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Autore: Jiyuu    11/03/2020    1 recensioni
Un antico nome sussurrato come leggera brezza da labbra rosee, il suo significato sconosciuto ormai perso in una lingua non più utilizzata.
Una nuova bambina.
Mani in più per lavorare, donna da dare in moglie; poche erano le alternative in una società simile. Mezzi per procreare e alle volte oggetti sfruttati dai pescatori, alle donne non restava altro se non difendersi con ogni mezzo. Non si assicurava niente a nessuno, né un pasto caldo la sera, né protezione per i giusti e la punizione per i devianti.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Caesius corse, scavava solchi profondi nella neve mentre avanzava con passo pesante, stremato sulla fredda neve. Tiepide lacrime le sfuggivano mentre prendeva la via che l’avrebbe riportata a casa dalla sua bambina. Sentiva ancora l’adrenalina, che poco prima alimentava la sua rabbia e la sua voglia di uccidere, bruciarle nelle vene come argento liquido, mentre il pensiero di aver risparmiato quel uomo la faceva soffrire più di quanto prima bramasse vendetta per la sua umiliazione.

Il tragitto verso casa la costrinse a passare nuovamente di fronte alla casa del cacciatore. Vide un piccolo bambino dai capelli corvini che urlava e scalciava sulla neve rincorso dalla madre. Caesius non poteva diventare un mostro, non poteva rovinare un’altra famiglia.

 

Quella notte fu custodita come un segreto dalla madre, non ne fece mai parola con nessuno, eppure non era passata inosservata per una piccola bimba.Nonostante il tempo trascorso, infatti, persino un Aela ormai adulta non riusciva a dimenticare un particolare  giorno di inverno, durante una nevicata. In realtà non riusciva a capire se fosse un ricordo o un sogno, credeva che se lo avesse vissuto quello sarebbe stato sicuramente l’evento più antico che le fosse mai emerso dalla sua memoria. Era un giorno decisamente inusuale poiché spezzava la quiete e la routine a cui tanto era abituata, o almeno, così credeva. Vide la donna che la accudiva per la maggior parte del tempo rientrare in casa verso sera inoltrata, ricoperta da un sottile velo di neve; era arrabbiata sua madre, aveva la furia negli occhi appena varcata la soglia di casa e la bambina la percepiva quasi fosse sua. Aela riposava pigramente con gli occhi semichiusi in una culla vicino al camino, appena la madre la vide il suo sguardo si acquietò e la guardò con tenerezza per minuti che sembravano ore, poi entrò nella sua modesta stanza, si tolse stivali, le pesanti pellicce, e infine dormì con la porta spalancata. Piccoli occhi di ghiaccio la osservavano curiosi, fino a quel momento la donna non le aveva mai mostrato rabbia o nervosismo e tanto meno tanta tenerezza, la bambina pensava che in suo sguardo asettico e pensieroso fosse la normalità, per questo a quella piccola novità la bimba mostrò un piccolo sorriso sdentato mentre agitava le paffute manine.

Uno sconosciuto quella notte era ancora sdraiato nella foresta a osservare le stelle mentre il freddo gli avviluppava il tremante corpo; poco lontano il sangue caldo di un animale abbattuto molto tempo prima, l’odore ferroso avrebbe sicuramente attratto diversi animali che se ne sarebbero cibati molto volentieri data la carenza di selvaggina di cui tutti soffrivano nei mesi freddi. Rancor si sollevò sui gomiti al pensiero della moglie e il figlio piccolo a casa da soli e si sentì girare la testa, un sapore acido gli salì su dallo stomaco fino al palato, una lacrima gli rigava il volto fino al mento per poi cadere sulla neve.

 

I mesi passavano da quel ricordo e costringevano l’inverno a lasciare la sua fredda morsa di ghiaccio sul villaggio, sugli infreddoliti alberi e sui sentieri.

Quasi un anno era passato da quella terribile notte di primavera quando a una ragazza fu rubata tutta la sua giovinezza, a crescere una figlia frutto di tanto male e dolore.

Per Caesius fu difficile, era convinta di non amare Aela di non riuscire ad accettarla del tutto. Non riusciva a rivedersi in un ruolo che le era stato imposto, in un ruolo tanto importante come quello di madre; eppure certe volte guardava la figlia e un senso di affetto e desiderio di proteggerla le scaldava il cuore così come facevano i suoi caldi sorrisi che si allargavano sulle guance paffute. Per i primi anni di vita di Aela sua madre e sua nonna non volevano che uscisse di casa, in paese nessuno era a conoscenza della sua esistenza, anche se era stato difficile nascondere le condizioni della madre per così tanto tempo.

