2° Capitolo
Lo
sbigottimento e l’incredulità regnavano all’ingresso della riserva ed il fiato
sospeso accompagnava ognuno dei presenti.
Gli occhi
del branco erano enormi e sgomenti, non riuscivano a distogliere lo sguardo
dalla piccola creatura che persisteva a rimanere aggrappata a Derek e che
ricambiava con uno dubbioso e diffidente, fasciato dentro un’esagerata felpa
rossa che gli lasciava libere soltanto le caviglie ed i piedini nudi. Surreale.
«Chi sei?»
chiese accorto e circospetto il bambino dai grandi occhi di miele ed i capelli
castani sparati da varie parti – taglio che ricordava pericolosamente quello
del giovane Stilinski –; la sua attenzione sembrò essere richiamata quando quell’insieme
di lettere era stato pronunciato, come se ne fosse il proprietario e fosse
disturbato dal fatto che qualcuno lo conoscesse senza che lui avesse alcuna
idea di chi rappresentasse quella persona.
«Scott»
rispose l’Alpha con un soffio al cuore, l’espressione sorpresa e rammaricata
dal mancato riconoscimento. «Scott McCall».
Le pupille
si dilatarono, coprendo le iridi ambrate, tirando le spalle all’indietro e
trascinandosi quel lembo che ancora tratteneva tra le dita. «Non sei lui, sei
troppo grande» disse con convinzione, intimandogli con lo sguardo di stargli
lontano e di non credergli.
Il
messicano fu colpito dalla sua reazione, non rendendosi pienamente conto della
situazione e si propense verso di lui per raggiungerlo e convincerlo. «Stiles,
posso assicurarti che-» ma non riuscì a terminare la frase che la creaturina si
nascose dietro le gambe del maggiore degli Hale, rifiutandosi di ascoltarlo e
temendolo; Scott si pietrificò a metà della sua azione.
«Come può
essere Stiles?» domandò Lydia con perplessità e frastuono, accompagnata
dall’impossibilità della cosa.
Scott
sembrò risvegliarsi da quella situazione soltanto nel momento in cui il quesito
fu esposto, in quell’istante si rese conto della gravità della situazione e di
cosa rappresentasse. «Non lo so, ma sono certo di questo, ho passato quasi
tutta la mia vita con lui per non riconoscerlo».
La Banshee
girò su se stessa, come se cercasse qualcosa che
potesse suggerirle come risolvere quel mistero insormontabile. «Perché era qui?
Perché è venuto in questo posto?».
«Il Nemeton» disse la voce profonda ed ultrasuono di Derek,
subentrando nel silenzio e manifestandosi.
Le iridi
castane dell’Alpha si dilatarono, posandole su quelle verdi del mannaro davanti
a sé e parte dei pezzi di un puzzle che non riusciva ad individuare si
posizionarono al loro posto. «Dannazione!» esclamò con frustrazione; aveva
avuto ragione nel percepire nella scomparsa di Stiles qualcos’altro oltre il
suo turbamento. «Dobbiamo portarlo da Deaton».
«Facile a
dirsi. Non ci riconosce e non sembra volersi scostare da Derek» subentrò Isaac
con uno sbuffo, roteando gli occhi ed evidenziando la situazione che gli si
presentava davanti, mettendo in mostra l’ovvio che ignoravano.
«Dobbiamo
anche chiamare lo sceriffo» aggiunse comprensibilmente la bionda fragola.
Allison si
illuminò improvvisamente, avvicinandosi di poco e con cautela verso lo scudo
dietro cui si nascondeva il cucciolo d’uomo, protetto dalla figura del Beta che
non si era minimamente mosso, piegandosi sulle ginocchia e portandosi alla sua
altezza. «Ehy, Stiles, vuoi venire con me dal tuo
papà?» chiese con gentilezza e dolcezza, annullando tutta la sua natura da
cacciatrice ed abbozzando un sorriso rassicurante.
Stiles uscì
di poco dal suo rifugio, mostrando le enormi perle di miele ed aumentando la
presa sui pantaloni dell’uomo. «Conosci il mio papà?».
«Certo.
Tutti noi conosciamo il signor Stilinski» rispose prontamente la mora,
allargando il sorriso ed indicando tutto il branco a dimostrargli che poteva
fidarsi di loro. «Possiamo portarti da lui».
L’umano la
guardò in un primo momento meravigliato e speranzoso e per un attimo credettero
che tutto andasse bene, ma lui scosse la testa, poco convinto e sfiduciato,
tornando a stringersi a Derek e nascondendosi totalmente dietro le sue gambe,
irremovibile dall’uscire di lì un’altra volta.
«Di questo
passo non andremo da nessuna parte» gracchiò annoiato il licantropo più
giovane, disturbato dal comportamento del bambino e da quella perdita di tempo.
«State
perdendo di vista l’evidenza: questo è pur sempre Stiles e lui non si fida di
nessuno» intervenne la banshee con il suo acume che si manifestava,
permettendogli di vedere la situazione nel quadro completo.
La
cacciatrice la osservò per un lungo momento, con la testa voltata verso la sua
direzione, ancora accovacciata all’altezza del piccolo Stiles e meditando su
una possibile soluzione. «So che non ti fidi di noi, che non ci conosci e che
sei confuso» articolò con pazienza e moderazione, usando il tono giusto e tutta
la sincerità di cui era a disposizione. «Ma conosciamo davvero il tuo papà e
possiamo portarti in un posto dove può raggiungerci» disse con diplomazia, con
quel fare cauta che l’aveva accompagna finora. «È un uomo di legge, non
permetterà che ti succeda qualcosa».
Il silenzio
si protrasse per un lungo momento e Stiles non diede il benché minimo segno che
fosse disposto a cedere o che fosse vagamente interessato.
«Dove?»
domandò la vocina acuta ed indecisa, speranzosa e fremente di poter
riabbracciare la figura paterna.
Allison
sorrise di cuore. «Da un nostro amico, il dottor Deaton,
è un veterinario e quel ragazzo lavora con lui» comunicò con attenzione e
familiarità, indicando il capo branco che era rimasto al suo posto da quando il
suo migliore amico l’aveva disconosciuto. «Ti piacciono gli animali, Stiles?».
«Sì» annuì il figlio dello sceriffo con un accenno
del capo doppio, come se avesse capito di chi stessero parlando ed avesse
individuato il viso dell’uomo citato.
«Allora
potrai giocare con loro finché non arriverà il tuo papà a prenderti» lo esortò
ed invogliò la ragazza, regalandogli una nuova piega rassicurante e che
presagiva divertimento assicurato.
