Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: Mikirise    16/05/2021    0 recensioni
“Comunque oggi devo tornare a... beh” dice. (...) Atsushi struscia le mani una contro l’altra, con una punta di nervosismo. Akutagawa ha ruotato gli occhi. Beh. Dovrebbe spiegare perché non può-... “Prima di andarmene devo fare tutte quelle cose burocratiche. Dovrei firmare alcuni documenti, dimostrare che ho un posto in cui vivere. È un po’...” E comunque non può vivere in questo appartamento. Non ha abbastanza soldi. I pochi spicci che ha non coprirebbero nemmeno la metà delle spese. Atsushi deve andarsene da lì.
Eppure non si muove.
o, Akutagawa voleva proprio parlare con questa persona facile da amare di cui tutti continuavano a parlare e finisce in una situazione scomoda.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryuunosuke Akutagawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2. Rami sugli alberi


Atsushi e Akutagawa sono seduti uno di fianco all'altro, Atsushi con le mani nascoste tra le cosce e lo sguardo basso, Akutagawa guarda fuori dalla finestra, annoiato, come se questa situazione non avesse niente a che fare con lui. Kunikida-san si toglie gli occhiali, per pulire le lenti. Lo fa con gesti lenti. Muove le dita con fare distratto e ha la fronte corrugata. Sembra arrabbiato, anche se forse è solo un'impressione.

A Kunikida-san, Akutagawa non piace.

Non è davvero un segreto. A Kunikida-san non piacciono le persone che seguono in modo cieco e senza nemmeno farsi due domande una persona, soprattutto se quella persona è Dazai-san. Deve essere stato questo il motivo per cui ha chiesto ad Atsushi di non farlo dormire a casa sua e di non girarci troppo intorno. Solo che è difficile ricordare che Kunikida-san fa davvero molta paura, quando Akutagawa gira le chiavi di casa e si toglie la giacca e si siede al tavolino in salotto per mangiare con Atsushi. Ed è difficile ricordarlo anche quando si fa tardi e l’ultimo treno è partito e Akutagawa rimane a dormire da Atsushi, perché, beh, certo non lo può buttare fuori casa. Crede. Atsushi abbassa ancora di più la testa, neanche si volesse nascondere dietro il tavolo del bar. Non sa perché, ma sente di star per ricevere una ramanzina. Una di quelle lunghe. Sarebbe dovuto stare più attento, ecco, lo sapeva, perché Kunikida-san lo aveva avvertito, ma, come dice sempre Dazai-san, le regole le infrangi solo se qualcuno ti vede infrangerle.

Atsushi sente le spalle rigide, le dita, anche se sono ben immerse nelle cosce, sono così tanto fredde da raffreddare anche il pantalone. È un po’ nervoso -e per cosa? Akutagawa è pessimo da avere come ospite in casa. Lava malissimo i piatti, sa cucinare solo il riso e, cosa che Atsushi non sopporta, non fa che lamentarsi del suo futon.

Chi dorme su un futon?, gli chiede sempre. infilandosi sotto le coperte. Il pavimento è duro, i futon di Atsushi scadenti e quindi fa quasi male dormirci su. Akutagawa si sveglia al mattino lamentandosi per il mal di schiena, per il freddo, per qualsiasi cosa. Atsushi gli risponde ogni volta che c’è una soluzione molto semplice per questo problema: Akutagawa potrebbe anche andarsene a dormire a casa sua. E Akutagawa a questo non risponde, sbuffa soltanto, ruotando gli occhi.

Atsushi non capisce perché se lo ritrova lì quasi tutte le notti. E non capisce perché si preoccuperebbe se non lo vedesse in casa per più di tre notti consecutive. Mangiare insieme a qualcuno è divertente. Dormire insieme a qualcuno, è rilassante. E per questo è finito di nuovo nei guai. Atsushi non sa mettere dei limiti, non glielo hanno mai insegnato e questo è un caso in cui lui non ha voluto mettere limiti. Anche questo è uno dei motivi che lo hanno portato a questa situazione spiacevole.

“Io so” inizia Kunikida-san, con un sospiro. Si ferma quasi subito, per accarezzarsi il ponte del naso. Sembra essere a disagio tanto quanto lo è Atsushi (ad Akutagawa, tutta questa faccenda scivola addosso, per qualche motivo). Kunikida-san si infila di nuovo gli occhiali e scuote la testa, sospirando. “Ditemi voi cosa devo dire” sbotta alla fine, accarezzandosi la fronte.

Atsushi vuole sprofondare nella sedia, vuole essere seppellito in questo momento, non gli importa. Sente le orecchie diventargli rosse e -e sembra far caldo. Gli sembra che faccia davvero molto caldo. Lo sente solo lui? Fa caldo solo per lui? Lancia uno sguardo ad Akutagawa, pallido, con la schiena incurvata, che gli sta lanciando uno sguardo con la coda dell’occhio a sua volta. Beh. Lui non sembra avere caldo. Ma muove la mano, per posarla sul polso di Atsushi e gli fa un cenno con la testa.

“Se quell’appartamento è un dormitorio, allora non è una casa” dice, tornando a guardare fuori dalla finestra. “In una casa, Jinko potrebbe invitare chiunque lui voglia, ma a quanto pare non lo può fare perché lo sorvegliate. Allora perché rimanere lì?”

Perché l’affitto è basso!

Atsushi sbarra gli occhi e da caldo che aveva, adesso sente le ossa raggelarsi. Tira fuori una mano per prendere anche lui il polso di Akutagawa, mentre scuote la testa più volte. È ovvio che il complesso di appartamenti dell’agenzia è ben sorvegliato, sono un’agenzia di detective, hanno a che fare con dei criminali e quello è il posto più scontato in cui potrebbero incontrarsi tutti loro nel caso di un attacco. È sorvegliato per sicurezza. Ci sono le telecamere per sicurezza. E Atsushi aveva accettato quella condizione appunto per rimanere al sicuro. L’affitto è basso, Fukuzawa-san gli chiede sempre se il lavandino funziona, se qualcosa gocciola, se ha bisogno di qualcosa e Atsushi lì ha di sicuro molta più libertà di quella che ha avuto negli ultimi diciannove anni della sua vita.

Kunikida-san ruota gli occhi, Akutagawa si gira verso Atsushi. “Puoi sempre tornare a casa mia, per ora” gli dice, guardandolo dritto negli occhi. “Lì ci sono dei letti comodi.”

Adesso Atsushi non capisce se ha freddo, o se ha caldo, o se il suo corpo sta impazzendo. Apre la bocca, poi la chiude di nuovo. Pensava che la storia della casa fosse finita. Aveva trovato una casa, no? Allora perché tutto questo macello? Perché tutto questo rumore e chiasso? Lui vive in una casa che -Atsushi aggrotta le sopracciglia e abbassa lo sguardo. Rimanere per sicurezza… come potrebbe essere diverso dal rimanere per due piatti caldi al giorno?

“Atsushi-kun è ancora minorenne” fa loro notare Kunikida-san. Si sistema a sedere e ruota gli occhi. “Se fai qualcosa -se commetti un crimine o non paghi dei debiti, la persona che deve pagare per i tuoi errori è Fukuzawa-sensei, tu sei ben consapevole di questo. Non ti avrei chiamato se la persona che inviti a casa tua non fosse Akutagawa Ryunosuke. Perché ti avevo avvertito. Lui non è niente di buono. Certo che quell’appartamento è casa tua e certo che puoi fare quello che vuoi. Ma vista la persona con cui vuoi -fraternizzare, ecco, ti devo dare un altro avvertimento e questa volta lo do anche a te, Akutagawa-kun. Non fate errori.” Punta Akutagawa con un dito. “Non fargli fare errori. Perché conosco Atsushi-kun, quindi riterrò te responsabile. Un solo passo falso, ragazzino, e sei fuori, hai capito?”

Akutagawa fa una smorfia con le labbra, poi torna a guardare fuori dalla finestra, cosa che fa quasi scoppiare una vena sulla tempia di Kunikida-san, che comunque cerca di mantenere la calma, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo.

“Hai fame, moccioso?” chiede ad Atsushi, passandogli il menù della caffetteria. “Se scegli cose poco costose, ti offro il pranzo.”

Atsushi sforza un piccolo sorriso e fa un cenno con la testa per ringraziare Kunikida-san. Dopo averlo sgridato gli compra sempre del cibo. È una cosa frequente, inizia a rendersi conto. Atsushi è un po’ confuso, ha di sicuro tante cose a cui pensare, ma non riesce a dire no quando si tratta di cibo, alla fine. Lancia uno sguardo con la coda dell’occhio ad Akutagawa e si morde l’interno della guancia. “Kunikida-san.” Tira fuori le mani dalle cosce solo per prendere la mano di Akutagawa, sotto il tavolo. “Akutagawa non è proprio tutto tutto da buttare. Ci si può fidare, sai?”

Akutagawa tira via la mano e si gira quasi del tutto verso la finestra. Kunikida-san ruota gli occhi per l’ennesima volta. “Se non scegli cosa mangiare entro cinque minuti, ti mando a lavoro senza pranzo.”




[I don't have the strength to keep writing this. To go on living with this feeling is painful beyond description. Isn't there someone kind enough to strangle me in my sleep?]


Ryunosuke si sistema la camicia bianca, davanti a uno specchio troppo piccolo, in cui si vede a malapena l’angolo del suo viso, figuriamoci la cravatta, che sembra fare di tutto per rimanere storta. Ryunosuke scioglie il nodo con un movimento scocciato delle dita, per provarci un’altra -un’ultima volta. Cerca di ricordare quello che Nakahara gli ha detto. La cravatta e il nodo, il modo in cui le dita devono misurare roba e in cui il tessuto deve scivolare da una parte all’altra. Lo aiuterà solo questa volta, poi deve cavarsela da solo, gli ha detto. Nello specchio davanti a Ryunosuke si vede solo l’angolo del suo viso. La mascella, una parte delle labbra puntata verso il basso, la sua spalla.

Ryunosuke gira la cravatta, la annoda, ma gli sembra di nuovo storta, per qualche motivo. Muove lo specchio tondo. Inclina un pochino la testa, per vedere come un suo occhio (nero nero, forse perché non c’è tanta luce in questo suo appartamento) entri nel riflesso e lo guardi a sua volta. Ha i capelli un po’ troppo lunghi, forse, e la cravatta pende di lato, muovendosi verso la spalla con tutto il colletto. Per fermarla, dovrebbe stringerla al collo ma non gli piace la sensazione che prova nel farlo. Non gli piacciono le cravatte. Non gli piacciono gli abiti occidentali. Non gli piace pensare a che cosa dovrebbe mettersi. Non ci ha pensato negli ultimi diciotto anni e gli sembra stupido doverlo fare adesso, per dei colloqui di lavoro che non lo faranno nemmeno lavorare in un ufficio.

Nakahara ha detto: è importante che ti vesti bene, oggi, perché ti sto presentando a una famiglia importante per me. Ha detto anche che a loro non importa se non ha nemmeno il diploma, se però si saprà presentare bene. Ryunosuke ha dei dubbi su quel che riguarda doversi presentare bene. Non conosce molte persone che amano vestirsi bene e Dazai-san ha detto che di solito ci si presenta con un vestito elegante occidentale ai colloqui di lavoro con persone importanti.

Ryunosuke alza il polso. Ha dimenticato di abbottonarsi le maniche. Gira il polso e lo studia. Non ha la più pallida idea di come sembri adesso, di come si veda. Lui si sente ridicolo. Il tessuto del vestito gli sembra rigido e non gli piace l’idea di tutte queste cose che gli stringono i polsi, il collo, le caviglie. Ma ha bisogno di un lavoro. Almeno per permettere a Gin di vivere insieme a lui, senza pensieri. Lei che non ha avuto problemi a trovare un lavoro di mezza giornata e che fino ad ora ha portato più cose da mangiare a casa di quanto abbia fatto Ryunosuke. Lui rimane il fratello maggiore. È ora di ricordarlo. Si abbottona la manica e prende un respiro profondo. Con la destra è stato facile, adesso che deve usare la mano sinistra per sistemarsi, la cosa gli sembra davvero troppo difficile. Tira indietro la testa, soffocando un sospiro disperato.

Rimane così, in silenzio, davanti a uno specchio troppo piccolo, in un bagno davvero troppo piccolo per qualche minuto. Non ha molto da perdere ad andare all’indirizzo che gli ha lasciato Nakahara, e comunque, Nakahara è sempre stato attento a non fargli male. Per qualche motivo. Dice che gli ricordava qualcuno, ma Ryunosuke non ha mai capito a chi si riferisse. Nakahara dice anche che loro due hanno qualcosa in comune. Ryunosuke non ha capito a cosa si riferisse neanche qui. Di sicuro Nakahara non lo manderebbe in un vicolo buio vestito come un idiota, per essere picchiato e drogato e Ryunosuke non si sveglierebbe con un rene in meno. A lui non è mai successo, ma ha sentito una storia così, una volta.

Non ha sistemato lo specchio, per vedere la sua cravatta e non ha intenzione di farlo, adesso. L’appuntamento è alle tredici. Sono a malapena le nove del mattino. Non capisce perché si è preparato così in fretta. Si sente un po’ nervoso. Non ha la più pallida idea di che cosa potrebbero chiedergli di fare. Vorrebbe solo avere un po’ più di controllo su tutta la situazione intorno a lui. Non può sopravvivere con il poco che gli dà Dazai-san per portare in giro quell’orfano di merda e fargli vedere le parti importanti di Yokohama. Per ora, non sono andati da nessuna parte di importante, perché guardare Nakajima Atsushi negli occhi fa venire il voltastomaco a Ryunosuke e Nakajima Atsushi è quel tipo di persona, ha scoperto, che si distrae in fretta, trovando in cose inutili qualcosa di interessante, dice lui. Questo fa venire il voltastomaco a Ryunosuke con ancora più forza. Non può essere così schizzinoso.

Gin si affaccia alla porta, arricciando le dita intorno allo stipite della porta. Non dice molto. Non si è ancora legata i capelli e il suo pigiama rosa e bianco. Non dice niente sull’ora. Ma si guarda intorno, prima di fissare negli occhi Ryunosuke e cercare di forzare un piccolo sorriso. Non hanno parlato del colloquio di lavoro. Ma forse Gin capisce senza usare le parole, perché alza un pollice e fa un cenno della testa, prima di andarsene via.

Ryunosuke abbassa il mento per controllare la cravatta. Si guarda i polsi e li sente davvero troppo stretti, anche se non stringono per davvero, e si sente ridicolo in questi vestiti, ma Gin ha alzato il pollice, quindi deve andare bene. Il vestito, intende. Lui, intende. Tutti e due. Devono andare bene e andrà bene anche il colloquio di lavoro. Crede.

Ryunosuke lancia uno sguardo allo specchio tondo davanti a lui. Annuisce a se stesso. Sì. Sì, certo andrà tutto bene.


 



Aveva dimenticato che questa mattina deve portare Nakajima Atsushi a conoscere la città.

Nakajima Atsushi sbatte le palpebre, con le mani unite dietro la schiena, come un vecchietto, mentre lo aspetta, appoggiato al muro della stazione dei treni. Tra le tante persone, lui sembra scomparire nel suo essere insignificante e piccolo e davvero troppo magro. Aspetta Ryunosuke con la stessa pazienza di un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada, alzando un pochino la testa, quando vede qualcuno che potrebbe assomigliargli e sorridendo a se stesso, per poi abbassare lo sguardo, come se avesse fatto un errore madornale, ogni volta che si rende conto di aver sbagliato persona. Ryunosuke lo guarda da vicino un pilastro. Sono le dieci del mattino. Avevano appuntamento alle nove e mezza. Nakajima Atsushi non ha un cellulare, quindi non lo ha chiamato.

Per chiedere scusa del suo ritardo, Ryunosuke ha pensato di prendere due crêpe, che ora tiene in mano. Ma non ha il coraggio di avvicinarsi a Nakajima Atsushi, che, nella sua testa, ora che ci pensa, lui chiama Atsushi, ma che non vuole chiamare Atsushi ad alta voce. Al solo pensiero di dover dirgli che gli dispiace per essere arrivato in ritardo, Ryunosuke vorrebbe un po’ morire. Ma non può lasciarlo in attesa per sempre ed è solo questo il motivo che lo spinge ad avvicinarsi al muro della stazione, per farsi vedere.

Atsushi alza un po’ il mento e poi lo abbassa, con un sorriso appena accennato. Ryunosuke non sa che cosa lo porta a essere così felice di vederlo. Ogni volta che parlano, loro due finiscono per litigare. Per le cose più stupide, poi. Non c’è niente di divertente nei loro incontri e non c’è niente di bello in quello che fanno. Atsushi però a volte guarda al cibo del distretto commerciale e sembra che gli brillino gli occhi. Non compra niente. Nemmeno un dolce per sé. Nemmeno una caramella da quindici yen. Questo, Ryunosuke lo capisce. Per questo ha preso le crêpe.

Atsushi inclina un po’ la testa. Non dimostra nemmeno i suoi sedici anni, quando viene a questi incontri. Sembra solo un ragazzino. Ha un maglione orrendo verde con sopra la faccia di un’imitazione di Pikachu, dei jeans che sembrano vecchi, delle scarpe così consumate da essere imbarazzanti a vederle. Ma ha avuto la buona idea di coprirsi la testa con un cappello blu che nasconde il suo taglio di capelli e le sue orecchie. Ryunosuke dà anche troppe attenzioni a come si veste Atsushi, ma il punto è che non ha mai visto una persona con uno stile così orrendo. Atsushi in sé è una persona insignificante e per niente degna di nota, ma, i suoi vestiti sono così brutti che diventano un motivo per farlo risaltare. Tutto questo è un insulto, ma Ryunosuke se lo tiene per sé, mentre allunga la mano con la crêpe e la porge ad Atsushi.

Atsushi guarda sempre il cibo, ma non lo compra mai. Quando gli viene dato, lo accetta con piacere, ma non sembra goderselo. Almeno. Non sembra che se lo goda tutto. O del tutto. O che comunque sia felice di mangiare.

A questo ci ha pensato dopo aver preso le crêpe.

“Ti sei vestito così per me?” lo prende in giro Atsushi, con la testa un po’ inclinata.

Parla del vestito che Ryunosuke ha indosso. L’abito formale. È impossibile dimenticarlo, Ryunosuke sente che gli stringe collo, polsi e adesso anche le caviglie. Non si è mai vestito in questo modo. Non per un colloquio di lavoro. Di solito così andava a rubare cibo ai funerali. Beh. Non che questo lo possa dire ad Atsushi. Finirebbero solo per litigare.

Potrebbe chiedergli se non si sente a disagio, vista la differenza della loro eleganza. Ryunosuke potrebbe anche insultare il suo maglione, dire che almeno lui non faceva vedere a tutti che era un orfano e che orfano sarebbe rimasto per tutta la sua vita. Ma non ha voglia di farlo. Abbassa lo sguardo. Controlla la cravatta e mormora: “Dopo ho un colloquio di lavoro.” Se ottiene questo lavoro, Gin potrà decidere se continuare a lavorare oppure no, se seguire quel corso che voleva seguire di auto-difesa, anche prendere un momento di pausa per andare a trovare quello che lei definisce un signore gentile che le ha insegnato le basi dell’auto-difesa. Sarebbe bello.

