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Autore: Mikirise    29/08/2019    4 recensioni
Daichi lo ha sentito da Suga. Non è che ci creda, e -ma. Ma lo ha sentito da Suga, che lo ha sentito da Asahi, che dice di averlo sentito da Shimizu, che lo ha sentito da Noya che lo ha sentito da Tanaka che lo ha sentito da...c'è tutto un giro, qua. Tutto parte dalla voce di quello che è successo a Tokyo, durante la trasferta, che non è niente di scandaloso -ma.
E Tsukishima non ha capito come si è ritrovato in mezzo a questa faccenda.
[Tsukkiyama] [La Karasuno che è caotica intorno a loro]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chikara Ennoshita, Daichi Sawamura, Karasuno Volleyball Club, Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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o. La lettera di Yachi, in cui Yachi racconta tutto alla mamma, tranne come sta lei


Devono partire la mattina presto, anche se il posto in cui devono andare non è poi così lontano. Anzi. Probabilmente l’idea di una partenza anticipata era stata pensata dai più grandi per poter aiutare i nonni di Suga-san, che li ospiteranno per pensiero dei due fratelli maggiori che avevano deciso di accompagnarli, per poter ottenere il permesso della mamma di Tsukishima-kun per partire.

Hitoka si stropiccia gli occhi con il dorso della mano e cerca di non sbadigliare, mentre lancia un’occhiata veloce a Tsukishima-kun, seduto con la mano sotto il mento, mentre guarda fuori dal finestrino, con le cuffie sulle orecchie. Deve essere assonnato. Come lo sono un po’ tutti. Ma non tutti hanno ancora preso posto. Kageyama-kun si muove nervosamente fuori dal pullman, sistemandosi il giubbotto sulle spalle, ad esempio.

Shimizu-senpai ha chiuso gli occhi e ha posato la fronte sul finestrino, accanto a Hitoka. Sembra avere intenzione di dormire per tutto il viaggio, nonostante Tanaka-san continui a chiedere scusa a tutti. Neanche lui si è ancora seduto. Ha iniziato a parlare con sua sorella maggiore a bassa voce. C’è la possibilità che Saeko-san non sappia guidare poi così bene. Secondo quello che Hinata-kun continua a ripetere, c’è anche la possibilità che tutti loro muoiano. Ma Kageyama-kun sembra essere più rilassato sulla faccenda. Ha detto che Hinata-kun non fa altro se non esagerare.

Hinata-kun si è seduto in un sedile laterale, a destra, vicino al finestrino. Hitoka non sa se avesse nutrito qualche speranza di vedere Kageyama-kun sedersi accanto a lui, forse no, ma c’è stata la possibilità, che però Kageyama-kun ha ignorato bellamente, continuando a camminare per il corridoio del pullman. E ha sistemato il suo zaino negli scompartimenti in alto, prima di guardarsi intorno e scendere di nuovo dal pullman. Hitoka li ha osservati e adesso le sembra che tutto sia più complicato di quanto fosse un mese fa. Di quanto fosse quando sono partiti per Tokyo, quando Hinata-kun e Kageyama-kun non solo si erano seduti l’uno accanto all’altro, ma avevano anche fatto chiasso per tutto il viaggio. Un mese fa, era difficile vedere Hinata-kun senza Kageyama-kun, adesso è difficilissimo vederli insieme, o uno accanto all’altro. Hitoka ha l’impressione, la brutta sensazione, che, se non sistemeranno questa situazione presto, forse quei due potranno continuare a essere compagni di squadra, ma falliranno miseramente a essere partner.

Hitoka si muove nervosamente sul suo sedile. Sperava che a quest’ora la situazione so sarebbe sistemata, invece il tutto sembra davvero peggiorato.

I ragazzi sono tutti stranamente silenziosi. Non parlano tanto, quando normalmente sono pronti a gridare, a essere emozionati per un viaggio del genere. I ragazzi del terzo, ad eccezione di Shimizu-senpai, che sembra essersi addormentata, girano per i corridoi, per essere sicuri che ci siano tutti. Li contano uno a uno. Controllano anche le posizioni in cui si sono seduti. Continuano a ripetere che il sistema delle coppie dovrebbe andare più che bene. Ognuno di loro dovrebbe sedersi accanto a un compagno di squadra e non staccarsi più l’uno dall’altro. Perché, beh, in questo modo non dovrebbero perdersi e si dà la responsabilità di prendersi cura l’uno dell’altro.

Hitoka si è seduta volutamente accanto a Shimizu-senpai, e adesso continua a lanciare occhiate veloci, un pochino preoccupate ai suoi amici dietro di lei, per vedere come si potrebbe risolvere la faccenda. Se c’è una cosa di cui è sicura è che tutto il loro gruppo, ora come ora, non sta bene. Quindi sospira e, di nuovo, si muove sul posto, abbracciando il suo zainetto.

Le coppie che si creano spontaneamente sono: Ennoshita-san e Nishinoya-san, Kinoshita-san insieme a Narita-san. Daichi-san sbuffa, grattandosi la testa. Suga-san dice che si siederà vicino a Tanaka-san e Daichi-san e Asahi-san si siederanno insieme. Convenientemente, gli unici che sembrano essere rimasti senza posto fisso, sono i ragazzi del primo anno. Tutti a eccezione di Hitoka non hanno un partner. E Yamaguchi tarda ad arrivare.

“Yamaguchi dovrebbe arrivare tra poco” li informa lei, puntando un ginocchio sul sedile, per poterli guardare. E Suga-san le sorride dolcemente, facendole cenno di abbassare la voce. “Ha detto che ha avuto un problema a svegliarsi e a svegliare suo papà, ma che è qui vicino. E chiede anche scusa.” Finisce di dare l’informazione con una voce un pochino più bassa, mostrando i messaggi che Yamaguchi le ha mandato.

Suga-san scivola a sedere sul sedile più vicino a quello di Hitoka, con un sospiro. “Non possiamo non aspettare” borbotta, grattandosi le sopracciglia, mentre Daichi-san passa per il corridoio, per scendere dal pullman. Passando, dà un colpetto in testa a Suga-san, che nemmeno sembra rendersene conto.

Hitoka continua a lanciare sguardi a Hinata-kun e Tsukishima-kun dietro di loro. Non dovrebbe starci a pensare troppo, ma la situazione sembra essere un virus. Forse, se lascia che il tutto passi senza che nessuno faccia niente le cose peggioreranno. Forse sarà tutto andato a farsi friggere. Tutto quello che hanno costruito.

“Ehm” inizia, grattandosi con insistenza il polso. Poi si tira indietro, quando Suga-San si gira verso di lei. Normalmente chiederebbe consiglio a Shimizu-senpai. Forse sarebbe la scelta più sensata.

“Va tutto bene, Yacchan” sorride ancora una volta dolcemente Suga-san. Ha la testa posata sul sedile, stancamente, come se anche lui volesse lasciarsi cadere in un sonno profondo. “Le cose, prima di andare meglio, vanno sempre peggio.”

“Perché?” chiede lei, continuando a grattarsi il gomito. Le cose non potrebbero andare meglio e basta? Perché dovrebbe esserci quel momento in cui si tocca il fondo? Perché non possono solo stare bene?

A Hitoka piace essere la manager del club di pallavolo. Perché ha trovato degli amici. Perché li può aiutare. Perché non si sente sola. Perché ha trovato qualcosa in cui non si sente completamente incapace. Perché allora non può andare sempre tutto bene? Perché le cose devono sempre andare male per poi migliorare? Perché non possono semplicemente migliorare e basta?

Sta per fare tutte queste domande. Suga-san le sorride abbastanza teneramente da farle sentire di poter chiedere, ma Yamaguchi si aggrappa alla porta del pullman, nonostante ancora non stessero partendo, e ha il fiatone. Sale gli scalini, forse non si è reso conto che ci sono ancora Daichi-san e Kageyama-kun fuori. O forse sì. Chissà. “Sono qui!” riesce a dire. “E mi dispiace tantissimo. Ho dimenticato di mettere la sveglia… o forse la sveglia l’ho messa ma non l’ho sentita e nemmeno papà ha sentito la sveglia, e doveva partire anche lui, quindi ci siamo addormentati tutti e due e io gli avevo detto… ma lui ha detto no no e allora…” Posa le mani sulle ginocchia e prende un altro respiro profondo. “Mi dispiace tantissimo… oh, ciao Akiteru-niisan.” Fa un cenno con la testa ad Akiteru-kun, che risponde con un altro cenno della testa e un sorriso.

Hitoka sbatte velocemente le palpebre, lancia uno sguardo a Tsukishima-kun che ha spostato le cuffie, per poter sentire le scuse di Yamaguchi-kun. Poi però vede, quasi sente nelle ossa, la mano che si alza di Hinata-kun e il suo urlo: “Yamaguchi!” Anche Shimizu-senpai apre gli occhi, con le sopracciglia aggrottate, disturbata dal forte rumore. “Siediti qui!”

Yamaguchi-kun ride, avanzando verso Hinata-kun. Si guarda intorno, grattandosi il retro del collo e gli fa cenno di abbassare la voce. “Sì, sì” gli risponde comunque e c’è il momento in cui passa davanti a Tsukishima-kun. Si lanciano uno sguardo veloce, se Hitoka non stesse osservandoli, probabilmente non se ne sarebbe resa conto. Appena lo sguardo finisce, Tsukishima-kun inizia a guardare fuori dal finestrino, si sistema di nuovo le cuffie sull’orecchio, e Yamaguchi-kun torna a camminare verso un troppo entusiasta Hinata-kun.

Deve essere terribile, essere innamorati. Nella prima lettera che Hitoka scrive alla sua mamma, scrive: cara mamma, sono così felice di non essermi mai davvero innamorata.






.Variabile Cefeide

È stata un’idea di Yachi. Tadashi e Hinata l’hanno solo seguita, dopo aver messo in ordine le loro cose nell’enorme stanza in cui avrebbero dormito e aver ricevuto le prime direttive dai più grandi per quel che riguarda il loro stare tutti insieme fuori casa.

Questo non è un vero ritiro. Almeno, non un ritiro di pallavolo. Che loro siano arrivati alla casa dei nonni di Suga-san come squadra, ha poco a che fare con questi tre giorni. Semplicemente, vogliono passare un po’ di tempo insieme, e questo era il motivo per cui non avevano invitato il professore o il coach. Quindi le regole sono abbastanza semplici. La prima, rispettare i turni del bagno, la seconda, rispettare i turni della cucina, e la terza, rimettere in ordine ogni cosa che mettono in disordine. Non sono regole impossibili. Per il resto, sono completamente liberi di fare qualsiasi cosa loro vogliano. La casa è grande, l’aria è fresca, ci sono un sacco di alberi, qui intorno.

Hinata ha trovato una palla dieci minuti dopo essere sceso dal pullman, e ha iniziato a giocarci dieci minuti e un secondo dopo essere sceso dal pullman. Il sistema delle coppie funziona ancora adesso, Akiteru-niisan e Saeko-san hanno promesso che avrebbero fatto di tutto per non essere degli adulti noiosi e Tanaka-san si è praticamente buttato tra Tsukki e Tadashi, dicendo che avrebbe dormito proprio vicino a Yamaguchi, ah! Vi tengo d’occhio. E Tadashi aveva riso, portandosi una mano sulle labbra e aveva pensato ah, così è bello. È una cosa che conosce. Gli piace. E stava per dirlo a Tsukki, ma Yachi si è affacciata dal corridoio e gli ha chiesto se voleva fare un’esplorazione dei giardini, come se fossero dei bambini. E Tadashi -le esplorazioni dei posti nuovi sono cose importanti.

