra carnose, desiderosa di assaggiarle ormai da mesi.

Ma nel momento esatto in cui le labbra iniziarono ad accarezzarsi un rumore assordante che conoscevano fin troppo bene distrusse quella piccola bolla che si erano create.

Clarke e Lexa alzarono gli occhi verso la torre di Polis, poi tornarono a guardarsi.

Quel suono voleva dire solo due cose: o era stata convocata una riunione straordinaria, o era morto il comandante, e di conseguenza..

“Dobbiamo andare.”


 

La sala riunioni della torre era gremita di persone. I mentori, gli anziani, gli ambasciatori dei clan della coalizione e tutti i natblida era al cospetto del grande trono, ormai vacante.

La figura di Titus, il fleim keepa, si stagliava severa nel centro della stanza quando richiamò tutti al silenzio.

“Un nostro caro membro della coalizione, Lincoln del clan della foresta, è stato catturato e torturato dagli skaikru, il popolo del cielo.”

Un brusio esplose nuovamente nella sala del trono, e Titus fece fatica per riportare di nuovo l'attenzione su di se.

“Uccidiamoli!” Una voce indistinta si alzò dalla folla, seguita da molte altre “hanno dato inizio ad una guerra che non possono finire”, “sterminiamoli tutti!”

“Silenzio” Gridò Titus, per riportare l'attenzione su di se “fino a quando non avremo un nuovo comandante, non potremo prendere nessuna decisione. Urge iniziare le preparazioni per il conclave.”

La folla esplose in un nuovo boato, questa volta di eccitazione, e gli occhi spaventati di Clarke trovarono immediatamente quelli di Lexa in mezzo a tutta quella confusione.

 

 

“Dobbiamo scappare” la mano di Clarke strinse quella di Lexa abbandonata sull'erba “non possiamo restare qui, non possiamo combattere al conclave.”

“E dove andremo? Metterebbero a ferro e fuoco tutta la terra conosciuta pur di trovare i due natblida sfuggiti al conclave..”

Gli occhi di Clarke si posarono sul volto dell'amica, gli occhi chiusi e un'espressione stranamente rilassata le ornava il viso “non voglio ucciderti Lexa, io..”

“Shh” sussurrò Lexa in risposta, stringendole la mano “ascolta.”

Una piacevole e misteriosa melodia echeggiava fra gli alberi della foresta; Clarke rimase in ascolto cercando di scovarne la fonte, ma dopo poco si arrese e si rilassò anche lei sulle note della musica, godendosi uno dei loro rari momenti di tranquillità.

“Non dovrai essere tu ad uccidermi”, Lexa riprese a parlare, questa volta la stava guardando “ucciderò tutti i natblida e poi mi darò la morte da sola, così che tu possa vincere il conclave.”

Clarke spalancò gli occhi “starai scherzando spero.”

“Naturalmente no. Il nostro popolo ha bisogno di un comandante, di una persona saggia e di un vero leader. Chi dovrebbe essere se non tu?”

“Lexa..” Clarke addolcì la voce di fronte a quelle parole, così vere e così sentite. Si sporse e appoggiò un gomito contro il terreno, fronteggiandola e guardandola negli occhi “sei tu tutte queste cose che hai appena descritto, tu. E poi non voglio immaginare un mondo senza di te, ci siamo fatte delle promesse e-”

“Eravamo delle ragazzine, Clarke. Ora bisogna fare una scelta, e io ho fatto la mia” Lexa la interruppe, distogliendo lo sguardo.

“Non puoi. Non puoi fare sempre così, decidere per me ogni volta. Non ho intenzione di combattere contro di te, anzi non ho proprio intenzione di combattere questo conclave. Domani andrò via e tu verrai con me, anche se sarò costretta a trascinarti con la forza.”

Così dicendo, Clarke tornò a stendersi mettendo tutta la distanza possibile tra lei e Lexa.

Era una maledetta testarda, quando si metteva in testa una cosa non c'era verso di farle cambiare idea. Ma non gliela avrebbe data vinta. Non questa volta.

Nonostante fosse arrabbiata, si sorprese quando un corpo caldo scivolò su di lei, una chioma castana a solleticarle le labbra e un profumo di muschio ad invaderle le narici.

Automaticamente la mano di Clarke trovò la schiena di Lexa e iniziò a carezzarla delicatamente.

“Scusa”, sussurrò Lexa sul suo petto “è che ho paura possa succederti qualcosa.”