Atsushi forma una o perfetta con le labbra, prima di sorridere. Sembra di buon umore. Deve essergli successo qualcosa. “Mi tieni qui?” gli chiede, dandogli indietro la crêpe. Poi assottiglia lo sguardo e fa un passo in avanti. Con uno sguardo concentrato, gratta il nodo della cravatta di Ryunosuke e poi la scioglie. Rimane con la cravatta in mano, prima di arrotolarla su se stessa e tornare a guardare Ryunosuke con uno sguardo concentrato. Gli sistema il colletto con le dita. “Kunikida-san dice sempre che la cravatta è importante. Ma Yosano-sensei e Ranpo-san dicono che quando sei giovane devi usare il tuo essere giovane.”

“Che cosa vuol dire?” chiede Ryunosuke con una smorfia.

Atsushi scrolla le spalle. “Visto che viene da Ranpo-san, direi che non ci dovremmo dare troppo retta. Ma -tu non sei tipo da cravatta. Si vede troppo.” Finisce di sistemare il colletto e poi posa entrambe le mani sul petto di Ryunosuke, per allisciare la giacca nera, forse. A Ryunosuke non interessa. Perde tempo ruotando gli occhi. Atsushi, invece, appena si rende conto che hanno avuto contatto fisico per più di due secondi, tira indietro le mani, neanche fosse stato bruciato da una fiamma e sforza una risatina idiota. “Consiglio gratuito per ringraziarti della crêpe” dice, con una voce stridula. Prende la sua crepe dalle mani di Ryunosuke, di nuovo e la morde con troppa fretta.

Ryunosuke lo guarda quasi strozzarsi. Non che gli importi. Atsushi, fosse per lui, potrebbe morire in questo momento e lui non proverebbe niente. Ma gli dà una pacca sulla schiena, come si fa ai bambini per far fare loro il ruttino. “Poi mi spieghi perché dovrei seguire i consigli di uno che ha Pikachu sul maglione.”

Atsushi apre la bocca, indignato. Offeso come un bambino.

Yuuji faceva lo stesso sguardo, quando Ryunosuke gli diceva -gli diceva… gli diceva qualcosa. Era una cosa che continuava a ripetergli e ogni volta Yuuji apriva la bocca per poi gonfiare le guance e andare in un angolino della casa abbandonata che avevano occupato. L’unico modo che aveva per farlo tornare a parlare era… Ma che cosa gli diceva? Era un gioco tra loro, una scena che continuava a ripetersi, qualcosa che faceva parte della loro quotidianità. Qualcosa. Qualcosa che… Qualcosa che Ryunosuke ha dimenticato. Che ha voluto dimenticare, forse? Che ha dovuto…?

Atsushi ruota gli occhi e guarda da un’altra parte. Yuuji anche lo faceva sempre. Sì. In continuazione. Lui -lui... Ryunosuke sente un nodo alla gola e anche lui guarda da un’altra parte. Era una cosa che diceva sempre, ma che ha dimenticato. Si infila la mano libera in tasca, guarda un paio di bambini contare le monete che hanno in mano, davanti alla macchinetta dei biglietti. Era una cosa importante. Lo faceva sempre ridere, vedere Yuuji con le guance gonfie. Ryunosuke stringe le mani in un pugno. La sua crêpe si piega dentro il cartoncino in cui la stava portando. Una fragola cade per terra e lui nemmeno se ne rende conto. Finché non cade.

Atsushi si gira verso di lui e prende la crepe di Ryunosuke. Non deve averci pensato. Ha solo agito. E Ryunosuke ha sbarrato gli occhi al sentire qualcosa scivolargli dalle mani. Il cibo è importante e vitale e costa soldi e scarseggiava così tanto, prima, come può lui averlo…

Atsushi morde la sua crêpe, continua a mangiare come se nulla fosse. “Dove dobbiamo andare, oggi?” gli chiede, guardando dritto di fronte a sé.

Ryunosuke aggrotta le sopracciglia. “Non troppo lontano dal distretto commerciale.”

Atsushi annuisce. Non fa domande. È un essere insignificante e chiunque lo guarda lo dimentica in poco tempo o pensa solo che questo ragazzino non ha una famiglia. Ma non è stupido, per qualche motivo. E non è innocente, come Dazai-san pensava che fosse, per qualche motivo.

“Non hai freddo? Non indossi nemmeno la giacca.”

Atsushi, alle parole di Ryunosuke, per qualche motivo, ride.


 



“Sentite, non sto dicendo che è un ragazzo sveglio” dice Nakahara, dall’altra parte del muro. Ryunosuke abbassa lo sguardo e intreccia le dita sulle cosce, seduto composto, in attesa di una risposta. Non ha molto da fare. Guarda dritto di fronte a sé, come quando sente di venire trascinato da una parte all’altra dalla sua testa. È una cosa che gli ha detto di fare Gin. Quando non sai cosa fare e senti che la tua mente potrebbe andare via, chissà dove, la cosa migliore è guardare la parete di fronte a loro. Trovare una crepa. Un disegno. Qualcosa. Qualsiasi cosa su cui concentrarsi. “Ha di sicuro mille difetti, ma è obbediente. Cos’altro si potrebbe volere di più da qualcuno? È un ragazzo obbediente, qualsiasi cosa gli chiederete, lui la farà senza battere ciglio.”

Ryunosuke muove le dita. Passa il pollice destro sull’unghia del pollice sinistro. Davanti a lui c’è una parete- Non è bianca. È fatta di mattonelle rosse che arrivano fino al marroncino, tra loro c’è una piccola divisione bianca, brillano di luce propria, e anche del riflesso del sole fuori dalla finestra. I kimono coprono parte della parete. Allargati. Ben aperti, per mostrare i loro colori e i loro disegni floreali. Alcuni sono dorati e altri sono neri. Ryunosuke ha sentito, da qualche parte, che i kimono hanno una simbologia dietro. Non ne ha mai indossato uno. Ma ha origliato, quando era senza casa e aveva fame, e una signora con gli occhiali che le cadevano sul naso. Aveva detto qualcosa su ogni cosa che le diverse parti del kimono simboleggiano.

Ci sono diversi tipi di kimono. Ryunosuke continua a tormentarsi le dita delle mani. Le muove da una parte all’altra. Le struscia insieme. Prende un respiro profondo.

“Non metteremo un ragazzino in mezzo a problemi che sono più grandi di lui” risponde una voce femminile. Forse Izumi-san. Ryunosuke abbassa lo sguardo. Poi chiude gli occhi. Un respiro profondo. Ci sono diversi tipi di kimono, aveva letto da qualche parte. Il costo dipende dal tipo di tessuti, dai ricami. Ryunosuke aveva pensato di rubare un kimono, da quella signora con gli occhiali che gli cadevano sul naso. Ha studiato per giorni come capire quanto valutare un kimono. “Sembra troppo giovane.” Ha sfogliato libri. Ha fatto domande alla stessa signora che gli sorrideva, sistemandosi gli occhiali, che continuavano a caderle. Ha studiato per giorni interi, per settimane intere.

“Quel ragazzino è già in problemi più grandi di lui” ribatte Nakahara. “Sapete dove e come l’ho pescato, non capisco quale sia il problema. Lui non vuole morire di fame, è obbediente, ha una sorella su cui non vuole pesare. E voi avete detto che avete bisogno di qualcuno che obbedisca senza fare domande. Non conosco nessuno meno curioso di Akutagawa.”

“Akutagawa Ryunosuke. Come lo scrittore” commenta una voce maschile, questa volta. “È una coincidenza bizzarra.”

“Non dovremmo stare qui a discutere il suo nome” taglia corto Nakahara. Ryunosuke lo sente sospirare. Apre di nuovo gli occhi. C’è una bambina, con un kimono rosso e con dei disegni floreali. Se Ryunosuke avesse preso uno qualsiasi dei kimono in questa stanza, avrebbe guadagnato più di quanto Gin ha guadagnato negli ultimi sei mesi. “Akutagawa è obbediente, è grato, è -è leale. Cos’altro volete?” Ha studiato anche quel negozio. Il negozio di kimono in cui lavorava quella signora. Lei si chiamava… si chiama Chisato. Ryunosuke non ha mi chiesto come si scrivesse il suo nome. Se fossero mille città natali, quelle che portava nel nome, o se fossero mille santi, o una grande distanza. Era la proprietaria. Il negozio era sempre vuoto. Lei gli portava sempre due panini al melone. Uno per te. Uno per tua sorella. Perché lui continuava a lasciare il pezzo più grande per portarlo a casa. Lui aveva fame. Anche Gin doveva avere fame, quindi.

“Qualcuno che sa in cosa si sta immischiando.”

“Lui è già immischiato!”

Ryunosuke gira la testa verso la porta. Si morde l’interno delle guance e sente come la bambina col kimono rosso gli si avvicini, per guardarlo con degli occhi che sono davvero troppo grandi. È una ragazzina. Si deve star affacciando alla pubertà. Ryunosuke si concentra su di lei. Ha gli stessi occhi di Gin.

“Ed è solo. Mi avete chiesto qualcuno di poco curioso e solo. Nessuno lo può proteggere, ha bisogno di soldi. Tenetelo come un vostro commesso regolare, se vi dà tanti problemi metterlo nei vostri affari. Lasciate che si guadagni la vostra fiducia, se dovete. I soldi non vi mancano, giusto?”

Ryunosuke inclina la testa e vede la bambina col kimono rosso sedersi accanto a lui. Ha un peluche a forma di coniglio bianco. Devono piacerle le cose carine. Come a Gin. Ryunosuke si lascia sfuggire un mezzo sorriso. Gin da piccola non poteva vestirsi in modo femminile. Era pericoloso. Forse a undici, o dodici anni, Gin sarebbe stata così, se le fosse stato permesso vestirsi come voleva, giocare con quello che desiderava, se non fossero stati entrambi così presi dall’idea di sopravvivere da poter pensare ad altro, oltre al cibo che mancava tra le loro mani.

Ryunosuke allunga la mano e, senza pensare, la posa sulla testa di quella ragazzina, che si gira verso di lui, con un’espressione neutra.

“Tu lo hai portato qui con l’intenzione di farlo proteggere da noi.”

“Cos’ha fatto quel ragazzino che deve chiedere protezione a noi?”

Ryunosuke tira indietro la mano e abbassa il mento. La ragazzina si alza in piedi e tira giù a testa, per guardare l’espressione di Ryunosuke. Gli schiaccia il peluche in faccia, solo per poi tirarlo indietro e mostrare un sorriso divertito. Gin sarebbe stata così?

“Quel ragazzino lavora duro. Cos’altro volete sapere di lui?”

È stato il pensiero che avrebbero potuto mangiare, insieme a Gin, entrambi con la pancia piena, che ha spinto Ryunosuke a rubare due dei kimono più costosi dal negozio di Chisato. È entrato in piena notte. I kimono erano più grandi di lui, li ha piegati, messi in una scatola nello stesso modo in cui Chisato gli aveva insegnato e li aveva venduti a poco meno del loro prezzo originale. Quella ragazza aveva detto che non riusciva a compare un kimono perché erano tutti troppo costosi. Ryunosuke e Gin hanno mangiato per quasi un anno, con quei soldi. Era la prima volta che Ryunosuke rubava. Rubava sul serio.

“Che cosa ha fatto, Chuuya?”

Nakahara sospira.

Ryunosuke si gratta la nuca, tirando la testa un po’ in avanti.

“Sai, onii-chan” sussurra la bambina, prendendo una ciocca dei suoi capelli tra le dita. “I samurai portavano i capelli lunghi. Li legavano così. Tu li sai legare così?” Ryunosuke sospira. La bambina aspetta una risposta, con la testa inclinata, sempre più inclinata

Voleva tenere un kimono, per Gin. Ma anche se avesse avuto i soldi per comprargliene uno, sarebbe stato troppo pericoloso, farla vestire come voleva vestirsi lei. Era pericoloso. Ryunosuke non poteva proteggerla. Non è mai riuscito a farlo. È sempre stato il contrario. “I samurai non proteggevano le bambine.”

“E i ninja?”

“I ninja portavano i capelli corti.”

“Non sei molto simpatico.”

Ryunosuke si accarezza il retro del collo. “Non vengo pagato per essere simpatico” risponde, con la fronte aggrottata. Gira la testa verso la porta dietro la quale i signori Izumi e Nakahara stanno discutendo.

Ha ragione, quell’idiota di Atsushi ha ragione. Con una cravatta, Ryunosue si sarebbe sentito soffocare, ha il collo che gli va in fiamme. Sente di avere davvero troppo caldo. Atsushi, prima di salutarlo gli ha detto: spero che tutto vada bene, anche se non te lo meriti. Non capisce perché gli viene in mente adesso. Non capisce nemmeno perché si stia aggrappando a quelle parole.

Spero che tutto vada bene.





[...he understood far more deeply than anyone else the loneliness that lurked beneath his jaunty mask.]

Piove.

Ryunosuke guarda fuori dalla finestra. Si è svegliato e pioveva. È venuto fino al negozio degli Izumi e pioveva. È entrato in negozio e pioveva. Il sole ancora non si era nemmeno alzato dietro le nuvole e pioveva. Tuona anche. Se non ricorda male, oggi è uno di quei giorni in cui deve incontrarsi con Atsushi. Dopo che lui va a scuola, certo, deve prendersi tutto il tempo per andare fino in agenzia e posare le sue cose, poi cambiarsi, perché, gli ha detto questo Kunikida-san di cui non fa altro che parlare, anche quando deve conoscere la città, rappresenta la sua agenzia e quindi non possono permettersi che lui si faccia vedere con un maglione di Hello Kitty. Però piove. Non aveva mai piovuto i giorni in cui si sono incontrati. Ryunosuke ha visto Atsushi solo sotto il sole. Ha la sensazione che oggi non riuscirà a vederlo.

Ryunosuke si passa una mano sul polso. Non sta sudando, ma ha un po’ di caldo. Izumi-san gli sistema il kimono sulle spalle. È già il terzo che prova. Lei dice che non gli piace come il colore si abbina alla pelle di Ryunosuke e lui si è dovuto mordere la lingua per non rispondere che a lui non è che importi tanto. Quel kimono non è certo suo e, alla fine della giornata, dovrà darlo indietro. È a malapena una divisa. Spera che non gli detraggano niente dallo stipendio.

La stanza è silenziosa. Kyoka, la bambina che ha chiesto a Ryunosuke perché non vuole essere un samurai, sta seduta composta, con le ginocchia ben chiuse e il suo coniglietto bianco tra le mani. Non dice nulla. Ognuno lì dentro, ascolta la pioggia. Questo sembra essere il kimono giusto. Izumi-san si muove intorno a Ryunosuke e non sorride, ma sembra soddisfatta. Come se lo stesse per comprare in un’asta. Come se Ryunosuke fosse un qualche tipo vaso antico da valutare.

“Il nero sembra essere il tuo colore.”

È una cosa risaputa che i kimono maschili sono più brutti di quelli femminili. O meglio, come Gin vuole che lui dica, meno belli. I kimono femminili sono colorati e pieni di decorazioni. L’obi che indossano viene piegato e annodato in modo differente per dare risalto alla figura che c’è sotto l’abito stesso. I kimono maschili sono semplici, di solito nascosti da un haori e con un obi basso, con un nodo semplice. A Ryunosuke, questo kimono non sembra un granché. Ci sono uomini che quando indossano il kimono diventano più affascinanti. Sembra che Ryunosuke non sia uno di questi. Quindi si limita a non rispondere e ad arricciare le labbra. Si rifiuta di guardarsi allo specchio. Sente il petto che gli impedisce di respirare. Vorrebbe poter tossire.

Izumi-san gli sistema il kimono una seconda volta. Controlla che l’obi sia ben riposto, prima di sorridergli. “Porti il nome di uno scrittore, lo sapevi questo?” gli chiede, portandosi una mano sotto il mento. “Hai mai letto qualcosa di suo? Sono stati i tuoi genitori a darti questo nome?”

Ryunosuke si morde l’interno delle guance. Il suo nome è l’unica cosa che… “... mi hanno dato i miei genitori.” Metà della frase sembra essere uscito dalle sue labbra. Ryunosuke corruga un po’ la fronte e si porta una mano sulla bocca. Ma non ha mentito. Il motivo per cui sa che il suo nome è Ryunosuke è che Gin lo chiamava così fin da quando era molto piccola, storpiando un po’ le sillabe, okay, ma l’unica persona in questo modo accanto a lui lo chiamava in quel modo. E l’unica persona in questo mondo che lui voleva chiamare, ricordava, per qualche motivo, che portava e porta il nome Gin. Come un pesce rosso. Per anni non hanno avuto un cognome. È stato Dazai-san a dargliene uno. Forse pensava che fosse una battuta divertente, dare a un ragazzino con la licenza media il nome di un grande scrittore. Lo deve aver fatto per ridere. “Solo il nome.” Non ricorda il suo cognome prima. Non pensa davvero di averne avuto uno.

Anche Atsushi ha il nome di uno scrittore. Lo ha visto leggere un libro di un certo Nakajima Atsushi. Uno scrittore secondario, morto giovane, che conoscono in pochi, non lo conosceva nemmeno Atsushi, fino a poche settimane fa. Non sa perché adesso sta pensando a lui. Quando ha scoperto il suo omonimo scrittore, Atsushi ha inclinato la testa, ascoltando una guida parlare di come quell’uomo fosse morto ad appena trent’anni per un polmonite. Ha cercato di sorridere. Deve essere stato un augurio del direttore.

A lui, i suoi genitori non hanno lasciato nemmeno il nome.

“Conosci il percorso per arrivare al tempio?” gli chiede ancora Izumi-san, con un gomito posato sulla mano e un sorriso elegante. Sua figlia, Kyoka, della sua eleganza ha poco. Per quanto si sieda composta e per quanto cerchi di seguire il galateo, si vedono ancora le croste sulle caviglie di una bambina che gioca all’aperto, che cade sul cemento e che ride a voce troppo alta. Kyoka non assomiglia a sua mamma. Deve ancora costruire questa maschera che Izumi-san porta con sé. “La cosa che trovo singolare è la tua storia, Akutagawa-kun. Chuuya ti ha presentato come un ladro per sopravvivere. Tu e tua sorella. Un racconto di Akutagawa Ryunosuke parlava proprio di questo. Cosa è giusto fare per sopravvivere? Va bene rubare? Va bene rubare ai morti? Tu hai rubato ai morti?”

Ryunosuke deglutisce. Guarda da un’altra parte. Qualsiasi cosa lui abbia fatto, sono affari suoi. E in qualsiasi guaio lui si fosse cacciato -se ne è tirato fuori, anche se a volte tirarsene fuori vuol dire aspettare che tutte le persone coinvolte muoiano.

“Chuuya chiede di nasconderti in piena luce del sole. È nasconderti quello che vorresti fare?”

Ryunosuke lancia uno sguardo a Kyoka, che, annoiata, gira il suo coniglio di peluche ancora e ancora e ancora. “Volevo vendetta” risponde con un fil di voce. “Per le persone che hanno portato via, io volevo vendetta.” Abbassa lo sguardo. Non gli è mai piaciuto mentire a persone a cui può dire la verità. “La voglio ancora.”