Allungò una
mano nella sua direzione aspettando una risposta affermativa, davanti gli occhi
di uno Stiles combattuto e diviso a metà, che si ritrasse un po’ quando gli si
avvicinò, poggiando una tempia sull’angolo del ginocchio interno di Derek che
gli spostò i capelli, offuscandogli la vista.
Derek non
aveva proferito parola, rimanendo esattamente dov’era con il fiato trattenuto e
la follia che gli si disegnava davanti, ammonendosi di non commettere alcun
errore che potesse allarmare e far scappare Stiles. Era pietrificato ed
impossibilitato a capire la situazione e perché il bambino avesse usato lui
come scudo, ma sentire un corpo così piccolo, Stiles, toccarlo e riconoscerlo come una sua sicurezza era
un’esperienza che non riusciva a descrivere.
Allison
incrociò gli occhi con i suoi, studiandolo attentamente ed aspettando chissà
quale segno da parte sua, cercando di afferrare qualcosa.
Li distolse
subito dopo, dedicando la sua totale attenzione all’umano. «Sta' tranquillo,
Derek verrà con noi».
Stiles
sbirciò dal suo nascondiglio, mostrando le sue gemme ambrate brillanti,
cercando la verità di quell’affermazione in lui.
«Va’ con
lei» disse il lupo senza alcuna diplomazia, ma con tutto il tatto che poteva
possedere e che conosceva molto poco.
Il pargolo
lo guardò per attimi infiniti, spostando poi la sua attenzione alla mano che
Allison ancora gli porgeva con pazienza e la prese un momento, esponendosi
all’aria aperta, ma senza riuscire a separarsi completamente dal suo oggetto di
conforto.
Stiles era
in mezzo alla radura, con una mano in quella della cacciatrice e con l’altra
che ancora si aggrappava con i ditini alla stoffa dei
jeans di Derek. Sembrava che dividersi dal mannaro fosse qualcosa di
estremamente grave e difficoltoso, ma con un’ultima occhiata verso di lui si
separò, seguendo in silenzio la ragazza.
E Derek si
sentì perso.
Allison
mantenne le sue promesse e lo portò sano e salvo dal Dr Deaton
– un Deaton sbalordito e senza parole –,
riservandogli un semplice sorriso pieno, come se fosse tutto normale, e
trascinando Stiles con sé, davanti alle gabbie degli animali e facendosi
indicare dal veterinario quelle con cui poteva intrattenere il loro piccolo
ospite.
Stiles
erano minuti interi che volteggiava tra gatti e cani, dedicando ad ognuno di
loro la sua totale attenzione, ricoprendoli di coccole e tenere risatine
gioiose con la cacciatrice che lo seguiva passo dopo passo e che lo prendeva in
braccio quando voleva arrivare più in alto, ad accudire quelli che secondo lui
riteneva emarginati. Allison era a sua completa disposizione e lo accontentava
sempre.
Liberarli
dalla gabbia a volte non era semplice, soprattutto se erano quelle in cima, e
non sempre gli ospiti che Stiles sceglieva erano propensi alla sua compagnia e
la mora si beccava qualche graffio o ringhio poco gradito che le suggerivano di
lasciarli esattamente dove li aveva trovati, ma agli occhi dolci e pieni di
aspettativa del cucciolo d’uomo, ancora confuso e lontano dalla sua famiglia,
non sapeva resistere e persisteva nella sua mansione, ben pronta ad intervenire
se qualcosa non la lasciava tranquilla, ma quando ogni creatura veniva
depositata tra le mani del figlio dello sceriffo, questa vi si abbandonava,
lasciandosi viziare in ogni modo. Il branco era impressionato.
«Non ho mai
visto una cosa del genere» disse il druido, osservando il piccolo Stiles
sorridere ad un gattone enorme particolarmente turbolento, che si abbandonava
completamente alle sue cure facendogli le fusa, e ad Allison che giocava con
lui. «È tornato esattamente alla sua fanciullezza».
«Non sa chi
siamo e non ricorda niente di tutto il resto» riferì la banshee che si era
attenuta a studiare il fenomeno, rimanendo più distaccata possibile ed
estraendo le informazioni che potevano servire.
«Non può
farlo» rivelò pragmatico il veterinario, avvicinandosi al lettino che spesso il
branco stesso aveva utilizzato. «Stiles, puoi raggiungermi un momento? Vorrei
soltanto controllare una cosa».
Il bambino
si sentì chiamare ed alzò la testa automaticamente, incontrando le iridi scure
dell’uomo dinnanzi a lui. «Non sono un animale» diffidò nell’immediato,
rifiutandosi di fare un solo passo senza capirne la ragione. «Lei cura gli
animali».
La sua
intelligenza e logica erano senza tempo. «Hai ragione, ma vorrei risolvere un
piccolo mistero. Potresti aiutarmi?» se lo Stiles dell’età infantile era lo
stesso di quello diciasettenne, per lui era impossibile impedirsi di risolvere
un caso e negare aiuto.
«Un
mistero?» fece eco l’umano con gli occhi che si erano accesi di una scintilla
interessata e vogliosa, ma guidati fortemente dal dubbio.
Allison
dedicò uno sguardo eloquente al maggiore degli Hale, che era rimasto a portata
d’occhio tutto il tempo per rassicurare Stiles, spicciolando poche parole al
druido sulla disavventura che li aveva condotti a quella situazione surreale e
dando un quadro completo dettato da Lydia. Sembrava suggerirgli di ripetere
l’esperimento che si era presentato alla radura prima di giungere alla clinica.
«Sì, è molto bravo a risolvere misteri, ma mai quanto te».
L’adulazione
poteva essere una buona cosa per spingere Stiles a farsi visitare dal
veterinario, ma sia Derek che Allison sapevano che non poteva bastare. «Puoi
andare» gli diede il permesso con rassicurazione il lupo, spiccicando molto di
più del silenzio osservativo in cui era caduto. «Sarò con te».
Il pargolo lo
guardò con le sue grandi iridi ambrate per un lungo attimo, annuendo
impercettibilmente e passando il gattone alle mani della cacciatrice che si
munì per rimetterlo al suo posto.
Stiles
partì e Derek lo seguì.
Stiles si
posizionò proprio all’angolo del lettino, aiutato da Deaton
e quest’ultimo si limitò a fargli qualche domanda ed a controllare soltanto la
pelle esposta, senza mai entrare troppo nella sua sfera personale, perché
tendeva a chiudersi in se stesso e ad isolarsi e le
cose diventavano ancora più complicate.