È stata un’idea di Yachi quindi, uscire all’aperto, andare in giardino.

Ed è stata un’idea di Yachi anche questa. Quindi stanno tutti e tre seduti, ginocchia a terra, mani sulle cosce e sguardo concentrato. Delle bottigliette d’acqua accanto a loro. “Non sono sicuro di questa cosa” borbotta Tadashi, sospirando. Anche perché non fa poi così caldo. L’aria è troppo fresca, sono anche saliti in montagna. E lui già sente freddo. Non può protestare dicendo cose del genere, però, perché lo prenderebbero in giro, tutti e due, e Tadashi vuole mantenere l’alleanza con Yachi per poter prendere in giro Hinata. Il freddo e un possibile raffreddore scendono in secondo piano quando si tratta di poter prendere in giro un amico.

“Hai solo paura di perdere” lo prende in giro Hinata, ma sembra essere anche lui abbastanza nervoso. Giocherella con le dita. Tamburella contro la coscia. Deve essere una delle cose che gli sono rimaste dal passare così tanto tempo con Kageyama. Tadashi sospira. È anche vero che è difficile tenere Hinata sempre nella stessa posizione. Forse potrebbe usare questa come scusa, ma...

“Runa-san dice che i ragazzi della Johzenji lo fanno per allenamento quasi ogni giorno” cerca di incoraggiarli Yachi, prendendo il cellulare dalla tasca. Poi prende un respiro profondo e chiude una mano in un pugno. Già il fatto che lo facciano quelli della Johzenji per allenarsi è, però, uno dei motivi per cui Tadashi preferirebbe non farlo. Ugh. “Aiuta alla concentrazione e sono sicura che vi farà più che bene. Basta che vi sediate uno davanti all’altro e cercate di rimanere il più seri possibile, se vi concentrate, non succederà nulla di troppo disgustoso, giusto?”

“Tu vuoi solo vederci sputare uno sull’altro” ribatte debolmente Tadashi, sospirando e lanciando uno sguardo alle nuvole che stanno iniziando a farsi pesanti in cielo. Pioverà. Ci vorrà poco. Pioverà e dovranno rimanere tutti dentro casa.

“Non lo puoi provare!” grida lei, nervosamente, accompagnata da movimenti spezzati delle mani. Tadashi torna a guardare lei, prima di scuotere la testa e sbuffare. Non che comunque adesso abbia qualcosa di meglio da fare. “Bevete, bevete, io intanto cerco freddure su internet... voi bevete bevete. E poi non ingoiate. Cioè, uhm, mettetevi l’acqua in bocca.”

“Boss” commenta Hinata, condividendo uno sguardo divertito con Tadashi. Ed entrambi si girano per affrontarsi, uno davanti all’altro, e aprono ognuno la propria bottiglietta d’acqua quasi nello stesso momento. L’acqua è fredda. Tadashi vuole davvero trovare la forza per concentrarsi e non ascoltare nulla di quello che Yachi dirà e magari non sputare l’acqua in faccia a Hinata. Perché sarebbe tutto davvero troppo disgustoso da sopportare. Ma.

Si porta la bottiglietta alla bocca, beve quel poco d’acqua che basta per avere il controllo ed essere sicuro di non sputare. E quindi Hinata punta il dito contro di lui, e, con la bocca piena d’acqua, fa dei versi che dovrebbero essere un’accusa e attira l’attenzione di Yachi. “Spione” borbotta Tadashi, senza muovere nemmeno tanto la lingua per non buttare giù l’acqua e poi sospira.

“Non barare” lo riprende Yachi, prima di tornare al cellulare, per cercare freddure. E basta questo perché Tadashi tiri giù le spalle e ruoti gli occhi e si riporti la bottiglietta d’acqua alle labbra, per riempirsi la bocca.

Lui e Hinata si guardano negli occhi. L’unico rumore che c’è è quello del vento leggero che inizia ad alzarsi. Pioverà sicuramente e sta facendo freddo e loro hanno deciso di giocare con l’acqua. Ma davvero. Ma quanti anni hanno? Ugh. E perché Tadashi non riesce a dire no quando gli dicono di fare stupidaggini? (Perché sono divertenti, ovviamente.) Hinata ha la faccia da criceto stupido, mentre cerca di non ingoiare l’acqua. Tadashi dovrebbe riuscire a fargli una foto se...

“Okay, okay, ne ho una!” esclama finalmente Yachi. “Qual è lo sport preferito dell’ape?”

Tadashi ruota gli occhi. No. Non c’è proprio possibilità che qualcuno possa ridere per questo tipo di barzellette. Questo gioco sarà più difficile del previsto, non tanto perché sarà difficile mantenere la concentrazione, ma perché Yachi non sembra avere un buon senso dell’umorismo. Ugh. Ancora. Solo ugh. Hinata muove lo sguardo verso di lei e inclina la testa, prima che Yachi gli faccia segno di tornare a guardare Tadashi.

“Il pungilato.”

Non fa ridere. Tadashi vorrebbe tanto dirlo. Ma il mento di Hinata inizia a tremare. No. Hinata si porta le mani davanti alle labbra. Oh no. Fa anche delle facce strane. Ti prego no. Hinata scoppia a ridere. Si bagna di acqua e bava ed è così disgustoso, mentre tira indietro la testa e inizia a ridere, e ridere e ridere, quasi buttandosi per terra. E la barzelletta non faceva ridere, ma anche Yachi ride e -Hinata che fa boccacce e poi si sputa addosso, unito con le risate dei suoi amici, fanno scoppiare a ridere anche Tadashi, che si ritrova la sua bava sui pantaloni, mentre continua a ridere. Va sempre a finire così con loro.

Hinata non sembra riuscire nemmeno più a respirare. Si porta una mano sulla pancia e cerca di prendere il respiro, solo che ogni volta che sembra calmarsi, torna a ridere più forte e questo fa ridere ancora più forte Tadashi, che si raggomitola su se stesso e si dice pensa a cose tristi pensa a cose tristi pensa a... solo che poi gli viene in mente la faccia da criceto di Hinata che sputa l’acqua e torna a ridere.

“Non ci posso credere che i giocatori della Johzenji sono più seri di voi” dice tra le risate Yachi. Si sta passando una mano sul viso, come se dal tanto ridere avesse iniziato a piangere. “Secondo round. Dai, su, secondo round!” Facile a dirsi.

Tadashi prende un respiro profondo. Pensa a cose tristi pensa a cose tristi pensa a... i compiti in classe. Quelli di inglese. Ecco. Fantastico. ogni traccia di buon umore può scomparire, pensando ai compiti di inglese. Sono un incubo. L’ultima volta che ha fatto un compito di inglese Tadashi avrebbe voluto piangere. La vita non dovrebbe essere tutta in inglese. E invece. Ah. Davvero. Non gli viene più voglia di ridere. Tranne per il fatto che Tadashi guarda la faccia di Hinata, che si è già riempito la bocca di acqua e gli trema il mento, mentre sbuffa una risata.

Hinata aggrotta le sopracciglia, offeso. Yachi ride piano.

Okay. Okay. È calmo. Si mette dell’acqua in bocca. Stringe i pugni sopra le cosce, ancora una volta. Spera che la reazione di Hinata non sia così estrema questa volta. E che Yachi non rida.

“Okay” sbuffa Yachi. Sta ancora ridendo un pochino, lei che può, continua ad asciugarsi le lacrime dagli occhi. “Okay, okay.” Tira su col naso. Tadashi dovrebbe chiudere gli occhi per non scoppiare a ridere già da adesso. Cioè, sente proprio di volersi rimettere a ridere e non c’è nessun motivo per farlo. Okay. Okay. Non può perdere così facilmente. “Ne ho una. Ehm... sì...” Sta ridacchiando. No, dai, lo deve star facendo apposta, perché non può esserci un altro motivo. “Ehm, allora, sì. Allora. Un uomo sta finendo di usare il computer e preme il tasto spegnimento, allora...” Ride piano. Poi si schiarisce la gola. “Allora, il tasto spegnimento. Subito dopo arrivano i poliziotti e l’uomo cosa succede? C’è qualcosa che non va? E i poliziotti: non aveva chiesto lei un arresto di sistema?” Scoppia a ridere, tenendosi la pancia.

Tadashi chiude gli occhi. Sente proprio i muscoli intorno alla bocca fare quello che vogliono e poi si sente sputare in avanti, mentre scoppia a ridere. E questa volta la bava e l’acqua finiscono sopra Hinata, che prende a ridere di nuovo ad alta voce, tutto bagnato e sporco di terra. E comunque lui continua a rotolarsi a terra, con le gambe in aria e gli occhi chiusi.

Diventa quasi difficile respirare, di nuovo, e Tadashi ogni tanto deve aprire la bocca cercare di riprendere fiato, per poi continuare a ridere come un idiota. Che forse è, certo, magari lo è. Ma è -piacevole. Quindi. Non cerca nemmeno di pensare a cose tristi questa volta. Loro continuano semplicemente a ridere, finché Tadashi non si passa una mano in faccia, perché anche lui ha iniziato a lacrimare dal tanto ridere e non vede passare Tsukki, con un pentolone tra le mani, insieme a Kageyama.

Si guardano per una frazione di secondo. C’è questo momento in cui sembra che debbano dirsi qualcosa. Ma poi Tsukki distoglie lo sguardo ed entra in casa, seguito da Kageyama e Tadashi si inumidisce le labbra, si gira verso Hinata, che sembra essere nella sua stessa posizione e situazione, ed entrambi, nello stesso momento gridano: “Terzo round!” come se volessero nascondere, o dimenticare, qualcosa.





.Luna crescente


“Cos’avete lì?” chiede Ennoshita-san, quando Kei e Kageyama entrano in cucina, con un’enorme pentola. Kei sbuffa, potrebe anche lanciare uno sguardo e guardare lui stesso. Tutto questo è così noioso. Akiteru non sta cucinando. Akiteru non ha un turno in cucina ed eppure anche lui sta qui a mangiare come un parassita. Kei non è nemmeno dell’umore giusto per avere a che fare con la squadra ventiquattro ore su ventiquattro. Avrebbe preferito rimanersene a casa. “Zucchine?”

“Patate” risponde velocemente Kageyama, iniziando a trascinare la pentola e Kei verso il cortile che dà sulla cucina. “Le dobbiamo pelare?” Si guarda intorno, poi sbadiglia. “Per forza?”

Ennoshita-san sbuffa una risata e scrolla le spalle. “Se è quello che vi ha detto Noya, direi proprio di sì.” Poi si guarda intorno e alza una spalla, prendendo un coltellino e un pelapatate, per poi darli a Kei, che ruota gli occhi e si dice che tutto andrebbe meglio se solo non dovesse aiutare a cucinare. I turni sono sicuramente impari, e questo lo ha già detto, e poi Yamaguchi sta là fuori a giocare con l’acqua, con questo tempo, e sicuramente si ammalerà. Prenderà il raffreddore oppure la stupidità da Hinata. “Mettetevi là” indica Ennoshita-san con un gesto della mano. “Io vado a cercarlo, a proposito, così poi iniziamo a fare il riso.” Si asciuga le mani e poi lancia loro uno sguardo severo, con le sopracciglia aggrottate. “Non fate cose strane mentre sono fuori” li avverte.

