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Autore: niard    06/04/2022    1 recensioni
I. "Naruto ringraziò gli Dei per la fortuna lasciata ai suoi occhi, solitamente feriti dall’orrore delle battaglie, di poter ammirare tanta bellezza."
II. "Si coprì il volto con le mani, conscia di stare mentendo principalmente a se stessa. Odiava quella vanagloria che le scorreva nelle vene."
III. "Shikamaru osservava il nemico placidamente accoccolato tra le braccia di Shikadai."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Ino Yamanaka, Kankuro, Naruto Uzumaki, Shikadai Nara | Coppie: Hinata/Naruto, Shikamaru/Temari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Oggi pubblico questa sciocchezzuola per festeggiare che sto realmente scrivendo una storia più lunga. Spero di poter pubblicare almeno un capitolo prima che cambi totalmente idea; ma nell'attesa, un po' di dolcezza. 
Ah, adoro i fratelli della sabbia, è sempre bello quando me ne ricordo. 

Prompt: Monster
Characters: Nara Family 
!! Verde, Slice of life, OOC

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III.



 

Il clima in casa Nara era prevalentemente tranquillo o quasi. L’atmosfera era calda come il deserto di Suna e fresca, frizzante come il vento primaverile di Konoha.
Talvolta però, tra gli shōji di fine carta di riso la voce di Temari risuonava andando a riprendere quel, quasi sempre tipicamente pigro, marito che ultimamente aveva indetto una guerra contro un ospite sgradito.
Anche in quel momento, gambe incrociate davanti alla scacchiera e mento mollemente appoggiato a un palmo della mano, Shikamaru osservava il nemico placidamente accoccolato tra le braccia di Shikadai - il suo tenero bambino con la testa sormontata da un piccolo ciuffo di capelli neri, che ciondolava a ogni movimento. Era così bello e carino, adorava dormire di giorno per rimanere sveglio la notte, gli occhi grandi a perlustrare le ombre curiose, ma rimanendo sempre in divino silenzio. Non era uno di quei bambini chiassosi che si sentivano urlare dalle case a fianco – no, Shikadai aveva ereditato la pacatezza del padre e questi n’era immensamente grato.
C’era solo una strana ossessione che si era impadronita della sua tenera mente.
Shikamaru allungò la mano verso il piccolo mostro che si era fatto spazio nella sua famiglia – Shikadai lo trascinava nel proprio futon prima di dormire, sedeva al suo fianco durante i pranzi e non aveva disdegnato l’idea di portarlo con sé quando usciva con Temari la mattina.
Ormai sembrava un suo prolungamento tanto si era affezionato. Temari, dal canto suo, non dava troppa importanza a questo atteggiamento, probabilmente già abituata a un comportamento simile.
Quando Shikamaru afferrò lentamente la testa del suddetto mostro, i lineamenti del bambino si contrassero in un’espressione seriosa, conscio di quello che il genitore era in procinto di fare – Shikamaru tentava sempre di staccarlo da quel coso auspicando di farlo sparire in un qualsiasi scatolone, ma con scarsi risultati.
Prese il burattino poggiandolo sulla scacchiera, insofferente alla partita solitaria che stava portando avanti da una buona ora, osservando cosa potesse trovarci Shikadai in quell’ammasso di legno – quattro braccia che si estendevano mollemente dal corpo tozzo coperto da una tunica, semplici arti snodabili, che penzolavano mollemente creando un sinistro suono ogni volta che cozzavano tra di loro. Shikamaru scrutò i tre occhi del coso, che ricambiavano vacuamente, non riuscendo proprio a comprendere come quella testa dai capelli tanto radi, rispetto alla versione originale, e il sorriso inquietante potesse anche solo lontanamente risultare apprezzabile. Soprattutto da un bambino.
Shikadai tirò più volte la manica del genitore in una muta richiesta di restituirgli l’amico. Però, quando capì che il padre non sarebbe stato propenso ad accogliere la supplica, utilizzò le sue forze per mettersi in piedi e dilettarsi in un acuto urlo capace di richiamare non solo la sua attenzione, ma anche quella della madre.
«Shikamaru restituisci immediatamente baby Karasu!» tuonò Temari, comparendo spazientita sulla soglia della stanza, una versione ridotta del suo amato ventaglio puntato contro il compagno.
Pensò che Kankuro si fosse veramente sbizzarrito con mini-versioni di tutto quello che gli balzava per la testa e di questo Shikamaru iniziava a soffrire – già, colpa di quello zio che da un momento all’altro avrebbe varcato la soglia di casa loro. Pregò solo non portasse un’altra fantastica invenzione.
«Seccature…» uno sbuffo, la mano che concedeva il piccolo mostro a Shikadai.
Ancora una volta la sua missione era fallita in una manciata di minuti.
Temari, dopo aver riposto il ventaglio nell’obi del kimono, scosse la testa mentre un sorriso intenerito le illuminava le labbra – non poteva far nulla, la sua vita era decorata da quei piccoli teatrini che facevano capire quanto il genio di Konoha fosse un bambino troppo cresciuto. Poi la divertiva attendere la vendetta che Shikadai avrebbe architettato, come appoggiare non proprio delicatamente baby Karasu sul volto del padre in un momento di distrazione di quest’ultimo – dopotutto, era anche suo figlio ed era orgogliosa della velata determinazione che aveva ereditato da lei. Sperava solo che la conservasse in futuro e non si trasformasse nell’indolente versione di Shikamaru. 

Shikadai, dal canto suo, occhieggiò il padre con quei maledetti occhi di Temari che gli scavavano nel centro del cervello, facendolo sentire infinitamente in colpa – il giovane Nara capiva tutto anche se aveva un vocabolario condito da vocalizzi, tipico della tenera età. Era indubbiamente una fusione d’intelligenza e determinazione che sicuramente in futuro gli avrebbe dato filo da torcere. Aveva raccolto il meglio o il peggio dei genitori, dipendeva dai punti di vista, e Shikamaru non si era ancora sbilanciato ad analizzare quali sfumature caratteriali avesse ereditato da una particolare branca della famiglia – già il fatto che avesse un’inusuale attaccatura per baby Karasu, gli dava da pensare, ma continuava a sperare fosse una fissazione passeggera.
Poi, estremamente compiaciuto dall’aiuto ricevuto dalla madre, Shikadai fissò nuovamente l’attenzione di quelle iridi verdi, profonde e accusatorie, in quelle plastiche del burattino stretto tra le mani paffute.

Immaginava già il ghigno vittorioso tipico di Temari, delle labbra carnose che si piegavano lentamente verso l’alto, disegnarsi su uno Shikadai ormai adolescente e si ritrovò a sospirare sconsolato, anche se gli occhi affusolati tradirono affetto nell’osservare Shikadai sereno, intento a sistemare baby Karasu seduto sui tatami

 

 

 

   
 
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