«Quanti
anni hai, Stiles?» domandò infine e la cosa stupì Derek, poiché non gli era
nemmeno venuto in mente quel tipo di domanda o forse perché sarebbe
dovuta essere la prima.
«Cinque»
articolò il bambino, dispiegando una mano ed alzando esattamente il numero
coretto di dita.
All’improvviso
la porta del locale fu spalancata, sbattendo sul muro ed una voce alta,
profonda e preoccupata irruppe nell’aria. «Dov’è? Dov’è mio figlio?».
Stiles
captò subito la nuova voce, rizzando le orecchie e sporgendosi, riconoscendola
immediatamente e sbarrando gli occhioni, concentrandosi subito sulla direzione
da cui proveniva, sbilanciandosi troppo per corrergli incontro, intercettato e
fermato da Allison che lo prese per la vita e lo depositò sul pavimento con
cautela.
Le iridi
azzurre dell’uomo fecero il loro ingresso, seguito da una Melissa attonita con
una mano sulla bocca alla sua vista, e si ingrandirono incredibilmente,
sbiancando sul posto. «Stiles».
Il bambino
davanti alla sua figura rimase immobile, mettendo subito dopo un passo dietro
l’altro e ritornando da Derek, nascondendosi tra le sue gambe.
Il silenzio
cadde a falci e nessuno parve più sapersi muovere.
Tutti gli
abitanti di quelle mura guardarono i rispettivi protagonisti di quella scena
agghiacciante, senza sapere cosa fare.
«Ehy» esclamò sonoramente la cacciatrice con un sorriso
familiare ed incoraggiante, prendendo in mano la situazione ed osando, chinando
la schiena ed avvicinandosi all’umano, dando le spalle a tutti gli altri.
«Perché ti nascondi? Non vuoi salutare il tuo papà?».
Stiles
scosse vistosamente la testa, incastrandosi perfettamente nel suo rifugio
costruito dagli arti inferiori del lupo maggiore. «Quello non è lui».
La certezza
nella sua voce era lampante e devastante e chi era in possesso di doti
sovrannaturali poteva sentire il cuore dello sceriffo spezzarsi a quel rifiuto
netto, incapace di reagire.
Le pupille
di Allison si dilatarono impercettibilmente ed all’improvviso nemmeno lei
sapeva più come risolvere la complicazione presentatela. «Perché dici così?».
Gli
occhioni immensi della creaturina incontrarono i suoi e la manina afferrò un
nuovo lembo laterale dei jeans lerci del licantropo. «Lui è…» le perle ambrate
si spostarono su quelle chiare del genitore. Erano stanche, sopraffatte, più
chiare e vecchie. Più vissute di quelle di cui si ricordava. Le rughe sul suo
viso erano aumentate e dilatate e sottolineavano quanto esausto fosse, di
quanti incarichi si occupasse e delle responsabilità che erano aumentate. La
stella dorata che aveva appuntata sul petto, segno della sua appartenenza alla
legge, e che aveva stretto tra le mani più volte nei suoi cinque anni,
rigirandola e ricalcandola, imparando le lettere che vi erano incise, era
sicuro che non avessero più lo stesso significato di vice-sceriffo. «Diverso».
L’acume e
la capacità di Stiles di registrare i dettagli rendeva quasi impossibile
gestire quella situazione disperata.
Allison si
voltò verso lo sceriffo, facendo una panoramica di tutti gli sguardi che si
ritrovava contro e leggendo in tutti la stessa incapacità di affrontare il
problema. «Stiles, posso assicurarti che è lui».
L’insistenza
divenne troppo premente ed un vocio esagerato si alzò, portando Stiles alle
lacrime e con le forze per negare che gli venivano meno.
«Adesso
basta» tuonò Derek, mettendo tutti a tacere e fulminandoli con gli occhi di
ghiaccio, prendendo Stiles tra le braccia e tirandoselo su. «Così non
l’aiutate» disse con un ringhio arrabbiato e gelante, superando ognuno di loro
ed ammonendoli fino alla fine, sbattendo la porta dietro di lui ed
allontanandosi da quel luogo soffocante.
Stiles gli
stava aggrappato al collo, con le braccine tutte intorno ed il viso premuto
sull’angolo per nascondersi e ripararsi, singhiozzando silenziosamente. Derek
sentiva perfettamente il principio di lacrime incastrate tra le sue ciglia e
che non lasciava cadere. Per Stiles doveva essere tutta una grande tragedia che
non riusciva a spiegarsi, catapultato in una realtà in cui non riconosceva
nessuno, nemmeno la parte più importante del suo cuore, quella che cercava
disperatamente e per cui si era lasciato condurre da loro al fine di
ritrovarla.
A Stiles
sarebbe bastato suo padre, l’uomo che conosceva e con cui aveva imparato a
vivere.
Come poteva
spiegargli che era lo stesso uomo, lo stesso identico uomo che lo amava con
tutto se stesso e che lo riteneva la cosa più
importante di tutte, l’unica cosa che gli era rimasta? Stiles non conosceva
nulla di tutto quello, non sapeva cosa avessero passato e cosa avessero perso,
quanto si fossero uniti ed avessero combattuto per avere quello che erano
riusciti ad ottenere, i sacrifici che avevano fatto e quanto rappresentassero l’uno
per l’altro.
Derek si
fermò per un momento, sistemandolo meglio e stringendolo maggiormente a sé
colto da un pensiero che gli gelò il sangue. Stiles non riconosceva la persona
più cara che aveva e con cui condivideva il sangue, quella di cui si sarebbe dovuto
fidare ciecamente, suo padre. Ma non sapeva nemmeno di non avere più una madre.
Senza alleati, i più importanti, le parti vitali di se
stesso, come avrebbe fatto a sopravvivere?
Un
singhiozzo più forte degli altri gli attraversò l’udito e ringraziò che Stiles
non fosse in grado di leggergli nella mente; dovevano nascondere
quell’informazione con tutti gli strumenti che avevano a disposizione.
«È tutto
sbagliato» gracchiò con la voce spezzata il cucciolo d’uomo, strisciando il
naso sulla pelle del mannaro. «Quello è il mio papà, ma…» inspirò
profondamente, mordendosi le labbra a contatto con l’altro e lasciando
fuoriuscire un mezzo gemito che non riuscì a trattenere. «Non lo è».
A Derek si
spezzò il cuore in una cascata di schegge. Stiles era completamente sopraffatto
e combattuto, così confuso e fuori dal suo mondo che avrebbe potuto rompersi;
era consapevole di ogni cosa, di ogni cambiamento. «È soltanto un po’ diverso
da come lo ricordi» onestamente si chiese se anche lui avrebbe avuto quel tipo
di problemi nel riconoscere la propria famiglia e se non si fosse limitato a
corrergli incontro, ma probabilmente la sua natura di licantropo avrebbe
taciuto immediatamente qualsiasi titubanza. Forse non ne avrebbe neppure avuto
bisogno, non era acuto come Stiles.
