Non
sono quella giusta
Ayame
spronò nuovamente il cavallo che, pigro, stava per l’ennesima volta rallentando
il passo. Si guardava attorno inquieta, cercando un luogo di cui aveva solo
vagamente sentito parlare.
Un
castello.
“E dovrei crederti?”, domandò Koga perplesso e decisamente spaventato. Probabilmente era
convinto che la ragazza stesse impazzendo.
“Non sto mentendo. Se i tuoi
leccapiedi non mi avessero fermato te lo avrei dimostrato!”, ribatté lei,
sull’orlo del pianto. Koga aveva voluto sapere il
motivo per cui l’aveva cercato, e adesso non faceva altro che maltrattarla.
“Sì, ma adesso non hai prove”, fece
notare il ragazzo. La fanciulla si morse il labbro, indecisa e confusa.
“Potrei averle”, mormorò infine,
torturandosi le lunghe dita affusolate. Il ragazzo la fissò negli occhi
smeraldo, incredulo.
“Troverò il castello!”, esclamò
decisa, “Ci andrò con Hakkaku e Ginta!
Tanto dovresti comunque cercare Kagome nella foresta,
ed è probabile che si trovi in una casa isolata. Altrimenti come spieghi le
varie sparizioni?”.
Sì,
ma dove? Aveva dedotto dalle sparizioni che era nella foresta, ma offrirsi di
cercare il castello probabilmente non era stata una buona idea.
“Allora
Ayame, dove andiamo?”, domandò Ginta,
affiancandola con il suo stallone.
“Proviamo
da quella parte”, decise dopo diversi momenti di esitazione. Girare a vuoto in
quel modo era inutile. Come poteva sperare di trovarlo in quel modo?
Gli
alberi, alti e fitti, impedivano una visiona completa dell’area, e sapeva bene
di poter sbucare dal nulla davanti ad un edificio, imponente o meno.
E
Koga gli aveva concesso solo un giorno.
Si
morse un labbro, confusa sul perché di questa sua scelta. Se Kagome fosse sparita lei non avrebbe avuto più rivali, e
forse Koga si sarebbe rassegnato. E invece lo stava
aiutando per trovarla. Sospirò, maledicendo il suo buon cuore. La verità era
che sapeva bene che non era colpa di Kagome, ed era
preoccupata per lei. In fondo una volta erano state amiche. E non sopportava di
vedere Koga dilaniato dalla sofferenza. Gli altri
percepivano in lui solo un eccessivo nervosismo, ma la fanciulla sapeva bene
che non era così.
“Ayame, sbaglio o laggiù c’è uno spiazzo?”, domandò Hakkaku, aguzzando la vista. La ragazza sforzò i suoi occhi
chiari, per scorgere il lontananza un leggero chiarore. Decise di fare un
tentativo, spronando il cavallo in quella direzione.
“Però
è strano”, fece notare Ginta perplesso, “non ci siamo
allontanati particolarmente dal villaggio, ed è decisamente insolito che ci sia
un castello e nessuno l’abbia mai notato”.
Questo
era vero. Non era possibile che un castello così vicino non fosse mai stato
notato. E un edificio di tali dimensioni
non poteva certo essere nascosto con facilità. Solo una magia…
Ayame
scosse la testa, cacciando quei pensieri. La vista di quella bambina fluttuante
le giocava strani scherzi. Non era possibile che un maleficio nascondesse un
castello, per il semplice fatto che la magia non esisteva. Forse i demoni, ma
la magia no!
Si
morse il labbro a quel pensiero: demoni. Fino al giorno prima non avrebbe mai
creduto neppure a quelli, come poteva ora dubitare con tanta certezza
dell’esistenza della magia?
“Ginta ha ragione”, confermò Hakkaku,
ormai vicino alla luce, “probabilmente sarà solo una rad…”.
Ayame
e Ginta sollevarono lo sguardo sul compagno, il quale
paralizzato fissava un punto imprecisato innanzi a sé.
