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Autore: pattyxica04    25/06/2020    0 recensioni
“Abbiamo bisogno di quel contatto con la persona che amiamo come abbiamo bisogno di respirare, non l'ho capito fino a quando non ho più potuto averlo.”
-a un metro da te
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sapevo per quanto tempo fossi rimasta svenuta, tanto che, appena svegliata, pensai che fosse stato tutto un sogno. Naturalmente era solo una mera illusione, perché il tubicino dell’ossigeno legato al mio naso non era di buon auspicio. La prima cosa che vidi fu la luce abbagliante della lampada sopra la mia testa e, se non fosse stata quella a svegliarmi, lo avrebbe fatto l’odore penetrante e insopportabile di disinfettante e candeggina. Mi girai tentando di orientarmi e mi resi conto di essere in una stanza di ospedale. Ero su un lettino abbastanza scomodo, con le lenzuola bianche e una copertina verde smorto tipico di un ospedale: esattamente come quelle dei film. La stanza nel suo complesso era molto piccola, al massimo cinque metri quadrati, il mio letto era al centro della stanza con la testa addossata alla parete e sulla parete opposta c’era la porta. Mi girai da entrambi i lati e fu allora che vidi i miei genitori: mia mamma seduta su una poltroncina accanto al mio letto, con tutti i capelli scompigliati e gli occhiali storti, e mio padre appoggiato con la schiena alla parete bianco-giallastra, entrambi assopiti. Mi girai e non so perché, ma solo allora mi resi conto che qualcuno mi stava tenendo la mano: dal lato opposto del lettino, infatti, c’era mio fratello anche lui su una poltroncina, assopito. I miei sensi, che fino a quel momento erano stati un po’ offuscati, cominciarono a tornare, ripresi lucidità e senza volerlo mossi la mano che Cole reggeva saldamente, svegliandolo. All’inizio sembrò disorientato quanto me, ma poi, probabilmente, si ricordò com’era arrivato fin lì. Fissò i suoi occhi nei miei, mi sorrise e per la prima volta nella mia vita vidi in lui un’emozione che non c’era mai stata prima: paura. “Ciao” mi disse, ma in quel semplice “ciao” c’erano molti sottintesi, molte verità nascoste che io però ero in grado di vedere. “Ciao” gli risposi con un sorriso che lui ricambiò: il suo sorriso tuttavia era spento, perché mai il sorriso così bello di mio fratello si era spento? I suoi occhi si fecero lucidi e per un secondo mi sembrò di vederci una lacrima: “Allora, mi vuoi dire che ci faccio qui?” gli chiesi senza troppi giri di parole tentando di guardarlo negli occhi…e fallendo miseramente nell’impresa. “Tesoro, sei sveglia!” disse una voce straordinariamente familiare dietro di me, io mi girai e trovai mia madre che mi fissava con lo stesso sguardo di mio fratello e lì capii che c’era qualcosa che non quadrava. “Ci hai fatto stare in pensiero, come stai?” “Bene, credo” risposi io non troppo convinta; tentai di alzarmi, ma venni subito fermata da mia madre: “No no, non ti sforzare. Aspetta, vado a chiamare l’infermiera” e mi spinse giù, costringendomi a stare stesa, poi ridestò mio padre, lui mi sorrise mestante, mi diede un bacio sulla fronte e insieme lasciarono la stanza senza dire una parola di più. Quella fu la prima volta da che ne ho memoria che tra me e Cole scese un silenzio pesante: uno di quei silenzi che precedono le brutte notizie. D’altronde io: persona che odia profondamente i silenzi imbarazzanti e sopratutto che voleva saperne di più sulla faccenda, chiesi senza troppi convenevoli: “Ora mi spieghi che cosa diavolo sta succedendo?”. Mio fratello fuggì il mio sguardo, mi strinse la mano e solo dopo qualche secondo mi resi conto che stava piangendo: non l’aveva mai fatto, almeno non in pubblico e di sicuro MAI davanti a me. “Ehi, che succede? parlami, parla con me” gli dissi cercando di rincuorarlo e tentando di nascondere il mio nodo alla gola. Lo tirai dolcemente per il braccio verso di me, gli presi il volto tra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi: “Vuoi dirmi cosa sta succedendo?” gli chiesi con gli occhi lucidi. Lui non rispose, si limitò a guardarmi, con due occhi grandi e penetranti: era molto preoccupato per qualcosa, spaventato e disorientato, ma non riuscivo a capire per che cosa. Poi la porta si aprì, facendoci sussultare, entrò una signora in tuta blu scuro. Non era molto alta e poteva avere al massimo quarant’anni, io la fissai un istante, poi le sorrisi senza capire una cipolla di quello che stava succedendo. Lei ricambiò il sorriso e mi disse: “Sei pronta per il dottore signorina?”. Io continuavo a non capire, cercai disperatamente aiuto con gli occhi dai miei genitori, ma loro non erano più lì, e poi guardai Cole, che continuava a fuggire il mio sguardo. “Deve essere più spaventato di me” pensai e inconsciamente, senza pensarci, gli strinsi la mano. L’infermiera si schiarì la voce per attirare la mia attenzione, io la guardai e capii che andava di fretta. Non ero troppo convinta di voler andare con lei, ma annuii debolmente e lei prese la mia brandina dalla parte dei piedi e cominciò a trascinarmi fuori dalla stanza. Provai a non lasciare la mano di mio fratello, avevo troppa paura per restare da sola e lui dovette capirlo perché fermò l’infermiera alzando la mano in un gesto imperioso e le disse senza staccare gli occhi da terra: “Ci può dare qualche minuto per cortesia?”