E Kei pensa cosa strane. Che cose strane potrebbero fare ora come ora? Sbuffa, trascinando fuori dalla cucina, verso il giardinetto, la pentola piena di patate, aiutato da Kageyama, che segue con lo sguardo Ennoshita-san, fino a che non scompare dietro la porta. Poi lasciano cadere la pentola sul pavimento e si siedono uno da una parte delle patate e uno dall’altra. Separati dal pentolone. Kei si rigira tra le mani il pelapatate e il coltellino, prima di decidere che solo perché Kageyama sicuramente non sa che cosa fare con un coltellino in mano, non si deve per forza complicare lui stesso la vita. E gli passa il coltellino, prima di fare cenno di prendere una patata.

Pelare le patate con i pelapatate è facile. Kei sta anche attento a non andare a finire nel suo palmo della mano, per non grattarsi via la pelle. È facile. Sembra quasi un modo per vincere facile. E quindi lancia un’occhiata a Kageyama che, con la testa quasi tra le ginocchia, sembra non riuscire a capire come usare quel singolo coltellino e, insieme con la buccia di patata sta buttando via quasi tutta la patata.

Kei ruota gli occhi e sospira, lanciando uno sguardo al pelapatate. Non vuole farlo. È l’ultima cosa che vuole fare, in realtà, ma allunga il braccio, per fare scambio con Kageyama. Un pelapatate per un coltellino. Kageyama, come l’idiota che è, rimane a guardare la mano di Kei e inclina la testa, come se gli volesse fare la domanda più stupida del mondo. “Prendilo” sbuffa Kei. “Dammi il coltellino.”

Kageyama sbatte lentamente le palpebre, prima di passargli il coltellino e prendere il pelapatate. Kei sbuffa ancora una volta e riprende a pelare patate. Che importa. Non è che lui non ci riesca. È solo un pochino più complicato, certo, ma -che importa? Non importa. A chi importa? Non a lui. Stupido Kageyama. Kei deve stare più attento, adesso, non solo al palmo, ma anche alle dita. Ma non importa, ha detto che non gli importa. Che cavolo. No. Non gli importa. “Che c’è?” chiede bruscamente quando si rende conto che Kageyama non sta pelando patate. No, perché questo sarebbe il colmo. Non sa nemmeno pelarle con un pelapatate? Ah no. No no. Kei non ha la testa anche per questo. Si sta alzando il vento. Il cielo si fa leggermente più scuro.

“No, niente” mormora Kageyama, iniziando a pelare la patata che ha in mano. Non sta attento al palmo della mano. Peggio per lui. Continua a lanciare strani sguardi a Kei.

“Che c’è?” ripete Kei, girandosi verso di lui. Magari vuole litigare. Può essere questo. Sarebbe una cosa buona, perché anche a Kei va di litigare e il loro rapporto si basa principalmente sui loro battibecchi. E Kei, in un modo o nell’altro si deve sfogare. “Se hai qualcosa da dire, dillo e basta.”

Kageyama muove nervosamente il piede. Continua a farlo ballonzolare, probabilmente preferirebbe stare là fuori a fare qualsiasi cosa faccia quando non sta giocando a pallavolo. Kei anche preferirebbe mettersi le cuffie alle orecchie e starsene da solo. Sperava che la storia di sua mamma che non voleva (una balla colossale) gli avrebbe dato una scusa per starsene a casa. Ma Akiteru deve sempre mettersi in mezzo. Mai una volta che si faccia i fatti suoi. Mai. Nemmeno una volta nella sua vita. E nella situazione che si trova adesso con Yamaguchi -avrebbe davvero preferito starsene a casa. Quindi pelare le patate? Non è un male. Anche se è ingiusto.

“Mi stavo chiedendo...” Kageyama fa una smorfia, cerca di concentrarsi sulla patata, prima di sospirare e passarsi una mano sulla fronte. “È che non so se noi due siamo amici” gli dice alla fine, mordendosi le labbra e guardando verso il basso. Sembra volersi sotterrare se non farsi mai più rivedere.

“Non lo siamo” risponde di riflesso Kei. Poi sbatte velocemente le palpebre, rendendosi conto di aver risposto nello stesso modo in cui ha fatto migliaia di volte con Yamaguchi. Bah. Non che importi. Torna a pelare le patate.

“No, sì” continua Kageyama, rigirando la patata in mano. “Volevo solo essere sicuro perché -a volte è difficile capire le persone. Non che comunque io abbia mai pensato a te, un maleducato rompiballe, un amico.”

“Beh, lo stesso vale per me” risponde per ripicca Kei. Giocherella col coltello, poi. Lo rigira tra le dita. “Perché me lo hai chiesto?” È una domanda lecita.

“A volte non capisco le persone” risponde lui, semplicemente, scrollando le spalle.

“Però hai capito che mi piaceva Yamaguchi.”

“Non l’ho capito. Me lo ha detto Yachi.”

Ah, ecco. Kei cerca di tornare a pensare alle patate e alle bucce e alla possibilità di pioggia e al fatto che sta iniziando a fare davvero freddo. Certo, comunque, Kageyama non è che non capisce le persone, è che non gli importa di capire le persone. Kei è sicuro di questa cosa. Almeno, lo era prima di questa storia. Questo tipo sta sempre a guardare le persone dall’alto in basso, questo tipo sta sempre a pensare al suo solo punto di vista, questo tipo non ha niente in testa che non sia la pallavolo. Però. È vero che la pallavolo è facile da capire. Quando cade la palla dalla tua parte del campo hai perso, Quando cade dall’altra parte del campo, hai vinto. E Kageyama non sembra capire pienamente nemmeno Hinata, che forse è la cosa più semplice da capire, e per la quale lui, Kageyama, ha più interesse a capire. Kei si rigira la patata tra le mani. Magari davvero non capisce le persone. Magari davvero per lui le cose devono essere esplicite, altrimenti non le capisce. Magari...

Kageyama sembra lavorare bene con il pelapatate. E Kei si passa una mano sul viso. “Hai bisogno di un amico?” gli chiede. E questa deve essere la conversazione più imbarazzante che lui abbia mai fatto. Ma sembra che debba essere fatta.

Kageyama non risponde. Continua a pelare le patate. Guarda verso il basso.

Kei si passa una mano dietro il collo. Sospira. Fa qualche smorfia. Perché sempre lui? Perché non qualcun altro? Perché? “Ci stavo pensando, infatti” inizia, lanciando uno sguardo verso l’alto. “Che ci stai mettendo troppo a pensare alla faccenda del tenersi per mano e forse non avrei dovuto dirti niente, quella volta. Non pensavo che ci sarebbero state queste conseguenze, te lo dico sul serio. Forse, tornando indietro, ti prenderei in giro per altre cose. Forse no. Però ormai le cose sono fatte e non so se ti devo chiedere scusa o no. Ma so che ti stai comportando da stupido.”

Kageyama lo fulmina con lo sguardo, tenendo le sopracciglia aggrottate. Sto cercando di aiutarti, idiota, vorrebbe dirgli Kei, ma si limita ad alzare le mani in aria, col coltellino tra le dita. Alza un lato delle labbra. È quasi frustrante, molto faticoso, parlare con Kageyama, deve usare più parole di quelle a cui è normalmente abituato, ma comunque sembra una cosa che deve fare per forza.

“Io penso che tu hai già la soluzione a questo dilemma, ma se c’è bisogno che te lo dica io, allora te lo dico. Hinata per te non è un amico. Non lasci che chiunque ti prenda per mano. O, non lo so, altre persone sì, lo farebbero, ma tu no, se io ti prendessi per mano, o se lo facesse Yamaguchi, o Yachi, o Tanaka-san, per te sarebbe completamente diverso. E penso che tu lo sappia ma che stia facendo un po’ finta di niente, perché c’è questa parte di te che vorrebbe rimanere nella situazione in cui vi trovavate prima. Perché hai paura di perderlo come amico, ma, sorpresa!, se continui a comportarti così, se lui non se la sente più nemmeno di chiederti di alzargli la palla, o se preferisce rimanere più tempo al negozio, o se fa finta, perché fa finta, Kageyama, di aver dimenticato le cose in palestra per non fare la strada con te quando torna a casa, allora come amico lo hai già perso, non pensi? E, la cosa peggiore, tu sai il perché, ma lui non saprà mai il perché. Quindi ti stai comportando da stupido. E da cattivo amico.” Questo doveva dirglielo qualche settimana fa, ma non aveva alcun motivo per farlo. Adesso non ha nessun motivo per non dirglielo. E poi gli fa quasi pena. “So che per te è difficile, ma: smettila di comportarti da stupido.”

Kageyama si morde l’interno delle guance e continua a pelare le patate. “Il coraggio non ripaga sempre” borbotta.

Cazzo se è vero. Kei sbuffa. Il problema qua è che Kageyama e Hinata sono diversi da lui e Yamaguchi. “E allora divertiti a morire da solo” ribatte.

Rimangono per qualche secondo in silenzio. Nessuno dei due pela le patate. Un vero peccato, perché forse così avrebbero fatto anche prima. Se riuscissero a finire prima dell’arrivo di Nishinoya-senpai, forse non dovranno nemmeno aiutare a cucinare. Non per davvero. “Tu lo hai detto a Yamaguchi” dice Kageyama, continuando a mordersi l’interno delle guance.

“Uhm.”

“Com’è andata?”

Kei sospira, inclinando la testa. “Non lo so” risponde sinceramente.

Kageyama annuisce piano. Poi sbuffa. “Sfigato.”

“Ci sarai tu” risponde in automatico Kei. Ci pensa un po’. Arriccia le labbra e poi chiama: “Ehi, Kageyama.” Si gratta la fronte. “Comunque un po’ amici lo siamo.”

Kageyama sbatte lentamente le palpebre, poi annuisce piano. “Ah, okay” risponde, come se se lo fosse appena appuntato. È davvero senza speranze. Non che comunque Kei abbia tanta scelta, per quel che riguarda gli amici.






.M4 nello Scorpione

“Smettila” lagna Tadashi, allungando le braccia per fermare Hinata che si dondola in avanti e indietro, in avanti e indietro, con le braccia accanto alle orecchie e la faccia che gli sta diventando sempre più rossa. “Dai, no, cadi. Poi se cadi è peggio. Dai, smettila! Se poi ti facessi male non potresti nemmeno giocare! La smetti? Oi! Dai! Hinata, la smetti?” Non può certamente muoversi dal ramo su cui si trova. E certamente non può nemmeno scendere. È rimasto lì, seduto, dopo aver seguito Hinata su per l’albero e poi, quando si è reso conto di quello che stava facendo si è bloccato. E invece Hinata ha continuato a salire, mentre Yachi è andata a cercare qualcuno che possa aiutare Tadashi. Perché lui è patetico così. E il cielo è diventato ancora più scuro. Sempre più scuro. Pioverà presto, mentre Hinata continua ad andare su e giù per l’albero. “Ti farai davvero molto male” gli ripete Tadashi, quando Hinata si aggrappa a un ramo con le gambe, per poterlo guardare a testa in giù. E lui continua a sorridere, ma forse non c’è molto da sorridere. Tadashi stringe le ginocchia intorno al ramo su cui è seduto e ferma con le mani il busto di Hinata, che dondola di qua e di là.