Il piccolo
umano tacque per un momento, respirando con lentezza e metabolizzando ciò che
lo circondava. «È colpa mia?» chiese con una lucidità impressionante e con una
goccia di autoaccusa. «Sono sbagliato?».
Derek si
fermò all’istante, attraversato da una morsa che gli fece incredibilmente male,
togliendogli il fiato. Fu costretto a sciogliere la presa del bambino, rompendo
quella posizione rassicurante che gli permetteva di stringersi a lui ed
obbligandolo a guardarlo dritto negli occhi. Erano così liquidi e tempestati di
lacrime che ebbe un attimo di esitazione. «Tutto questo non è colpa tua» disse
perentorio ed assoluto, scrutandolo attentamente e severamente nelle gemme di
miele. «È tutta nostra, ma non tua» ed era sincero e ci credeva ciecamente, soprattutto
alla propria di colpevolezza. Ognuno avrebbe dovuto fare la propria parte per
evitare una situazione assurda come quella, per evitare che Stiles subisse tali
affronti, invece lo avevano reso partecipe dell’enorme follia che era la loro
vita ed a cui il ragazzo vi si era gettato per proteggere tutti quelli che
amava e l’intera città. Lo avevano perfino legato ad un albero magico – quello
che ne era rimasto – ed era morto per quel sacrificio infame. Diamine! Era morto. Ed era anche tornato
indietro. Non avrebbero dovuto sorprendersi se il Nemeton
fosse la causa delle attuali condizioni di Stiles.
Una manina
si depositò, morbida ed affettuosa, sul suo viso – era così liberatorio – ed i
grandi occhioni lo fissarono con una comprensione inaudita. «Neanche tua».
Il lupo
rimase senza parole ed incapace di alcuna reazione. La presa sul corpicino si
fece più forte, come se improvvisamente temesse che potesse scappargli dalle
mani e dovette reprime l’istinto di soffocarlo in un enorme abbraccio che
difficilmente avrebbe sciolto. «Sei il più giusto di tutti» ma le parole esatte
sarebbero dovute essere: non ti merito.
Quando
Stiles si fu calmato e Derek era psicologicamente pronto per separarsi da lui,
tornarono alla clinica veterinaria, trovandoli tutti esattamente dove li
avevano lasciati, voltati completamente verso di loro quando li sentirono
rientrare.
«Sta bene?»
chiese Allison con voce moderata, ma preoccupata, indecisa se avvicinarsi o
meno.
Il bambino
era ancora tra le braccia del licantropo, non avvinghiato, ma libero di
muoversi e con la capacità di poter osservare ogni cosa. Fece un piccolo gesto,
tirando la maglia del lupo verso il basso e Derek lo mise subito a terra con
delicatezza, quella che non ci si sarebbe mai aspettati da lui, e Stiles tese
la manina verso la cacciatrice, rimanendo in attesa.
Lei scrutò
prima l’esserino dinnanzi a lei e poi spostò gli occhi scuri in quelli di giada
piena di domande e stupore. «Sta bene» rispose semplicemente l’uomo, facendola
risuonare come la soluzione a tutte le domande che tacitamente la ragazza gli
stava versando.
Le labbra
di Allison si curvarono immediatamente e prese tra la sua la mano che le veniva
offerta, stringendola con dolcezza. «Ti va di ritornare dai nostri amici a
quattro zampe?» non dovette nemmeno aspettare una risposta che il figlio dello
sceriffo l’aveva già condotta nell’altra camera.
Ovviamente con il nostro lupo scorbutico preferito,
la cacciatrice era troppo deliziata e divertita da quella storia che Derek non
apprezzava molto e forse avrebbe dovuto smettere di essere così
accondiscendente, ma quando era entrato nella stanza esclusiva al riposo degli
animali ed Allison gli aveva indirizzato un ghigno compiaciuto ed una strizzata
d’occhio, uscendosene con quella frase dedicata tutta al cucciolo d’uomo che
persisteva nell’avere il Beta con lui, Stiles gli aveva messo tra le mani il
gattone color miele con cui aveva giocato prima che arrivasse lo sceriffo. Il
suddetto gatto non aveva apprezzato particolarmente la sua compagnia ed il
mutaforma era altrettanto poco entusiasta, tanto che il felino gli soffiava
contro, ma Stiles aveva ridacchiato divertito a quel siparietto, divenendo immediatamente
musica per le orecchie del licantropo, e lo aveva incitato ad accarezzarlo
insieme a lui ed a mostrarsi più paziente ed interessato; il gatto aveva
accettato con piacere le sue dovute coccole ed il cinquenne gli aveva regalato
il sorriso più solare del mondo. Ed
accondiscendenza sia.
Nel frattempo nella stanza
adiacente, l’intero branco analizzava la situazione con Allison e Derek che
prestavano orecchio, ma con l’intento di distrarre Stiles, impedendogli di
ascoltare. Lo sceriffo era proprio dirimpetto a loro e non riusciva a togliere
gli occhi di dosso dal suo bambino e la sofferenza ed il cruccio erano
evidenti.
«Credo che
il Nemeton agisca con uno scopo ben preciso» esordì
il druido, richiamando tutta la loro attenzione, procedendo con moderazione e
con la calma che lo contraddistingueva. «E penso volesse ridare qualcosa che ha
sottratto».
«Quando
Scott, Allison e Stiles si sono sacrificati al posto dei loro genitori,
risvegliando il Nemeton, un prezzo è stato pagato e
questo ha creato un cerchio d’ombra nel loro cuore, rendendoli coscienti
dell’oscurità e negandogli qualsiasi tipo di innocenza» Deaton
li osservò tutti ad uno ad uno ed ognuno di loro pendeva dalle sue labbra. «Al
contrario degli altri due, Stiles è stato quello più esposto e ne ha risentito
maggiormente, non essendo incline alle leggi sovrannaturali o addestrato a
gestirle. Il Nemeton ha percepito tale squilibrio e
si è mobilitato per rimediare».
«Vuoi dire
che l’ha riportato all’età dell’innocenza per ridonargliela?» chiese stupita e
perplessa la bionda fragola.
«È
possibile» concretizzò il veterinario, ma lasciando libero spazio ad ulteriori
teorie. «In questo momento è esattamente un bambino di cinque anni, conserva
quei ricordi e conosce il mondo con i mezzi che ha avuto. Non ha alcun ricordo
degli anni successivi né delle persone che ha conosciuto in seguito».