. Lei non parve troppo convinta, ma annuì: “Solo un paio di minuti, il dottore non ha tempo da perdere”e uscì dalla stanza lasciandoci nuovamente nel silenzio dove ci aveva trovati. Appena sentii la porta chiudersi allentai la presa alla mano di Cole e tirai un sospiro di sollievo. Mi sistemai seduta, ripresi il controllo su me stessa e mi girai a guardare mio fratello: era spaventato, glielo si leggeva in faccia come se avesse avuto una scritta lampeggiante, non volevo farlo stare ancora più male, ma avevo bisogno di sapere, sapere che cosa stava succedendo. “Mi puoi dire che cosa ci facciamo qui?” Gli chiesi cercando il suo sguardo, lui fece un respiro profondo e poi, con la voce rotta dalle lacrime e le guance rigate, fissò i suoi occhi nei miei. “Qual’è l’ultima cosa che ricordi?”, io restai un po’ stupita da quella domanda, ma risposi ugualmente: “Ero a scout, perdevo sangue dal naso, sono caduta e… e poi più niente”. Lo guardai disorientata e piena di domande, lui dovette capirlo perché mi prese entrambe le mani e le strinse forte. “Iniziamo da quando hai cominciato a perdere sangue di naso: ti sei passata il dito sul naso, poi sei caduta per terra ed hai cominciato ad annaspare perché probabilmente non riuscivi a respirare. Hai perso le forze e ti sei distesa a pancia all’aria; avresti dovuto vedere la faccia di Grace, poi sei semplicemente svenuta e …”sospirò tentando di trattenere le lacrime, poi, dopo pochi secondi, riprese: “Hellen ha chiamato l’ambulanza, Grace ha insistito per accompagnarti, ma non le hanno permesso di salire, ti ho tenuto la mano per tutto il tragitto, ma quando siamo arrivati qui mi hanno staccato da te e non ti ho più rivista fino a quando ti hanno messo in questa stanza” Rimasi lì, seduta, in silenzio, a fissare la nuca di mio fratello che piangeva sommessamente, senza sapere che fare, cosa dire o semplicemente come sentirmi. “Ho avuto tanta paura, Hope. Ho avuto paura di perderti, pensavo che non ti avrei mai più rivista” continuava a dire tra un singhiozzo e l’altro. Quasi inconsciamente, misi una mano sulla sua testa e con la voce strozzata dissi: “Non ti preoccupare, sono sicura che non sia nulla di grave ed anche se lo fosse, noi lo affronteremo come abbiamo affrontato tutto da quando siamo nati: insieme”. Gli presi il volto tra le mani, fissai i miei occhi nei suoi, gli asciugai le lacrime e gli scioccai un bacio sulla fronte. “Non mi perderai mai, ricordatelo questo, non riuscirai mai a liberarti di me” gli sussurrai tentando di trattenere le lacrime. Solo tempo dopo mi sarei resa conto del peso che avevano quelle parole, della potenza di quella singola frase e dell’effetto che avrebbe avuto su di lui… e su di noi. Rimanemmo così, abbracciati l’uno all’altra, lui con la sua testa sul mio petto e io ad accarezzargli i capelli, a piangere, a dirci cose che mica si possono dire con le parole e solo dopo un silenzio assordante e lunghissimo riuscimmo a separarci più forti di prima. “Missà che è ora di andare dal medico, o finisce che mi portano via con la forza” dissi rompendo quel silenzio perfetto, “Vai, vai e scopri che cosa ti sta succedendo. Mi raccomando: non perderti mai” A quelle parole scoppiai in lacrime, ma non per la tristezza o il dolore: per la gioia! Il mio nome significa speranza ed io ne ho sempre avuta molta anche nei momenti più difficili. Lui mi baciò sulla fronte e mi asciugò le lacrime esattamente come avevo fatto io appena pochi minuti prima, “Sei pronta?” mi chiese con un sorriso, io semplicemente annuii. Lui si alzo e aprì la porta: da quel momento sarebbe cambiato tutto. Da quel momento non sarebbe stato più niente come prima. L’infermiera trascinò il mio lettino lungo molti corridoi, dei quali vedevo solo il soffitto con le lampade: mi sentivo come in un film dell’orrore, una vittima legata al lettino pronta per essere torturata. Dopo circa un paio di minuti l’infermiera mi sistemò in una stanza e uscì: per qualche secondo restai da sola con me stessa, con i miei pensieri, i miei dubbi e le mie domande. Dopo circa un minuto sentii la porta aprirsi, mi voltai e vidi un uomo in camice bianco entrare. Non poteva avere più di trentacinque anni, aveva i capelli e gli occhi scuri, che però perdevano lucentezza dietro gli occhiali. “Buongiorno” mi disse con un sorriso, “ Sono il dottor Ramacci, sono qui per fare una radiografia”. A quelle parole pensai di svenire e lui dovette capirlo, “Stai tranquilla non farà male, devi soltanto stare ferma e trattenere il respiro quando te lo dirò”. Non ero molto tranquilla comunque, ma annuii cercando di non far trasparire troppo la mia preoccupazione. Detto questo mi sorrise e sistemò il mio lettino davanti ad una macchina che sembrava una ciambella non commestibile gigante e piena di luci, lucine e lucette. “Come ti senti?” Mi chiese il dottore notando la mia preoccupazione per la macchina-ciambella, “Operata” risposi scherzosa cercando di alleggerire la tensione.
   
 
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