Izumi-san arriccia le labbra. Il rossetto le rende più carnose. In questo posizione sembrano essere un cerchio soffice. “Ma?” gli chiede alzando un sopracciglio.

Ryunosuke prende un respiro profondo. “Ma” sospira, ruotando gli occhi. “Non so contro chi. Non so come. So, per ora, che ho solo mia sorella. E per lei vorrei una vita tranquilla. Qualcosa di normale.” In cui può indossare i vestiti che vuole e giocare con dei peluche. Ed essere rude se vuole essere rude e delicata se vuole essere delicata. In cui queste cose non le porteranno un problema o dolore o pericolo. In cui può ridere. Gin non ride da davvero tanto tempo. Gli piacerebbe saperla felice.

Izumi-san posa una mano sulla sua testa e arriccia piano le dita. “E perché questa cosa non va bene per te?” gli chiede a bassa voce. Poi sorride. “Il nero è il tuo colore e il blu mette in risalto la pelle. Da domani, Koyo si prenderà cura di te e Kyoka. Hai due settimane per imparare tutto. Poi inizierà la settimana di prova. Questo mese sarà retribuito.”

“Perché mi ha chiesto se conosco il percorso per arrivare al tempio? So cosa è un sando.”

Izumi-san scrolla le spalle. Un rossetto rosso che ha poco a che fare con il kimono, o i suoi capelli. Lo deve aver messo per accentuare il suo sorriso.

Fuori continua a piovere.


 



“Com’è il nuovo lavoro?” gli chiede Nakahara, seduto di fronte a lui con le gambe accavallate e la giacca posata sulle spalle. Non guarda verso Ryunosuke, ma qualcos’altro, come se fosse in attesa che qualcosa compaia, che qualcuno arrivi. È seduto con Ryunosuke. Non è seduto solo con Ryunosuke, però. Non emotivamente, almeno.

Ryunosuke non sa da dove vengano i soldi che Nakahara spende nelle cose più strane, come il vino di prima che loro nascessero, o su cappelli che un giorno gli copriranno la sua testa pelata e altre cose del genere. O almeno. Deve fingere di non sapere da dove vengono tutti quei soldi, come deve fingere di non sapere da dove vengono i soldi degli Izumi, nonostante il loro negozio sia sempre vuoto. Si è lasciato sfuggire un commento del genere l’altro giorno, con Atsushi. Erano in stazione. Atsushi aveva alzato lo sguardo verso il cielo e aveva detto che una volta era scappato dall’orfanotrofio. Non gli ha spiegato il perché, gli ha detto però che era scappato dall’orfanotrofio e si era infiltrato in una gita scolastica che stava andando da qualche parte. Un teatro, ha scoperto poi.

Ryunosuke prende una zolletta di zucchero tra le dita. Non sa perché gli viene coì tanto in mente Atsushi. Se assottiglia gli occhi, riesce a vederlo accanto a lui, l’aria frizzante dopo una pioggia leggera, le labbra socchiuse, le mani unite dietro la schiena e quel disgustoso maglione di Hello Kitty. Riesce a vederlo, accanto a lui, che incontra il suo sguardo e, forse per il nervosismo, sorride. Ryunosuke si passa una mano sulla fronte. Se la gratta. Prende un’altra zolletta di zucchero da far cadere nella sua tazzina.

Gli ha detto, Atsushi, che c’è stata una cosa che qualcuno ha detto, in quel teatro, che gli è rimasto in testa per settimane. Aveva detto, quel tipo: se anche nessuno venisse in questo teatro, se anche nessuno venisse a vedere questi spettacoli, questo teatro non chiuderà mai. Così tanto costano i biglietti. Una sola persona, con un solo biglietto, potrebbe coprire i costi dell’intero teatro. Un intero teatro. Grande imponente, ornato di filamenti d’oro. Un solo biglietto. Una sola persona.

Ryunosuke gli ha chiesto perché era scappato dall’orfanotrofio. Atsushi non ha risposto. Ha piuttosto chiesto a sua volta: non è per questo che gli Izumi ti tengono con loro?

“Perché tu mi tieni con te?” si lascia sfuggire, prendendo una terza zolletta di zucchero tra le dita.

Nakahara sospira. “Come sta Gin?” chiede a sua volta. È la seconda domanda che fa ed è la seconda domanda a cui Ryunosuke non ha intenzione di rispondere. Non che Nakahara ormai si preoccupi troppo delle risposte. Continua a guardare verso la finestra, muove il piede sotto il tavolo. Nemmeno si gira a guardarlo, Ryunosuke.

Ryunosuke si chiede -prende un’altra zolletta di zucchero. Si chiede come reagirebbe Nakahara se gli rispondesse. Se gli dicesse che ha incontrato una tipa coi capelli rossi che gli sta dando il tormento, che parla sempre di postura e di spalle rilassate e di come i vestiti occidentali abbiano rovinato l’eleganza del modo di vestirsi giapponese. Potrebbe raccontargli che lo ha sentito parlare con gli Izumi e che sa quello che sta cercando di fare, aiutare lui e Gin, non ferire il loro orgoglio. Ryunosuke potrebbe raccontare a Nakahara che detesta Atsushi con tutto il suo cuore, che non lo vuole più vedere, ma che quando Atsushi è accanto a lui -Ryunosuke potrebbe raccontare che Gin ha intenzione di andare a trovare un suo vecchio insegnante e che rimarrà fuori città per una o due settimane. Potrebbe raccontargli che forse -ha pensato che potrebbe ricominciare a studiare. Sia Ryunosuke che Gin, potrebbero andare a delle scuole serali, prendere un diploma. Gli piacerebbe. Atsushi ha detto che gli sembra un’idea brillante. Nakahara la trova un’idea brillante?

Questi incontri, però hanno poco a che fare con una persona che è davvero interessata a Gin e a Ryunosuke.

Per la strada, sopravvive il più forte. Quando non hai una famiglia, si sopravvive in gruppo. Nakahara ha perso il suo gruppo. Gin e Ryunosuke hanno perso il loro gruppo. Più o meno è successo nello stesso modo, quasi nello stesso periodo. Ryunosuke non sa perché Nakahara ha voluto prendersi cura di lui e Gin, è ancora giovane, è appena diventato maggiorenne e ogni tanto passa dei soldi a due orfani. Ha detto: beh, se vogliono vivere da soli, facciamo finta che sono io che li controllo. Trova dei lavori a due orfani. Tiene lontano da Gin chiunque potrebbe farle del male. Ma non lo fa né per Gin né per Ryunosuke. Lo fa per qualche altro motivo che Ryunosuke non capisce e che non ha intenzione di capire.

Nakahara prende un respiro profondo. “Dazai dice che ti ha trovato un amico e che andate molto d’accordo.”

Ryunosuke e Atsushi non sono amici.

Ryunosuke guarda la tazzina di fronte a lui. Dovrebbe chiedere di nuovo per quale motivo lo tiene ancora con lui. O cambiare domanda. Chiedergli quando lo ha incontrato, Dazai-san, o perché parlano ancora tra loro. Nakahara aveva detto che non gli avrebbe parlato mai più. Non lo ha mai sopportato. Nakahara a Dazai-san non sono mai riusciti a lavorare insieme o a stare insieme. Forse è questo che Nakahara non perdona a Dazai-san. Forse Nakahara ci ha provato e Dazai-san no. Forse ci hanno provato entrambi e hanno fallito e Nakahara deve e vuole dare la colpa a qualcuno. Beh, di sicuro questi non sono affari in cui Ryunosuke deve mettere il naso.

“Potresti parlarne con me, sai?” continua Nakahara, guardando fuori dalla finestra. “Del tuo amico. Del lavoro. Te l’ho trovato io il lavoro, te lo ricordi, sì?”

Ryunosuke prende un’altra zolletta di zucchero. La gira tra le dita. “Cosa vuoi?” Si morde l’interno delle guance. Mantiene lo sguardo basso. “Che ti ringrazi?”

Nakahara incrocia le braccia. Koyo sarebbe fiera di lui e del suo portamento. Il modo in cui posa il gomito sulla mano, o come mantiene la schiena dritta, le spalle rilassate. Koyo ha parlato del modo in cui tutto il corpo sembra ed è molto più rilassato quando le persone indossano il kimono. Nakahara sembra essere il suo modello principale, forse anche lui ha imparato qualcosa da lei. Forse si conoscono. Koyo ha detto che l’eleganza è il miglior modo di vendersi e di sedurre. Se Ryunosuke si sedesse in questo modo davanti ad Atsushi, lui…

“Non lo voglio.” Nakahara scuote la testa. “Ho già quello che volevo.” Muove la mano verso la tasca interna della giacca e tira fuori una bustina marrone, che fa scivolare sul tavolo. Poi prende il suo portafogli e tira fuori delle banconote, da lasciare sul tavolo. Si sistema il cappello sulla testa e si alza in piedi. “Il prossimo mese, stesso giorno, stessa ora, stesso tavolo. Porta anche Gin. Non la vedo da molto. Se hai bisogno di più soldi, chiamami.”

Ryunosuke vorrebbe poter ringraziare Nakahara in modo normale. Prende la busta coi soldi. Li infila nella tasca della giacca. Nessuno gli ha mai spiegato come ci si deve comportare in modo normale, però. Ringraziare qualcuno vuol dire far vedere loro che si aveva bisogno del suo aiuto- Per strada, avere bisogno di qualcuno vuol dire firmare la propria morte. E questo Ryunosuke non se lo è mai potuto permettere. Ha deciso molto tempo fa che non ha intenzione di morire.

 




L’appuntamento con Atsushi era all’una del pomeriggio. Alle dodici e quarantacinque, è uscito il sole dopo una mattinata di pioggia e la testa di Atsushi è comparsa dietro la vetrina del negozio di kimono degli Izumi, con un sorriso. E Kyoka, in piedi immobile con le mani intrecciate davanti alla pancia, impassibile per ore, ha inclinato un po’ la testa e si è portata una mano sulle labbra, con le orecchie rosse. Ryunosuke ha ruotato gli occhi.

Non ha tempo per pensare anche ad Atsushi, in realtà. Ha paura che se iniziasse a pensare a lui, o questa strana reazione di Kyoka, dimenticherà tutte le cose che ha imparato da Koyo, che vorrebbe essere chiamata per cognome e con un onorifico (preferirebbe il dono), ha detto, ma a Ryunosuke questa cosa non importa e continua a chiamarla Koyo. Ci sono molte più cose di quelle che Ryunosuke ha memorizzato quando era piccolo da imparare sui kimono, sembra, e ci sono dei termini da ricordare, ci sono troppe esperienze tattili (come dice Koyo) da ricordare. Se verrà preso come commesso, dovrà parlare coi fattorini, dovrà parlare con le persone che danno loro il tessuto per i kimono, o per gli obi, deve essere abbastanza indipendente da riconoscere da solo se è possibile fare un affare coi fattorini o coi commercianti che si presentano da loro.

Questo e, beh, deve ricordare i diversi tipi di kimono (tomesode, furisode, tsukesage...), i diversi tipi di obi (maru obi, fukuro obi, chuya obi...) -ha praticamente già dimenticato tutto. Ryunosuke sbarra gli occhi e appoggia i gomiti sul bachetto in cui lo avevano asciato a studiare. Quali erano i nodi degli obi e quali erano i tipi di obi e quali dovevano essere fatti per i kimono femminili e quali per i kimono maschili? E come si facevano? Koyo ha detto qualcosa su delle lezioni pratiche sull’aiutare a far indossare i kimono, che parte dall’indossare lui stesso un kimono senza fare disastri. Come? Come può ricordare tuto? E poi -non è che i clienti vengano fino a qui e gli chiedano ehi, ma come si chiama questo tipo di obi? E come lo fai? Non lo fanno. Tutto questo è stupido. Gira la pagina con gli appunti che ha preso oggi e poi torna alla pagina in cui si trovava alla fine. Ha voglia di sbattere la testa. Vogliono solo torturarlo, ecco cosa. Stringe la mano in un pugno. Odia questa situazione.

In più, lo sa che se anche passasse la settimana di prova questo vorrebbe dire che farebbe da fattorino per un qualche tipo di affare non proprio legale degli Izumi. Non vuole ficcare il naso. Non crede che sia chissà che cosa di sbagliato, se gli daranno dei soldi in più e se lui può far finta di star solo portando da una parte all’altra dei tessuti preziosi. Gli basta rimanere pulito fino ai vent’anni di Gin. Cioè deve rimanere pulito per quattro anni e sperare che, quando Gin sarà maggiorenne, non avrà più bisogno di lui, così non la trascinerà ovunque lui vada a finire. E ha quattro anni per pensare a come vendicarsi. Magari fare da fattorino per gli Izumi lo aiuterà a fare conoscenze importanti per arrivare a chiunque debba arrivare, o per capire che cosa è successo di preciso. A lui. A sua sorella. Alla sua famiglia.

Ma per farlo, deve imparare i nodi degli obi. Gli si chiudono gli occhi. E non ha voglia di pensare ad Atsushi. Lui è quel tipo di persona che risucchia chiunque stia intorno a lui. Quando Atsushi gli ronza intorno, Ryunosuke non fa altro che pensare a lui. Lo detesta. Si passa una mano trai capelli. Deve pensare a come vendicarsi. Deve pensare anche a Gin.

“Non è quella la postura di qualcuno che indossa un kimono.” Koyo colpisce la nuca di Ryunosuke con il ventaglio. Il ventaglio, che fa venire un brivido lungo la schiena di Ryunosuke, si muove verso il suo mento, per fargli alzare la testa e prendere di nuovo una posizione composta. Koyo gli batte sulla parte bassa della schiena con la mano due volte. “Devi rimanere dritto. Guarda Kyoka.”

Kyoka tiene la testa un po’ bassa, lo sguardo puntato verso qualche parte oltre il braccio di Atsushi, che è entrato nel negozio. Sorride un poco. Ryunosuke non lo sa come fa, ma Kyoka sta sorridendo senza sorridere. E fa quello sguardo languido verso Atsushi. Ryunosuke non vuole per niente fare come fa lei. Davvero non capisce perché dovrebbe prendere esempio da una dodicenne con una cotta per un deficiente. “Sembra un’idiota.”

“Parla così un gentiluomo?”

Atsushi sorride verso Kyoka, le dice qualcosa, le passa una mano sulla testa e Kyoka sembra star per prendere fuoco. Certo che si sta comportando come una fanciulla con le gote arrossate. È una ragazzina con le gote arrossate. E questo è così irritante. Non è anche un po’ troppo precoce? Kyoka ha solo dodici anni. E Atsushi non sembra rendersene conto, di queste attenzioni, cosa che rende il tutto solo una grandissima perdita di tempo. O no?

Quando lo sguardo di Ryunosuke e Atsushi si incontrano, Atsushi sorride e alza una mano per salutarlo. Ryunosuke torna a guardare il suo quaderno degli appunti. Riesce a vedere con la coda dell’occhio che Atsushi sorride e poi sospira, tirando giù le spalle.

I nodi degli obi. Come si chiamano i nodi degli obi e come si fanno? Quali sono i tipi di obi? Quali sono i tipi di kimono? Loro in questo negozio vendono gli yukata? Quali sono le differenze principali tra i kimono femminili e quelli maschili? Perché Atsushi lo continua a fissare, mentre risponde con pazienza alle domande di Kyoka? Dovrebbe dirgli di farsi i fatti suoi e che dovrebbe aspettare fuori da qui, certo non lì. Questo è il posto in cui lavora, certo non dove va a fare l’idiota o dove va a giocare. Ryunosuke sente di avere le orecchie calde, per qualche motivo.

Non è la prima volta che Atsushi si fa vedere dagli Izumi. Nell’ultima settimana, Atsushi e Ryunosuke dovevano incontrarsi tre volte e Kyoka ha insistito che si incontrassero qui, visto il brutto tempo. Ryunosuke ha fatto finta di non sapere il motivo di questa sua richiesta. Ma è divertente vedere quel gatto randagio in mezzo a un negozio di cristalli.

“Mi piace” sta dicendo Atsushi, con un sorriso. Indica con un dito Ryunosuke. “Il kimono di Akutagawa. Come gli sta. È molto affascinante, non pensi? Sembra un’altra persona.”

Lo ha detto solo per dargli fastidio. Ryunosuke adesso sente anche il petto caldo, la punta del naso che pizzica un pochino, e gli occhi che gli si offuscano, come se volesse mettersi a piangere. Non gli deve deve dare retta. Gli obi. Gli obi. Dovrebbe pensare al tipo di obi, al tipo di nodi, deve guardare il suo quaderno. Si porta entrambe le mani sulle orecchie. Chiude gli occhi.

“Qual è il tipo di persona che ti piace, Atsushi-kun?”

Ryunosuke prende un respiro profondo. Gli obi. I tipi di kimono. La differenza tra…

“Immagino che qualcuno di gentile possa andare bene.”

Ryunosuke sente di aver tirato giù le spalle e, per un mezzo secondo, forse di meno, si è lasciato sfuggire un'espressione sul viso. No. Gli obi, i nodi dell’obi, i kimono, i tipi di tessuti, i tipi di… Ryunosuke aggrotta la fronte. Deve concentrarsi. Non ha tempo per queste cose. Non ha tempo per Atsushi.

(Ryunosuke non è qualcuno di gentile, comunque.)


 




I soldi di Nakahara di solito coprono l’affitto e la spesa. Gin si siede con le gambe unite davanti a Ryunosuke e, insieme, contano quanto sono riusciti a racimolare in questo mese, come hanno sempre fatto e come continueranno a fare per almeno altri quattro anni. I soldi guadagnati da Gin, non servono a coprire nulla, motivo per cui Ryunosuke li rimette nella busta e li spinge verso di lei. I soldi che sono stati guadagnati da Ryunosuke, vanno insieme ai soldi di Nakahara, invece, nel caso durante la spesa settimanale o giornaliera che sia manchino soldi. Togliendo i soldi per l’affitto, per pagare acqua, corrente elettrica e gas, a loro rimane poco più di trecentomiladuecento yen. Ryunosuke dubita sia abbastanza per la spesa di un mese intero, ma conta con l’arrivo della settimana retribuita in negozio. Se anche lo pagassero mille yen, ogni centesimo conta per lasciare che sua sorella sia un po’ più libera.

Gin guarda la sua busta dello stipendio e arriccia le labbra. Non hanno passato molto tempo insieme, nelle ultime settimane. Gin non ha lasciato molto spesso i suoi capelli sciolti, pare. A lei piace sciogliersi i capelli. Le piace indossare dei vestiti e camminare. Dice sempre che va bene anche solo camminare. Ryunosuke abbassa lo sguardo. Non fanno una passeggiata insieme da molto tempo.

“Quando andrai a fare la tua…?” inizia a chiedere. Ryunosuke si passa una mano sul retro del collo. Dovrebbe chiedere quando ha intenzione di andare a trovare il suo vecchio maestro, quello di cui parla a volte. Gin deve averglielo detto, ma ha dimenticato le date, la settimana. Non per cattiveria, è stata solo una svista, non sa come dirglielo.