«E il
legame con Derek?» domandò Isaac nel silenzio creato dagli altri.
Deaton lo guardò con scrupolo, senza davvero dare
l’impressione di aver capito. «Come?».
«Stiles non
si separa da Derek, se non è con lui non si muove e se non ha una sua conferma,
Stiles non lascia avvicinare nessuno» fece presente il ricciolino, indicando la
scena dietro le loro spalle, vedendo protagonisti i due citati più l’eccezione
alla regola data proprio dalla fermezza di Derek. «Stiles non riconosce nessuno
e prima di tutti il suo stesso padre, ma di Derek si fida ciecamente. Derek in
questo momento è tutto il suo mondo» parlava come se sapesse esattamente cosa
significasse e cosa si provasse, ma la sua storia era oscura e violenta.
Un silenzio
significativo scese nella stanza, interrotto dalla risata cristallina e limpida
di Stiles che si divertiva un mondo nel vedere l’incompatibilità felina con il
licantropo e doveva rimediare ogni volta per salvare il loro precario rapporto,
mentre Allison gli passava tutti i gatti più asociali e musoni che trovava per
riderne senza vergogna e dare manforte al cucciolo d’uomo.
«È il primo
che ha incontrato dopo la trasformazione, potrebbe essere una specie d’imprinting»
articolò il druido un po’ ostico, guadagnando delle occhiate perplesse da
coloro che lo circondavano ed incontrando un minimo di comprensione nella
rossa. «In poche parole, è l’impronta che un neonato ha con la madre o con chi
ne fa le sue veci. Il bambino instaurerà un legame di attaccamento che ha
determinate caratteristiche: il mantenimento del contatto, quindi ricerca della
vicinanza fisica, l’ansia da separazione, l’effetto rifugio sicuro e base
sicura. Ma questo accade durante i primi nove mesi dalla nascita, per Stiles
dev’essere qualcosa del genere».
«È come se
stesse ricominciando» emerse Scott nel silenzio in cui era caduto, divenendo
semplice testimone. «Ed ha scelto Derek».
«Forse è
molto di più di questo» sentenziò enigmatica la banshee, lanciando una lunga
occhiata al siparietto davanti a lei che venne intercettata da Allison e
bellamente ignorata da Derek.
«È certo
che qualcuno deve occuparsi di lui, non sappiamo per quanto andrà avanti»
dichiarò il druido con prontezza, mettendoli al corrente del da farsi e della
mancanza di una scadenza.
«Ovviamente
rimarrà con suo padre» intervenne Melissa senza ammettere repliche e senza che
vedesse altre soluzioni. «Ed io farò di tutto per dare una mano».
«Ma…»
farfugliò il messicano con confusione, certo che quella situazione non potesse
andare bene per le condizioni in cui erano.
«Chi meglio
di suo padre può prendersi cura di lui?» Melissa lo sapeva bene, conosceva la
loro vita, come lo sceriffo si fosse sempre dedicato a lui a prescindere delle
difficoltà che si potevano riscontrare con un figlio iperattivo e fuori dagli
schemi come Stiles, di come fossero andati avanti da soli quando il nucleo
familiare si era dimezzato – fattore che lei conosceva in prima persona – e di
quanto suo figlio lo amasse. Nessuno poteva rispondere meglio alle esigenze di
Stiles di chi l’aveva cresciuto ed amato.
Tutti
apparvero poco convinti da quella soluzione, ma nessuno sembrava averne altre
da proporre e dove potevano trovare qualcuno che si occupasse della piccola
creatura e che avesse la sua piena fiducia?
«Non
dovremmo far scegliere a lui, perlomeno?» domandò con bonaria ingenuità
l’Alpha, difensore fino alla fine del suo migliore amico.
Sua madre
lo guardò contrariata e lo sceriffo si allontanò, avvicinandosi alla stanza
confinante e trovandosi davanti suo figlio. Suo figlio tornato il meraviglioso
bambino che possedeva ancora entrambi i genitori. Ricordava ogni dettaglio
della sua fanciullezza, le sue guance pienotte perennemente rosse per via del
freddo che risaltavano sulla carnagione chiara, gli occhioni ambrati che
brillavano di meraviglia e che si interessavano a tutto, bisognoso di scoprire
i segreti di ciò che lo circondava o che attirava anche parzialmente la sua
attenzione, il suo continuo stare in movimento, impossibilitato a stare fermo
anche per pochi minuti e la sua voce che riempiva i silenzi. La sua voce che
riempiva ogni silenzio, in qualsiasi tempo.
Stiles fu
attratto dalla sua presenza silenziosa dinnanzi a sé e smise di accudire i suoi
nuovi amici pelosi, alzando le iridi di miele in quelle azzurre
del padre. Derek ed Allison lo seguirono a ruota.
«Stai bene
con Derek?» domandò con tutta la scioltezza ed il controllo che possedeva,
provando ad uscire dallo stato di nebbia che l’aveva colto nel momento in cui
era stato rifiutato dal suo stesso sangue.
Stiles
annuì fermamente con la testa, rispondendo immediatamente alla domanda posta
con sincerità.
«Puoi stare
con lui finché tutto non sarà sistemato» disse Noah
con un bonario sorriso sulle labbra, allontanando tutto lo strazio che quella
decisione gli dava. Avrebbe patito qualsiasi pena dell’inferno pur di fare la
scelta giusta per il bene di suo figlio.
Derek
sussulto impercettibilmente ed un brusio ben identificato si scatenò nella
stanza appena lasciata.
Stiles lo
guardò con un’intensità attanagliante e lo sceriffo conosceva bene quello
sguardo. «E tu?» l’innocenza e l’interesse presero vita dalla sua bocca e
l’uomo sapeva che il bambino fosse in grado di percepire cose non dette.
Suo figlio
poteva anche non riconoscerlo – era così diverso ai suoi occhi? Il suo spirito
d’osservazione era davvero così grande? –, ma la preoccupazione verso gli altri
era un tratto distintivo che non poteva essere placato o nascosto e
probabilmente qualcosa dentro il suo piccolo corpo gli suggeriva il legame che
in realtà condividevano. Lo accarezzò su una guancia morbida e paffuta, sorridendogli con dolcezza. «Sarò dove potrai
trovarmi, se lo vorrai».
Stiles ebbe
un fremito nel momento in cui la mano grande della massima autorità della città
che assomigliava a suo padre e che veniva identificato come tale, lo toccò. Uno
scatto elettrico lo attraversò ed il calore era talmente familiare e così confortante
che gli occhi presero a pizzicare in modo doloroso. Quella era casa. «Papà»
soffiò con la voce spezzata e colma di emozioni contrastanti, completamente
sopraffatto.