Hinata sorride. Non sembra spaventato, non lo è mai. E a un certo punto il suo sorriso scompare, mentre guarda da un’altra parte e lo vede sospirare, mentre si libera dalla presa di Tadashi e scende di un ramo, per potersi sedere proprio davanti a lui. Le gambe a cavalcioni, le mani sul ramo, il sorriso scomparso.

“Lo dico per te, ché poi ti fai male” gli ripete Tadashi, passandosi una mano sulla fronte. Non è sicuro che il cambio di umore sia dovuto a questo, ovviamente, non è così stupido e conosce abbastanza bene Hinata da sapere che c’è qualcosa che non va. Ma non sa da dove iniziare con cose del genere. Con Tsukki, non parlano mai delle cose che non vanno. O forse lo fanno, solo che tutto esce fuori così spontaneamente da non fargli rendere conto di starsi aprendo. Fare nuove amicizie è più difficile di quello che tutti pensano. “Almeno così puoi continuare a giocare a pallavolo, no?”

Hinata inclina la testa e annuisce piano, prima di chiedere: “Sei mai stato rifiutato?” Si gratta la nuca, prima di sorridere con la bocca aperta. “È che penso di essere stato rifiutato, ma non ne sono poi così sicuro, quindi mi chiedevo se è così che ci si sente.”

Tadashi sbatte lentamente le palpebre. Ci mette qualche secondo prima di carburare e riuscire a capire, ma ci riesce. All’inizio pensa alla pallavolo. Per Hinata, la cosa più importante è la pallavolo. Quando è entrato al liceo ha pensato che avrebbe avuto una squadra, non ha mai neanche pensato a un possibile rifiuto. Quando ha trovato Kageyama, ha pensato di aver trovato un partner. Non ha mai pensato a un possibile rifiuto. E poi c’è stato un rifiuto. E poi ce n’è stato un altro. Ma Tadashi non è sicuro che parli proprio di questo e in questo tipo di contesto. Quindi deve chiedere: “Kageyama?” E si sente stupido, un pochino insensibile, a fare una domanda del genere. Ma è anche vero che vuole essere sicuro, prima di iniziare questo tipo di conversazioni.

Hinata annuisce, prima di tirare su un piede e Tadashi già lo vede per terra, dopo aver sbattuto la testa e sarà tutta colpa sua se... “Ho fatto una cosa che non dovevo fare. E mi dispiace tantissimo, vorrei chiedergli scusa, perché lo sapevo che non avrei dovuto farlo, ma l’ho fatto lo stesso. E non era proprio una cosa che volevo fare -cioè, in realtà, sì, lo volevo fare, ma sapevo anche che lui mi aveva detto di non farla” inizia a blaterare, posando il mento sul ginocchio, per poi far scivolare la testa in modo tale da poter posare la fronte su questo. “E vorrei chiedergli scusa, ma non so come fare perché lui...”

“Ti ha chiesto spazio” completa Tadashi, con le sopracciglia aggrottate. Poi si morde l’interno delle guance. “Ma è stato prima o dopo che ti ha chiesto spazio?” Deve capire anche quanto Hinata ha capito della situazione. Se siamo al punto in cui tutt’e due stanno impazzendo perché si sono tenuti la mano a Tokyo, forse si è a buon punto. Se invece la preoccupazione di Hinata viene dopo, allora sono in un punto completamente diverso, forse lontano anni luce dal punto di arrivo e a questo gioco ci dovranno continuare a giocare per davvero troppo tempo. E Tadashi dubita che lui e Tsukki possano dare loro questo tempo. Osserva Hinata dondolare un piede.

“Dopo” risponde Hinata. E Tadashi deve trattenersi da sospirare. “Dopo che lui mi ha chiesto spazio. Il problema è che -sai quando ti mancano le persone? Sai quando... e io ho pensato almeno una parte, prova a salvare almeno una parte. Cerca di capire quello che sta succedendo. E lo so che Kageyama mi aveva detto di dargli spazio, perché è giusto, Suga-san dice che è giusto, perché questo sarebbe il suo essere... la sua crescita e io credo in questa cosa. È giusto che Kageyama cresca, non c’è nessuno che lo capisce più di me ma io ho pensato...”

“È il motivo per cui non lo prendi per mano.”

Hinata alza una spalla. “Ho scoperto che le persone non lo fanno così spesso con gli amici” risponde con una smorfia.

“Ma il punto è che a te manca prendere per la mano Kageyama” cerca di incalzare Tadashi. Almeno questa conversazione lo distrae da fatto di essersi bloccato su un ramo di un albero. Vai così Hinata. Continua a parlare. Sembra anche che si stia andando per la giusta direzione. Sembra anche che tra poco non ci sarà più motivo per fingere di stare insieme con Tsukki.

Tadashi aggrotta le sopracciglia. Continua a mordersi l’interno delle guance. Uhm. Una cosa alla volta. Vuole pensare a una sola cosa alla volta.

“Non è solo questo” risponde Hinata. “Non penso che sia solo quello. È che -lo so che è normale che Kageyama abbia più amicizie, ma non lo vedo sforzarsi di fare altre amicizie. E lo so che è normale che debba imparare a capire il corso delle conversazioni da solo, ma non parla con altre persone al di fuori del club di pallavolo, perché passa gli intervalli a dormire!”

“Lo vai a controllare?”

“No!” esclama offeso Hinata. Poi tira indietro la testa. “No” ripete più a bassa voce, prendendo un respiro profondo. “Lo so perché Yachi lo va a trovare durante gli intervalli. Lo fa perché bevono entrambi il latte, quindi se lo comprano a giorni alterni e poi lo condividono e... il punto è che a me sembra di star impazzendo. Perché non posso stare con lui mentre lui cresce? Perché dovrebbe crescere da solo? Perché non lo posso aiutare? Perché non ho capito molto bene dove sta la linea confine di questo spazio che devo rispettare e ci sono cose che -non lo so. Non sapevo se potevo aspettarlo dopo gli allenamenti, quindi ho smesso di aspettarlo. Non sapevo se potevo chiedergli di alzarmi la palla, quindi ho smesso di chiedergli di allenarsi con me. Non sapevo se potevo chiedergli -quasi tutto, e allora prima di rendermene anche solo conto è passato davvero tanto tempo e mi sembra che tra noi si stia creando una specie di...” Fa un cenno con la mano, come se volesse tagliare qualcosa. Poi abbassa le spalle e sospira. “Allora mi sono detto che dovevo salvare il salvabile. Kageyama è il mio partner, giusto? Ed è anche mio amico. E allora la settimana scorsa sono rimasto dopo gli allenamenti e gli ho chiesto di rimanere con me. Non -non era proprio quello che volevo dire. Non volevo nemmeno fermarmi ad aspettarlo era solo che... e quindi sono rimasto perché non lo so, e gli ho detto rimani e lui ha...” Hinata aggrotta le sopracciglia e si gratta la fronte. “Non volevo farlo.”

Tadashi sbatte lentamente le palpebre di nuovo. Sembra qualcosa di familiare. Suona come una situazione familiare. La conosce. Riesce a sentire il rimani, anche se non con la voce di Hinata. Distoglie lo sguardo. Si accarezza il collo. Riesce a sentire il rimani, detto a lui, non con la voce di Hinata. “Devi averlo spaventato.” Deglutisce. Non deve proiettare. Dovrebbe concentrarsi su Hinata, adesso.

“Lui non ha risposto. È solo andato via.” Hinata si gratta il polso. Si inumidisce le labbra. “Non lo so, sento di essere stato respinto. Non so nemmeno in che senso. So solo di esserlo stato e che devo aver rotto una specie di promessa. Perché gli avevo detto che gli avrei dato tempo, no?, ma invece non l’ho fatto.” Abbassa la testa. “Non sono stato un buon amico.”

Non che Kageyama sia migliore, visto che tutta questa storia si sarebbe potuta evitare se lui fosse stato più sincero, più veloce e meno egocentrico. Anche la situazione che si è creata con Tsukki si sarebbe potuta evitare.

“Non penso che mi perdonerà mai.”

Tadashi sospira, tirando indietro le spalle. Che fare? Che fare. Può dare un buon consiglio, proprio perché si trovano in due situazioni diverse. Può essere l’altra campana che suona. Quindi deve pensarci bene. Lui sa sicuramente di più di quello che sa Hinata. Forse più di quanto sappia Kageyama. E forse può schiarirsi un po’ le idee anche lui. “Tu non hai paura?” gli chiede, inclinando la testa. “Non dico di cadere dall’albero, non è quello che voglio dire, mi stavo chiedendo se tu non hai paura in generale.” Tamburella col dito, Sospira. “Non ci sono delle cose che tu pensi che sarebbero un po’ troppo da grandi, o un po’ troppo da altre persone...? Perché, voglio dire, penso che tu mi abbia appena detto che Kageyama ti piace. Non sono molto sicuro, ma mi sembra così, e -ti piace Kageyama?”

Hinata scrolla le spalle. “Beh, sì” risponde come se fosse una cosa ovvia. “È il mio partner.

“Ti piace nel senso che gli vuoi tenere la mano.”

“Sì.”

“Che lo vuoi abbracciare.”

“Okay.”

Tadashi prende un respiro profondo e chiude gli occhi. “Baciare?” chiede con una punta di esitazione.

Hinata sospira pesantemente. “Sì.” Si spinge un po’ in avanti e ripete: “Sì, Yamaguchi, mi piace Kageyama.”

Bella storia. “E da quanto lo sai?” chiede ancora Tadashi. Aveva un punto, una volta, ma è stato completamente risucchiato dalla conversazione. Anche perché -queste sono cose che... Tadashi li odia tutti.

“Non lo so” risponde Hinata. “Ma quando tu hai chiesto se mi piace Kageyama mi è sembrato giusto. Cioè. Ha solo senso come cosa. E già ci tenevamo per mano.”

E lo ha accettato così? Niente drammi? Niente dubbi? Lo odia davvero tanto. “Okay, sì.” Tadashi scuote la testa. Aveva un punto, basta ritrovarlo. “A te piace Kageyama. Ora che lo hai realizzato, non ti fa paura il passo successivo?”

“Il passo successivo?”

“Eh, il passo successivo. Dirlo a Kageyama. Avere la possibilità che ti dica sì -o anche che ti dica no. Ma se ti dicesse sì, cosa viene dopo? Cosa dovresti fare una volta che state insieme? C’è una specie di guida? No. Non ti viene ansia a pensare a te stesso come parte di una coppia, come parte di qualcosa che prima non esisteva? Non ti viene -ansia? Non hai come un sentimento negativo... una specie di paura... una specie di...”

“No, non particolarmente” risponde di nuovo Hinata, scuotendo la testa. “Certo, non glielo posso dire, però. Non adesso. Sarei un pessimo amico se gli dicessi una cosa del genere, soprattutto dopo la settimana scorsa. Ma penso che se avessi l’opportunità, se avessi anche il diritto di dirglielo, lo farei. Glielo direi. Davvero perché...”

Perché sei un idiota. “Io non me la sento, invece” dice a bassa voce.

Hinata aggrotta le sopracciglia e si lascia scivolare a testa in giù sul ramo. “Cosa dici, Yamaguchi?” gli chiede, scuotendo la testa. “Tu con Tsukishima ci stai già.”