Gin continua a guardare la busta coi soldi. Ha le sopracciglia aggrottate. La spinge di nuovo al centro del tavolo. Giocherella con le dita, sotto il tavolo. Ryunosuke riesce a vedere questo movimento solo per colpa delle spalle. Gin non è una persona che parla tanto. Non lo è mai stata neanche quando erano piccoli e, per qualche motivo, sembra che crescendo la cosa sia peggiorata. Nakahara ride sempre di loro, per questo. Dice, ed è una cosa a cui Ryunosuke sente di dare troppa importanza, che Gin non parla molto perché non ha bisogno di farlo. Ogni volta che vuole dire qualcosa, alza gli occhi verso suo fratello, che indovina cosa succede in mezzo secondo. È un talento, ride Nakahara, lui pensava che quei due avessero un qualche potere psichico, che magari parlavano per telepatia. Ma no. È solo abitudine. È per abitudine che Ryunosuke sa anche che cosa vuole dire in questo momento Gin.

“Se ti fai qualche amica” le dice. “Potresti andare a compare qualcosa insieme a lei. O a lui. Qualcosa che ti piace. Perché non tenere i tuoi soldi?”

Gin non si muove. Non apre bocca. Ryunosuke non si aspettava un’altra risposta, è sincero. Non ha comunque intenzione di toccare i soldi di Gin. Torneranno utili più tardi. A Gin, certo non a lui. Allunga il braccio e prende di nuovo la busta.

“Prima del tuo viaggio, andiamo a prendere vestiti nuovi” le dice. Questi soldi, insieme a quelli del mese prima e del mese prima ancora, devono finire nel fondo per Gin quando sarà diventata maggiorenne. Nakahara gli ha detto che nessuno può prelevare dal conto che ha fatto loro, finché Gin non avrà vent’anni. Ryunosuke non si fida molto di quel tipo e controlla che i soldi non siano spariti quasi ogni settimana, perché fidarsi non è mai bene. Pensa di mettere l’ anche questo stipendio di Gin. Qualsiasi cosa succeda, almeno sotto il punto di vista finanziario dovrebbe stare bene. “Quando sei libera.”

Gin alza i lati delle labbra. Sorride un po’. Se Ryunosuke fosse una persona distratta, avrebbe perso il suo sorriso.

Fuori città, Gin può indossare tutti i vestiti che vuole. È meno pericoloso. Ryunosuke spera che, quando si separeranno, Gin vada in campagna e possa tenere i suoi capelli slegati e che, per una volta, almeno per lei, le cose vadano bene. Non è il tipo di persona che esprime desideri, ma spera che questo suo desiderio sia esaudito.


 




Dazai-san si porta un pezzo di carne in bocca e sembra estasiato dal sapore, tanto da chiudere gli occhi e unire le mani insieme. Ha anche le guance un po’ arrossate, ma quello deve essere per il riscaldamento alzato al massimo del locale. Atsushi, accanto a lui, non sembra essere estasiato. Sembra solo star pensando a quanto gli costerà questo pranzo e al fatto che ha dovuto invitare anche Ryunosuke (che ha la brutta abitudine di non riuscire a dire no a due cose)(la prima è: a Dazai-san, ovvio)(la seconda è: a un pasto gratuito). Ryunosuke cerca di concentrarsi sulla carne nel bel mezzo del tavolo, che scoppietta sopra dei carboni ardenti. È sempre voluto venire in posti del genere. Anche lui è molto contento di poter mangiare carne.

Ryunosuke muove le bacchette tra le dita e corruga un po’ la fronte. Il piatto di Dazai-san è pieno di carne. Il piatto di Ryunosuke ha qualche pezzo di carne. Il piatto di Atsushi è vuoto. È una cosa a cui sta facendo sempre più caso. Non è solo una questione di crêpe, Atsushi sembra non riuscire a mangiare più di tanto. E se ci riesce, trova sempre delle scuse per non farlo. Come dire. Atsushi non sembra essere il fan numero uno del cibo, che è una cosa strana, visto che ogni volta che Ryunosuke gli chiede perché torna all’orfanotrofio, se ci sta così male, risponde che torna lì perché ha fame. Che non riesca a mangiare fuori dall’istituto?

Dazai-san sta dicendo qualcosa con la bocca piena, ma Ryunosuke non riesce a capire, né sente il bisogno di capire qualsiasi cosa stia dicendo. Gioca ancora con le bacchette, gira un pezzo di carne e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, la appoggia sul piatto di Atsushi. Non aspetta una risposta, torna a guardare il suo piatto e a scegliere che cosa mangiare dopo. Atsushi muove il piatto di lato, per allontanarlo da Ryunosuke, come il ragazzino capriccioso che è.

“Dovresti accettarla” si intromette Dazai-san, con un enorme sorriso. “È difficile che il nostro Akutagawa-kun condivida qualcosa, non lo sai? Dalle parti da cui veniamo noi, il cibo scarseggia sempre. L’unica cosa a cui si pensa è che non importa se l’altra persona non mangia, basta che io sopravviva. Ed eppure, eccolo qui, il nostro dolce, gentile e altruista Akutagawa-kun, pronto a condividere un bene così prezioso.”

Ryunosuke non sa come questo discorso suoni alle orecchie di Atsushi, se pensa che Dazai-san lo sta elogiando o se sta solo ridendo di lui, per quello che gli riguarda. ma è un rimprovero. Glielo dicono gli occhi di Dazai-san. Freddi. Neri. Arrabbiati. Sembra che Ryunosuke abbia fatto qualcosa di imperdonabile, motivo per cui sente che forse l’aria condizionata di questo posto è davvero troppo alta e gli è difficile respirare bene. Forse un attacco di asma. Ryunosuke abbassa lo sguardo verso il suo piatto. Ha fatto un errore, quindi. Non lo sapeva. Non vuole fare errori. Non vuole deludere Dazai-san.

“Per quanto mi riguarda, se la può anche tenere” borbotta Atsushi. Le sue bacchette sono pulite. Non ha toccato cibo. Sarebbe sospettoso, se Ryunosuke non sapesse che questa feccia da orfanotrofio non sa nemmeno che cosa sia il cianuro, figuriamoci altri tipi di veleno. Voleva davvero solo essere…

Le orecchie di Ryunosuke sembrano star andando a fuoco. Si passa una mano sul collo e cerca di non pensarci. Lui voleva solo essere gentile. Come se lui fosse gentile. Come se Atsushi potesse anche solo pensare a lui come a una persona gentile. Non doveva accettare l’invito.

Dazai-san sorride ancora di più, divertito. Appoggia una guancia sulla mano a coppa e inclina un po’ la testa. “Andate d’accordo, voi due” dice. “Passeggiare insieme vi ha avvicinati?”

“È solo lavoro” rispondono all’unisono loro due.

Atsushi ruota gli occhi. Ryunosuke si passa una mano sul retro del collo e poi nasconde la bocca dietro la mano libera, per tossire. Sì. Forse è l’asma, per questo non riesce a respirare bene. Deve controllare di aver portato con sé l’inalatore, deve controllare anche che ci sia un posto areato in cui stare per qualche minuto. Anche se non vuole davvero lasciare tutta questa carne da sola. Non sa perché Atsushi mangi sempre poco e di malavoglia, davanti a lui, ma sa che non possono essere più diversi di così, loro due. Ryunosuke adora poter mangiare fino a che la pancia non è sazia. Perché potrebbe non esserci una prossima volta in cui mangia così.

“Aw.” Dazai-san inclina la testa ancora di più, fino a quasi toccare il tavolo coi capelli. “Tu non lo puoi sapere Atsushi-kun, ma quando ho incontrato Akutagawa-kun era alto più o meno quanto questo tavolo. Gli ho dato una volta soltanto un pezzo di pane e lui ha iniziato a seguirmi ovunque come se fosse stato un cane. È stato così sconveniente. E mi ha portato molti problemi. Ci sono stati giorni in cui avrei voluto non dargli quel pezzo di pane. Ci sono volte in cui avrei voluto che morisse di fame. Questo mi rende una brutta persona?”

Ryunosuke crede di trovarsi in mezzo a una conversazione che non può capire del tutto. Non che gli importi. Cerca di concentrarsi sul cibo, piuttosto. Se Dazai-san ha qualcosa da dire ad Atsushi e ha intenzione di usare quella storia -beh, non è che lui non la conosca e non sappia cosa pensava Dazai-san ai tempi. Non è nemmeno così delicato da rimanerci male. Dazai-san, anche provando fastidio o irritazione nei suoi confronti, lo ha salvato da una morte certa. E non soltanto lui. Ha salvato sua sorella. Portando del cibo avanzato non una, non due, non tre volte ma ogni volta che loro avevano bisogno. In cambio di informazioni, in cambio di posti in cui andare, in cambio anche di cose da portare, ma li ha comunque salvati. Atsushi non può certo giudicarlo per questo. E a Ryunosuke non importa.

Atsushi lancia uno sguardo verso Ryunosuke e poi torna a guardare Dazai-san. “Anche quello era solo lavoro” risponde con un tono certo, una sicurezza che è difficile da sentire in lui.

Che Dazai-san stia testando la sua lealtà?

Ryunosuke corruga la fronte e alza lo sguardo per vedere il sorrido di Dazai-san. Sta cercando di capire quanto può fidarsi di Atsushi? Davanti a Ryunosuke? Usando Ryunosuke come mezzo per il test, addirittura? Ryunosuke mangia la carne, portandosela in bocca tutta intera e iniziando a masticare, per girarsi verso Atsushi.

Quando li ha incontrati, non gli era sembrato che ci fosse qualcosa che non andava. Atsushi ha smesso di sorridere quando ha visto Ryunosuke e ha anche ruotato gli occhi, ma questa è solo la norma. Che Dazai-san stia pensando a qualcosa? Che l’agenzia in cui lavorano non basti più? Vuole chiedere loro qualcosa? Vuole sapere a chi va la loro lealtà? Di entrambi? Non pensava che Atsushi fosse un ragazzino anche troppo innocente per capire il tipo di mondo in cui vivevano? Se sta congetturando qualcosa, allora perché portare un novellino come lui in questa faccenda? E, domanda più importante, è per questo che ha chiesto proprio a Ryunosuke di portarlo da una parte all’altra della città?

“Non mi vuoi chiedere com’era Akutagawa-kun da bambino?” ride ancora Dazai-san.

Atsushi ruota gli occhi. Ryunosuke continua a mangiare.

“Allora era alto così, gli occhi erano più grandi, si sono rimpiccioliti col tempo, un vero peccato se lo chiedi a me, e aveva sempre le mani sporche. Ugh. Si aggrappava ovunque, toccava sempre tutto e poi si aggrappava alla mia giacca sporcandomela tutta. Davvero disgustoso.”

“Non ho chiesto niente di tutto questo” si lamenta Atsushi. A Ryunosuke non importa. Basta che possa continuare a mangiare, per il resto, potrebbe anche non essere lì.

“Da bambino rideva molto” continua Dazai-san. Tira giù la mano e incrocia le braccia davanti al petto. “Ah. Questo ha attirato la tua attenzione” punzecchia Atsushi, indicandolo con gli indici. “Okay okay, allora ti dirò che Akutagawa-kun da piccolo rideva molto spesso e aveva un senso dell’umorismo preoccupante, lo facevano ridere le cose più stupide. Una volta è scoppiato a ridere per un rospo. Sembra che il rospo abbia fatto il suo verso e abbia gonfiato le guance. Akutagawa-kun ha iniziato a ridere ad alta voce, anche battendo le mani. E gli piaceva quando altre persone si facevano male. Se qualcuno cadeva da una bicicletta, dovevi raccogliere il tipo sulla bicicletta e anche Akutagawa-kun, che si piegava in due dalle risate fino a non riuscire a sostenersi più sulle sue stesse gambe. Poi ha smesso.”

“Perché?”

Ryunosuke non vuole sentire e nemmeno vuole sapere. Dazai-san scrolla le spalle. “È un mistero il nostro Akutagawa-kun” sospira. “Hai fatto così tante domande a me... perché non lo chiedi al diretto interessato adesso?”

Atsushi gira la testa vero Ryunosuke. Sembra star pensando. E anche Ryunosuke sta pensando, perché Dazai-san ha detto che Atsushi ha fatto tante domande. Domande su Ryunosuke? È per questo che Dazai-san ha iniziato a parlare di lui? Per rispondere a quelle domande? In questo ristorante fa caldo. Ryunosuke dovrebbe alzarsi in piedi e andarsene.

“Non mi è mai piaciuto ridere” taglia corto, allungando la mano per prendere un altro pezzo di carne.

Atsushi abbassa o sguardo. “Ah.” La base del suo collo diventa rossa. Si accarezza la fronte con la mano sinistra, quella più vicina a Ryunosuke, forse per chiudere un loro qualsiasi contatto visivo. Dazai-san, davanti a loro, sembra essere deliziato da qualsiasi cosa stia succedendo. Sorride, nasconde le labbra dietro una mano. Scuote anche un po’ la testa, come se si trovasse davanti al più bel spettacolo comico a cui ha mai partecipato.

Ryunosuke si chiede che cosa sta succedendo.




[A man sometimes devotes his life to a desire which he is not sure will ever be fulfilled]

La prima volta che Ryunosuke vede Atsushi in una giornata senza sole, è anche il primo giorno in cui loro due si sono incontrati in un giorno in cui non si sarebbero dovuto incontrare, e il primo giorno in cui Atsushi non sorride, nemmeno per cortesia a nessuno. E Ryunosuke guarda verso l’alto, le gocce di pioggia che non vogliono smettere di cadere e che rendono tutto solo molto triste, l’aria fredda di metà dicembre che vuole già fargli gelare le ossa.

Ryunosuke è in stazione perché ha accompagnato Gin al suo treno. L’ha salutata. Le ha anche dato un abbraccio. E ha pensato che per questa settimana il loro appartamento sarebbe stato molto vuoto, senza lei che passeggia da una parte all’altra, con una tazza di tè o di caffè o di qualche strano infuso tra le mani. E mentre si sistemava la giacca e pensava a questo, ha visto Atsushi, senza giacca, con le braccia incrociate che guardava verso l’alto, forse in attesa che la pioggia smettesse di cadere. Ha qualcosa in mano. Sembra un vecchio libro. Non deve volersi muovere dalla stazione per non bagnarlo, da bravo secchione.

Ryunosuke ha pensato anche a questa cosa di Atsushi. Per quello che gli ha raccontato, i vestiti che Atsushi indossa sono vestiti che altri orfani prima di lui hanno indossato. Per avere quell’orrendo maglione per cui tutti ridono di lui, quello di Hello Kitty, quello di Pikachu, quello orrendo con degli strani disegni colorati, Atsushi ha dovuto lottare con altri ragazzi e, ha detto ridendo, ha dato una gomitata a uno dei più piccoli perché magari questi non erano i maglioni più belli del mondo, ma erano i maglioni meglio tenuti, quindi quelli che lo avrebbero tenuto più al caldo. Ryunosuke inclina un po’ la testa. Deve aver perso la lotta per una giacca, Atsushi, visto che non ne mette mai una. I vestiti che ha a lavoro sono, appunto, per il lavoro, e li tiene da qualche parte in agenzia, perché, Ryunosuke prova a indovinare ma è pronto a scommettere che lo faccia per non farseli rubare.

Atsushi continua a guardare il cielo. Si sfrega le mani contro le braccia. Non è una cosa che fa davanti a Ryunosuke. Di solito, anche se fa freddo, Atsushi riesce a non rabbrividire. È forte a modo suo, ora che ci pensa. Atsushi. Lo è nei modi più strani, ma non per questo non lo è. Crede.

Ryunosuke ha un ombrello. Lo tiene legato al polso, per non perderlo e trovarlo subito, in giornate del genere. Atsushi sembra non averne uno. Sono le dieci del mattino. Non dovrebbe stare a scuola? E non dovrebbe indossare un’uniforme? Ryunosuke ha davvero tante domande. Non le chiederà mai, ma le ha.

Si avvicina ad Atsushi con calma. Studia il suo viso. È quasi perfetto. Ha le guance un po’ scavate. Sembra essere preso nei suoi pensieri. A cosa pensa? È una cosa importante? A Ryunosuke piace il viso di Atsushi. Il fatto che Atsushi sia anche facile da amare è una tragedia, dal suo punto di vista. Il profilo di Atsushi è uno di quelli semplici che sembrano venire fuori da una matita morbida. Forse perché è ancora così giovane, ha dei lineamenti che sono molto curvi e morbidi. La curva del suo naso è tonda, la curva delle sue labbra è ovale, e non ci sono linee dure. Ryunosuke non sa a cosa compararle, non è così bravo con le parole, preferisce parlare poco per questo. Ma gli piace il profilo di Atsushi, anche se è un po’ corrucciato, come oggi. Oggi è la prima volta che può pensare a una cosa del genere. Ryunosuke inclina un po’ la testa. Stringe l’ombrello. Dovrebbe chiamarlo? Dovrebbe cercare di risvegliarlo dai suoi pensieri? Atsushi è una spina nel fianco, ma a Ryunosuke piace. Dovrebbe lasciarlo qui, da solo, a congelare?

Ryunosuke sospira, sfilandosi un braccio dalla giacca. No. Forse non dovrebbe farlo. Dazai-san sembrava essere arrabbiato con lui quando ha servito ad Atsushi un pezzo di carne, quanto potrebbe arrabbiarsi per un gesto di gentilezza come dargli la sua giacca perché fa freddo? E non è solo Dazai-san, Atsushi è un tipo testardo e orgoglioso a modo suo, soprattutto quando c’è di mezzo Ryunosuke. Dargli la sua giacca, non sarebbe come ferirlo, in qualche modo? Ryunosuke corruga la fronte. Ma fa freddo. E piove. Cosa dovrebbe fare? Lui non è una persona gentile. Non lo vuole essere. Ma fa freddo e Atsushi non ha una giacca.

Ryunosuke si sfila anche l’altro braccio dalla giacca e la tira in testa ad Atsushi. Se poi vorrà iniziare a litigare, allora Ryunosuke girerà i tacchi e se ne andrà da qualche altra parte a farsi gli affari suoi.

Atsushi sbatte le palpebre e si guarda intorno, e quando vede Ryunosuke, aggrotta le sopracciglia e guarda la giacca nera che gli è caduta in testa. Non sembra capire. Non sono affari di Ryunosuke se quest’idiota non da nemmeno che cosa dovrebbe farci con una giacca. Davvero. Ha intenzione di andarsene via. Tra tre ore inizia il suo turno in negozio e Koyo ha detto che un gentiluomo bla bla bla. Questi sono i suoi ultimi giorni di prova. Non può permettersi nessun errore, motivo per cui deve andare a casa e farsi una doccia e ripassare ancora una volta i kimono, le categorie, il simbolismo e altra roba del tutto inutile, nel caso Koyo comparisse dal nulla e gli facesse una domanda senza preavviso. Non ha tempo per Atsushi.

“Che ci fai qui?” chiede comunque. Perché a quanto pare è un idiota e gli piace ficcare il naso negli affari di Atsushi. Deve essere un masochista. Gli piace fare domande a qualcuno che gli risponderà male e con cui finirà per litigare. “Non hai scuola?”

Atsushi continua a guardare la giacca. Stringe le dita intorno al tessuto e poi abbassa le spalle, sconfitto. Non sembra avere la stessa energia che ha di solito. Sembra stanco. E triste. E sul punto di scoppiare a piangere. Ryunosuke spera davvero tanto che non gli scoppi a piangere davanti. Non saprebbe cosa fare. Atsushi si infila la giacca. “Siamo in pausa invernale” risponde con mezza voce. Guarda verso i binari del treno. Incrocia le braccia. Doveva sentire davvero molto freddo, quindi.