Piccato lo
sceriffo indietreggiò di alcuni centimetri ed un tonfo al cuore lo investì,
mentre lacrime salate presero vita dagli occhi del suo prezioso bambino. «Va
tutto bene, Stiles» era troppo presto, Stiles era diviso in due, trasportato in
una realtà che non conosceva, ma che era incredibilmente simile a quella in cui
viveva, con tanto di legami che gli urlavano nella mente e che il corpo
riconosceva, ma di cui il suo acume diffidava. Tutti quei fattori avrebbero
potuto ingabbiargli la mente e fargliela scoppiare, aggredirgli il cervello e
spezzargli il piccolo cuore già bersagliato e non conosceva nemmeno tutta la
storia. Non era qualcosa che poteva permettersi, anche se avrebbe dovuto
rinunciare a lui finché le cose non si sarebbero calmate e fossero tornate come
dovevano essere. Suo figlio aveva soltanto bisogno di rassicurazioni, di una
figura che potesse guidarlo e di cui non doveva mai dubitare, qualcuno che,
prendendolo per mano, l’avrebbe condotto verso il sentiero giusto. La persona
che lui aveva designato e la stessa che sceglieva in qualsiasi sua forma.
«Resta con Derek».
Le perle
caramellate si riempirono d’acqua e fluirono tutte in una volta, irrigandogli
il viso e mettendo in evidenza il rossore dei suoi zigomi. Allison lo prese
immediatamente in braccio e Stiles le si strinse di riflesso, affondando il
viso nel suo petto e bagnandolo di lacrime, mentre lei gli sussurrava parole
dolci ed incoraggianti e Stiles afferrava un lembo della maglia disusa di
Derek, stringendolo forte.
Lo sceriffo
dovette allontanarsi in fretta, prima che cedesse alla voglia di strappare suo
figlio dalle braccia di chiunque lo tenesse, portandoselo via. Prima che
diventasse troppo doloroso separarsi dalla cosa più preziosa che possedeva al
mondo e che piangeva per lui.
Derek era
fermamente convinto che al suo ritorno non avrebbe trovato sua sorella nel
loft, ormai lontana e diretta alla sua meta e forse leggermente imbronciata –
chi poteva darle torto –, ma quando si ritrovò davanti la porta scorrevole
aperta, lei era lì.
«Adesso
abbiamo anche bambini?» domandò la lupa con un lungo sopracciglio innalzato,
quando le si parò la figura del fratello che teneva per mano un esserino a lei
sconosciuto, ma incredibilmente familiare.
«È Stiles»
disse soltanto il licantropo, come se dovesse bastare a spiegare ogni cosa.
Cora lo
guardò con intensità profonda, spostando poi gli occhi sul pargolo che rimaneva
legato a lui. Si scostò semplicemente dalla porta e li fece entrare.
Derek non
possedeva nulla che andasse bene per un bambino, né il cibo giusto né il
vestiario appropriato, ma era notte inoltrata, era distrutto ed aveva troppi
pensieri per la mente, a quell’ora non avrebbe trovato nulla di ciò che gli
serviva e Stiles doveva dormire.
In verità
nessuno del branco aveva nulla che potesse andare bene ad un bambino di cinque
anni e di certo Stiles non avrebbe potuto indossare quell’enorme felpa rossa
finché non avrebbero rimediato. Quindi Allison, testarda ed irremovibile,
conoscitrice di quel posto a menadito, si diresse verso le donazioni per i
rifugi animali che le persone consegnavano per facilitazione al veterinario che
successivamente le avrebbe portate nel luogo corretto. Lì in mezzo c’erano
sempre vestiti vecchi e usati, coperte e roba varia e la cacciatrice avrebbe
sicuramente trovato qualcosa con cui accomodare per il momento, con grande
sdegno della banshee. Poco tempo dopo e con buste svuotate e buttate in giro
per caso, erano riuscite a dare un aspetto quantomeno presentabile e
riparatore, ad eccezione dei piedi che rimasero nudi ed esposti al freddo.
Il figlio
dello sceriffo era al centro del monolocale, vicino al divano, spaesato e fuori
posto, lontano da tutto quello che conosceva, eppure osservava ciò che lo
circondava con meticolosità e curiosità. «Chi sei?» chiese alla ragazza
dinnanzi a sé che lo guardava a sua volta.
«Cora»
rispose con semplicità, non particolarmente colpita dalla domanda, ma evitando
di dare ulteriori spiegazioni.
Stiles
sembrò afferrare ed i grandi occhi ambrati, che Cora reputava stupefacenti, si
posarono sulla parte del loft in cui era sparito il più grande. «Sei sua sorella?».
Adesso sì,
poteva quasi ammettere di essere impressionata. «Sì».
Lo sguardo
nel cucciolo d’uomo cambiò e forse la lupa vide scomparire nelle sue iridi
quella scintilla di diffidenza. «Hai fame?» domandò subito dopo con
tranquillità.
Le perle
d’ambrosia si illuminarono e la bocca si schiuse sorpresa. «Tantissima».
Derek aveva
svuotato il suo armadio per trovare una maglia passabile che non fosse troppo
eccessiva per Stiles, ma fosse calda ed in grado di ricoprirlo il più
possibile; quando tornò vide sua sorella mangiare con gusto roba già pronta e
confezionata, che non aveva mai visto e che non sapeva nemmeno di possedere –
era convinto di aver svuotato tutta la dispensa per il lungo viaggio che
l’attendeva –, con uno Stiles allietato che ingurgitava tutto ad una velocità
supersonica e che si sporcava ad ogni morso. La lupa sorrideva compiaciuta e
rapida ripuliva i suoi disastri.
«Vuoi
unirti a noi?» chiese lei quando lo intercettò, indicando il loro banchetto da
reali.
«Devo
mettere Stiles a letto» negò con il capo, rifiutando e mobilitandosi per
portare a termine quella giornata. Mangiare?
Chi aveva tempo per quello.
«Giusto»
Cora illuminata annuì soltanto ed aspettò che il loro ospite inghiottisse
l’ultimo boccone. «Andiamo ometto, laviamoci e buttiamoci sotto le coperte».
Quando
Stiles si trovò davanti alla porta del bagno, l’unica dell’intero appartamento,
esitò, rifiutandosi di aprirla. «Posso fare da solo» pronunciò un po’ inebetito
ai due ragazzi che gli stavano alle spalle.
