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Autore: Aslinn    28/07/2009    1 recensioni
Brian Molko non è da capire. O lo ami o lo odi. Ma a me è riservato un grande privilegio: accettarlo semplicemente. {Brian/Stefan, sul loro legame...non amicizia, non amore}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal, Steve Hewitt
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Note: Solite: non a scopo di lucro, tutto inventato (situazioni, caratteri, sentimenti) e i Placebo appartengono solo a se stessi.
Questo capitolo è importante per la storia (il massimo sarebbe che tutti lo fossero, ma forse è pretendere troppoXD) e sicuramente il finale potrebbe essere strano, ma tutto, almeno nella mia testolina, ha un perché.
Anche se può sembrare il contrario, non odio Brian XD
Sempre ben accetti commenti e/o critiche.
Buona lettura!
Capitolo 2: Sucker Love


Il viaggio in macchina fu silenzioso. Troppo. Mi voltai più volte, in modo discreto, per osservare rapidamente Brian. Teneva lo sguardo fisso sulla strada fuori, il gomito poggiato sul bracciolo dello sportello e il pugno a sorreggere il mento. L’espressione era neutrale. Mi capitava di vederlo così, anche spesso ultimamente. Solo con me, che io sapessi, si concedeva questo lusso, oltre che con il se stesso più profondo, anche se non la radice che cercava di sopprimere e far tacere. Sembrava in lotta continua con qualche suo Io.
Gli guardai il ginocchio e ritirai lo sguardo sul vetro di fronte a me. Lui avrebbe già allungato una mano al mio posto.
Visto che la strada era ancora lunga nel traffico e che odiavo quel silenzio teso, sapendo che avrebbe potuto portarselo dietro per tutto il giorno, mi decisi a parlare.
“Ieri notte abbiamo alzando parecchio il gomito, eh?”
“Mhm.”
“Eppure sono sempre io che mi sento male la mattina, un giorno mi spiegherai com’è possibile.”
“Già.”
Che situazione. Di solito ero io quello silenzioso, ma quando Brian si chiudeva così parlare sembrava l’unico modo per non ferirsi per il suo mutismo ostinato.
“Non vuoi parlarne?”
Si voltò e mi fissò, senza uno sguardo definibile, ma sentivo i suoi occhi che mi scavavano l’anima, con scarso interesse tuttavia.
Poi scoppiò improvvisamente in una risata, una delle sue così viscerali, e mi poggiò una mano sul ginocchio. Prevedibile, eppure imprevedibile. Questo era Brian.
“Di che ti preoccupi, Stef? Mica è la prima volta.”
Sentivo che sorrideva e lanciandogli uno sguardo, che pregai perché fosse indecifrabile, ma invano, ne ebbi conferma.
Si abbandonò al sedile senza ritirare la sua piccola mano.
“Non ti sarai per caso stancato di noi?”
“Ma che dici? Perché dovrei stancarmi di andare a letto con il mio migliore amico?”
Suscitai involontariamente in lui una risata, un po’ amara.
Tornò a guardare fuori, ritirando piano la mano e portandola sul proprio grembo.
Sapevo che non era deluso da quello che tra noi non c’era. Lui non era affatto il mio tipo, a me piacevano, e tutt’ora piacciono, gli uomini rudi. Lui è fragile ed ho sempre paura di spezzarlo, mi sento incapace di accudirlo, preferisco non avere paure. E poi la forza fisica mi alletta, quella interiore è volubile e minacciosa, anche per una storia. Perché ci andavo a letto? Perché lui lo voleva e perché io l’amavo. Ma non fraintendetemi, lo amavo come potevo amare un fratello, un amico sincero, una persona a ti è così cara che non vorresti mai se ne andasse. Non c’era propriamente attrazione fisica, anche se lui ribadiva che amava il mio corpo. Era carino, ma ero più attratto da ciò che era che da quello che era il suo corpo.
Lui dal canto suo era attratto da me, ma non di quell’attrazione puramente fisica. Era difficile da capire per me allora. E in quel periodo mi convinsi che fosse davvero attratto dai ragazzi. Troppo tardi capii che l’unica cosa che attraeva Brian era il sesso, e la possibilità di esplorarlo in ogni campo e maniera.
E se si comportava così, da puttanella, era perché voleva esserlo. Ne aveva bisogno. Sul palco voleva essere l’idolo che lui aveva sempre cercato, un modo per riscattare quel ragazzino patetico che si dichiarava sensibile per suscitare pietà, ma che in realtà era solo debole e insicuro. Aveva paura di ferirsi e vedeva il mondo come un nemico. Eppure voleva essere ferito, per potersi poi leccare le ferite o farle leccare da altri. La mia verità supposta su di lui era che fosse incredibilmente attratto dal lato nero, del proprio carattere, della propria sessualità, del proprio Io. Provocava gli altri per gusto di essere attaccato. Feriva per poterne poi piangere. Odiava per sentirsi male.
A volte questo per lui era troppo, e allora veniva da me, o dal primo capitato, e chiedeva di essere amato.
Era controverso, e tutt’oggi, dopo anni di collaborazione e intensa amicizia, nonostante io sia la persona a lui più vicina, credo di non aver capito chi lui sia in realtà.