Erano rari i momenti in cui Lexa mostrava tutta la sua vulnerabilità; persino a lei che era la sua più cara amica, la persona a cui più teneva al mondo.

“Ho paura di perderti” si lasciò ancora sfuggire Lexa, mentre con una mano disegnava cerchi immaginari sulla pancia di Clarke,

“Non mi perderai” rispose immediatamente Clarke “te l'ho detto, scapperemo. Insieme. Non dobbiamo per forza combattere questo conclave.”

Lexa sospirò. Portare avanti quella discussione era inutile.

In altre situazioni, avrebbe amato e ammirato la positività di Clarke; tra le due era sempre lei e a vedere del buono in ogni situazione.

Clarke aveva sempre definito Lexa una persona pessimista, ma in quel momento non era così: si trattava di essere realisti e basta.

Per questo motivo Lexa decise di portare avanti la sua decisione, nonostante questo significasse guadagnarsi il risentimento della sua migliore amica per sempre.

E per questo, aveva deciso di mostrarle la sorpresa che ormai stava preparando da tempo. Per lei. Solo per lei.

Si alzò, guadagnandosi uno sguardo interrogativo da parte dell'amica.

“Andiamo. Si sta facendo tardi.”

Clarke aggrottò le sopracciglia “tardi per cosa?”

“E' tardi! Muoviti!” Disse Lexa ridendo, sentendosi piena di una felicità che non avrebbe dovuto appartenerle.

La tirò verso di se con le braccia, abbracciandola per pochi secondi e godendosi il suo piacevole profumo, poi la trascinò verso il centro della città.

Clarke la seguì incuriosita, sentendosi trascinata da quell'improvviso lampo di felicità che aveva coinvolto l'amica; non poté fare a meno di iniziare a ridere stupidamente anche lei, attirando sguardi sconcertanti da parte dei passanti.

La città a quell'ora era splendida. Illuminata dalla luce naturale della luna, le persone erano riunite attorno al fuoco, tutte in festa e in trepidante attesa per il grande evento del giorno seguente.

Le due fecero slalom tra la folla, fino a quando Lexa non si fermò improvvisamente. Afferrò un pezzo di stoffa e lo legò sugli occhi dell'amica.

“Lexa cosa sta succedendo?” Chiese Clarke titubante.

“Clarke” sussurrò Lexa al suo orecchio, accentuando l'accento sulla k in un modo che a Clarke aveva sempre fatto impazzire “ti fidi di me?”

Un brivido selvaggio percorse la schiena di Clarke, la quale si trovò costretta a boccheggiare alla ricerca di aria: era rimasta senza fiato.

“Ti darei la mia vita, se tu me lo chiedessi.”

Nonostante avesse gli occhi coperti, poteva chiaramente percepire il sorriso bellissimo che si aprì sul volto di Lexa.

Con una mano la aiutò gentilmente a salire su quello che all'apparenza doveva essere un carro, dopodiché la seguì e si sedettero vicine.

Il ragliare di due asini confermò la sua ipotesi, e nonostante non sapesse cosa avesse in mente l'amica, poggiò il capo sulla sua spalla rilassandosi completamente contro di lei.

Dopo quelle che erano sembrate ore, Clarke si svegliò. Il carro era fermo e i suoi occhi ancora bendati.

Sentiva la voce di Lexa discutere fittamente con quella di un uomo “questo è quanto avevamo concordato.”

“Avete poche ore. Il tempo che sbrigo la mia trattativa qui nelle vicinanze, poi verrò a riprendervi.”

Dopo qualche secondo Lexa si rivolse a lei, addolcendo il tono della voce “Clarke, siamo arrivate. Ecco la tua sorpresa.”

La aiutò di nuovo a scendere, e con una mano poggiata sulla sua schiena la fece avanzare di qualche passo.

Un odore familiare invase le sue narici, risvegliando dentro di lei sensazioni che sembravano ormai essersi addormentate.

Prima ancora che il suo cervello riuscisse a collegare, i piedi nudi di Clarke toccarono qualcosa di freddo. Granelli.

Granelli freddi di sabbia la fecero affondare in ricordi piacevoli e nostalgici, mentre sul suo viso si apriva un'espressione di completo stupore “Lexa..”

Lexa le sciolse la benda e un mare blu si stagliò imponente contro i suoi occhi. Immenso, rumoroso, profumato.

Come i sentimenti che stava provando in quel momento.