Derek
innalzò un sopracciglio poco convinto e Cora si riprese nell’immediato. «Certo,
noi siamo qui fuori» articolò la mannara, prendendo la maglia dalle mani del
fratello e depositandola in quelle del bambino.
Il piccolo
ospite accennò un segno positivo con il capo, segno che aveva compreso ed entrò
nel bagno, chiudendosi la porta dietro di sé, con tanto di giro di chiave –
quello al licantropo non piacque molto.
«Rilassati,
Derek» lo richiamò la sorella con malvagia ironia. «Puoi sempre sfondare la
porta».
L’uomo la
fulminò soltanto con gli occhi di ghiaccio e Cora sbuffò teatralmente. «Almeno
non farti trovare davanti alla porta a spiare i suoi movimenti».
«E se
avesse bisogno d’aiuto?» gli fece presente l’altro, accantonando l’idea.
«Sono
sicura che lo sentirai urlare e ti precipiterai da lui» rivelò con genuina e
bonaria malignità, sapendo perfettamente dove colpire.
Derek la
giudicò apertamente con lo sguardo e lei ne rise vittoriosa. Poco dopo si era
allontanato dalla lastra di legno verticale, ma non aveva smesso di prestare
orecchio.
Stiles uscì
dal bagno pochi minuti dopo, perfettamente lavato e vestito; la lunga maglia
del lupo gli ricadeva fino ai polpacci ed i piedini erano scalzi ed a contatto
con il pavimento freddo – prima o poi avrebbero rimediato anche a quello.
Cora non
aspettò nemmeno che suo fratello si muovesse e si avvicinò al bambino
prendendolo per mano e conducendolo all’ala del monolocale che fungeva da
camera da letto di Derek.
Gli scostò
le coperte e battendo a palmo aperto sul materasso lo invitò ad accomodarsi.
Stiles
indugiò soltanto un secondo e subito dopo era sotto le lenzuola, perfettamente
rimboccato e tenuto al caldo.
«Dormi
bene, te lo meriti» proferì cordiale la lupa, sfiorandogli i capelli con la
punta delle dita. Il piccolo ospite si strinse nelle coperte in risposta.
«È fin
troppo silenzioso per essere Stiles» disse la ragazza quando raggiunse il
fratello, dirigendosi verso il divano, luogo in cui avrebbe dormito il
maggiore.
«Molto»
confermò lui con una nota speziata, quasi preoccupata, udibile solo alla
sorella. «È difficile per lui, ci vorrà un po’ per carburare».
Cora
l’occhieggiò per qualche secondo come a studiarlo, inclinando appena la testa.
«Forse» pronunciò criptica e poco flessibile. «Domani è un altro giorno» detto
questo si defilò verso il suo materasso.
Derek si
era abbandonato al divano quasi subito, con le spalle tese e la testa in
confusione; non aveva alcuna idea di cosa lo aspettasse e cosa servisse a
spezzare quella sorta di incantesimo. Esisteva un modo? Andava a tempo? Era
collegato alla volontà di Stiles?
Perché era
successo? Perché era accaduto proprio in quel momento? Perché non prima o non
dopo? Esisteva un innesco?
Le sue
domande erano rimaste a metà, poiché cadde in un sonno profondo in poco tempo.
Ma non poté
nemmeno bearsene che, nel momento in cui ebbe l’impressione di chiudere gli
occhi, un lamento si diffuse per l’appartamento e si incastrò nel suo nervo
acustico.
Fu
costretto ad alzarsi e a seguirlo, giungendo fino al proprio letto, trovandolo
sfatto e con uno Stiles che si dimenava e soffriva nel sonno.
«Ehy, Stiles» pronunciò con la voce più calda e melodiosa
che riuscì ad emettere – un mezzo disastro –, avvicinandosi a lui e toccandolo
appena. «Va tutto bene, tranquillo».
Il bambino
si agitò ancora e quando Derek fece un ulteriore passo, portandosi poco sopra
di lui, Stiles scattò, allungando le braccine e stringendolo nel momento in cui
lo trovò. «Derek» sillabò e quella era la prima volta che pronunciava il suo
nome.
Cora era
partita con il ritardo di un solo minuto, seguendo il percorso fatto dal
fratello e quando vide quella scena, con Stiles che si stringeva a lui cercando
conforto e con il mannaro completamente basito e quasi immobile, poté percepire
quel singolo e prezioso capitombolo nel cuore del mutaforma.
«È solo un
incubo, va tutto bene» proferì il licantropo quando prese coscienza della
situazione, posando appena una mano sul suo braccio.
Stiles
annuì contro di lui, mentre ansimava esausto ed ancora provato da
quell’agitazione notturna e Derek lo guidò a staccarsi dal suo corpo,
lasciandogli tutto il tempo del mondo.
«Tutto
okay?» chiese quando il cinquenne tornò a sdraiarsi sul materasso, prendendo
respiri profondi e chiudendo gli occhi per calmarsi.
Il piccolo
ospite fece un nuovo segno positivo con il capo ed ingoiò appena a vuoto.
«Puoi…» si fermò tentennando, quasi come se fosse a disagio e non sapesse se
esprimere quella richiesta. «Puoi restare con me? Per un po’».
Derek si
ritrovò a fissarlo senza parole con le iridi d’ambra immacolate che si
incastravano perfettamente alle proprie. «Sì» non
avrebbe mai avuto la forza di negargli qualcosa, di dire di no ad una proposta
pura ed innocente come quella, non davanti a quegli occhi provati che
chiedevano con il timore di ricevere una risposta negativa.
Le perle di
miele si illuminarono e nel momento in cui Derek provò ad infilarsi sotto il
letto, Stiles si spostò di conseguenza, lasciandogli il suo spazio.
Ed erano
lì, uno di fianco all’altro, con Stiles che rimaneva in silenzio, lasciando
trasparire una curva lieta sulle labbra piene, preparandosi a ricadere tra le
braccia di Morfeo.
Al lupo non
restò che attendere, mentre sentiva i passi della sorella allontanarsi.
Stiles si
addormentò diversi minuti dopo e Derek aspettò ancora per qualche attimo,
giusto per avere la certezza che continuasse a dormire e che nessun nuovo
incubo potesse svegliarlo nuovamente.
Quando ne
ebbe la certezza si alzò, rimboccandolo meglio ed allontanandosi più
silenziosamente possibile, ritornando al suo divano per tentare di raggiungere
anch’egli il regno del dio greco.
Vana
speranza.
Nello
stesso preciso momento in cui chiuse le palpebre, anche per la sola illusione,
l’agitazione di Stiles si mostrò, più forte ed impetuosa, con l’affanno sempre
più forte e con piccoli lamenti ad accompagnarlo.