Steve ci guardava torvo da dietro la batteria, già seduto e pronto a suonare. Quelle occhiaie, ormai perenni e parte di sé, rendevano il suo sguardo ancora più duro e lugubre. Non mi preoccupava molto, allora i litigi tra di noi erano normali e sempre risolvibili, anche se non mi piacevano. Sospettavo che invece Brian ci trovasse gusto a farlo arrabbiare, e a far arrabbiare me.
Cominciammo a suonare, uno strumento alla volta, e dopo diverse sistemazioni provammo un paio di canzoni. Ci fu un problema tecnico per il mio basso, l’amplificatore non funzionava bene, e questo fece perdere più tempo del previsto, facendoci irritare tutti, soprattutto Steve.
Io la presi con calma, sapevo che agitare ulteriormente le acque sarebbe stato inutile. Ho sempre cercato di fare il diplomatico e mettere in pace il gruppo, ma forse il mio apporto non è mai stato né necessario né sufficiente.
“Se avessimo cominciato prima!” esordì Steve alzandosi dal suo sgabello e venendomi dietro le spalle, mentre guardavo a braccia conserte i tecnici che controllavano l’amplificatore.
Lanciai un veloce sguardo a Brian, che nel frattempo si era acceso una sigaretta e aspirava concentrato, con la chitarra che gli pendeva sull’addome. Chissà a cosa pensava? Sembrava non aver notato il tono acido e insinuatore di Steve. Mi voltai verso quest’ultimo e sperai che il mio sguardo di rimprovero bastasse. Ma evidentemente non era così. Lui non lo fermavi, non rientrava negli schemi, era naturale in ciò che faceva.
“Bhe, è colpa vostra!”inveì improvvisamente rosso in volto. Dall’amplificatore uscì una scintilla che ci costrinse a indietreggiare. Steve sbuffo irritato. “Che diamine! Non potete stare una notte senza scopare?”
Mi voltai di botto per fronteggiarlo. Era inopportuno, non sapeva di cosa parlava e mi sentii punto nel vivo e infastidito.
“Taci, Steve!”
Lo sovrastavo nettamente, sebbene probabilmente in uno scontro fisico lucido lui avrebbe avuto la meglio. Ma io dalla mia parte avevo la rabbia che mi stava montando dentro le costole. Comprimeva il respiro rendendolo carico e pesante, frettoloso di uscire da quella gabbia di fuoco, mentre il sangue fuggiva via per lo stesso motivo, ma eccitato e sprizzato dal cuore con impellente bisogno.
“Io dovrei tacere? Non ci penso, Stef! Ci tengo al gruppo, cazzo! Ho lasciato il mio, i miei, tutti distrutti. Non voglio finire in un’altra pattumiera!”
Mi affrontò alzando leggermente la testa per guardarmi dritto negli occhi.
Non vacillò neanche un istante, eppure sapevo che il mio sguardo era spaventoso, come dopo mi avrebbe detto Brian.
“E credi che io non ci tenga? Molto più di te! Ma i nostri fatti personali non c’entrano nulla con la band!”
Mentivo, e lo sapevo. Questo mi rendeva ancor più rabbioso e convinto.
“Che cazzo dici? Ma ti senti? Vi siete proprio fottuti il cervello, tu e quella…”
Il pugno volò prima che me ne rendessi conto. Ricordo un insieme di fotogrammi. Una mano non mia colpiva il mento di Steve e una persona che non ero io ribolliva di rabbia e gli saltava addosso. Mani forti bloccavano una bestia che non ero io e una voce, quella voce, mi richiamava.
“Smettila, Stef.”
Brian guardava stupito un essere rabbioso che non ero io, non potevo essere io….eppure ero io.