Clarke non poté fare a meno di chiudere gli occhi, di fronte a quel turbinio di sensazioni. Immediatamente immagini di se stessa bambina invasero la sua mente, i suoi genitori sorridenti che l'accompagnavano al mare; le domeniche passate a pescare con il padre..

Una lacrima silenziosa scese sulla sua guancia quando finalmente anche il rumore delle onde arrivò alle sue orecchie.

“Clarke? Va tutto-”

Clarke si gettò tra le braccia della sua amica e la baciò. La baciò perché non c'era niente di più giusto da fare in quel momento, di fronte a quello spettacolo.

La baciò a stampo, rapidamente, ma fu un bacio così sentito e intenso che tolse ad entrambe il fiato; come se fossero state colpite da un pugno nello stomaco.

Si staccò, non rendendosi conto di cosa era appena successo, e iniziò a correre verso il mare, denudandosi di tutti i vestiti che ormai erano diventati superflui.

Lexa rimase immobile, ancora con gli occhi chiusi e le labbra aperte, incapace di metabolizzare quel bacio che aveva atteso per tanto tempo.

Quando vide il corpo nudo di Clarke gettarsi in mare, non poté fare a meno di seguirla.

“Grazie” sussurrò Clarke, direttamente sulle sue labbra preferite e facendo scontrare i loro corpi nudi in un abbraccio caloroso “grazie, grazie, grazie. E' il miglior regalo che tu potessi farmi.”

Lexa strofinò dolcemente il naso con il suo “non c'è di che. Non ho fatto niente.”

“Hai fatto tanto” sussurrò Clarke, afferrandole il viso con le mani “hai sempre fatto tanto per me. Sei la persona che mi ha cambiato la vita, in tutti i sensi. Dalla prima volta che ti ho vista tre anni fa, sapevo già che mi avresti stravolta..in tutti modi in cui può essere stravolta una persona.”

Si fermò solo per riprendere fiato da quel fiume in piena che era diventata, gli occhi puntati in quelli verdi della sua persona preferita al mondo “sei la mia migliore amica, la mia compagna di avventure, sei tutto quello che ho sempre desiderato. E io, io-”

“Non devi dirlo Non abbiamo bisogno di parlare”, e detto questo, Lexa la baciò nuovamente.

Un bacio diverso dal primo. Più passionale, più infuocato, più profondo. Le loro lingue danzarono a lungo, le mani esperte esploratici di quei corpi che le due avevano imparato a conoscere solo con gli occhi, i corpi disperatamente aggrovigliati.

Le braccia di Clarke avvolsero le spalle di Lexa, mentre le sue gambe si intrecciarono dietro la sua schiena. Le mani di Lexa corsero su e giù lungo il corpo che avevano bramato a lungo, per poi fermarsi sulle sue natiche afferrandole saldamente.

Mentre continuavano a baciarsi, Lexa la sollevò con una facilità sorprendente, e la trascinò sul bagnasciuga, facendola distendere delicatamente.

Clarke la tirò a se, facendo aderire nuovamente i loro corpi, e le loro labbra. Le mani adesso si muovevano incerte, non sapendo esattamente cosa fare, come darsi piacere, e come placare il lago bollente che era esploso nel mezzo delle loro gambe.

Mentre la sabbia iniziò a penetrare in ogni dove, la mano di Lexa afferrò istintivamente il seno di Clarke, strappandole un gridolino sorpreso e di piacere; iniziò a massaggiarlo, baciarlo e leccarlo, beandosi del suono della voce di Clarke che si faceva sempre più roca.

“Lexa- ancora” riuscì a dire Clarke in preda al piacere.

Lexa la guardò negli occhi e iniziò a disseminare una scia di baci che partivano dalla valle dei seni e arrivarono fino al basso ventre. Le allargò delicatamente le gambe, e tornò a cercare il suo sguardo insicura.

Gli occhi di Clarke, ora scuri per la lussuria, e il labbro inferiore stretto fra i denti furono una conferma più che sufficiente.

Iniziò a baciarla lentamente, partendo dall'interno coscia e distribuendo baci e morsi attorno alla sua apertura. Un odore acre invase le sue narici, scatenando una nuova esplosione di piacere tra le sue gambe.

I gemiti di Clarke iniziarono a compire il rumore del mare, nel momento in cui la lingua di Lexa si fiondò nella sua apertura: iniziò a muoverla attorno al fascio di nervi che aveva individuato come la fonte del suo piacere, poi spinse la lingua dentro a fuori di lei aumentando man mano di intensità.

