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Autore: V a l y    24/08/2022    1 recensioni
Storia nata da una vecchia fantasia dell'autrice per una coppia fuori dalla norma. Due ragazzi che avendo in comune la stessa causa si ritrovano insieme: il rosso e la cinese. Tengo veramente tanto a questa storia, sarei felicissima se magari mi aiutaste con commenti e consigli *.*
CAPITOLO 30. [Quella mattina, la famosa domenica successiva alla notte di baldoria nel quale le ragazze del passaggio a livello erano andate a trovare i balordi del covo dell’est, non fu niente di tutto questo a svegliare prematuramente Xiaoyu. Non erano stati gli schiamazzi, la musica, lo sferragliamento di nuove casse di liquori che venivano strusciate di peso sulla ghiaia. Fu lo strano, inusuale suono prolungato del clacson di un camion, un rumore assolutamente sconosciuto alla clausura della periferia est da ogni attività urbana.]
EDIT. Al solito ho inserito un'illustrazione fatta da me dopo aver aggiornato la fic. La trovate a inizio capitolo 30!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Ling Xiaoyu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Illustrazione ispirata al CAP 15 "Distanza", nonché regalino di compleanno per Onda nel Silenzio. AUGURI! 🎉




Dopo mesi di convivenza nel covo dell’Est, Xiaoyu aveva imparato che per svegliarsi ad un orario conforme alle comuni norme sociali avrebbe dovuto usare delle contromisure. La prima e più importante era di coricarsi lontano dal piazzale centrale, così da non venir disturbata dagli schiamazzi dei balordi; la seconda era mettersi delle cuffie per attutire i suoni; la terza, fare gli allenamenti di arti marziali mezz’ora prima, così da affaticare il corpo e costringerlo a un riposo prolungato.
Ma, come stesso la parola suggerisce, una contromisura è una precauzione, non una certezza, e alcuni imprevisti esterni avrebbero inevitabilmente reso inani i suoi sforzi. Quelli che ricordava la cinese erano sempre i più strampalati.
La volta che, ad esempio, si era svegliata di soprassalto colpita sulla gamba da qualcosa di vischioso, e toccandosi il polpaccio aveva notato uno strano liquido verde.
“Attenta, Xiao!” aveva urlato qualcuno, ma neppure i riflessi rapidi da combattente di arti marziali riuscirono a evitarle in secondo colpo, dritto in faccia. Si era pulita col braccio sporcandosi la manica di arancione, poi si era alzata infuriata.
“Che razza di scherzo è questo?” sbraitò pestando come si consueto il piede sul terriccio per sfogare la sua ira.
“Scusaci, stiamo giocando a paintball!” spiegò uno dei tanti prima di buttarsi nella ghiaia dietro a un cassonetto per evitare un altro corpo di vernice.
“Ti vendicherò io, Xiaooo!” esclamò Mugen con fervore saltando su un rottame e sparando una raffica di colpi davanti a sé alla Rambo. La bambina era rimasta così interdetta che non riusciva a dire una parola. Si sedette sul letto e si grattò la testa.
Un altra notte, invece, era stata svegliata da un coro maschile – un termine lusinghiero, visto che somigliava più a una cacofonia scombinata di ubriachi all’ultimo stadio. Si era avvicinata al piazzale e vide tutti gli uomini attorno a un unico microfono cantare a squarciagola “Stay with me” di Miki Matsubara sbagliando ritmo, note, persino le parole. La giovane Ling era riuscita a capire quale fosse la canzone solo grazie al famoso ritornello.
“Vuoi unirti a noi?” chiese allegramente John alla bambina facendola quasi cadere in avanti dopo averle assestato un’amichevole pacca sulla schiena. Xiaoyu riuscì in tempo a ritrovare l’equilibrio e si stropicciò gli occhi.
“Da quando in qua avete un impianto per karaoke?” chiese con voce impastata.
“Ce l’hanno dato quelli del Karaoke Kan di Tokyo,” spiegò John sorridendo.
“Ve l’hanno dato?” domandò la bambina sospettosa. Al che l’americano affievolì il sorriso.
“Be’… quando hanno capito che non volevamo andarcene dal locale e abbiamo proposto di occuparci noi della chiusura, se la sono misteriosamente svignata… quindi immagino che ci abbiano lasciato tutti i macchinari in prestito!”
“Non è che se la sono misteriosamente svignata dopo che hai usato delle maniere un po’ brusche…?” valutò la bambina guardandolo dubbiosa.
“Ahah, ma che dici? Mi conosci! Sono la persona più gioviale del Giappone!” rispose vivacemente l’omone tirandole un’altra pacca sulla schiena, questa volta facendola capitombolare a terra. Mentre veniva aiutata da John a rialzarsi, il quale con un solo gesto la prese da sotto le braccia e la sollevò come fosse un fuscello, la cinese pensò tra sé e sé: appunto.
C’era stata una volta nel quale era stata svegliata a causa di alcune urla. La bambina, dapprima, si era alzata scocciata col busto, ma quando si rese conto delle parole forti e minacciose che volavano nel piazzale corse verso i ragazzi del covo.
“Perché state litigando? È successo qualcosa?!” chiese la bambina preoccupata frapponendosi tra Rana, l’uomo dalle parole forti, e il resto del gruppo.
“Ma no, Xiao, stiamo solo facendo il gioco dei film,” spiegò l’uomo animale, ricevendo uno sguardo sconcertato dalla bambina. “Sai… quel gioco dove devi fare indovinare alla tua squadra il film con delle citazioni… Vaffanculo figlio di puttana, pezzo di merda, io non mi muovo… ma dici a me? Dici a me?
“Taxi driver! La scena dello specchio!” esclamò uno della cricca tutto felice.