“E cosa ci fai qui?”

Atsushi inizia ad abbottonare la giacca. È così preso da questo suo semplice compito che nemmeno guarda negli occhi Ryunosuke. Guarda solo i suoi bottoni. Parte da quello più lontano. E questo attira l’attenzione di Ryunosuke sulle sue mani. Ha le unghie mangiucchiate. Porta i guanti senza dita, quelli che di solito tiene con la sua divisa da lavoro. C’è una parte del palmo che si riesce a vedere, però. Una parte scura. Più scura del resto della pelle della mano. Ryunosuke non si era reso conto di questo.

“Ti ho fatto una domanda.”

“L’ultima volta che ho controllato non eri mia madre” ribatte Atsushi, alzando lo sguardo verso di lui. Sì, è di cattivo umore. Di pessimo umore anche. Non che a Ryunosuke cambi qualcosa. Atsushi serra la mascella e sembra rendersi conto solo in questo momento di quello che stava facendo. Accettare qualcosa di Ryunosuke. Un aiuto. Una giacca. “‘Fanculo.” Inizia a sbottonarsi la giacca, questa volta dal bottone più in alto, con una mano e le dita che gli scivolano sui bottoni ancora e ancora, rendendogli difficile sbottonarli.

Non fare l’idiota. Dai. Non fare l’idiota. Ryunosuke posa una mano sulla mano di Atsushi, per fermarlo. Fa freddo. Non ha una giacca. Ryunosuke non lo fa perché è gentile, è solo che poi Dazai-san si arrabbierebbe, sarebbe di cattivo umore perché uno dei suoi sta male, non lo può certo permettere questo. Non vuole. Atsushi ha le mani calde e il viso rosso e non si muove, quando Ryunosuke lo tocca. “Che ci fai qui?”

Atsushi ruota gli occhi. Fa una smorfia con le labbra. Scuote la testa. “Cercavo un…” Tira giù la mano, fa un passo indietro. “Niente che ti possa interessare.”

“Ti hanno cacciato?”

“No, loro non… i-io.” Scrolla le spalle. “Me ne sono andato io, non sono loro che mi hanno cacciato.”

Ryunosuke lascia passare un secondo di silenzio, per pensare. Non sembra essere stata una cosa premeditata. Forse è successo qualcosa e Atsushi è solo uscito dall’orfanotrofio. Non ha una borsa, non ha una giacca, non ha di sicuro nemmeno soldi, solo quel vecchio libro. Sono solo le dieci del mattino e dover passare il tempo senza scuola deve essere difficile per lui. Quanti anni ha? Sedici? Diciassette? In una famiglia normale è giusto e anche necessario che un ragazzino della sua età passi per la fase della ribellione. Se anche Atsushi dice che è scappato, Ryunosuke ha la sensazione che ha intenzione di tornare all’orfanotrofio il prima possibile, se non perché fa freddo, perché ha fame, e sopporterà ogni tipo di punizione. Per freddo e per fame. È inutile perdere tempo una causa persa.

“Va bene.” Si infila le mani nelle tasche dei pantaloni. Ha già fatto troppo. Se Dazai-san scoprisse che Ryunosuke è stato così gentile con Atsushi, cosa potrebbe succedere? Se si arrabbiasse sul serio? Se la prossima volta non fosse solo un rimprovero nascosto da una battuta ma qualcosa di peggio? “Chiama i tuoi amici se hai problemi.”

Atsushi non si degna di rispondere. Torna a guardare la pioggia, col mento puntato verso l’alto. Tiene il libro ben stretto contro il petto.

Ryunosuke, questi non sono affari tuoi.

Ryunosuke, hai già fatto più di quanto dovessi fare.

Ryunosuke, non farti trascinare.

Ryunosuke tira indietro la testa, soffocando un sospiro profondo e rumoroso. Prende da sotto il gomito Atsushi e apre l’ombrello. “Tu vieni con me” gli dice, e inizia a trascinarlo per la strada. (il braccio di Atsushi sembra essere fatto di sole ossa)(a Ryunosuke sembra che potrebbe spezzarsi con una stretta troppo forte)(e questo pensiero lo fa soltanto arrabbiare).


 




Atsushi parla quando Ryunosuke accende l’asciugacapelli. Lo fa arricciando un po’ il naso e poi le labbra, nel primo sorriso del giorno.

Ryunosuke non ha mai collegato Atsushi alle giornate di sole. Succede solo che ogni volta che loro due si incontrano è giorno e c’è il sole. Non c’è però persona più differente dal sole di Atsushi. Una volta aveva pensato che Atsushi avesse a che fare di più con la luna, se avesse dovuto pensare a qualcosa a cui collegarlo. Forse proprio perché non lo ha mai visto di notte, la luna sembrava essere fatta per accompagnare Atsushi ovunque andasse, anche senza farsi vedere e poi sorgere in cielo quando Atsushi era al sicuro. Sono pensieri strani. Ryunosuke non dovrebbe pensare a queste cose.

Non sapeva dove portare Atsushi, quindi lo ha portato a casa sua. Non sapeva quali vestiti dargli dopo essersi bagnati sotto quella pioggia pesante d’inverno, che sembra volerti buttare per strada insieme a lei, quindi gli ha dato i suoi vestiti. Ryunosuke sente di sta oltrepassando una linea che non dovrebbe oltrepassare. La casetta che condivide con Gin è piccola ed è segreta, privata, discreta, nessuno di loro ci ha mai portato qualcuno. Questa casa è il loro posto sicuro. Non capisce perché ha deciso di portare un problema qui. E perché gli sta asciugando i capelli.

Atsushi inizia a parlare quando l’asciugacapelli fa rumore. Si passa l’asciugamano sul retro del collo e sta seduto, composto, davanti a Ryunosuke, che passa le mani trai suoi capelli, per farli asciugare più in fretta. Lo fa sempre anche con Gin. Atsushi ha tirato indietro la testa, per incontrare lo sguardo di Ryunosuke e sembra essere confuso anche lui. Non gli chiede ehi, perché stai facendo una cosa del genere? Lo guarda e basta, prima di tornare a guarda dritto di fronte a sé.

“Sono scappato solo una volta, prima” gli dice. Deve star parlando perché crede che il rumore dell’asciugacapelli copra la sua voce. In mezzo al salotto, seduto con le ginocchia unite e le mani sulle cosce, Atsushi ha bisogno di parlare ma non ha bisogno di essere ascoltato. Ryunosuke gli può fare anche questa gentilezza. È forse l’unica che può fargli senza sentire di star facendo lui qualcosa di sbagliato. “Quando sono andato a quel teatro. Perché -io... non c’è momento che ricordi della mia vita in cui non sono stato orfano. Il direttore dice che i miei genitori mi facevano male. Che mi picchiavano. Quando sono scappato la prima volta, è stata anche la prima volta in cui mi ha picchiato il direttore.”

Ryunosuke finge di non sentire. È normale che i bambini vengano picchiati, da queste parti. Perché, dicono, non imparano mai, sono stupidi, non capiscono come va il mondo. Il metodo più veloce per far capire qualcosa è far loro male quando fanno qualcosa di sbagliato. Punizioni, botte, minacce o insulti, non importa. I bambini così capiscono e possono decidere loro cosa fare della loro vita, se scegliere una via, piuttosto che un’altra. È quell’amore duro, ripetono, che non esiste e che fa solo del male. Ryunosuke lo ha scoperto quando si è ritrovato nella situazione di persona amante. Pensava di dover rendere le persone forti e per prepararle doveva scuoterle dal loro torpore fiabesco, in cui nessuno avrebbe fatto loro del male. Se anche una persona che ti ama può farti male, immaginare cosa potrebbe fare un estraneo è spaventoso. Ma necessario. Botte, insulti. È anche il modo in cui si è approcciato ad Atsushi. Insulti.

Ryunosuke passa le dita trai capelli irregolari di Atsushi. Passa capello per capello. La cute che sembra essere poco nutrita, i capelli che ora sembrano brillanti. Lo ritiene debole. Atsushi è di sicuro più debole di Ryunosuke. Muove l’asciugacapelli, a destra e a sinistra. Quindi dovrebbe venire più scosso di quanto lo sia adesso?

“E io mi sono detto… no. Non voglio.” Atsushi scuote la testa. “Ma non poteva durare, perché non avevo un posto in cui andare e nemmeno del cibo, era davvero una battaglia persa in partenza. E ho pensato -per non morire di fame, magari lo posso sopportare. Per un po’. Giusto un po’.” Abbassa la testa. Guarda quel libro che si è stretto al petto per tutto il tempo.

I capelli di Atsushi sono più lunghi da una parte e più corti dall’altra. I pezzi che erano rimasti come buchi in cui i capelli sembravano essere stati rasati, ora sono coperti dai dei capelli un po’ più lunghi. È comunque un disastro di acconciatura. Si vede che nessuno lo rispetta all’orfanotrofio, nemmeno i ragazzini più piccoli. E ha una testa calda.

Per sbaglio, Ryunosuke tocca l’orecchio di Atsushi, con il mignolo ed è bollente, come se si stesse cucinando col suo stesso calore corporeo.

“Sai? Sono arrivato al punto in cui mi sono detto va bene me.” Atsushi non grida sopra l’asciugacapelli. Ryunosuke non sa nemmeno che espressione ha adesso. Questo discorso, è inutile ripeterlo, non è perché Ryunosuke ascolti e lui vorrebbe davvero non capire quello che Atsushi sta dicendo adesso. Ma assorbe ogni parola. Ricorda ogni frase. Non gli piace questa cosa. “Cioè se tanto mi odi, se mi detesti con così tanta passione, deve esserci un motivo. Non lo voglio sapere, certo che no, però va bene. Ti odierò indietro. E va -va bene se anche io lo odio, giusto? E comunque penso okay, capisco che odi me, capisco che vuoi fare male a me, ma potresti non fare male alle cose che amo? A quelle che mi piacciono, ecco. Ha -ha strappato delle pagine. Erano -non sono riuscito a salvarle e... non potevo certo rimanere lì. Devo fare qualcosa, giusto? Perché -perché va bene tutto, va bene me, ma perché anche…”

Ryunosuke muove l’asciugacapelli, spinge la testa di Atsushi di lato, per asciugargli i capelli dietro le orecchie. Se è così, forse allora questa volta non dovrebbe tornare indietro. Se sta cercando di mettere un limite a quello che succede lì, se pensa che abbiano toccato qualcosa che non dovevano toccare e che lui voleva difendere. Per quale motivo pensa che Ryunosuke non ha mai accettato di finire in orfanotrofio? A lui le botte non fanno paura, non fanno paura nemmeno le punizioni. È venire separato da Gin che gli fa paura. È l’idea che facciano a lei del male e lui non poterci fare niente, che gli fa paura.

Se per Atsushi questa cosa importante è questo libro -allora che rimanga fedele a questo suo stupido libro. Che lo protegga. Non era stato lui a dire che l’amore è, per un certo grado, protezione?

Atsushi ride piano. “Perché mi piace tanto il tuo tocco, Akutagawa? Qual è il tuo segreto?” chiede. Non è una domanda che doveva raggiungere le orecchie di Ryunosuke. Non è qualcosa che gli voleva chiedere per davvero. Gli vuole solo dare fastidio, vuole ridere, vuole ridicolizzare la situazione. Per se stesso. Ryunosuke in questo non c’entra niente. E non c’entra niente nemmeno la curva del collo di Atsushi, non c’entra niente nemmeno la pelle morbida sotto il suo tocco.

Ryunosuke spegne l’asciugacapelli e lo sbatte sul tavolino di fronte a loro, prima di alzarsi in piedi. Atsushi non batte una palpebra, mentre segue il suo movimento. “Vado a lavoro” annuncia. È tardi. Il suo turno inizia a l’una, oggi. Non può fare tardi, sono gli ultimi giorni di prova.

Atsushi tira indietro la testa, per guardarlo sottosopra. “Buon lavoro.”

“Rimani solo finché non avrai sentito i tuoi amici. Poi vattene.”

Atsushi aggrotta le sopracciglia e arriccia il naso. “Guarda che nemmeno io sono felice di stare qui.”

Ryunosuke sente di star per impazzire.


 




“Ah, la presenza di Nakajima-kun rende, in qualche modo, sia la nostra Kyoka che il nostro Ryunosuke i modelli perfetti per il negozio di kimono, non pensi anche tu, Koyo?” Izumi-san sta ridendo di loro. Unisce le mani insieme e il suo sorriso sembra essere luminoso. I suoi movimenti sono lenti. La sua voce è pacata. Ha lasciato che parte del collo si vedesse, quando si è girata verso Koyo, ma non lo ha fatto con nessuna volgarità, solo per mostrare la bellezza del kimono che indossa, e come i colori che porta siano in tono con la sua pelle pallida. Perfettamente bianca. Muove il ventaglio. “Sembra che la sua sola presenza rilassi le spalle di Ryunosuke e ravvivi il viso della mia piccola Kyoka.”

“È di sicuro una ventata di aria fresca” commenta Koyo, con un sorriso. “Qualcuno che sembra essere nato per lasciare che una persona elegante si appoggi al suo avambraccio.”

“Quel tipo di persona che non brilla, per lasciare che la persona al suo fianco brilli” concorda Izumi-san, annuendo.

Ryunosuke le guarda, mentre le ascolta parlare. Non sa che cosa voglia dire che le sue spalle sono più rilassate, quando Atsushi gli ronza intorno, ma non crede che sia vero. Non sa nemmeno che cosa ci fa qui Atsushi, nel negozio, con delle carte in mano che mostra a Kyoka, come se fosse una specie di mago. Gli aveva detto di aspettare una risposta da un qualsiasi suo amico e poi di andarsene da casa sua. Ma sembra che Atsushi si sia annoiato e sia venuto a prendere Ryunosuke alla fine del turno.

Piove. È questa la scusa che ha usato, mostrando due ombrelli che ha portato da casa. Per non farlo bagnare una seconda volta, gli ha portato un ombrello. E ora è in attesa di poter -cosa? Tornare a casa insieme? Quella non è casa di Atsushi. Quella è la casa di Gin. Spera davvero tanto che questo idiota non stia mettendosi comodo in posto che non appartiene né a lui né a Ryunosuke che lo ha invitato lì. È stato un errore. Quando c’è di mezzo quel tizio, Ryunosuke perde sempre la testa, dimentica che non dovrebbe prendere decisioni seguendo le emozioni. È pericoloso.

Ryunosuke si gira a guardare Atsushi che a sua volta lo guarda e gli sorride, con la testa un po’ inclinata. Viene sgridato da Kyoka, quando questa cosa succede. Perché sta giocando con lei, non con Ryunosuke. Perché dovrebbe guardare lei. Almeno mentre parlano, dovrebbe guardare lei.

È uno dei capricci più frequenti di Kyoka. Ryunosuke prende un respiro profondo e cerca di non arrabbiarsi. Koyo ha detto che per essere un commesso in questo negozio deve guadagnarsi la fiducia degli Izumi e deve anche non creare problemi, essere il modello dei kimono che stanno vendendo. Quindi deve seguire i principi della calma, dell’eleganza e della pazienza. Se sapesse suonare un qualche strumento, sarebbe stato meglio. Koyo dice che la sua educazione ha un peso non indifferente nella scelta di assunzione. Il che vuol dire che, già in quell’ambito, Ryunosuke è fottuto. Deve compensare con tutto il resto. Ma. Stava pensando. È uno dei capricci più frequenti di Kyoka, quando Atsushi viene a prendere Ryunosuke a lavoro, chiedere e pretendere che Atsushi guardi soltanto lei.

Si è allenata tanto anche lei. Per quello che Ryunosuke ha sentito, Kyoka sta imparando a suonare il koto e un giorno vuole far sentire ad Atsushi un qualche pezzo che ha sentito una volta.

Ryunosuke abbassa lo sguardo. Forse, quello che vogliono dire Koyo e Izumi-san è che sia Ryunosuke che Kyoka vogliono mostrare, per qualche motivo, il proprio valore ad Atsushi. Kyoka per colpa della sua stupida cotta adolescenziale, è inutile fingere di non vedere. Ryunosuke lo vuole fare solo per poi schiacciarlo e farlo sentire inutile. (E perché un po’ anche a lui piace quando Atsushi lo guarda)(ma non è la stessa cosa di Kyoka)(non lo è).

“Ryunosuke, caro” lo chiama Izumi-san.

Ryunosuke si gira verso di lei. Aspetta il cenno di Koyo prima di avvicinarsi ad entrambe e, appena è in piedi davanti a Izumi-san, fa un piccolo cenno con la testa. Pazienza, equilibrio, e altra robaccia che deve portare avanti altrimenti lo stipendio mensile se lo scorda.

Izumi-san gli sorride per dargli la sua approvazione. “Sciocco ragazzo” lo chiama con un sorriso dolce. “Hai forse capito il motivo per cui ti ho fatto studiare con così attenta devozione l'obi?” Muove il ventaglio e alza un sopracciglio, indicando con lo sguardo Atsushi che prova a spaventare Kyoka per farle perdere la compostezza.

Ryunosuke guarda Kyoka ridere piano e Atsushi arricciare le labbra, con quella falsa indignazione che gli adulti ostentano quando fingono di perdere contro un bambino. “Credo di no, Izumi-san" risponde poi, girandosi per guardare le espressioni delle due donne di fronte a lui. Non riesce a dire delle bugie così sfacciate a delle persone di cui dovrebbe guadagnare la fiducia. Sarebbe controproducente. E si è lasciato trasportare dall’irritazione di vedere qualcuno trasportare Atsushi in una conversazione in cui non c’entra nulla.

Izumi-san ride, portando una mano sulle labbra. “Sei onesto" lo congratula. "Potrai scoprirlo stando con noi il mese prossimo, allora. Te." Posa il ventaglio sul petto di Ryunosuke. "E anche il tuo amico, spero che venga a visitarci spesso."

Ryunosuke vorrebbe ribattere che lui e Atsushi non sono amici. Ma viene distratto dal pensiero che ha superato la settimana di prova, il mese di studio e le occhiatacce di Koyo. Sorride. Fa un cenno con la testa. “Si prenda cura di me anche questo mese" recita. Con questi soldi, potrà portare Gin a prendere qualsiasi vestito lei voglia mettersi. Senza guardare il prezzo, senza doversi nascondere.

Finalmente.

Uno qualsiasi. Da indossare quando vuole… perché Izumi-san ha di nuovo chiesto di Atsushi? Ryunosuke deglutisce. No. Ci penserà più tardi al perché. Adesso vuole solo godersi il momento.


 




Atsushi e Ryunosuke si sono bagnati sotto una pioggia scrosciante, nell’intento di non far bagnare invece il cibo che hanno deciso di portare a casa. Atsushi, appena sono entrati in casa, è scoppiato a ridere dei loro vestiti bagnati, del modo in cui avevano coperto con l’ombrello soltanto il cibo, del modo in cui si sarebbero dovuti cambiare una seconda volta per la stessa ragione della prima. Dicono che i folli sono le persone che continuano a ripetere la stessa azione finché non ottengono un risultato diverso. Forse quindi loro due sono dei folli. Ryunosuke ha ruotato gli occhi e lo ha mandato in bagno con un calcio, cosa che ha fatto ridere ancora di più Atsushi. Due folli, dice lui. Eppure qua di folle Ryunosuke vede solo se stesso.