Clarke venne, per la prima volta in vita sua, il nome della sua amata che serpeggiava ancora sulle sue labbra schiuse.

Lexa risalì sul suo corpo e la guardò a lungo: i capelli scomposti, le guance rosse e ricoperte di granelli di sabbia, gli occhi che la fissavano come fosse la cosa più bella del mondo.

“Sei uno spettacolo” disse Lexa, baciandola teneramente “il mio spettacolo.”

Clarke l'abbracciò, beandosi di quelle coccole per pochi secondi, per poi ribaltare le posizioni e salire a cavalcioni sopra di lei.

“Non ho mica finito con te” miagolò Clarke direttamente sulle sue labbra, iniziando a muoversi sensualmente su di lei.

Lexa le afferrò le natiche aiutandola nei movimenti, chiuse gli occhi e cercò in tutti i modi di trovare la frizione giusta per placare il mare di piacere che sgorgava dalle sue gambe.

“Dio, mi stai facendo soffri-” non ebbe il tempo di finire la frase che un dito di Clarke entrò dentro di lei.

Le diede il tempo di abituarsi a quel nuovo corpo estraneo, godendosi l'espressione di piacere, sorpresa e dolore che si aprì sul suo bellissimo viso.

Iniziò a muoverlo lentamente, scivolando aiutato dai suoi umori, e ne infilò un altro.

Il bacino di Lexa assecondò le sue spinte, aumentando pian piano di intensità.

Le mani corsero ad afferrare il seno prosperoso della donna sopra di se, cercando un appiglio alla realtà per non cadere nell'oblio di piacere che la stava inghiottendo.

Suoni erotici sfuggirono dalle sue labbra, facendo eccitare Clarke nuovamente; iniziò a muoversi sopra di lei, strofinando la sua apertura sulla sua pancia, mentre le dita uscivano ed entravano dentro di lei.

Riuscirono subito a trovare il ritmo giusto e a legarsi in una splendida danza sensuale, quando entrambe vennero gridando l'una il nome dell'altra.

Clarke cadde al suo fianco, baciandole la spalla ancora scossa dai tremiti dell'orgasmo appena avuto.

“E' stato..wow” disse Lexa, fissando le stelle sopra di loro che avevano fatto da spettatrici al loro amore.

“Lo so” soffiò Clarke direttamente dalla sua spalla.

Lexa si girò e i loro sguardi si incatenarono nuovamente. Parole non dette passarono tra i loro occhi, parole troppo forti per due ragazzine di sedici anni, alle quali non era stato insegnato altro se non essere spietate e fredde macchine da guerra prive di ogni tipo di sentimento.

Ma il rapporto di Clarke e Lexa era sempre stato così: non avevano mai avuto bisogno di parlare; si dicevano tutto quello che avevano da dirsi, semplicemente guardandosi negli occhi.

“In questo momento” iniziò Clarke “potrei davvero morire felice. Ho tutto quello di cui ho bisogno, non desidero altro. Potrei morire e non mi importerebbe perché ho appena fatto l'amore con te.”

Lexa le sorrise, sopraffatta da tutte quelle emozioni. Sopraffatta da lei. “Anche io.”

Fecero l'amore ancora e ancora quella notte. Si amarono, dimenticandosi del destino che stava bussando insistentemente alla loro porta, dimenticandosi di tutti i doveri che avevano nei confronti della loro gente solo a causa del sangue che scorreva loro nelle vene.

Si amarono come se, ormai, fossero destinate a farlo per sempre.

 



*Angolino di bicorn*

Beh, che dire? Questo per me è stato IL capitolo. Mi è piaciuto tantissimo scriverlo, e per la prima volta dopo tanto tempo mi ritengo soddisfatta di un mio scritto. Credo sia quello più intenso della ff, succedono taaaante cose, cose importanti..voi che dite?

Non sono ancora sicura se oltre al prossimo capitolo ce ne sarà un altro, magari un epilogo, ma ciò che è sicuro è che non vi lascerò mai col fiato sospeso.

Allora che pensate? Vi aspettavate che Clarke e Lexa si dichiarassero la notte prima del conclave? 
E cosa accadrà secondo voi il grande giorno? Scapperanno davvero?
Sarete costretti a leggere il prossimo aggiornamento per scoprirlo. :P

Ovviamente un grazie speciale a chi legge, recensisce e aggiunge la storia fra le seguite/preferite.
  
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