La piccola Aela cresceva giorno dopo giorno e passava minuti e ore a guardare il cielo, in principio nella sua morbida e accogliente culla, poi nei momenti di quiete nel bosco o dalla finestra di quell’assurda casa; quello stesso cielo che come un palcoscenico ospitava il passaggio di nuvole enormi, talvolta candide e pacifiche, altre grigie e aggressive sospinte dal vento gelido. Il suo momento preferito era quando nevicava, in quei casi guardava pacificamente e con ammirazione i fiocchi di neve scendere e ricoprire di bianco le punte degli alberi fino al terreno. 

Aela non aveva mai avuto modo di rimirare il suo aspetto se non nel suo riflesso sull’acqua, e nemmeno se ne era mai interessata più di tanto, eppure poteva essere considerata bellissima: sottili capelli biondi si sposavano perfettamente con gli occhi blu come le fredde acque del mare, così simile a sua madre, era una bambina coraggiosa e vivace.

Amava giocare e imparare; qualcosa dentro di li le diceva di apprendere tutto ciò che la madre avesse da offrirle, ma a volte, nell’ombra rassicurante degli alberi nella foresta, il suo volto si intristiva come perso tra mille pensieri e si allontanava. Pensava spesso alla madre, a volte amorevole e gentile, altre volte dura e severa, perdendosi a sentire il vento che sapeva di mare spostare furiosamente le foglie e il pungente odore degli aghi di pino. Luoghi di gioco per la piccola bimba dai capelli di grano erano sicuramente la montagna e la foresta del nord, lei desiderava tantissimo osservare il mare; ma come non le fu mai permesso di entrare in paese o di allontanarsi troppo dalla loro piccola e modesta casa nel bosco, non le fu mai permesso di avventurarsi da sola su quelle ripide scogliere.

Quando chiedeva spiegazioni su tutti i divieti a cui doveva sottostare e le motivazioni per cui non potesse nemmeno giocare con altri bambini le veniva semplicemente detto che le altre persone erano cattive ed egoiste e che la malvagità degli uomini l’avrebbe infettata fino a portarla ad essere una persona cattiva. 

Aela amava la madre, per nulla al mondo la avrebbe mai delusa, proprio per questo, rassegnata, continuava i suoi semplici e solitari giochi senza che le importasse più di tanto, non le sarebbe dicerto mancato qualcosa che non aveva mai avuto.

Il mattino era obbligata ad andare con la madre a caccia; Caesius con l’arco era temibile e decise di insegnare quell’arte anche alla figlia: mentre la donna cacciava lasciava la figlia a esercitarsi sul tiro con un piccolo arco creato con il legno dei forti alberi che circondavano la casa e la nascondevano nel bosco. Subito dopo pranzo veniva insegnato alla piccola a posizionare trappole per i piccoli animali. Al mattino la nonna vendeva medicinali e riceveva pazienti nella stanza dove preparava e curava le ricette per quegli “intrugli” come li chiamavano pochi ignoranti diffidenti al villaggio, e proprio per questo motivo tenevano lontana la bambina in quei momenti, così che nessuno potesse sapere.

La sera Aela riceveva lezioni sulle scienze, il funzionamento del corpo, tutte le ricette e le motivazioni di certe terapie create e tramandate dalla nonna. La madre non partecipava, aveva rinunciato a quelle arti, preferiva la caccia e porre fine alla vita di un essere per sopravvivere piuttosto che morire di fame con le scarse ricchezze che gli abitanti di quelle povere terre potevano offrire in cambio di cure. 

Lo studio della nonna era particolare, sicuramente ad un esterno poteva sembrare strano e pervaso da un aria soprannaturale, ma la piccola bambina iniziava a capire perché certe piante fossero appese in determinate posizioni, il motivo di tanti barattoli di vetro con polveri e grane diverse di colori sgargianti, ma soprattutto i significati che determinate formule o appunti potessero avere. Le pareti erano scure, annerite dal fumo di un piccolo e spartano caminetto con appesa sopra una grande pentola piena zeppa di acqua. Sopra il piccolo caminetto, appesi alla parete tramite dei piccoli ganci di getto vi erano mestoli di varie grandezze e diversi stracci macchiati. A illuminare la stanza, oltre al piccolo camino, vi erano diverse candele accuratamente posizionate lontano dalle erbe essiccate, solo una piccolissima finestra posta in una posizione troppo alta perché potesse essere aperta con facilità, e per questo motivo sotto di essa era appoggiato un lungo gancio arrugginito che doveva aiutare con l’operazione.