Derek era
esausto e sconsolato ancor prima di iniziare.
Non tardò,
il lupo mannaro si mosse senza nemmeno rifletterci su e quando giunse vicino al
bordo del letto, tanto da toccarlo con le gambe, prese Stiles tra gli arti
superiori e se lo caricò senza svegliarlo, prendendo con la mano libera la
coperta e portandosela al seguito. A Stiles bastò entrare in contatto con lui
per calmarsi. E tutto accadde davanti alla testimonianza di Cora.
L’uomo si
sedette sui cuscini, sistemando meglio il bambino, appoggiandogli la testa
sulla spalla e posizionando il braccio sotto il corpicino, a rappresentare una
confortevole culla e tirando la coperta su di loro per coprirlo il più
accuratamente possibile.
La lupa non
emise alcun fiato, sedendosi ad un cuscino di distanza da loro. Poi un tenue
silenzio si impossessò del monolocale e Stiles riprese a dormire serenamente.
«Anche lo
Stiles diciasettenne non riesce a dormire la notte» rivelò all’improvviso il
mutaforma con voce profonda, senza riuscire a distogliere gli occhi dal pargolo
che gli si stringeva contro.
Come può saperlo? avrebbe voluto chiedergli la mora, ma probabilmente certe domande era
meglio lasciarle senza soluzione. «Ma con te ci riesce» non voleva suonare
cinica o allusiva, ma a volte non riusciva ad evitare di dare voce a qualcosa
di così evidente, soprattutto se ciò riguardava il sangue del suo sangue e
Stiles.
Il
licantropo la guardò torvo, ignorandola appositamente. «Probabilmente dovrò
prendergli il suo cuscino».
Cora rimase
di sasso, sbattendo le palpebre varie volte e fissandolo senza capire. «Il suo
cuscino?».
«Sì, non chiude
occhio senza quello» rispose semplicemente l’uomo come se fosse la cosa più
ovvia del mondo e non avesse bisogno di chissà quale spiegazione.
La ragazza
rimaneva ad ogni rivelazione più sconvolta ed attonita, senza riuscire a
classificare in modo vagamente parziale ciò che le veniva riferito. Stiles ne
era a conoscenza? «Il suo cuscino, certo».
Il cucciolo
d’uomo emise un tenue mormorio e voltò il capo verso il petto del lupo, proprio
all’altezza del cuore, ed un dolce sorriso beato si colorò sul visino.
«Non
avrebbero dovuto affidarmelo» affermò il licantropo a quella scena, fermo ed
irremovibile, ma Cora aveva il dono di comprendere il suo consanguineo, sapeva
cosa stesse provando. «Non dovrebbe fidarsi di me in questo modo».
«Per lui è
istintivo farlo, non potrebbe agire diversamente» per lei era chiaro come il
sole, visibile ad occhio nudo e Derek non poteva dubitarne.
«No» negò vistosamente il mutaforma, mozzando quelle
parole. «Ha detto espressamente che non poteva più fidarsi di me e di tutto
quello che mi rappresenta».
Cora capì
che si rifesse a prima che la condizione dell’umano cambiasse, prima che la
magia facesse effetto, prima che la vita modificasse ancora i suoi progetti,
portando il suo stesso sangue a crescere una delle persone più importanti per
lui. La più importante. «Lo credi
paradossale, non è così? Questo bambino, questo prezioso bambino, non muove un
passo se non gli confermi che può farlo, che non corre alcun rischio. Se non
fossi stata tua sorella non si sarebbe mai avvicinato. È l’esatto opposto di
quello che ha detto: si fida di te e di tutto quello che ti rappresenta».
Derek negò
ancora, fortemente e con convinzione, stroncandola nell’immediato. «È costretto
dal Nemeton».
La lupa lo
guardò giudicante e con disapprovazione, aggrottando le sopracciglia. «Sei
davvero così cocciuto?» domandò retoricamente, lanciandogli un’occhiataccia.
«Il Nemeton conosce il suo cuore, non agisce a caso e
tutto questo non può essere casuale».
«Cora» la
ammonì l’Alpha scomparso dentro di lui, esasperato e disturbato dalla
conversazione.
«Torno in
sud America» rivelò la ragazza immediata e con fierezza.
Derek
rimase per qualche attimo a fissarla dritta nelle iridi scure, senza proferire
parola o battere le palpebre. «Ci andremo insieme».
«No, andrò
da sola» dichiarò assolutista ed inflessibile, scartando qualsiasi opzione già
in partenza. «Tu hai una bella gatta da pelare qui ed io non riesco a resistere
un attimo di più in questa cittadina, non è più casa mia» ma è la tua.
Il
licantropo ignorò l’ennesima allusione poco velata e la figura da fratello
maggiore faticava a sparire. «Non ho voce in capitolo» non era una domanda, ma
una costatazione in piena regola.
«Esattamente»
asserì la ragazza senza mezzi termini e giri di parole. «Partirò domattina
stessa».
Un silenzio
significativo cadde nel monolocale e per minuti interi rimasero nelle medesime
posizioni in cui erano, senza emettere fiato o muoversi accidentalmente.
Il cucciolo d’uomo strusciò appena una guancia
sul pettorale, affondando maggiormente nella piccola nicchia creata dal braccio
piegato dell’uomo, lì dov’era più caldo e riparato, e Cora si alzò dal divano,
come se avesse interpretato quel gesto come un via libera e si mosse verso il
proprio letto, senza alcuna parola di saluto, ma prima di andar via si fermò
per un solo secondo, nel cuore del grande spazio aperto, catturando tutta
l’attenzione che le era dedicata. «Non credo abbia scelto te perché sei stato
il primo che ha incontrato in queste sembianze» e lo lasciò nel silenzio e
nelle tenebre dell’appartamento con un piccolo Stiles che gli circondava e
riscaldava il petto.
Ebbene
sì, abbiamo a che fare con un piccolo minuscolo Stiles. Un piccolo Stiles di
cui dovrà occuparsi notte e giorno il lupo musone per antonomasia e di certo
non è una sfida facile. Ne sarà in grado, Stiles gli darà il suo bel da fare?
Sarà capace di riportarlo indietro?
Per
quanto riguarda le varie donazioni di vestiario ai rifuggi animali, sono del
tutte vere. Ho fatto volontariato in un gattile e
frequentato posti similari, la gente dona di tutto e serve tutto, anche
semplicemente per farli giocare, quindi non stupitevi se sono riusciti a
trovare dei vestiti adatti allo Stiles di cinque anni.
A
martedì,
Antys