Il soundcheck fu rimandato di un paio di ore. Mi ritirai in un angolo del locale, seduto su un divanetto con del ghiaccio sulla mano. Andava sciogliendosi e il fatto che mi alleviasse il dolore mi faceva sentire ancora più bastardo.
“Credevo avessi speso tutte le energie stanotte”.
Alzai lo sguardo e vidi Brian che si sedeva accanto a me e passava rapide occhiate dal mio volto al ghiaccio e ancor al mio viso, sorridendo divertito. E io mi chiesi cosa cazzo avesse da sorridere, tuttavia non glielo dissi.
Non risposi, non credo che ci fosse qualcosa da rispondere.
Dopo qualche minuto di silenzio dissi: “Ho esagerato, scusa.”
“Bhe che hai esagerato è normale. Mi piacerebbe sapere cosa ti ha fatto scattare.”
Lo guardai incredulo: non capiva o fingeva? Possibile che non ci arrivasse, quel suo tanto amato intelletto?
“Hai sentito quel che ha detto Steve. Non capisce un cazzo di noi due. E poi ti stava per chiamare…”
“…puttanella, lo so.”
“E non ti ha dato fastidio? Non sei arrabbiato?”
Scrollò le spalle e fece vagare lo sguardo sul locale, senza guardare nulla in particolare. Aveva ancora quello sguardo indecifrabile, e quell’espressione concentrata e insieme assente.
“Cosa pensi che io sia?” chiese tornando a puntare i suoi occhi verdi su di me.
Posai il ghiaccio sulla tavola, usando questo gesto come scusa per riflettere su quello che avrei detto. Ma, con mia sorpresa, lui non mi diede il tempo di parlare.
“Insomma, vado a letto con te quando mi pare, mi ubriaco aspettando che il primo tipo mi scopi, e godo nel sentirmi un oggetto. Come lo definiresti uno così?”
“Tu non sei questo, Bri.”
“Ah no?”disse ironico, ma di un’ironia cattiva e pungente.
Mi guardò con quel sorrisetto e vidi nei suoi occhi la forma scura e turbolenta dell’odio. Verso chi? Se stesso?
“Sono una puttanella, accettalo.”
Fui tentato di sbattere un pugno sul legno del tavolino, ma mi trattenni a stento. Non capivo cosa stesse dicendo, non volevo farlo.
“Smettila di dire queste cose! Non voglio più sentirle.”
“Puoi anche non volerle ascoltare, ma è la verità.” Si voltò lentamente verso di me e i suoi occhi mi trafissero agitandomi lo stomaco. Ero certo che qualcosa si stesse per rompere. “E’ inutile che te la prendi tanto.” Iniziai silenziosamente a pregare che il mondo crollasse in quel momento. “Tu per me sei solo un altro che mi scopa.”
Lo disse con nonchelance, come si dice al barista che c’è un po’ di sporco nel proprio piatto. Si alzò fluido e si diresse verso il palco. Lo seguii con lo sguardo spalancato.
Ero incredulo e per un attimo mi sentii davvero spezzato in due.
Com’era possibile? Davvero per tutto questo tempo per lui non ero stato nulla più che qualche scopata? Gli occhi mi si appannarono mentre pregavo un Dio qualunque di restituirmi il mio Brian e portare via quel folletto malefico che si sistemava la chitarra a tracolla.

Ringraziamenti:
mhcm per aver inserito questa storie tra i preferiti :3
  
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