Tadashi si morde la lingua e non risponde più. Dovrebbe trovare un modo di scendere dall’albero. Oppure dovrebbe trovare il coraggio di dire a un amico le cose così come stanno. Non ci aveva pensato prima ma, quando tutto questo finirà, quest’enorme bugia che stanno dicendo a Hinata, perché è a lui che stanno cercando di imbambolare, con che faccia potrà ancora dirsi suo amico? Con che coraggio si potrebbe presentare davanti a lui e dire che sì, che è stato un amico leale? Non ci aveva pensato prima. Era una situazione divertente, nessuno si sarebbe fatto davvero male. Tranne per il fatto che sì, Hinata sta facendosi male e forse lo sta facendo anche Kageyama. E lui, Tadashi stesso, ha fatto male a Tsukki. Forse è solo il momento di iniziare a dire un po’ più di verità e un po’ meno bugie. Forse dovrebbe iniziare a pensare anche agli altri, da ora in poi. “Hinata.” Forse. “Se ti dicessi che io...” inizia.

“Tadashi!” grida Saeko-san, comparendo sotto l’albero, con un’enorme scala tra le braccia. “Mi hanno detto che sei un gatto che non riesce a scendere dall’albero. Non ti preoccupare, piccolo, la sorellona è qui!”

Hinata atterra senza nessun problema accanto a Yachi, che guarda insistentemente verso l’alto. Il momento è finito. Tadashi non sembra essere destinato a poter essere un amico vero e leale.




.Primo quarto

Adesso, per qualche motivo, Yamaguchi sembra essere arrabbiato con lui. Non bastava essere stato respinto. Non bastava dover fingere davanti a tutti di stare comunque insieme, ma adesso Yamaguchi sembra essere anche arrabbiato con lui e Kei ha molta poca pazienza e lo stanno veramente testando, in questo momento. Rimane seduto a tavola, con le gambe sotto il sedere, e mangia un po’ di riso, prima di rendersi conto di star mangiando con Kageyama, praticamente, e che ogni morso che quel ragazzo dà gli fa venire voglia di sbatterlo per terra e ripetergli tutte le regole del galateo. E Yamaguchi è seduto davanti a lui, mangia in silenzio, ogni volta che Kei cerca di guardarlo, distoglie lo sguardo, come se Kei avesse ucciso una persona. Cioè, sì, okay, un pensierino lo ha fatto, ma non ha mai ucciso nessuno, per la cronaca, Kei ci tiene a precisarlo anche a se stesso. E non è la prima volta.

Yamaguchi lo sta facendo da quando Kei ha fatto il suo stupidissimo passo falso. Perché lui lo sapeva, lo sapeva, che non doveva dire niente, lo sapeva che doveva continuare a calcolare, che doveva continuare ad accontentarsi, che non doveva dire niente, perché sarebbe andata bene, finché lui non avesse preteso niente, finché lui non avesse chiesto niente in cambio, sarebbe andato tutto bene. Yamaguchi sarebbe stato al suo fianco e sarebbe stato il suo migliore amico e tutto starebbe andato bene. Invece no. Kei ha perso il controllo per un secondo e guarda che cos’è successo.

Kei ha perso il secondo per un secondo e ha perso Yamaguchi.

E non è una cosa da lui, okay, ma Kei detesta trovarsi in questa situazione. Ma non è abituato. Non riesce a pensare neanche a una giornata senza poterci parlare e -non è da lui, ma comunque chiede, allungandosi verso Yamaguchi: “C’è qualcosa che non va?” E prega, prega ogni dio in cielo, se esistono, se veramente possono farci qualcosa, di avere una vera risposta da parte di Yamaguchi, di avere finalmente una conversazione degna di questo nome. Perché ne ha fisicamente bisogno.

Yamaguchi si porta una mano sulle labbra, inizia a pizzicare le pellicine, si guarda intorno, prima di iniziare a giocherella con le bacchette. “Sì” risponde, guardando verso il basso. Quindi, okay, sì, c’è un problema. La cosa peggiore è che Hinata, seduto accanto a Yamaguchi, che si ingozza col riso, quasi si strozza, gira la testa verso di loro e inizia a osservarli, senza nemmeno nascondersi. E Yamaguchi non ha aggiunto niente. È solo stato in silenzio, continuando a mangiare.

Visto? Non esistono dei.

“Ho fatto qualcosa?” La voce di Kei viene coperta da quella di tutti gli altri suoi compagni di squadra, non si sta veramente preoccupando di tenere nessun segreto adesso. Semplicemente, gli dà fastidio che Yamaguchi non si sia seduto accanto a lui, gli dà fastidio che non gli parli come prima, gli dà fastidio che lo stia evitando.

Yamaguchi si guarda intorno, prima di scuotere la testa e cercare di tornare a mangiare. Non sembra essere nervoso, non sembra essere nemmeno irritato, semplicemente, sembra continuare a guardare da un’altra parte e questa cosa, questa singola cosa, fa salire il sangue al cervello di Kei. Non riesce a pensare logicamente, freddamente, come ha sempre fatto. Solo perché Yamaguchi continua a non guardarlo.

“Allora perché mi stai guardando come se ti avessi ucciso il cane?”

Kageyama lo prende dalla manica della maglietta. Cerca di tirarlo giù e forse Kei ha urlato, perché un po’ di teste si sono girate verso di lui. È imbarazzante. Kei si accarezza la fronte e torna a sedersi, mentre Yamaguchi torna a mangiare in silenzio. Ora sembra nervoso. Ma non lo guarda. Continua a non guardarlo. Kei si morde l’interno delle guance. Yamaguchi continua a non guardarlo. “Mio nonno ha un cane” inizia Kageyama, cercando di riportarlo al presente. “Spero che tu non lo abbia ucciso.”

“Sai che non l’ho fatto, Kageyama.”

“Lo spero. Ma le tue parole mi hanno un po’ scosso. Dovresti chiedere scusa.”

Kei alza un sopracciglio verso di lui. Poi sospira. Siamo al colmo. Kageyama che gli dice di scusarsi per qualcosa? Siamo davvero alla fine del mondo. Kageyama che prova a dire o a fare qualsiasi cosa per non avere un conflitto sul tavolo? Kageyama che prova a essere quello logico? Siamo a questo punto? “Non ho intenzione di uccidere il cane di tuo nonno, Kageyama” gli dice, passandosi una mano sul viso. “Era questo il punto.” Kageyama che prova a essere davvero suo amico è l’ultima cosa che aveva pensato che sarebbe successa. Ma anche Yamaguchi che non gli rivolge la parola per quasi ventiquattro ore complete era sulla lista delle cose impossibili, quindi, sì, dai perché no? Perché non cadono ciambelle dal cielo, a questo punto? Perché non trasferirsi in qualche altra realtà alternativa?

“Dovresti comunque chiedere scusa.” Kageyama alza le sopracciglia. Poi inclina la testa per indicare Yamaguchi, che continua a mangiare in silenzio.

Kei alza lo sguardo e poi sospira. Ha ragione. Dovrebbe. Ugh. Kageyama che ha ragione... tanto vale prepararsi per la fine del mondo e non pensarci più. “Mi dispiace” dice. Gli inizia a battere il cuore a un ritmo che non può e non deve essere naturale. È un cuore pesante quello nel petto di Kei. Riesce a sentire ogni battito, ogni movimento e il respiro, per qualche ragione gli diventa più pesante, meno naturale.

“Non c’è niente di cui scusarsi” ripete Yamaguchi, continuando a mangiare. Non lo degna di uno sguardo.

E questa cosa fa imbestialire Kei ancora di più. Chiude i pugni e cerca di prendere un respiro profondo, per rimanere lucido. Solo che non ce la fa. Quindi in questo stato d’animo a metà tra la rabbia e il panico, si deve alzare in piedi, sotto gli occhi di tutti i suoi compagni di squadra, delle manager e di suo fratello. Sente dire Kageyama qualcosa sul dover andare subito a cagare, ceh gli avrebbe fatto ruotare gli occhi per l’ennesima volta, se non fosse stato questo il momento. E poi esce dalla stanza.

Sente Yamaguchi mormorare: “Tsukki.” Ma comunque non si ferma, perché ha bisogno di aria e di pensare con lucidità. Perché non lo vede. Non lo vede. Continua a non vederlo. Kei ha preso un rischio. Ma non è cambiato nulla. E per la prima volta, non lo sa, non lo sa, non sa che cos’altro fare. Ha bisogno di aria. Ha fatto un errore. Un errore enorme. E adesso non sa come sistemare la situazione. Non sa da che parte andare.

Perché vorrebbe tornare indietro. Vorrebbe capire come agire. Vorrebbe sapere che cosa ha fatto di sbagliato, dove sarebbe potuto andare meglio. Ma non lo può fare. E non riesce a pensare a niente che riguardi futuro o presente. Solo a quel momento, in cui, preso dall’emozione o da qualsiasi altro fattore, ha fatto l’errore più grande della sua vita. Non riesce a rimanere lucido.

E allora il braccio di Akiteru intorno alle sue spalle, che lo abbraccia e lo tira verso di sé e gli dice: “I miei sensi da fratello maggiore mi hanno detto che hai bisogno di me.” Come se Kei prima non avesse fatto una scenata a cena, davanti a tutti -quel braccio un po’ lo salva e fa il lavoro che dovrebbe fare un fratello maggiore, stranamente.

Akiteru riporta lucidità a Kei.




.Ammasso Globulare di Ercole

Si sono tutti preparati per andare a letto, ma Tsukki non è tornato. Si sono tutti preparati per addormentarsi, si sono lavati i denti, si sono messi i pigiami, hanno parlato, si è fatta notte fonda, ma Tsukki ancora non è tornato, e nemmeno Akiteru-niisan e Tadashi non può davvero non pensare di non avere un po’ a che fare con Tsukki che inizia a gridare senza un vero motivo, durante la cena. E lui, che di solito si addormenta facilmente, lui che di solito non ha problemi a chiudere gli occhi e non pensare più a quello che è successo durante la giornata, sta lì, con le coperte addosso, Tanaka-san accanto che russa, con la bocca aperta, e il pensiero di Tsukki. Ha fatto più di una stupidaggine da quella notte a casa di Tsukki. Deve chiedere scusa. Deve far sapere che gli dispiace. E gli bruciano le gambe. Non sa spiegarlo, ma gli bruciano le gambe, sente tantissimo caldo.

Si passa le mani sul viso, prova a togliersi i capelli dalla fronte. Deve dire a Tsukki che gli dispiace, per davvero questa volta. Perché ha preso tutta questa situazione con leggerezza e, non lo sa, non sa che cosa sta succedendo ma questo? Questo intorno a lui? Tsukki che va via? Tsukki così nervoso? Non poterci parlare? Questo? Non gli piace per niente.

Sente caldo. Sta sudando. E forse dovrebbe fare altro, dovrebbe prendere aria anche lui. Quindi tira via le coperte da sopra di sé e poi spinge via con i piedi le lenzuola che si sono attorcigliate sotto di lui. In realtà, all’inizio non fa molto. Rimane solo sdraiato a guardare il soffitto, pensando che deve prendere aria, ma incapace di muoversi. Perché lo sa che ha fatto tantissimi errori. E lo sa che ci dovrebbero essere modi per rimediare, perché non ha lasciato passare poi così tanto tempo, non è veramente nella stessa situazione di Kageyama, deve solo rimettere in ordine i suoi pensieri.