Un tavolo enorme e vuoto era posizionato al centro della stanza, strane incisioni ricorrevano su di esso, segni di tagli e sfregi; segno del tempo in cui era utilizzato.

Lo vide solamente una volta il mare.

Cognitio non era solita avventurarsi troppo lontano dalla casa da quando sua figlia aveva iniziato a seguirla nel bosco, troppo annoiata dalla vita chiusa in casa a imparare nomi di spezie e procedimenti medici. Eppure anche la madre di quella peste bionda era attratta da quella enorme fonte d’acqua e decise che come primo giorno in sua compagnia la piccola la avrebbe accompagnata in un allegra gita madre-figlia sugli scogli. Aela era stata convinta dalla madre alla sola descrizione di quella distesa cristallina e non stava più nella pelle dall’attesa, tutta agitata rincorreva la madre per il bosco con un enorme sorriso ad abbellirle ancora di più i tratti infantili.

Una sera, mentre Aela era impegnata a miscelare con cura le preziose spezie e le profumate erbe nello studio della nonna si sentì un suono martellante, insistente e sordo sul duro legno della porta di ingresso. Cognitio sbiancò e ordinò alla bambina di appena otto anni di correre in camera sua, la madre Caesius la aveva istruita su quella eventualità e quando comprese l’ordine di nascondersi la bambina corse su per le scale verso la sua piccola cameretta piena di fiori, bambole e libri ma prima si fermò sul ultimo gradino delle scale in legno osservando incuriosita la scena che le urla e le preghiere di aiuto precedevano.

Cognitio aprì la porta. Un uomo anziano veniva sorretto e trascinato malamente da una giovane ragazza con uno sguardo disperato che le deturpava i gentili tratti del volto.

Una piccola manina tremante sbucava tra le pieghe della morbida e celeste gonna della giovane donna; la manina di un bambino dai grandi occhi scuri, dello stesso colore dei capelli corvini. Alla vista di quel bambino poco più grande della figlia, Caesius si pietrifico`; riconobbe quegli occhi, che nella sua mente appartenevano ad una persona più adulta e terribile, ne ebbe paura, ma decise di non correre a conclusioni affrettate riconoscendo la possibilità che si potesse trattare di una coincidenza. La corvina aiuto` la giovane dal viso stanco e dai capelli castani a trasportare il vecchio nella sala di intrugli ed esperimenti, dove sua madre riceveva i pazienti al mattino.

Il paziente venne sottoposto alla tradizionale analisi di base, mentre la pesante porta che separava quella sala riservata alle urgenze dal resto della casa veniva chiusa con forza.

La madre della bimba rannicchiata sopra le scale con le guance paffute tra le mani, fu l’ultima ad entrare in quella stanza che la piccola stessa considerava magica; aveva uno strano sguardo Caesius, la bambina non aveva mai visto quell’ansia negli occhi della madre sempre fiera e sicura di sé. Per questo si preoccupò e decise di rimanere lì, nel suo piccolo e improvvisato nascondiglio sopra le scale in attesa. Subito riusciva a distingue solo le note acute della voce della sconosciuta dal vestito del colore del cielo estivo, in seguito man mano che i minuti passavano riuscì a distinguere bisbiglii più pacati, segno che l’ansia della sconosciuta stava via via svanendo; si stava per assopire la piccola Aela, lì rannicchiata sulle scale, cullata dai dolci suoni del chiacchiericcio in sottofondo.

Un rumore sordo la riscosse, la maniglia venne abbassata e con uno scricchiolio la porta si aprì, il bambino che poco prima aveva notato con occhi spaesati aggrappato all’abito della donna era appena uscito dalla stanza. Alzò lo sguardo, il piccolo bimbo, notò una esile figura sulle scale. 

Di nuovo, petrolio nel ghiaccio.

Gli occhi di lei sorpresi dalla profondità di quelli del bambino che sembrava poco più grande di lei; gli occhi di lui, velati dal sonno ma pieni di timore. 

 
   
 
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