È contento che in questa casa ci sia qualcun altro, oggi. Avrebbe sentito la mancanza della presenza di Gin, che può anche non essere molto rumorosa, ma che di sicuro prende il suo spazio. Questa casa, che fino a ieri gli era sembrata molto piccola, senza Gin sembrava troppo grande.

Non hanno preso poi tantissimo cibo. Solo quello che bastava per riempirsi la pancia dopo una giornata di lavoro. Atsushi sa cucinare soltanto il riso, Ryunosuke di solito non cucina ma mangia cibo confezionato o la frutta fresca che gli regalano. Cambiare, ogni tanto, fa bene. E vedere il tavolino del salotto così pieno con soli quattro piatti, per qualche motivo, fa sentire Ryunosuke -lo fa sentire bene. È stata una bella giornata. Sì. Beh. Togliendo Atsushi in attesa in stazione, era stata davvero una bella giornata.

“Dalle mie parti” si lascia sfuggire, guardando i piatti in tavola. Si siede con le gambe incrociate, prende le bacchette. “Dalle mie parti il cibo scarseggiava sempre, quindi ogni volta che potevo mangiare, cercavo di riempirmi la pancia il più possibile. Pensare che un giorno il cibo sarebbe stato regolare, che avrei potuto mangiare ogni giorno, non mi sfiorava nemmeno l’anticamera del cervello.” Avvicina la ciotola di riso a se stesso. La guarda. Il riso è buono anche quando è solo bianco. Ha un sapore tutto suo. Fa sentire a casa senza essere davvero a casa.

Atsushi è seduto accanto a lui, ma non mangia tantissimo. Con le bacchette prende solo un gamberetto fritto e torna a guardare Ryunosuke. È come se si aspettasse qualche parola o qualche frase. Quando Ryunosuke ricambia il suo sguardo, Atsushi sbatte le palpebre e poi sorride, giocherellando con le bacchette. “Stavo solo pensando” gli spiega, scuotendo la testa. “Che è la prima volta che mangiamo da soli noi due. Non pensavo che sarebbe mai successo.” Non stava pensando a questo, Ryunosuke ne è più che sicuro, ma non ha intenzione di ribattere.

Entrambi tornano a guardare il loro piatto. Il metodo di Ryunosuke è semplice ma anche molto efficace. Si mangia piano piano, un boccone alla volta, assaporando ogni chicco, ogni pezzo di verdura e di carne, ogni morso croccante di un gamberetto. Un passo per volta è anche il modo in cui ha affrontato tutta la sua vita. Il metodo di Atsushi, invece, è inconsistente. O meglio, non esiste. Perché Atsushi ha solo mangiato un gamberetto e poi è rimasto in silenzio, a guardare il cibo come se fosse una specie di suo nemico. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato nell’idea che lui mangi qualcosa. Non muove un muscolo. Questa cosa sta davvero facendo irritare Ryunosuke.

Ha detto che è rimasto all’orfanotrofio per il cibo. Non capisce perché allora non stia mangiando adesso. Non aveva detto che era scappato? Vuole davvero lasciarsi morire di fame, per questo?

Ryunosuke sente l’irritazione salirgli su per i pugni e ruote gli occhi, puntando le ginocchia sul pavimento. Posa una mano sul tavolino per non perdere l’equilibrio e con le bacchette prende un pezzo di carne e lo infila in bocca ad Atsushi, che, sorpreso, aggrotta le sopracciglia e si tira un po’ indietro, quasi cadendo sdraiato.

“Mi vuoi uccidere?” gli grida contro. Ha la bocca piena e parte delle labbra sporche di sugo.

“Mangia” sibila Ryunosuke. Lancia uno sguardo al tavolino. Se non ha intenzione di mangiare con le buone, allora lo farà magiare con le cattive. Prende un gamberetto e di nuovo si spinge verso Atsushi, per infilargli anche questo in bocca. Atsushi prova ad allontanarsi, aiutandosi coi gomiti sul pavimento, come se fosse un verme, motivo per cui Ryunosuke lo ferma, raggiungendolo e sedendosi su di lui a cavalcioni. “Ti giuro, se non mangi da solo, non ho problemi a infilarti le cose giù per la gola.”

Atsushi, sdraiato sotto di lui, coi capelli spettinati, le labbra sporche e gli occhi grandi che guardano verso di lui, sospira e rilassa le spalle. Alza le mani, per mostrare che si è arreso. “Guarda che se continui così poi penso che ti piaccio, eh” ride.

È strano vederlo ridere da questa posizione. I capelli di diverse lunghezze non gli cadono sulla fronte, lasciandola invece scoperta e Atsushi ride assottigliando gli occhi, ha anche una piccola fossetta sulla guancia destra. Anche se non è una risata divertita ma sarcastica, Ryunosuke non può fare a meno che inclinare la testa e guardarlo, in silenzio. Atsushi è un bel ragazzo. Il tipico ragazzo che è una perla nascosta perché non può permettersi dei vestiti come si deve. Se non fosse per quei maglioni, per la pettinatura che lo ha lasciato rasato a tratti, Atsushi saprebbe che è un bel ragazzo. E Ryunosuke non riesce a non pensare che le parole di Dazai-san sono vere e che è così dannatamente facile affezionarsi a lui e corrergli dietro e guardarlo fare cose stupide solo per poi salvarlo a mezzo secondo dal disastro, da essere pericoloso.

Ryunosuke corruga la fronte e deglutisce. Lui Atsushi, per i motivi di prima, lo detesta. “Non ti sopporto.” Gli infila un pezzo di patata in bocca e poi si tira via, per tornare a mangiare al suo posto. Stringe le bacchette in un pugno. No che non lo sopporta. Lo detesta. Ogni volta che vede Atsushi e i suoi pensieri iniziano a girare intorno a lui, Ryunosuke vorrebbe gridare e vorrebbe colpire i muri e vorrebbe piangere. Non piange da così tanto tempo e Atsushi gli fa venire voglia di piangere. “Mangia.”

Atsushi si tira su a sedere e si gratta la nuca. Ha il viso sporco di sugo e patate, adesso. Sospira. Ryunosuke vorrebbe baciargli via il cibo dalle labbra. Ah, ecco. Deve essere impazzito del tutto.

“Poi dormo sul divano?” gli chiede Atsushi, iniziando a mangiare del riso. Un chicco per volta.

Ryunosuke sente le orecchie rosse. Dovrebbe concentrarsi sul cibo. Deve tornare in qualche modo alla realtà. “Per me puoi anche dormire in mezzo alla strada.”


 




Ryunosuke ha sempre avuto problemi a dormire la notte. Sta sdraiato sul letto e guarda il soffitto buio. Non riuscire a dormire poi così bene deve essere un regalo dei suoi anni per strada con Gin. Dormire era pericoloso, qualcuno doveva sempre rimanere sveglio. Per proteggere i più piccoli. E lui era il più grande del gruppo. Rimaneva in piedi per ore a guardare le strade. In città non si vedono le stelle, sembrano essere quel racconto lontano di dei pazzi che vengono dalla città. E c’erano sempre tante voci, per strada, persone che litigavano, macchine che frenavano proprio un momento prima un possibile incidente. Adesso che ha una casa, piccola, vuota e silenziosa, sembra tutto così strano e idilliaco, che ha paura che addormentandosi potrebbe svegliarsi e trovarsi di nuovo in mezzo alla strada.

E forse sarebbe meglio.

Dormire su un letto gli ricorda come la sua famiglia non lo ha mai potuto fare. Ryunosuke stringe la mano contro le coperte. Gli ricorda Rin che piangeva ogni notte, perché dormire per terra le graffiava il viso, che poi bruciava. Dormire su un letto -Ryunosuke è fortunato a poterlo fare. Avrebbe voluto che anche loro avessero un letto caldo.

Dal salotto, ci sono dei passi pesanti e veloci. Iniziano e finiscono immediatamente, seguiti da una porta che si chiude e poi da un conato di vomito. Ryunosuke non muove la testa dal cuscino, ma lancia uno sguardo verso la porta. Atsushi sta dormendo in salotto. Si è addormentato alle otto di sera, come un bambino. Ha chiuso gli occhi, ha abbandonato la testa sul divano e Ryunosuke lo ha coperto con un piumone che lo tenesse al caldo. Adesso sembra essere sveglio, però.

Ryunosuke ruota gli occhi. Tira via le coperte e scende dal letto, posando un piede dopo l’altro sul pavimento. Deve essere corso in bagno a vomitare. Vomitare che cosa, poi, sembra un mistero. Ryunosuke segue i passi di Atsushi, fino ad arrivare davanti alla porta del bagno. “Oi tu” lo chiama, sopprimendo uno sbadiglio “Tutto bene?”

Atsushi non risponde, quindi Ryunosuke apre la porta, perché, davvero, non gli importa in che condizioni sta adesso, vuole almeno sapere che quel deboluccio non gli ha rovinato il tappetino del bagno, o che non gli ha vomitato sul tappeto. Quando apre la porta, vede Atsushi inginocchiato di fronte al bagno, c’è un odore disgustoso per tutta la stanza e sembra quasi che questo idiota stia anche piangendo. E ora perché piange? Un riflesso del vomito? Ryunosuke assottiglia lo sguardo e prova a ricordare le volte che ha vomitato, se ha iniziato a piangere, per qualche motivo. Non gli sembra. Deve solo essere che ad Atsushi piace piangere.

“Mi dispiace” mormora Atsushi, asciugandosi le lacrime con la manica del pigiama che Ryunosuke gli ha prestato. Tira su col naso, stringe un ginocchio con la mano. “Perché era buono, te lo giuro, era buono ma...”

Sta piangendo perché ha vomitato del cibo.

Okay. Ryunosuke sospira. Atsushi è davvero tanto da avere tra le mani. Vorrebbe che Kyoka lo vedesse così e le si spezzassero i sogni del cavaliere con l’armatura scintillante che pensa che Atsushi sia. Solo poche persone possono vedere qualcuno in questo stato. Con le mani che gli tremano, gli occhi rossi e gonfi e la puzza di vomito. Ryunosuke sospira di nuovo e, non vorrebbe avvicinarsi al water proprio adesso, ma sembra che lo debba fare. Direbbe che questa è un’intossicazione alimentare, se anche lui avesse gli stessi sintomi. Si inginocchia vicino ad Atsushi e gli tocca la pancia, per vedere se è dura o se… “Ma tu sei sicuro che a quell’orfanotrofio ti danno da mangiare?” gli chiede con una voce dura. Non è normale che un ragazzo dell’età di Atsushi, che dovrebbe essere sano, che dovrebbe essere forte, sia un ammasso di ossa del genere. Ryunosuke vorrebbe dire di più, ma la puzza di vomito non lo lascia nemmeno respirare. Muove Atsushi di lato e tira lo sciacquone, per poi controllare il pigiama che indossa.

Atsushi annuisce. Il suo pigiama è pulito. Lui ha solo la faccia rossa. “Due pasti al giorno. Riso bianco e la verdura dell’orto.” Alza due dita. Guarda verso il water e sembra venirgli da piangere di nuovo. “Ho sprecato tutto il tuo cibo.” La sua voce è bassa. Chiude gli occhi e nasconde il viso tra le mani.

Ryunosuke gli sistema la ciocca della frangetta abbastanza lunga da cadergli sulla tempia. Atsushi sta sudando, per qualche motivo. Due pasti al giorno, ha detto. Non sembra che in questi due pasti sia contemplata della carne o dei legumi. Può aver avuto un incubo e quindi essere venuto a vomitare per lo stress. Beh. C’è anche il fattore ansia e stress dell’essere appena scappato da un orfanotrofio. Ma Atsushi non mangiava tanto neanche prima della sua fuga. Forse non è abituato a mangiare fuori. Può sempre essere un fattore psicologico, più che il suo stomaco che non riesce a sopportare altro cibo che non sia riso bianco. Quando Atsushi dice: avevo fame e per questo sono tornato all’orfanotrofio… Ryunosuke corruga la fronte. Che voglia dire che non riesce, anche se vuole mangiare cibo fuori dall’orfanotrofio?

Atsushi continua a piangere, anche se in modo silenzioso, davanti al water. Ryunosuke prende un asciugamano arancione da dietro di lui, per aiutarlo ad asciugare il sudore.

Se c’è un blocco psicologico e Atsushi non riesce a mangiare fuori dal posto da cui è scappato… “Non importa” sussurra. Gli passa l’asciugamano intorno al viso. Deve convincere Atsushi a farsi una doccia veloce, per togliersi da sopra le spalle qualsiasi cosa sia successa nella sua testa nelle ultime ore. Ma non ha voglia adesso di litigare, quindi lascia l’asciugamano da parte e gli accarezza la testa sudata. “L’ho dato a te quel cibo, no? Quindi potevi farci quello che volevi. Anche vomitarlo.” Sarebbe stato meglio non vomitarlo, okay, ma non pensa sia quello il momento giusto per dirlo. E comunque lui… “Non lo considero sprecato.”

Atsushi sembra voler scomparire. Ryunosuke non è molto bravo in situazioni del genere. Ha voglia di lasciarlo lì a piangere e si sta pentendo di essere venuto fino a qui a vedere che cosa stava succedendo. Cosa dovrebbe dire adesso?

“Vado a letto.” Si alza in piedi e sospira, allungando la schiena. Si muove verso la porta del bagno e lancia un’occhiata ad Atsushi, rannicchiato davanti al water. “Quando hai finito, vieni da me.”

Perché, se non si fosse capito fino ad ora, allora tanto meglio ricordare che Ryunosuke è uscito del tutto fuori di testa.


 




“Ah, Nakajima Atsushi! Come lo scrittore!” esclama Izumi-san, unendo le mani insieme. Ryunosuke scatta sull’attenti a sentire quel nome e si gira verso di lei, come se avesse chiamato il suo nome. “E anche come l’astronomo!” Izumi-san sorride. Indica col ventaglio Atsushi che, fuori dal negozio, sta parlando con qualcuno che… non è molto familiare a Ryunosuke, ma deve essere qualcuno della sua agenzia.

In questo momento non sta piovendo, ma ci sono delle enormi nuvole nere e sembra che fuori faccia abbastanza freddo da far scegliere ad Atsushi di prendere in prestito una delle giacche di Ryunosuke. Deve essere venuto a prenderlo, come aveva fatto il giorno prima, e deve essersi imbattuto in questo suo collega. E ora parlano. In effetti, dovrebbe essere una cosa buona perché .cioè, sì, Ryunosuke gli aveva detto di chiamare dei suoi amici, farsi ospitare da qualcuno e andarsene. Forse adesso loro -no, sì, nel senso che può essere la volta buona che si toglie di mezzo Atsushi, no? È una cosa buona. Crede. Ryunosuke corruga la fronte. Sì. No, sì, sì, deve essere una cosa buona, questa, dovrebbe essere felice e...

“Scusi, posso uscire per qualche secondo?” chiede a Izumi-san, con un cenno della testa. E il sorriso di lei è così divertito, mentre gli dà il permesso di andare ovunque vuole andare col ventaglio. Izumi-san, per qualche motivo, è sempre molto divertita dalle reazioni di Ryunosuke. Ma lui non ha voglia di stare lì a pensare a questo, soprattutto quando -ma non è che lui voglia andare a fermare una qualsiasi conversazione che potrebbe fermare Atsushi da andare via dal suo appartamento. solo curioso. Ecco, sì, curioso. Non -solo curioso.

Esce dal negozio e raggiunge Atsushi, che sta ridendo e rispondendo a delle domande, con calma, come se non ci fosse niente ad aspettarlo alla fine della sua camminata, come se Atsushi nemmeno lo conoscesse.

Questa è sola curiosità. Alla fine, si è dovuto sorbire la puzza di vomito e poi lui e Atsushi hanno dormito nel suo letto e Atsushi lo ha quasi calciato giù dal letto, perché non sa condividere un bel niente, a quanto pare. Quindi vuole solo sapere quale povero diavolo adesso se lo prenderà sulle spalle. Una zavorra come Atsushi è sempre difficile da portare da una parte all’altra. Ryunosuke non voleva certo trascinarselo sempre dietro. Certo che no. Vuole solo sapere chi verrà preso a calci nel sonno da quest’idiota, ecco. Sì. Tutto qui.

Si schiarisce la gola. Atsushi aggrotta le sopracciglia, prima di sorridere. “Ah. Akutagawa” lo saluta. Poi torna a parlare col suo collega. “Per favore, dì a Kunikida-san che sarò lì appena mi chiamerete. Con le vacanze invernali, ho davvero molto più tempo libero.”

“Kunikida-san ha detto che ci vuole lasciare riposare, durante le vacanze” risponde il tipo. Si infila le mani nelle tasche. Lancia uno sguardo a Ryunosuke. “Dovresti venirci a trovare, invece. Dico a me e a Naomi. Contro di lei non riesco mai a vincere a Uno, quindi potrei battere te.”

Atsushi ride piano. È una risata di cortesia. Ryunosuke ruota gli occhi. “Ti togli?” dice al collega di Atsushi. E Atsushi chiude gli occhi, prima di tirare la testa indietro. “Stai proprio davanti alla porta del negozio. Blocchi il passaggio.”

Il collega di Atsushi alza un sopracciglio, prima di sorridere e alzare le mani, in segno di resa. “Ah, mi dispiace Akutagawa-san, non volevo creare problemi. Stavo solo salutando…” Il suo sguardo passa da Atsushi a Ryunosuke, poi di nuovo ad Atsushi. “Per caso tu sei qui per lui?”

Atsushi ride a voce un po’ più alta di prima. Questa è una risata nervosa. “Dazai-san mi ha detto di…”

“Sono cazzi tuoi che ci fa lui qui?”

Il collega di Atsushi apre la bocca, forse per dire qualcosa. Dalla sua espressione sembra che voglia chiedere scusa, ma le scuse sono più lente del pizzico di Atsushi sul braccio di Ryunosuke. “Ma tu, per una volta, ti potresti comportare come una persona decente?” esclama esasperato. “Tanizaki-kun, mi dispiace. Sono qui perché Akutagawa mi ha promesso di finire i giri della città in queste due settimane. Sono arrivato un po’ troppo presto e quindi lo stavo aspettando fuori. Volevo passare a salutarvi uno di questi giorni, facevo un salto… ma ormai si è rovinata la sorpresa.” Sorride.

È bravo a mentire. Ryunosuke si passa la mano sul braccio pizzicato. Forse Atsushi è un po' troppo bravo a trovare scuse su due piedi. Si chiede cosa lo ha fermato dal mentire a Ryunosuke. Perché con lui è sempre così onesto?

Anche questo Tanizaki sorride. “Meno male che ti ho incontrato prima, se venivi a casa mia, mi trovavi con un ratto in mano a litigare per un pezzo di formaggio” ride. “Almeno adesso ho un motivo per mettere in ordine almeno il salotto.”

Atsushi scuote un po’ la testa, con un sorriso divertito. “Ti pare! Che importa?”

Questa conversazione sembra essere così impersonale da far salire i nervi a Ryunosuke da una parte e tranquillizzarlo sulla possibilità che questo ragazzino coi capelli castani e il sorriso da idiota potrebbe portare Atsushi da qualche parte per dargli rifugio fuori dall’orfanotrofio. “Non siete molto amici, voi due, vero?” chiede, con mezzo sorriso.