Il soffitto è buio. I ragazzi russano, e Tadashi si alza a sedere e si guarda intorno. Non ci sono i ragazzi del terzo anno. Probabilmente non si erano nemmeno preparati per andare a dormire, ora che ci pensa. Deve avere un significato diverso, per loro, questo ritiro. Se Tadashi è qui, preso dai suoi problemi sentimentali, se i ragazzi del secondo anno sono qui semplicemente presi da quello che si può considerare uno stato di intermezzo, in cui ancora si ha un anno davanti e un anno indietro in cui si sono create delle basi, Suga-san, Asahi-san e Daichi-san stanno assaporando l’ultimo anno. E lo stanno vivendo esattamente come se fosse il primo. Forse non vogliono che finisca.

Tadashi si alza lentamente in piedi, stando attento a non fare troppo rumore. Ci mette un po’ a riconoscere le forme dei ragazzi, addormentati un po’ per tutta la stanza, ci mette ancora di più a decidere che direzione prendere per uscire dalla stanza. Sta attento a ogni passo. Sta attento a ogni cosa che si potrebbe trovare per terra e, alla fine, riesce ad aggrapparsi alla porta e a uscire.

Fuori dalla stanza non ci sono rumori. Non sembra esserci nemmeno anima viva e Tadashi ricorda come Saeko-san sia andata in giro a lamentarsi perché non aveva nemmeno un compagno di bevute, o di chiacchierate notturne, dopo la scomparsa di Akiteru-niisan. E Tadashi sospira, giocherellando con le dita. Tsukki non è tornato e sembra essere nervoso, arrabbiato, come se non avesse un punto a cui appoggiarsi. Non riesce a non farsi domande. Non riesce a non pensare che un po’ deve essere colpa sua. Non riesce a non pensare che ha fatto troppi errori.

I suoi passi non sono mai stati leggeri, ma non sono nemmeno così pesanti. Si sente camminare, il rumore che fa, mentre va in bagno e sta pensando a Tsukki, ai videogiochi, alla domanda che, prima che tutto questo iniziasse, Tsukki gli ha fatto. Quella domanda in cui chiedeva se Tadashi voleva che tutto rimanesse così com’era. E la risposta che Tadashi ha dato, che pensava fosse vera, quando l’ha data, ma che adesso si chiede se non fosse una bugia. Ha risposto no. Beh. No. Non spera che le cose rimangano uguali. Non pensava che comunque la cosa che sarebbe cambiata...

Qualcuno gli posa una mano sulla spalla e Tadashi sbatte lentamente le palpebre, mentre si gira, per affrontare chiunque o qualsiasi cosa lo stia toccando, per poi irrigidirsi, a vedere Shimizu-senpai, che gli sorride dolcemente. “Devi andare in bagno?” gli chiede sussurrando, avvicinandosi verso di lui, per non dover alare troppo la voce.

Tadashi si guarda intorno e poi rimane in silenzio, perché non sa esattamente che cosa dovrebbe rispondere. Non ha mai veramente parlato con Shimizu-senpai, l’ha solo guardata da lontano e sa che Yachi ha un’enorme cotta per lei, così come la maggior parte della squadra e che sa fare degli onigiri buonissimi. Non sono delle informazioni utili, ora come ora. Cioè. Se volesse piantare il seme di una possibile situazione imbarazzante per Yachi, avrebbe abbastanza informazioni, ma la verità è che non vuole trascinare giù anche lei, solo perché loro quattro sono in una situazione scomoda. Dovrebbe trovare una risposta. “No” dice alla fine.

E Shimizu-senpai aggrotta le sopracciglia, prima di togliere la mano dalla sua spalla, e poi passare una mano sulla fronte di Tadashi. “Hai fatto un brutto sogno?” gli chiede e forse non vuole darlo a vedere, ma si passa la mano con cui ha toccato Tadashi sul fianco, deve essere perché è sudatissimo. Questa cosa è imbarazzante. E Shimizu-senpai sembra essere un po’ a disagio, anche se sorride un po’ e inclina la testa. “Andiamo a berci una tazza di tè” gli dice, spingendolo verso la cucina.

Un brutto sogno. Forse tutto questo è un brutto sogno. Normalmente, Tadashi ha sempre freddo. È più forte di lui. Rabbrividisce al minimo venticello, sente freddo già alla fine dell’estate. E adesso invece, ora che se ne rende conto, se si passa una mano sotto il collo, la mano esce fuori bagnata. Non sicuramente per colpa della pioggia battente fuori dalla casa. Camminano in silenzio, Tadashi e Shimizu-senpai. Tadashi non ha davvero molto da raccontare adesso e non sa come maneggiare un possibile tè con lei. Non ora. Non con tutti questi pensieri che gli girano per la testa, sicuramente non con tutte queste questioni in sospeso, o con Tsukki che sta così lontano per colpa sua... Sì, questo deve essere sicuramente un brutto sogno e lui deve per forza potersi svegliare, prima o poi.

“Ha fatto un brutto sogno” annuncia Shimizu-senpai, aprendo la porta ed entrando in cucina. E Tadashi le lancia uno sguardo veloce, appena sente la sua voce, per poi girarsi verso la cucina e rendersi conto di avere davanti Daichi-san e Asahi-san, con una tazza di tè freddo sul tavolo. Shimizu-senpai lo spinge un pochino in avanti e Tadashi aggrotta le sopracciglia. “Forse potete aiutarlo.”

Daichi-san fa una smorfia verso Shimizu-senpai, come se avesse appena pensato a qualcosa di molto scortese che però non può dire ad alta voce adesso, mentre Asahi-san si muove di lato, per farlo sedere insieme a loro. “Sono un esperto di incubi” dice poi Daichi-san, quando Tadashi si muove verso di loro. Lo accompagna con lo sguardo, fino a quando non si siede accanto a lui e Tadashi tiene gli occhi puntati verso terra. Daichi-san posa una mano sulla sua testa, gli scompiglia i capelli, probabilmente per tranquillizzarlo. Daichi-san ha un sorriso gentile, delle mani ruvide ma sempre delicate. E Tadashi un pochino sente le orecchie arrossirgli, mentre chiude gli occhi. “Sicuramente ti potremo aiutare, okay?”

A Tadashi viene quasi da piangere. Ma non piange.




. Gibbiosa crescente

Akiteru è stato molto attento a non bere niente di alcolico. È stato molto attento anche alle parole di Kei, a non ripeterle, ad afferrare da quel poco che suo fratello minore ha detto per riuscire ad avere il quadro completo della situazione. Ed è stato attento, con grande disappunto di Kei, a far mangiare il suo fratellino, mentre parlavano. Kei non è sicuro che abbia capito tutto, ma pensa che forse il quadro generale lo abbia capito. E lo ha visto doversi fermare fisicamente dal chiedere più e più volte che cosa? e poi eh? e cosa? perché lo sa che questo porterebbe solo a un silenzio da parte di Kei.

Kei che giocherella con il suo cibo, di cui non aveva davvero bisogno, visto che aveva cucinato e aveva quasi mangiato a casa dei nonni di Suga-san. “È una storia imbarazzante” borbotta, facendo ticchettare le bacchette tra loro, con una mano sotto il mento e senza fare contatto visivo con suo fratello. Lo dice perché lo pensa davvero. Kei che prova affetto per Yamaguchi da praticamente sempre, Yamaguchi che comunque gli è sempre stato vicino, che ha seguito il gioco per aiutare Kageyama, okay, e poi Kei che fa un errore alla Hinata, un errore dovuto alla troppa ambizione, avarizia, al poco pensare alle conseguenze. Un errore alla Hinata. E la risposta logica di Yamaguchi è stata... “Ha detto che gli piaccio anche io.” Sinceramente, rivivere quel momento è anche più imbarazzante di quello che vorrebbe ammettere e Akiteru che lo guarda con quella faccia che non sembra essere sicura se deve essere preoccupata, in quanto fratello maggiore, divertita, in quanto stronzo, o dubbiosa, in quanto pettegolo. Kei sospira.

“E allora qual è esattamente il problema?” gli chiede, infatti, posando un gomito sul tavolo, per potersi sporgere verso Kei e guardarlo negli occhi. “La soluzione non dovrebbe essere molto semplice, a questo punto?”

Kei si morde l’interno delle guance e scuote la testa. “Se pensi alle persone come esseri bidimensionali, probabilmente sì” risponde irritato. Il problema è che noi non lo sono. Lascia le bacchette accanto alla ciotola e continua a scuotere la testa. E la cosa peggiore è che lo sapeva. Yamaguchi è lo stesso ragazzo che ha paura di dirsi che è andato bene in inglese, nonostante i suoi voti siano nella media, perché il papà dice che non sono dei voti degni di nota. Yamaguchi è quel tipo di ragazzo che prima di provare qualcosa in pubblico, ci prova da solo mille volte. Yamaguchi è il tipo di persona che vuole diventare più forte, anche se da solo, che si impegna, che... Kei sapeva quale sarebbe stata la risposta. Kei sapeva perché andava bene che Yamaguchi non lo vedesse. Quindi l’errore è stato suo. Non doveva chiedere più di quanto qualcuno può dare. Yamaguchi è quel tipo di persona che prende coraggio, ma è anche quel tipo di persona che un impegno lo prende sul serio e una relazione è forse...

“E tu che tipo di persona sei?” chiede Akiteru, quasi annoiato. Prende la sua lattina di caffè freddo e se la porta in bocca, prima alzare le sopracciglia per chiedere ancora una volta la risposta. “Sono sicuro che stai pensando a che tipo di persona sia Tadashi. Che tipo di persona sei tu? Perché per te non va bene mettersi insieme?”

Kei aggrotta le sopracciglia e raddrizza la schiena. “Non ho mai detto questo” risponde piano. Ci ripensa. No. Non pensa di aver mai detto che per lui sarebbe una brutta cosa stare con Yamaguchi, probabilmente è per questo che glielo ha chiesto senza pensarci. Ci sono momenti in cui la sua mente logica e fredda lo abbandona, sono quei momenti in cui sente di stare al sicuro e con Yamaguchi lui si sente al sicuro, con Yamaguchi sa che, per qualche ragione, ogni parte di lui è compresa e accettata. Stare con lui -in realtà è quello che Kei vuole.

“Secondo te, perché ti è scappata quella confessione?” chiede ancora Akiteru, prendendo le bacchette di Kei e iniziando a mangiare dal suo piatto.

Kei sospira, spingendo la ciotola verso suo fratello. Poi inizia a mordersi l’interno della guancia ancora e ancora. Perché, dice lui. Kei ci deve pensare su moltissimo. Pensa alla situazione specifica. Erano loro due, da soli, in camera sua. E Yamaguchi gli aveva appena preso la mano, gli aveva mostrato come prendergli la mano e poi avevano iniziato a giocare. E forse era venuto un qualcosa in mente a Kei. Forse era stata quell’irritazione che gli aveva portato Kageyama, quell’ingiustizia per cui Kageyama era visto da Hinata, nonostante fossero lontani fisicamente, e Kei, invece, non era minimamente visto da Yamaguchi. Forse era stato questo. Forse più che una dichiarazione, forse più che una richiesta di stargli accanto, che sono due cose che Yamaguchi già sapeva, forse, era una richiesta di essere visto. Kei abbassa lo sguardo. Ed eppure, le cose, invece di migliorare, sono peggiorate. Sotto questo punto di vista sono...

“Non penso che la tua fosse una richiesta poi così impossibile, sai?” continua Akiteru, nonostante non abbia avuto una vera e propria risposta. “Non hai chiesto poi così tanto, non ti sei forzato emotivamente su di lui, non hai fatto niente di sbagliato. Hai solo fatto una domanda. E non era qualcosa che Tadashi non poteva darti. Ha solo scelto di non farlo, e va bene così.”