“Cosa
succede?”, domandò Ginta preoccupato, precedendo la
ragazza, “Oh. Mio. Dio!”.
Ayame
sbuffò, facendosi largo tra i due per godere della vista della radura.
Ma
invece si ritrovò davanti ad un imponente cancello nero, spoglio e sobrio. Alzò
gli occhi con lentezza, incredula, ammirando la struttura immensa che si
stagliava contro il cielo limpido.
“Non
è possibile”, sussurrò debolmente, avvicinandosi con lentezza al cancello.
“Sarà
abbandonato”, fece notare Hakkaku quando riuscì
nuovamente a proferire parole.
“Ha
un’aria… inquietante”, precisò l’altro, ammirando i
decori demoniaci che ricoprivano il castello.
“È
abitato”, sussurrò infine Ayame, affiancando il
cavallo al nero cancello, “il giardino è curato nei minimi dettagli”.
“Ma
è impossibile!”, ribatté nuovamente Ginta, “Non può
essere che un castello abitato e così vicino al villaggio non sia mai stato
notato!”.
Hakkaku
strabuzzò gli occhi, fissando il portone di ingresso.
“C-chi… C-cosa è quello?!”,
sussurrò trattenendo chiaramente un urlo. Ayame
concentrò l’attenzione su quel punto, scorgendo un uomo e una bambina che
rientravano dal giardino.
No
anzi. Non era un uomo.
Aveva
lunghi capelli argentati, pur essendo giovane, ed emanava un’aura glaciale.
“Ha-Hakkaku, vedi anche tu orecchie a punta?”, domandò Ginta terrorizzato.
“E
occhi gialli”, balbettò l’altro altrettanto in preda al panico.
“Un
demone”, sibilò Ayame sbiancando.
E,
proprio in quell’istante, la creatura si voltò verso di loro, in un gesto così
rapido da non essere visto.
“Ci
ha visto”, mormorò la fanciulla con voce strozzata.
Il
demone li fulminò con occhi di ghiaccio, e sguainò gli artigli.
“SCAPPATEEEE!!!”.
“KOGA!”.
L’urlo
fece voltare tutti in piazza, mentre il ragazzo si ritrovò assalito dai due
amici. Poco dietro, Ayame li seguiva senza fiato.
Tutti e tre erano pallidi come fantasmi.
“Koga, sembrava un uomo!”, cominciò Ginta.
“No,
era enorme! Come quattro case!”, continuò Hakkaku.
“E
aveva gli occhi gialli”.
“Sì,
ma enormi e di un rosso intenso!”.
“E
sputava fiamme!”.
“E
aveva due ali enormi!”.
“E
una coda come un drago!”.
“E
emanava fumo dalle narici!”.
“Aveva
un corno sulla fronte!”.
“Sì,
e la lingua biforcuta!”.
“Aveva
le zampe come quelle di un cavallo!”.
“E
artigli lunghi due metri!”.
Koga
fissava i due confuso, senza capire nulla.
“Ok,
ok! Frenate e fatemi capire! Stiamo parlando di una creatura grande ma piccola,
con occhi giallo-rossi, sputa fiamme, emana fumo, ha coda e ali da drago, un
corno e zoccoli con artigli?”, domandò perplesso. I due annuirono, continuando
a parlare animatamente delle squame che lo ricoprivano e delle piume che lo
facevano sembrare ancora più enorme.
“E
magari aveva anche due teste?”, chiese ironico.
“Sì!
Anzi no, ne aveva tre!”, precisò Hakkaku
meticolosamente.
“Cosa
dici, erano cinque! Potrei giurarlo!”, ribatté Ginta
con foga.
Koga
fissò Ayame perplesso.
“Sembrava
umano”, descrisse lei, “ma era evidente che non lo era. Aveva capelli d’argento
e occhi dorati. Un’espressione così distaccata e dei movimenti talmente rapidi
da non lasciare spazio a dubbi”.