Atsushi chiude gli occhi. Tanizaki sorride e posa una mano sulla spalla di Atsushi. “Ah, ci stiamo prendendo i nostri tempi” risponde divertito. “Atsushi-kun, alla fine, non ha intenzione di scappare da nessuna parte, no? Abbiamo tutto il tempo del mondo.”

A Ryunosuke questo Tanizaki non piace per niente. Assottiglia lo sguardo, poi con una smorfia si gira e torna nel negozio di kimono degli Izumi. Non saluta. Non aggiunge una parola che non sia stata già detta. Anche perché -è davvero troppo irritato per parlare, non sarebbe dovuto uscire dal negozio, non avrebbe dovuto dare l’opportunità a quel tipo di dire delle cose del genere. È stata colpa sua. Ha fatto un errore, ha intenzione di rimediare.

“Hai imparato qualcosa di nuovo?” gli chiede Izumi-san, in piedi vicino a uno dei kimono che lei considera i più belli. Lo studia quasi tutte le mattine, sotto gli occhi attenti di Ryunosuke. Chissà perché.

Ryunosuke scuote la testa. Tutto il tempo del mondo, ha detto quel Tanizaki. E Atsushi ha sorriso, felice di quelle parole, le sue orecchie sono diventate rosse. Tutto il tempo del mondo questo grandissimo cazzo. Tutto il tempo del mondo Ryunosuke ha intenzione di rubarglielo.


 




“Non c’è molto da fare a casa tua” gli dice Atsushi, con le mai unite dietro la schiena. Si guarda intorno. Controlla le pareti. Gli mostra un libro -il libro con le pagine strappate che lo ha fatto scappare dall’orfanotrofio, e sforza un sorriso. “È l’unico libro che c’è in questa casa. Non ho mai visto una libreria vuota prima di venire da te. È una cosa un po’ triste, a pensarci. Nessuno ti ha mai regalato un libro? Nemmeno -Dazai-san non ti ha mai regalato un libro, magari di Akutagawa Ryunosuke, nemmeno per scherzo?”

Atsushi è quel tipo di persona che, a quanto pare, non riesce mai a smettere di parlare. Parla. Parla. Parla. Non si ferma mai. Quando lui entra in questa casa, la casa si riempie e prende ogni spazio disponibile, lasciando quel tanto che basta per altre due persone. Ryunosuke non ha intenzione di rispondergli o di fare conversazione, a dire la verità. È preoccupato. Atsushi prende tanto tempo e tanto spazio e tanta pazienza, che Ryunosuke non ha. Non si è dovuto dedicare a nessuno nello stesso modo nemmeno quando Gin era piccola. Atsushi è una palla al piede. Un deboluccio. Qualcuno che non vale nemmeno la pena uccidere o tormentare. Ma Ryunosuke si è offerto volontariamente a questa tortura. Anzi. Non contento, quando ha pensato che avrebbe potuto lasciare che Atsushi finisse per essere la palla al piede di qualcun altro, si è buttato con la testa bassa a bloccare una conversazione che avrebbe potuto fargli perdere un peso come quello che Atsushi.

Deve esserci qualcosa che non va nella sua testa. E deve essere che questo danno cerebrale glielo ha causato Atsushi con le sue chiacchiere, motivo per cui adesso Ryunosuke guarda, con la fronte corrucciata, le sue mani sopra gli appunti che ha preso sui kimono e gratta la parte di pelle intorno all’unghia. Deve solo ignorare Atsushi. Non ci vorrà poi molto.

“Allora facciamo così.” Atsushi si avvicina alla libreria vuota, occupata dalle sole chiavi e piccoli souvenir che Nakahara porta quando viene a trovarli. Posa il libro e si gira verso Ryunosuke. “Questo te lo regalo. È uno di quei libri che -conosci La freccia nera? È uno dei primi libri di Stevenson è anche uno dei primi… uhm, forse il primissimo libro occidentale che ho letto? All’orfanotrofio c’è una grandissima libreria, ma sono per lo più scritti teologici. Roba noiosissima su come si dovrebbe amare Dio e come si dovrebbe amare il prossimo e altra roba così. Però c’è anche una parte .non è molto grande ed è di sicuro molto nascosta. Ci ho messo anni a trovarla e c’è questa piccola ala in cui ci sono dei libri che sono di avventura. Romanzi di fantasia.”

Ryunosuke continua a grattarsi le pellicine delle dita. Piano piano, per non farsi male. Gli appunti che ha preso sono un po’ confusionari, ma è riuscito a ricostruire il suo percorso di pensieri mentre li scriveva. Oggi ha avuto la sensazione che Koyo volesse fargli qualche domanda di teoria e, l’unica cosa a cui lui riusciva a pensare era ad Atsushi. Averlo intorno mentre studia potrebbe essere un buon allenamento per imparare cose mentre c’è una distrazione intorno a lui. È un piano perfetto.

“Certo non potevano esserci troppi romanzi in quella sezione perché, con gli anni, sembra che tantissimi scrittori siano stati messi all’indice dal Papa. Tipo -lo sai che Harry Potter era all’indice da, mi pare, l’uscita del terzo o quarto libro? A scuola non ci credevano mai quando glielo dicevo. Ma era il motivo per cui non ho mai letto Harry Potter. Anche adesso non penso che non riuscirei a leggerlo perché ogni volta che provo a prendere uno di quei libri in biblioteca mi viene un nodo allo stomaco per il senso di colpa.”

Ryunosuke ruota gli occhi. “Sembra che hai lo stomaco sensibile, tu” borbotta. Sfoglia il suo quaderno degli appunti. Doveva ignorarlo e non è riuscito a farlo.

Atsushi alza un lato delle labbra. “Già, sembra.” Scrolla le spalle e giocherella con le pagine del suo libro. “Però, senti -no, non sono riuscito a vedere nemmeno i film. Ma posso vivere senza, no? E quindi, stavo dicendo -ti stavo raccontando, okay?, che se cercavi bene, andando da una parte all’altra della biblioteca verso un angoletto dove non andava nessuno c’era questo angolo pieno di questi romanzi ed è anche molto difficile trovare le persone, se ti nascondi lì. Quindi.” Dà un colpetto alla libreria. “Dovresti avere anche tu un posto del genere, non pensi? E il tuo primo libro… ta-dà! L’isola del tesoro! Un capolavoro, non pensi? Ora questa sì che sembra una vera libreria.” Atsushi posa le mani sui fianchi con un sorriso soddisfatto.

Ryunosuke gli lancia uno sguardo. Si morde l’interno delle guance. Potrebbe dire che non dovrebbe lasciare qualcosa di così importante per lui in casa sua. Atsushi qui non ci vive, Ryunosuke qui viene solo a dormire -a parte per gli ultimi giorni in cui torna a casa per poter stare con Atsushi. Perché lasciare uno dei suoi tesori da queste parti? Perché lasciarlo a Ryunosuke? O ha intenzione di rimanere qui per -per davvero tanto tempo? Ryunosuke chiude gli occhi. “Io quella roba non la leggo” decide di dire. Unisce le mani sul tavolino e alza un sopracciglio verso Atsushi.

“Perché no?” lagna Atsushi. Si lascia cadere in ginocchio e striscia verso il tavolino. Punta i gomiti contro il tavolino e tira giù le braccia. “C’è un personaggio, Barbecue, che secondo me ti piacerebbe. Sarebbe una specie di -è il tuo tipo. Dovresti leggerlo. Potresti leggerlo. Cioè, sì, manca una parte, ma ti piacerebbe. Poi, quando hai finito, ti porto le pagine. Riesco a trovare le pagine in più e te le porto, e poi…” Atsushi arriccia un po’ il naso con un sorriso. “E poi potremmo fondare un club del libro.”

Ryunosuke ruota gli occhi. “Non ho la minima voglia di fondare qualcosa con te.”

Atsushi sospira. “Mi sembra che tu sia entusiasta all’idea” gli dice. “Potremmo parlare della dicitura romanzo di formazione, o potrei raccontarti delle particolarità dei libri per ragazzi di Stevenson. E ti riempirei dei suoi libri. La freccia nera? Hai mai letto La freccia nera? Non sono mai riuscito a capire come i due protagonisti si sono innamorati, perché -è stato molto improvviso e molto… molto fiabesco, credo. Fossi stata in Joanna sarei stato così confuso. E tutta la parte di loro travestiti da frati e...” Si porta le mani sulla testa. “Lo puoi capire solo se lo leggi.”

“Sembra davvero una cosa estenuante. E molto infantile.”

“Non puoi dire che i classici sono infantili, sai?” Inclina un po’ la testa, appoggiando la guancia sul tavolino. “A meno che tu non li legga.”

Ryunosuke osserva il viso di Atsushi. Perché vorrebbe fargli leggere un libro che lui ritiene importante? Perché vuole che lo tenga lui? Non riesce davvero a capire la testa di questo tipo, ogni giorno gli sembra di impazzire dietro ai suoi ragionamenti. E poi di impazzire per colpa di quel suo sorriso pigro che ogni tanto fa. Del modo in cui arriccia il naso o le labbra. Del modo in cui piange e si lamenta e comunque continua a camminare da una parte all’altra della città, per scoprire i posti più nascosti che conosce soltanto Ryunosuke. Del modo in cui quasi grida Akutagawa, quando lo chiama. Del modo in cui ride. Del modo in cui si arrabbia. Del modo in cui lo pizzica. Del modo in cui fa dei lunghi discorsi in cui racconta delle cose che non importano a nessuno. Del modo in cui è la persona peggiore in questo mondo. Gli piace quando il suo viso è rilassato, come adesso, mentre chiude gli occhi.

“Izumi-san oggi, mentre ti cambiavi” gli inizia a dire Atsushi. “Mi ha parlato dei nodi dell’obi. Mi ha detto: non raccontarlo al nostro caro Ryunosuke, deve arrivarci da solo. E mi è venuta in mente una cosa.” Si accarezza la fronte con due dita, abbassa un po’ lo sguardo. “Ho davvero amato questo libro. Ma non posso tenerlo.”

Ryunosuke torna a guardare i suoi appunti. Posa una mano sulla testa di Atsushi, che ride piano. Forse dovrebbe leggere questo stupido libro, allora.

 



“Ho pensato che se il problema è che hai fame ma non riesci a mangiare, basterà darti poco cibo e poi tanto, finché non ti abitui.” Ryunosuke non riesce a dormire la notte. È una delle abitudini che gli sono rimaste da quando era piccolo. Ma oggi, invece di guardare verso il soffitto, gira la testa di lato, per vedere Atsushi, in un suo vecchio pigiama, con gli occhi chiusi e la guancia schiacciata sul cuscino. Sembra essere mezzo addormentato, lui, anche se sono a malapena le nove di sera. Ryunosuke non capisce come possa dormire così bene. “Basta che mangi poco, piano piano, il cibo che ti do, e poi potrai mangiare tanto” ripete. Appoggia la mano sulla guancia di Atsushi. “Il cibo che ti do io.”

Atsushi non apre gli occhi. Muove un po' la testa, per accomodarsi contro la mani di Ryunosuke. “Mi stai dicendo…” Non è addormentato, allora. Forse sta in una specie di dormiveglia. La sua voce esce stanca e un po' confusa, ma la sua espressione rimane serena. “Di abituarmi a te.”

Forse.

C'è qualcosa, in Atsushi. È il modo in cui ne parlano gli altri, forse, quel sorriso che compare sul viso di chi pronuncia il suo nome. Dazai-san, ad esempio. Lui sorride, sembra soddisfatto quando parla di Atsushi. Izumi-san che con lui ha parlato per cinque minuti in tutto e lo trova delizioso. Kyoka, che sembra essersi innamorata a prima vista. Quel tipo che vuole prendersi il suo tempo per conoscere Atsushi. Le persone gravitano intorno a lui. Accende una scintilla di curiosità. E si scopre che è un ragazzo inutile, incapace anche di scegliere i vestiti da solo. Questo tiene viva la curiosità.

“Sono parole forti da parte qualcuno che…” Atsushi ride piano. “Che sembra voler scomparire.”

Ryunosuke assottiglia lo sguardo, per guardare meglio nel buio della sua stanza. Il viso di Atsushi non è illuminato dalla luna, anzi, fuori sembra star ancora piovendo. Ryunosuke chiama Atsushi per nome, nella sua testa e quando lo deve chiamare con le labbra, con delle parole lo chiama Jinko, tigre mannara, per colpa dell’unico racconto che Atsushi ha letto del suo omonimo scrittore. E anche perché, per qualche motivo, non è riuscito mai a vederlo nello stesso momento in cui la luna splende in cielo. C’è qualcosa di misterioso in questo. Sono delle coincidenze che soltanto lui potrebbe ricordare. Non gliele ha mai dette ad Atsushi, non pensa nemmeno che lui se ne sia reso conto. Muove la mano sulla guancia di Atsushi. A Ryunosuke non importa che Atsushi non sappia delle cose. Si è reso conto quasi subito che, pur studiando tanto, Nakajima Atsushi non brilla in intelligenza. È strano si sia reso conto che Ryunosuke vive questo momento per preparare i momenti in cui non sarà presente. Per Gin.

“Io non voglio vivere così” continua Atsushi, con gli occhi chiusi. “Non voglio stare qui per adesso e poi non esserci più. Voglio trovare un posto in cui rimanere per sempre. Una casa in cui stare per sempre. Perché dovrei abituarmi a te, pur sapendo che tu non rimarrai per sempre? Ci sono persone che mi piacciono. Perché dovrei farmi piacere te se poi so che non ci sarai più?”

Atsushi non è poi così intelligente, ma sembra essere abbastanza bravo a difendere se stesso. Ryunosuke alza un lato delle labbra. È stupido ed egoista ed egocentrico. Preso da se stesso. In un qualche modo sembra difendersi. Atsushi posa la mano su quella di Ryunosuke. È sveglio, ma ha un’espressione così serena che sembra quasi stia dormendo. Non sembra essere una conversazione reale, quella che stanno avendo. Non vuoi liberarti? gli vuole chiedere Ryunosuke, ma non sa con che parole farle. Non vuoi liberarti?, ma non ha capito nemmeno da che cosa. Atsushi ormai è scappato dall’orfanotrofio, no?, non ha intenzione di tornare lì. Basta trovare un modo per saziarlo. È facile. Si trova. Si fa. Quindi da cosa si dovrebbe liberare? Perché Ryunosuke continua a pensare che Atsushi dovrebbe essere liberato.

“La cosa che vuoi tu per Gin-san, io la voglio per me.” Atsushi muove la testa verso il cuscino, per coprire il suo sbadiglio. “Una vita normale. Tempo illimitato. Sono cose che voglio per me.”

Ryunosuke lo osserva. Atsushi è sempre pallido, le sue mani sono piene di piccole bruciature, di quelle che sembra che ti fai quando friggi qualcosa ma non sei bravo a friggere e quindi l’olio scoppietta dappertutto e ti fa male. Sembra che gli brucino ancora, queste scottature, perché la notte scorsa cercava i posti più freschi per premerci sopra la pelle e darsi un po’ di sollievo. “Lo posso volere per entrambi” si lascia sfuggire Ryunosuke. È serio. Sente di esserlo per davvero non appena le parole gli escono di bocca. Può dare una vita normale a Gin e Atsushi e poi andarsene. Hanno la stessa età questi idioti. Potrebbero aiutarsi. A Gin Atsushi piace in modo moderato e Atsushi è una di quelle persone che fanno di tutto per essere utili e amate. Potrebbero andare anche d’accordo. Ryunosuke potrebbe dare una vita normale a entrambi e poi seguire la sua vendetta e...

“E tu?” Atsushi apre piano gli occhi. Guarda verso il basso. “Ci saresti nella nostra vita normale?”

Perché dovrebbero volerlo nella loro vita normale?

Ryunosuke sbatte le palpebre. Non capisce come questa cosa sia rilevante. Atsushi lo vorrebbe nella sua vita normale? E perché? Che senso avrebbe? Non lo odia? Non pensa che il mondo sia un pochino migliore, quando Ryunosuke non gli sta intorno?

Atsushi si stringe nelle spalle, posa la mano libera sul petto di Ryunosuke e scuote un po’ la testa. “Io lo vedo, ma le tue spalle sono sempre rigide” dice. Le sue labbra sono piegate verso il basso. “È proprio lì. Ma le tue spalle sono rigide.” Sembra quasi volersi mettere a piangere. Di nuovo.

Ryunosuke corruga la fronte. Atsushi chiude di nuovo gli occhi. “Nella mia vita, il mio desiderio più grande è non diventare mai come te, Akutagawa.” Sembra davvero tanto triste.

Poi non parla più. E Ryunosuke si addormenta, aspettando di sentire cos’altro voleva dire. Avrebbe voluto una spiegazione. Non riceve mai nessuna spiegazione.


 




Quando si sveglia, il letto è vuoto, Atsushi è scomparso e di lui rimane soltanto quello stupido libro di Stevenson che Ryunosuke non ha intenzione di leggere.

Nakajima Atsushi non torna a Yokohama per ben quindici giorni.





[A butterfly fluttered its wings in a wind thick with the smell of seaweed. His dry lips felt the touch of the butterfly for the briefest instant, yet the wisp of wing dust still shone on his lips years later.]

Ryunosuke ha aspettato Atsushi in stazione per quindici giorni, ma Atsushi non si è mai fatto vedere. Oggi non è un giorno tanto diverso dagli altri, decide Ryunosuke. Nevica. Guarda verso il cielo bianco e grigio e si chiede se quell’idiota è andato a cacciarsi da qualche parte sotto la neve. Ha detto di essere scappato dall’orfanotrofio, ma Ryunosuke ha la sensazione che la fame abbia avuto la meglio su di lui. Per questo lo aspetta in stazione. Vorrebbe almeno dirgli che questa decisione che ha preso non è la migliore. Che se il problema era che Ryunosuke non sarebbe rimasto intorno alla sua vita per tanto tempo, allora poteva abituarsi a qualcun altro. Magari a quel deficiente di Tanizaki. O a Dazai-san. O a quel Kunikida di cui continua a parlare. Non sarebbe meglio che tornare in un posto come quell’orfanotrofio?

Nevica da qualche giorno. In città spargono sale e riscaldano le strade. Le persone spalano. L’oceano rende tutto il clima molto più freddo. Ryunosuke odiava i giorni di neve. Era difficile tenere al sicuro e al caldo tutti. Lo detestava. C’era una cosa che Shinya ripeteva sempre ma che Ryunosuke non riesce a ricordare. Era qualcosa sulla neve. Non capisce come possa averla dimenticata. Qualcosa sui fiocchi di neve. Shinya aveva un carattere giocoso, pieno di speranza. Era qualcosa per tirarli su di morale. Era… Ryunosuke abbassa lo sguardo. Stringe l’ombrello tra le mani. Era qualcosa. Lo ricorda che era qualcosa. Ma non ricorda l’espressione con cui lo diceva, non ricorda le sue parole.

Sta passando tanto tempo e li sta dimenticando. Uno per uno. Una caratteristica alla volta. Le parole, i volti, le abitudini.

Ryunosuke stringe l’ombrello in una mano. Deve andare a lavoro. Quindi smette di guardare per i binari e va via.