Yamaguchi però non è quel tipo di persona che ama l’esplicito. Kei si muove nervosamente sulla sedia. “E adesso?” gli chiede. “Adesso ho rovinato tutto?”

Akiteru arriccia le labbra, poi torna a guardare la ciotola tra di loro e scrolla le spalle. “Le cose, prima di andare meglio, vanno sempre peggio” risponde. “Forse hai sistemato tutto, ma devi essere paziente.”

Non è una risposta. Kei ruota gli occhi. Facile metterla così. A parole è tutto semplice. E fuori sta piovendo e piovendo e l’unica cosa a cui Kei riesce a pensare è che ha perso Yamaguchi. Che non ci può fare niente. E quindi, frustrato, grugnisce, posando la testa sulla mano, a nascondere il suo viso.

“Però, sai?, sono fiero di te” gli dice Akiteru, posando una mano trai suoi capelli. “Per averci provato. Sei così distaccato, di solito, che avevo paura che avresti lasciato stare tutto, che non avresti provato nemmeno a parlare con Tadashi, che ti saresti solo detto di aver preteso troppo. Invece, ci hai parlato, giusto? Gli hai parlato di quello che provi. Ed è normale adesso essere frustrati, sentirsi giù, ma... almeno ci hai provato. Bravo il mio fratellino.”

Non ha fatto niente di tutto questo. “Sta zitto” borbotta Kei, scivolando verso il tavolo e posando su questo la fronte. Non ha fatto niente di tutto questo.




. Via Lattea

Gli hanno preparato un tè caldo e Asahi-san ha detto che Tadashi ha la febbre. Gli è bastato toccargli il polso per rendersene conto, gli ha anche chiesto se non è per questo che sente tanto caldo e che forse dovrebbero trovargli un posto in cui dormire e riposarsi e che dovrebbero avere dei medicinali da qualche parte. È stato perché è rimasto su quell’albero, dopo essersi bagnato e si è preso l’inizio della pioggia. È stato sicuramente per questo e Tadashi si maledice mentalmente perché, uau, davvero, chi si ammala la prima notte di un ritiro? Perché queste cose devono capitare a lui? Perché non può semplicemente... non riesce a pensare molto lucidamente. I pensieri sono un po’ sconnessi. Ma il tè è buono, e i senpai sono gentili. Lo hanno portato in una stanza vuota. Suga-san dice che non la usano perché sua zia giura di averci visto un fantasma dentro e, quando Daichi-san lo ha colpito per farlo sta zitto, ha riso a voce così tanto alta da poter svegliare tutti i loro compagni di squadra.

“Asahi-san” chiama Tadashi a bassa voce, mentre Asahi-san gli passa una coperta. Tadashi si passa una mano sul naso e sbatte le palpebre più volte, prima di sospirare. Lui non si sente poi così male. Forse un po’ la testa che gli sembra annebbiata, ma pensava fosse così per colpa del sonno. “Cos’è successo tra te e Nishinoya-senpai?”

Asahi-san si siede accanto a lui, con le gambe incrociate e gli posa una mano sul petto, per farlo sdraiare e gli sorride. “Che cos’è successo?” gli chiede a bassa voce. Poi si alza in piedi per assicurarsi che le finestre siano chiuse. Nonostante tutti continuino a dire che Suga-san sembra avere l’istinto più protettivo tra tutti i senpai, Tadashi ha sempre pensato che Asahi-san avesse qualcosa di molto più delicato, quando si tratta di prendersi cura dei più piccoli, qualcosa che, per qualche motivo, sa di materno.

Oh. Bene. Tadashi sta davvero delirando.

“Nishinoya-senpai continua a ripetermi di non fare come te. Perché è il modo di perdere le persone è questo, dice. Ma non ho capito cosa è successo. Nessuno sembra saperlo.” Tadashi segue Asahi-san con lo sguardo, mentre si risiede accanto a lui, gli posa una mano sulla fronte e poi sospira. “Nessuno vuole dirci niente. È un po’ come quando sai che è successo qualcosa, ma non sai proprio tanto bene che cosa. Sono curioso.”

Asahi-san sorride. Tadashi sente quanto la sua fronte sia sudata. Si sta rendendo conto di avere davvero tanto caldo e che non è una cosa normale. “Nishinoya ti ha detto questo?” gli chiede ancora. E poi sospira. “E nessuno ne parla?” A questo punto si tira i capelli indietro e alza una spalla. “Questa è una cosa strana.”

“Lo è?”

“Siamo una squadra molto pettegola” ride piano Asahi-san. “Probabilmente te ne sei già reso conto.” Prende un panno, per posarglielo sulla fronte, togliendo da questa la mano che teneva posata sulla fronte poco prima. Ha le mani fresche. Tadashi sospira e non sa dove dovrebbe guardare. Non succede spesso di ammalarsi fuori casa. Forse dovrebbe chiamare suo papà e farsi portare a casa, ma papà è in viaggio per lavoro e, paradossalmente, adesso che è con la squadra è più seguito di quanto lo possa essere a casa. Daichi-san ha anche detto che domani cucineranno una bella zuppa, per lui. Sono gentili, i senpai. “Non è successo niente, però, forse è per questo che nessuno ne parla.”

Tadashi sbatte velocemente le palpebre e sente come il panno bagnato si riscalda, a contatto con la sua pelle. Deve avere veramente la febbre. “Allora perché Noya-senpai dice...” Non finisce la domanda. Tira su col naso. Detesta questa storia della febbre. Lui sente davvero di stare bene. Nonostante le sue gambe scottino. E la nebbiolina in testa. E questo leggero dolore alle ginocchia e alla schiena. Beh. Niente di serio.

“Perché ho giocato in difesa” risponde piano Asahi-san. “Ci sono persone che riescono a vivere il momento, sai?, ma io non sono così. Noya è così. Noya vive adesso e pensa adesso e sente adesso. Io invece sto sempre a pensare a dopo. Sto provando a migliorare. Ma non ci riesco sempre. Mi sono bloccato. E Noya non ha aspettato. Com’è giusto che sia. Penso anche di averlo ferito, di avergli fatto male. E quindi anche in questo senso ha fatto molto bene ad andare avanti. E ora siamo amici. Di nuovo.”

Tadashi deglutisce. Dovrebbe smettere di proiettare. Prima su Kageyama, adesso su Asahi-san. Ma è difficile. “Però lui sembra essere abbastanza triste” mormora, sospirando. “Forse sta aspettando.”

Asahi-san ha un sorriso molto dolce. Quando non è sotto pressione, quando non pensa che qualcuno lo veda, ha l’espressione di una persona che ha tante responsabilità, ha l’aura di una persona che potrebbe prendersi cura di ogni cosa. È rassicurante. “Devi essere molto stanco” gli dice, però. “Ti sei fatto trascinare da Yacchan e Hinata, uh?”

Tadashi ride piano. Questo è il senso della loro amicizia. Quando Tadashi è bloccato, Yachi e Hinata lo spingono in posti in cui normalmente non andrebbe, anche se è pericoloso, anche se poi si prende un malanno.

“Non puoi fare il mio stesso errore, comunque, Yamaguchi” lo rassicura Asahi-san, sistemandogli le lenzuola sulle spalle. “Tu hai già fatto un passo in più di quello che ho fatto io, vero? Sei già più coraggioso di quello che sono stato io.”

Non è vero. Non lo è stato.



.Eclissi solare

Akiteru apre la porta di casa, poi fa un passo indietro, chiudendola di nuovo e facendo cenno a Kei di passare, prima di girare i tacchi e andare via. E Kei sospira, con le mani in tasca, entra in casa e vede Yamaguchi, seduto davanti all’entrata, con un piumone sopra le spalle, che guarda le loro scarpe, come se fossero la cosa più importante del mondo. Poi, quando le gambe di Kei, alza lentamente lo sguardo e sorride piano, prima di mettersi in piedi.

Non parlano da quasi una settimana. Anche oggi che sarebbero dovuti stare insieme, anche ieri, che potevano sedersi vicini durante il viaggio, sono stati divisi. E sembra una cosa davvero molto importante. Il fatto di stare lontani, sembra qualcosa di una gravità inconcepibile. Sembra essere una cosa che non è mai successa prima d’ora.

Kei si muove sul posto e si guarda intorno. Quel codardo e traditore di Akiteru lo ha abbandonato qui, da solo. È imbarazzante. Soprattutto dopo che si è mostrato così nervoso per una semplice giornata in cui Yamaguchi ha attivamente provato a non guardarlo. Soprattutto dopo aver provato a ottenere qualcosa, lo sguardo di Yamaguchi, e non esserci riuscito. Normalmente, con lui, si sente al sicuro. Normalmente, Kei, con Yamaguchi, si sente come se ci fosse una bolla intorno a loro, in cui nessuno può entrare, in cui entrambi sono protetti, ma lui l’ha rotta. Con la sua richiesta, ha rotto un equilibrio. E ora si sente in pericolo e forse è così che si sente anche Yamaguchi.

Gli fa male anche solo il pensiero che Yamaguchi si senta in pericolo, accanto a lui. E quindi abbassa lo sguardo, preso da un senso di colpa che Akiteru gli ha detto di togliersi da sopra le spalle. E quindi Kei si gratta la testa e sospira, mentre cerca di togliersi le scarpe, per entrare in casa.

“Scusa, Tsukki” mormora Yamaguchi, con la voce roca. È una voce strana, e Kei si chiede se non sia perché non parla da un po’. Non si aspettava nemmeno che fosse ancora sveglio, vista l’ora che lui e Akiteru hanno fatto fuori casa.

“Non c’è niente di cui scusarsi” risponde lui, giocherellando con la punta del piede. Non c’è nessun rumore in casa. Non hanno nemmeno acceso la luce. Chissà da quanto tempo Yamaguchi era qui, ad aspettare. È un po’ troppo da fare per fare delle semplici scuse. La verità è che Kei spera un po’ di non fare gli stessi errori di Kageyama. Spera di non perdere Yamaguchi come amico. Perché già gli manca. Perché è l’unico amico che ha per davvero, senza sforzi, senza complicazioni. “Sono io che ti devo chiedere scusa, invece” dice. E lo dice per questo. Per salvare il salvabile. Per riavere Yamaguchi con sé, per poter avere di nuovo il diritto di potergli stare accanto, perché non saprebbe davvero che cosa fare se non ne avesse più il diritto. Non ci ha mai pensato. Non lo credeva possibile, un mondo in cui Yamaguchi non è suo amico. “Perché tu le cose me le hai dette e io comunque mi sono frustrato e ti ho gridato contro.” Sospira, poggiando tutto il peso del corpo su una gamba. Cerca di guardare il soffitto, invece che Yamaguchi. “Sapere che io ti piaccio, dovrebbe essere sufficiente, ma la verità è che non è questo è che... non mi guardavi.” Scrolla le spalle, mordendosi l’interno delle guance. Lo dice, tutto questo, perché gli dispiace per davvero. “Mi dispiace.”

Yamaguchi giocherella con le mani. Si è alzato in piedi. Continua a tirare su col naso. Si è raffreddato. Tipico. “Che cosa cambierebbe, se stessimo insieme?” gli chiede. Cerca anche di schiarirsi la gola. Forse non dovrebbe stare nemmeno in piedi. Magari ha la febbre.