Koga
prese un respiro profondo.
“Ammetto
che la cosa mi lascia perplesso, ma per quanto i due qui dietro siano fifoni
non si spaventerebbero certo così per un’ombra”, fu costretto ad ammettere il
ragazzo, ancora molto confuso.
“Ah,
Koga!”, aggiunse Ginta dopo
essersi ripreso dallo spavento, “abbiamo anche visto il castello”.
“Davvero?”,
domandò lui perplesso. I due amici annuirono, e cominciarono a raccontare la
loro ricerca meticolosamente.
“Ayame aveva ragione”, ammisero entrambi, “ma non potevamo
immaginare fosse così importante!”.
“E
comunque il demone è come l’ha descritto lei”, terminò Ginta,
a mente fredda.
Koga
si fermò a riflettere a lungo.
“Non
possiamo lasciare Kagome in quel posto infestato da
mostri”, disse autoritario, “Né possiamo permettere queste continue sparizioni,
sicuramente causa loro!”.
“E
cosa vorresti proporre?”, domandò Ginta, con un
pessimo presentimento.
“Dobbiamo
attaccare il castello!”, ordinò, seguito da sussurri convinti di assenso.
“Koga, ora basta!”, strillò Ayame,
facendosi largo tra la folla che ormai si era accalcata nella piazza, “Questo è
quello che vuole Kagome”.
“E
tu che ne sai?”, domandò il ragazzo urlando.
“Ho
sentito i loro discorsi!”, spiegò la ragazza, “parlavano di un…
un demone di cui lei si è innamorata!”.
Un
mormorio stupito si sollevò da tutti i presenti, increduli dinnanzi a una
simile affermazione. Lo stesso Koga fissava la
ragazza basito.
“Koga, lasciala andare! Deve essere una sua scelta”, strillò
Ayame, sull’orlo del pianto. Koga
non capiva come ci si sentiva ad essere innamorati? Perché non si fermava? Perché
voleva scatenare odio e paura in quel villaggio?
“Sei
impazzita forse?”, domandò lui adirato, “Quel demone l’avrà di certo stregata! E
se non lo fermiamo subito sarà lui a fare la prima mossa!”.
I
tentativi di Ayame di farlo ricredere vennero soffocati
dalla folla inferocita.
“Sei
uno stupido!”, strillò la fanciulla, fuggendo dalla piazza senza che il suo urlo
potesse essere udito dalle orecchie del giovane.
Il
petto le doleva, e le lacrime non smettevano di scendere.
Continuava
a provarci, senza tregua.
Ma
lui, cieco davanti all’evidenza, continuava ad essere convinto che lei non fosse
quella giusta.
NdA:
Ok, non aggiornavo
questa storia da un anno.
Il motivo è semplice. Era
nata come una storia breve su Inuyasha e Kagome, e si è ampliata troppo per i miei gusti. Non l’ho
terminata in tempo breve, e alla fine mi ha stancato. L’unico motivo per cui ho
deciso di finirla, dopo aver rimandato all’infinito, è che io ODIO le
incomplete. Le odio a tal punto da non riuscire a concepire che una mia storia
rimanga tale.
Emiko e Roro
sono riuscite ad ispirarmi un po’ con un lavoro di coppia sconvolgente, e sono
riuscita a buttare giù questa sottospecie di capitolo tirato. La storia si
avvia alla conclusione, anche se questa parte di storia doveva essere più lunga
di un capitolo.
Ed è diventata di un
capitolo non perché io l’abbia accorciata volontariamente, bensì perché non
ricordavo com’era il pezzo XD *sincerità*
Cosa vi aspettate da
una che dimentica il perché una storia ha quel titolo? *vedi
The Last Time >__>*
Comunque spero di
concluderla in breve, quindi sperate anche voi in imminenti aggiornamenti ù__ù
Byez!