 




Il ventaglio di Koyo colpisce le scapole di Ryunosuke con delicatezza. “Puoi rilassarti” gli dice con un sorriso. “Quando indossi il kimono.”

Ryunosuke non è mai stato rilassato in vita sua. E non capisce perché debbano continuare a fargli ripetere sempre la stessa cosa. Tira giù le mani. Ruota gli occhi. È tutta colpa di Atsushi, però. Perché è scomparso, perché non sa dov’è, perché ha detto tante cose e perché Ryunosuke è stato così patetico da quasi innamorarsene a prima vista e essere contento di vederlo in casa sua, essere felice di poter mangiare insieme, essere felice di avere avuto… non importa. Non gli importa. Tiene le spalle dritte, cercando di non incurvare la schiena.

Koyo sospira e apre il ventaglio. Si fa aria, in una fredda giornata di gennaio. Sembra una pazza. “Tu lo sai per quale motivo i tuoi capi indossano per lo più kimono? O perché a me piacciono? La differenza con gli altri tipi di abito, quello che significa per noi indossare abiti del genere?”

Ryunosuke sbatte le palpebre. Ruota gli occhi. Ricorda gli appunti. I kimono che derivano dagli hanfu, che sono simbolo di nobiltà, che sono…

“Gli abiti occidentali peccano di mandare di un centro. Sembrano essere fatti per torturare gli li porta, piuttosto che farli sentire comodi” riprende Koyo, muovendo il ventaglio. Si muove per il negozio, con calma ed eleganza. Ci sono solo loro due qui, di sicuro sarà così per ancora un po’. Ryunosuke abbassa un po’ la testa. Non dovrebbe pensare tanto ad Atsushi, ora come ora, giusto? Quell’idiota sta bene. A lui non importa niente di quale sia il suo destino, di che cosa si è andato a mettere in testa, di quelle strane bruciature sulle mano. Non gli importa. Non sono affari suoi. E quella stupida idea che gli era venuta -regalargli una vita normale? Perché? È diventato stupido tutto d’un tratto? “Per mantenere una posizione elegante, con gli abiti occidentali, la persona deve fare un grande sforzo, ricordare sempre la sua posizione per creare delle linee che non siano goffe e sgradevoli.”

Ryunosuke dovrebbe pensare soltanto a Gin. Dare una vita tranquilla solo a lei. Rendere felice e abbastanza forte solo lei. Lei dovrebbe essere il centro dei suoi pensieri. L’unica persona che può ancora proteggere è Gin. L’unica famiglia che gli è rimasta. Nessuna reazione chimica nel suo cervello può rendere Ryunosuke così stupido e ingenuo da pensare di poter aggiungere qualcuno di debole e stupido come Atsushi nella sua cerchia. Non può proteggere Atsushi e, cosa più importante, Atsushi non può proteggere se stesso, quindi non può proteggere gli altri. Non ne ha la prova in casa? Quel libro mezzo rotto che doveva essere il suo tesoro? No. No, Atsushi è troppo impegnativo, pretende troppo. Qualcuno che stia con lui per tutta la vita? Che se la prende comoda per conoscerlo? Che è certo di voler rimanere con lui? No. No no. Ryunosuke non può permettersi di essere distratto da Atsushi. Non può nemmeno dargli la metà di quello che pretende. No. Questa storia deve finire qui.

“Ma coi kimono, c’è qualcosa che ti sorregge sempre.” Koyo accarezza la parte davanti del suo obi, con un sorriso. Guarda verso il basso. “Non c’è bisogno di pensare. Non c’è nemmeno bisogno di ricordare. Puoi mantenere le spalle rilassate, perché c’è qualcosa che sostiene la tua schiena e rende le tue linee gradevoli. Sicure. Non ti lascia incurvare. Il kimono diventa parte del tuo corpo. L’obi ti sorregge.”

Ryunosuke corruga la fronte. Cos’è che ha appena detto? Studia Koyo, muovendo solo le pupille, con la bocca semiaperta. L’obi è qualcosa che ti sostiene, ha detto. L’obi ti sorregge. Qualcosa del genere. Atsushi ha detto che lui lo vede, ma che le spalle di Ryunosuke sono sempre rigide.

“È una cosa che dovresti sapere, questa” gli ricorda Koyo, muovendo il ventaglio. “I fili di trama. Il kariki-sen, nel punto in cui fai la prima piega dell’obi, rappresenta la preghiera, quando si batte due volte le mani.”

Ryunosuke annuisce. Sì. Ricorda qualcosa dagli appunti. “Il kaisumi-sen rappresenta il torii” continua. Sì. Certo. Ricorda quella parte degli appunti. Atsushi aveva sorriso, quando Kyoka glielo aveva ripetuto. “Le parti decorate rappresentano la strada per arrivare al tempio.”

“E il tesaki rappresenta l’inchino” finisce Koyo, annuendo. “Ryunosuke-kun, quando indossi un kimono, è un po’ come se fossi accompagnato dal percorso per arrivare alle divinità. Tessuto e corpo diventano qualcosa di importante e unico. Quando indossi un kimono, se ti abitui a lui, puoi finalmente rilassarti. Non è questa cosa da sola, molto poetica?”

Ryunosuke abbassa lo sguardo verso il suo kimono. Izumi-san ci ha messo davvero tanto a sceglierlo. Koyo lo ha aiutato a stringere bene i nodi. Atsushi gli ha detto che era molto affascinante in questo kimono. Posa la mano sull’obi, mordendosi l’interno delle guance con una punta di nervosismo. L’obi è qualcosa che ti sostiene. Grazie all’obi puoi rilassare le spalle e mantenere comunque la schiena dritta. Lo sguardo alto. Atsushi gli ha sempre detto di essere odiato dal dio che pregano i preti del suo orfanotrofio. Non ha niente e nessuno che lo sorregga, quando indossa quel suo orrendo maglione di Hello Kitty.

“Capisco.”

“Quando tornerà a casa il tuo obi, Ryunosuke-kun?”

Ryunosuke abbassa lo sguardo e chiude la mano intorno al kimono in un pugno. “Non lo so” ammette in un sussurro.

Koyo sorride. “Non lasciartelo sfuggire.” Il suo tono è triste. Il suo viso rimane elegante. “Non perdere di vista quello che è importante.”

Ryunosuke fa un cenno con la testa.

Non lo sa. Non vuole rimanere per sempre ad aspettare in stazione.


 




“Ah, Atsushi-kun” risponde in modo incerto Dazai-san, giocherellando con una mela tra le mani. Assottiglia lo sguardo, punta i gomiti sul tavolo, in modo molto maleducato. “Atsushi-kun” ripete con un tono soprappensiero, inclinando la testa di lato. “Non sapevamo nulla di lui da quasi due settimane. Abbiamo chiamato la sua casa-famiglia e dicono che è in punizione. Visto che servono loro i soldi, potrà tornare a lavoro quando finiscono le vacanze invernali. Non ci saremmo resi conto della sua scomparsa, se non fosse stato che Tanizaki-kun lo aspettava a casa sua qualche giorno fa. Strane coincidenze, vero? Aveva promesso di venire a trovare anche te?” Sorride. Adesso sembra divertito.

Ryunosuke abbassa lo sguardo. Dovrebbe alzarsi e andarsene. Le cose che voleva sapere le ha già sentite. Ma Dazai-san ha accettato di parlargli. Dazai-san vuole continuare a parlargli. Anche se è per sgridarlo, anche se è soltanto perché vuole farsi pagare il pranzo, per Ryunosuke va bene. Gli piace stare con lui. Vorrebbe poter stare con lui per più tempo.

“Uhm.” Dazai-san continua a sorridere, con gli occhi puntati sulla sua mela. “Potrebbe essere che Atsushi-kun ti piace?”

Ryunosuke corruga la fronte. Guarda Dazai-san che aspetta una risposta, con un sopracciglio alzato. Non sa quale sia la risposta giusta, a questo punto. L’ultima volta che è stato gentile con Atsushi davanti a Dazai-san, lui sembrava essere arrabbiato.

“Te lo avevo detto che è un ragazzino facile da amare” continua Dazai-san, con un sospiro. “Fa di tutto per essere amato, uh? Ma ha anche dei suoi principi. Davvero un buon miscuglio di caratteristiche. Lo rende servizievole al punto giusto. Quel tanto che basta per essere usato e poi essere lasciato in pace, non trovi? Se anche non mi servisse più, so che non mi seguirebbe ovunque, come invece fa qualcuno.” Si taglia uno spicchio di mela. Ne passa uno a Ryunosuke, che l’afferra senza nemmeno pensarci. “Cosa pensi tu di lui?”

Ryunosuke pensa tante cose di Atsushi. Sembra che non riesca a pensare ad altro se non ad Atsushi. Lui è... “Ingenuo, egocentrico, troppo magro.” Si porta in bocca lo spicchio di mela. Ci sono altre caratteristiche che sono importanti di Atsushi, come il suo essere testardo, la strana propensione a dover raccontare strani aneddoti della sua vita, la sua continua ricerca di contatto fisico e quel suo modo strano di parlare delle persone. Ah, sì, e anche, raccoglie e colleziona spazzatura con la scusa che sono dei piccoli tesori ed è un topo da biblioteca che dimentica di bere e mangiare quando trova un bel libro.

“E a te lui piace” finisce per lui Dazai-san. Annuisce. “A lui, tu piaci?” gli chiede.

Ryunosuke si morde l’interno delle guance. No. Non crede di piacere molto ad Atsushi. È già tanto se non lo odia.

“E come farai a farti piacere?” chiede ancora Dazai-san, sempre più curioso. “Perché tu vuoi farti sapere, giusto? È difficile per persone come noi piacere a persone come Atsushi-kun. Tu non sei una persona facile da amare, fattelo dire. Ma penso che ci sia una qualche possibilità per te. Se solo tu -beh, la tua vendetta è comunque più importate di qualsiasi cosa sia Atsushi-kun, giusto?” Ride piano.

Ryunosuke guarda verso il basso.

“Beh, allora penso ci sia davvero poco da fare” ride Dazai-san.


 




Atsushi sistema i documenti della sua agenzia, seduto alla sua scrivania. Non c’è nessun altro qui. Solo loro due. Atsushi e Ryunosuke. Atsushi è qui per lavoro, mentre Ryunosuke, dopo aver parlato con Dazai-san lo ha accompagnato in ufficio. Dazai-san deve aver pensato di farli incontrare. Deve aver pensato di farli parlare. Si diverte a manipolare tutti dalla sua posizione. Ryunosuke si è sempre lasciato manipolare senza farsi troppi problemi. Atsushi non sembra essere molto contento, invece.

Ryunosuke vede Atsushi sistemare i documenti. Li ricopia sul computer, controllando che siano stati ben compilati e che le cartelle siano in ordine. “Non mi guardare così” dice a un certo punto. Sembra essere di cattivo umore. Sta seduto, ha le caviglie incrociate. continua a ricopiare al computer e a controllare gli errori di battitura. “Ti giuro, Akutagawa, continui a guardarmi così e vengo lì a darti un pugno in faccia.”

Ryunosuke infila mani in tasca. Era preoccupato. E adesso quest’idiota sta qui, seduto come se nulla fosse successo. “Perché?” gli chiede. Sa già la risposta. Ognuno deve fare quello che deve, per sopravvivere. Ryunosuke lo sa. Ma deve sentirselo dire lo stesso.

Atsushi abbassa lo sguardo, gira la testa per non doverlo guardare. “Avevo fame” risponde. Stringe le mani in due pugni, scuote la testa, deglutendo. “È inutile che mi giudichi. Avevo fame.”

Atsushi è troppo debole per vivere nel mondo da solo. Ha bisogno di tante altre persone e una rete di sicurezza. Ha bisogno di sentirsi al sicuro e quindi poter mangiare. Non c’è essere in questo mondo più diverso da Ryunosuke. Ha allontanato l’ultima cosa che doveva proteggere da dentro l’orfanotrofio. Da ora in poi, non ci sarà più niente da proteggere in quell’istituto. È una cosa pericolosa da sapere. Vuol dire che qualsiasi cosa succeda ad Atsushi, quest’idiota non la prenderà come una scusa per andare via da lì. Vuol dire che potranno picchiarlo quanto vorranno, che potranno torturarlo quanto vorranno. Non c’è più niente da proteggere. Ryunosuke stringe i pugni. Stupido. Egoista. Testardo. Non ha più niente da proteggere.

“Senti, se devi stare così, potresti andartene a ‘fanculo?” gli ripete Atsushi, indicando l’ascensore dell’ufficio. “Io ho cose da fare. Sono indietro con alcune lezioni e comunque non devo più venire da te. Dazai-san dice che ho visto quasi tutto in città, quindi questa cosa qui può finire anche adesso.”

Ryunosuke si avvicina alla sua scrivania. “Ti avevo detto che ti saresti potuto abituare” gli sibila contro. Testardo. Egocentrico. Pieno di sé. Codardo.

“Abituare a cosa? A te? Non mi far ridere, dai. Sarei dovuto tornare a scuola, prima o poi, mi avrebbero trovato lì. Pensi che tutti siano come te?”

Codardo. Codardo. Codardo.

“Dove avrei dormito?” gli chiede. “Cosa avrei mangiato? Quando sarebbe tornata Gin-san, dove sarei andato? Non tutti hanno un Nakahara-san che li mantiene nel caso qualcosa vada storto. Non tutti hanno le spalle coperte come te, okay? Io devo almeno diplomarmi. E non lo posso fare se scappo. Dovevo tornare in tempo perché -non si dovevano vedere. Non mi puoi giudicare, davvero. Accetto che mi giudichino tutti, ma tu sei proprio l’ultima persona che può dirmi A.”

Stupido codardo.

Va bene.

Vuoi una casa? Vuoi una vita normale? Vuoi del tempo illimitato? Va bene. Codardo. Codardo. Va bene. È davvero questo che vuoi? Stupido. Codardo. Testardo. Idiota. Ryunosuke si inginocchia davanti alla sedia di Atsushi. Vuole questo? Ryunosuke non può dargli qualcosa di del tutto normale. Non lo può fare. Non lo sa fare. Ma questo codardo vuole questo? Per continuare a proteggere la sua stessa vita vuole questo? Per non farlo diventare qualcuno di cui Ryunosuke non ricorda la faccia, non ricorda le parole che continuava a ripetere, le frasi che lo facevano ridere, è questo che vuole?

“Cosa fai?” chiede Atsushi, con le sopracciglia aggrottate.

Ryunosuke non vuole che Atsushi diventi un ricordo sbiadito. Un ricordo di qualcosa di ingiusto, di qualcuno che doveva avere un letto caldo, una casa a cui tornare, un sorriso, delle cose da proteggere. Sta pensando. Sta sudando freddo. Va bene. Non vuole che Atsushi smetta di proteggersi. Non vuole che quel direttore gli dica che è odiato da dio. Non vuole che perda la speranza. Non vuole nemmeno che sia solo, una volta uscito da quell’orfanotrofio. Quindi, quella vita normale, quella promessa a cui Atsushi sta per rinunciare, quella speranza che sta per perdere… “Posso ridartela io” mormora, allungando le braccia per posare le mani sul viso di Atsushi.

Sì. Funziona. Dovrebbe funzionare, così. Sarebbero loro due e Gin e la loro vita normale. E Ryunosuke potrebbe dire quelle frasi che piacciono tanto ad Atsushi e spiegare che c’è tempo. C’è tempo. Va bene. La vuole anche lui la vita normale, senza tutta quella rabbia e quel dolore e quel senso di colpa per essere ancora qui. Va bene. Non sarebbe una vita normale come quella delle altre persone ma sarebbe una vita normale con una casa, con un lavoro, con tanti litigi. Questo può fare.

Atsushi sembra essere confuso. Non importa. Ryunosuke ha tempo per fargli capire le cose. Con calma. Non gli importa. Lo può fare. Se vuol dire farlo vivere, se vuol dire aiutarlo a continuare a vivere -Ryunosuke non è riuscito a salvare la sua famiglia, ma sa di poter salvare Atsushi. Conta come una vendetta. Vivere. Con qualcuno che vuole vivere con lui. Tira la testa di Atsushi verso di lui, lo fa scivolare giù dalla sedia, tra le sue gambe, mentre lo bacia. Lo bacia piano. Possono anche farlo, hanno tempo, non gli importa.

Rilassa le spalle.

Atsushi, rilassa le spalle.

Ryunosuke lo bacia piano, inclinando un po’ la testa di lato, mentre una mano scivola giù dalla guancia di Atsushi. Rilassa le spalle. Ryunosuke gli cinge la vita con un braccio, mentre lo bacia e sente che Atsushi lo bacia indietro, con una goffa calma, dimenticandosi di respirare. A modo suo, Atsushi sembra essere disperato, come se volesse mettersi a piangere. Va bene. Può piangere se vuole. Può anche inciampare e rompersi un braccio ed essere stupido. Non importa. Ryunosuke lo può sorreggere. Quindi, Atsushi, rilassa le spalle.


 




“Tanizaki-kun mi ha detto che sei stato tu a suggerire di regalarmi un kimono per il diploma” dice Atsushi, infilandosi sotto le coperte. Akutagawa, con le braccia incrociate e lo sguardo rivolto verso il soffitto ha un broncio sulle labbra, perché, ovviamente, ancora non riesce a credere che Atsushi vada a dormire alle otto di sera, come i vecchietti. Le abitudini sono dure a morire, alla fine. “Cosa che -beh, adesso capisco perché lo hanno preso dagli Izumi, uh?”

Akutagawa non lo degna di una risposta. Chiude gli occhi. È inutile continuare questa conversazione, quindi.

Atsushi sospira, infilandosi sotto le coperte. Sa che Akutagawa non è bravo a prendere sonno. Non importa cosa faccia. Rimane sveglio per tantissimo tempo dopo che Atsushi si addormenta. Per questo non capisce perché si ostina a voler andare a letto nello stesso orario. Akutagawa dorme poche ore per notte e il suo sonno è anche troppo leggero. Una volta si è svegliato perché Atsushi ha mosso il piumone. Non è più riuscito ad addormentarsi ed è stato intrattabile per tutto il giorno.

Atsushi ha tante domande. Se ad Akutagawa dà fastidio ogni tipo di rumore nella stanza, tanto da svegliarsi per un nonnulla, perché dormire con Atsushi? Perché poi ha questa fissazione di andare a dormire da lui, ogni giorno, soprattutto i giorni feriali? Questa cosa sta davvero facendo impazzire Atsushi. Dovrebbe -a lui Akutagawa sembra piacere davvero tanto, ma non per questo, almeno per il suo bene, non lo può cacciare di casa. Akutagawa dovrebbe andare a dormire in un posto in cui si sente al sicuro. Perché non rimanere a casa sua con sua sorella?

“Mi dispiace che oggi Kunikida-san ha fatto la ramanzina pure a te” sospira.

“Lo fa perché gli importa di te” risponde Akutagawa. “Va bene.”

Atsushi muove le dita delle mani con un po’ di nervosismo. Scuote la testa e ruota gli occhi. Beh, alla fine non pensa che sia importante sapere cosa quest’idiota pensa per davvero. Si sdraia di lato. Chiude gli occhi solo quando sente il braccio di Akutagawa intorno alla sua vita.

Rilassa le spalle e si addormenta.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Mikirise