“Non lo so” risponde sinceramente Kei. “Non lo so, non credo molto. Giocherei con te a Yu-Gi-Oh!” prova a scherzare.

“Avrei il diritto di Yu-Gi-Oh!” dice dubbioso, portandosi una mano sotto il mento.

Kei ruota gli occhi. “Smettila di parlarne come se fosse una negoziazione” sbuffa, inginocchiandosi per slacciarsi le scarpe e poi togliersele. Sente gli occhi di Yamaguchi su di lui. Davvero. L’unico motivo per cui sta sopportando tutto questo è perché vuole davvero molto bene a Yamaguchi.

Yamaguchi, che sbatte lentamente le palpebre e ripete: “Negoziazioni.” Poi stringe la mano intorno alle lenzuola e lancia uno sguardo verso il corridoio, prima di girarsi verso Kei, che nemmeno lo sta guardando, perché le scarpe sembrano essere, per qualche motivo, più difficili da togliere, adesso, e lo sente soltanto inginocchiarsi accanto a lui. “Tsukki” lo chiama a bassa voce, e poi, quando Kei si gira verso di lui, per affrontarlo, per la prima volta, si allunga quel tanto che basta per far toccare le loro labbra. Così. Fine. Poi si allontana e lo guarda, con la testa leggermente inclinata. Le sue labbra erano calde. Yamaguchi non è soltanto raffreddato. Ha la febbre. “Io non posso mettermi con qualcuno” gli dice poi, buttandosi per terra, seduto, poco lontano da lui. “Ma è vero che tu mi piaci. E non lo so se suona come una negoziazione, in realtà, ma io non voglio che tu stia male o che sia così nervoso per colpa mia. Ma non ti posso dire che posso stare insieme a te, anche se mi piaci.” Si gratta la fronte. “Non capisco bene il perché. È come una cosa di -non mi piacciono le cose che vanno a finire male.”

Kei gonfia una guancia. “Come fai a sapere che finirà male?” gli chiede.

Yamaguchi scrolla le spalle. Poi starnutisce e rabbrividisce. “Non lo so” risponde poi, con la voce roca. “I numeri non sono dalla nostra, però.”

Kei sente di non star seguendo la conversazione. Si sfila la scarpa e poi si gratta la tempia. Deve mettere insieme lui i pezzi. Allora. Yamaguchi sta diventando coraggioso. Yamaguchi preferisce le cose non dette. Ci sono più spazi in cui muoversi. Se Kei non avesse detto niente, probabilmente Yamaguchi avrebbe accettato di continuare a essere il suo finto ragazzo, fino a che fosse stato necessario. “Quello che ti dà fastidio è l’etichetta?” chiede Kei con una smorfia, girandosi verso Yamaguchi, che sbadiglia svogliatamente. “Che se stiamo insieme ci sarebbe un’etichetta?”

“Nah” risponde Yamaguchi. Poi assottiglia lo sguardo e guarda davanti a lui. “Forse...?”

“Quando facciamo finta non ti dà fastidio.”

Yamaguchi ridacchia. “Perché facciamo finta” spiega, sistemandosi di nuovo sul pavimento. Probabilmente dovrebbe riportarlo a letto e farlo dormire. Qui, all’entrata, potrebbe prendere anche più freddo. Ricorda che, quando erano piccoli, Yamaguchi si è preso un raffreddore con tanto di febbre a trentanove dopo essere rimasti una notte a guardare le stelle. Lo ricorda, perché è stata la prima notte che ha passato fuori casa, e perché ricorda perfettamente che è stata la prima volta che Yamaguchi ha parlato apertamente dei suoi genitori. La prima volta che si è reso conto che Yamaguchi non ce l’ha una mamma. “È diverso, quando si fa finta.” Si schiarisce la gola.

“Perché è solo un modo per rendere felice qualcun altro.”

“Già.” Yamaguchi si schiarisce di nuovo la gola. “Ma se siamo solo noi due...?”

Kei incrocia le braccia, sospirando. È un pensiero ingarbugliato, ma è un pensiero che riesce a capire. Kei non ha mai fatto niente attivamente per rendere felice Yamaguchi. E Yamaguchi non ha mai chiesto niente per essere felice a Kei. E Kei non ha mai chiesto niente a Yamaguchi, prima di quella notte. È difficile iniziare una relazione se l’altra persona è un’incognita per te. È pericoloso affidarsi, se non sai quello che potrebbe succedere se ti affidi all’altro. “Perché non ne abbiamo parlato prima?” È difficile stare insieme a qualcuno con cui non sembri parlare.

Yamaguchi tira su col naso. “Hai iniziato a dire di fare finta di niente. Continuavi a ripetere fai finta di niente” lagna. “Dopo che ho detto non lo so hai solo iniziato a fare quella cosa che fai sempre e hai iniziato a stare zitto e ho pensato che non mi volessi parlare. Tu non ascolti. È come se ti mettessi sempre le cuffie. È stato irritante.”

“Non l’ho fatto.”

“Lo hai fatto invece.”

“No.”

“Sì” ribatte Yamaguchi. Solo che la voce gli si rompe per colpa di un colpo di tosse. Uhm. Questo tizio lo ha baciato. Kei spera di avere degli anticorpi abbastanza forti. Dà un colpo sulla spalla di Yamaguchi, come se questo potesse aiutarlo. Yamaguchi alza la mano per fermarlo. “Ma io ho fatto la stessa cosa” dice alla fine. “Scusa.” Si passa una mano sul naso, probabilmente per grattarselo. “Scusa, Tsukki.”

Non sa come rispondere a queste scuse, quindi si morde l’interno della guancia e si cerca dei fazzoletti nelle tasche. Si tocca le tasche dei pantaloni, solo per poi rendersi conto di indossare ancora la giacca, motivo per cui inizia a sfilarsela, mentre Yamguchi continua a tirare su col naso. Kei arriccia il naso. “Sei disgustoso” gli dice.

“Lo sei tu” borbotta Yamaguchi, sistemandosi di nuovo il piumone sulle spalle. Continua a cadergli. Dovrebbe andare a dormire. “E mi dà fastidio dire bugie a Hinata. Non c’entra niente, ma mi dà fastidio dire bugie a un amico.”

Kei ruota gli occhi. Posa i gomiti sulle cosce. “A me non dà fastidio mentire a Hinata. Sai quanto mi importa? Ma... E vuoi giocare a Yu-Gi-Oh!, giusto? Cioè, lo vuoi fare per davvero?”

“Che fai? Prendi in giro?”

“Sto chiedendo che cosa vuoi fare insieme a me.”

Yamaguchi sospira. C’è di nuovo del silenzio. Un silenzio buio, troppo tranquillo per loro che sanno che tipo di persone si trovano lì dentro. Domani sarà felice alzarsi dal letto. “Io dico che come stiamo adesso va bene” dice dopo un po’. “Più qualche bacio durante i giorni festivi.”

Kei alza un lato delle labbra. “Ma non stiamo insieme” mette in chiaro con un tono forse un po’ troppo leggero. Anche perché sta cercando di trattenere una risata. “Ti avevo detto di non farla suonare una negoziazione.”

“Uhm.” Yamaguchi sospira ancora una volta e chiude gli occhi, posando la schiena sul muro dell’entrata, perché non sembra riuscire nemmeno a tenersi seduto. “Allora ritiro i baci i giorni festivi. Così come stiamo va bene. Ti posso anche tenere la mano, se vuoi, ma solo in giorni speciali, tipo il giorno del tuo compleanno, oppure a Natale. So che può essere dura per te, pensare di non baciarmi ma...”

Kei sbuffa. “Stai scherzando?” borbotta. “Ma chi ti vuole baciare?”

“Tu.”

“Ew. Lasciami in pace. Non ti avvicinare. Ma ti sei visto?”

Yamaguchi sorride, ma, davvero, ha il naso rosso e un po’ di moccio sotto il naso. “Come?” chiede. “Adesso non mi vuoi baciare?” chiede, strisciando verso di lui. Poi arriccia le labbra, come se fosse un personaggio di qualche manga e come se volesse dargli davvero un bacio. “Non vuoi? Davvero non vuoi?”

Kei arriccia il naso e cerca di spingerlo via con una mano, ma non ci mette troppa forza perché, ugh, davvero, questo ragazzo è malato e non sarebbe un combattimento equo. “Dai” borbotta, cercando di tenerlo indietro, ma Yamaguchi, nonostante sia raffreddato, nonostante la febbre, si butta su di lui. “Yamaguchi!”

“Sei solo un codardo” mormora Yamaguchi, rotolando di schiena, perdendo il piumone a metà strada. Sbadiglia di nuovo. Si stropiccia gli occhi, stancamente. “Io voglio stare con te” gli dice poi, girandosi di fianco. “Solo che non conosco un altro modo. Questo è il mio unico modo. Ti dà fastidio?”

Kei sbuffa una risata. Qualche ora fa aveva paura di aver perso Yamaguchi anche solo come amico. E adesso gli dice che possono stare insieme, che possono tenersi anche per mano. “Tu mi dai fastidio” risponde, ridendo e Yamaguchi gli dà un pugno debolissimo sulla schiena. “Sta con me, per davvero” gli ripete poi, posando la mano sul pavimento e scivolando sul pavimento, per poterlo guardare negli occhi. “Nel modo in cui sai, non m’importa. Ma stai con me.”

Yamaguchi sorride arricciando il naso. Se non fosse malato, forse Kei lo avrebbe baciato adesso. “Aw, che carino” mormora. “Ti potrei tenere la mano anche i giorni feriali.”

Kei ruota gli occhi. “Potrei giocare a Yu-Gi-Oh! con te a Natale...” inizia per prenderlo in giro ma si ferma immediatamente. Muove una ciocca di capelli da davanti gli occhi di Yamaguchi. “Dire a tuo padre che stiamo insieme per farti aumentare la paghetta.”

“Non sarebbe più neanche una bugia.” Yamaguchi ride piano, poi gli prende la mano guardando verso il basso. Intreccia le loro dita insieme s sospira. Non riesce a respirare bene, per colpa del moccio. Ha gli occhi un pochino rossi. Sul naso c’è qualche segno di pelle morta e rossastra. È la cosa più bella che Kei abbia mai visto in tutta la sua vita. “Sì” mormora Yamaguchi. “Stai con me anche tu” dice con la voce roca. “Anche io voglio stare con te.”


 

Note: Ultimamente detesto lasciare note alla fine della storia ma volevo dire che questa doveva essere una OS che ha perso il controllo e che questa dovrebbe essere la fine della Tsukkiyama, più che della storia in generale. Avevo intenzione di seguire la asanoya, che ha avuto davvero poco spazio, al contrario di quello che volevo. Continuare la storia su questa storia, sarebbe un pochino come perdere la TsukkiYama per la quale la storia stessa è nata. Quindi, non lo so, forse ci sarà almeno una OS Asanoya che metterò in una serie per poterla collegare a questa storia, e per la KageHina non lo so se usarla ancora come coppia secondaria o altro, in realtà dovrei ancora pensarci. Comunque. Spero che la storia vi sia piaciuta. Mi prenderò tempo per strutturare l'asanoya, sperando di riuscire a fare qualcosa. Anche perché questa OS-allungata doveva essere un regalo per una persona e devo regalare una asanoya a un'altra persona, lol. Queste note sembrano una minaccia, per questo di solito preferisco non farle ahah
  
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