“Bravissimo!” esultò Rana applaudendo, e la squadra festeggiò tra pacche e risate, ignorando completamente Xiaoyu che rimase a guardare la scena di stucco.
La volta dopo fu di nuovo svegliata dalle urla minacciose di Rana. Si diresse al piazzale e appoggiò i pugni ai fianchi con fare nervoso.
“Possibile che dobbiate fare il gioco dei film sempre di notte?!” esclamò la cinese esasperata.
“Non stiamo giocando, quello stronzo di Mugen mi ha rotto l’orologio! Era un Rolex di valore!” urlò Rana prendendo il tatuato per il bavero. Quest’ultimo si divincolò dalla presa e gli puntò un dito.
“Ma se neppure è tuo! L’hai prelevato da qualche dirigente aziendale!”
“Questo non cambia che non dovevi romperlo!”
“Sei tu che rompi, e sai cosa? I miei coglioni!”
“Vaffanculo figlio di puttana, pezzo di merda!”
“Ma dici a me? Dici a me?!” sbraitò Mugen, e ne conseguì un pugno di Rana che fece cominciare una lotta di strada senza regole. Come da consuetudine, tutti i balordi della periferia est li accerchiarono per incitarli cominciando a scommettere su chi avrebbe vinto, mentre la bambina osservò da lontano la scena sdegnata.
C’era stata una volta in cui era completamente abbandonata in un riposo ristoratore, in cui nessuno del covo fiatava una parola, se non fosse stato che un’improvvisa urgenza aveva svegliato la cinese. Si sentiva la bocca secca e aveva sudato parecchio a causa dell’afa estiva, nel quale le nubi bloccavano anche il minimo refolo di vento. Si alzò e barcollò con la borraccia in mano in direzione della fontanella, riempendola d’acqua e bevendola tutta d’un fiato. Ciondolò per tornare a letto assonnata e si coricò sul materasso a pancia in giù, ma poco prima di chiudere gli occhi sentì qualcosa muoversi sotto di lei. Si alzò di scatto col busto e notò Hwoarang guardarla confuso.
“Bambina, che diavolo…?”
“Aaaaaaaaaaah!” urlò Xiaoyu dandogli uno schiaffo che gli fece girare la faccia di 180°.
“Ma che ti è preso, razza di mocciosa squilibrata?! Sei nel mio letto!” tuonò il rosso fulminandola con lo sguardo e mettendo una mano sulla guancia rossa e dolorante.
“Aaaaah…?” seppe solo rispondere la bambina imbarazzatissima.
“Me ne stavo dormendo tranquillo, poi arrivi tu, ti butti di peso su di me e mi schiaffeggi pure!” esclamò avvicinandosi pericolosamente a lei.
“Uh…” mormorò confusa Xiaoyu.
“Cos’è, la tua condizione di bambina è regredita al punto da farti tornare una neonata che sa solo dire vocali?” la sfotté il coreano con un sorriso di sbieco. La cinese prese il cuscino e glielo buttò in faccia.
“Stupido!” urlò soltanto prima di scappare via. Ci mise mezz’ora per tornare a letto, facendo un giro largo voluto ad evitare il capo della periferia, e quando si sdraiò non riuscì più a chiudere gli occhi per l’imbarazzo, conscia che la mattina seguente sarebbe stata la barzelletta della giornata.
Ma quella mattina, la famosa domenica successiva alla notte di baldoria nel quale le ragazze del passaggio a livello erano andate a trovare i balordi del covo dell’est, non fu niente di tutto questo a svegliare prematuramente Xiaoyu. Non erano stati gli schiamazzi, la musica, lo sferragliamento di nuove casse di liquori che venivano strusciate di peso sulla ghiaia. Fu lo strano, inusuale suono prolungato del clacson di un camion, un rumore assolutamente sconosciuto alla clausura della periferia est da ogni attività urbana.
La bambina si svegliò di soprassalto e mise a fuoco sopra di sé un altro particolare stonante: un soffitto bianco. Si alzò col busto accompagnata dalla inquieta consapevolezza di non essere nel posto giusto, e nel farlo ebbe un fastidioso capogiro, portandosi una mano alla fronte dolente pervasa da un martellante mal di testa. Non aveva mai provato nulla di simile.
“Dove sono…?” si domandò tra sé e sé con la bocca impastata. Sopraffatta da una sete improvvisa si guardò attorno per cercare la sua borraccia d’acqua, ma trovò solo la sua borsa scolastica e un gatto nero ai piedi del letto che si svegliò non appena percepì un movimento improvviso tra le lenzuola.
“Gatto!” esclamò la cinese avvicinandosi a lui per coccolarlo sulla testa, e nel farlo lo stomaco cominciò a brontolare dal dolore. Si portò nauseata la mano libera sopra la pancia e si chinò in avanti. Cominciò a fare dei respiri profondi, sia per controllare tutti i dolori fisiologici, sia per calmare i nervi.
“Devo capire perché mi trovo qui e dove sono… cos’è successo ieri notte?” mormorò con gli occhi chiusi, cercando di ricordare. La sera prima si trovava col gatto tra le braccia ed era andata via dalla periferia est perché aveva litigato con quel pomposo dell’amico del blouson noir – ragionando seccamente quanto si somigliassero tra loro quei capibanda da strapazzo, tutti arroganti e odiosi – poi aveva incontrato le ragazze al passaggio a livello. L’avevano truccata e vestita per portarla con loro al covo dell’est, e si era divertita perché nessuno la riconosceva. Le offrivano tante bottiglie che beveva senza guardare l’etichetta. Poi...
Poi?
Xiaoyu aprì gli occhi e li assottigliò, come a voler cogliere un ricordo che non le veniva in mente. La musica funky, le ragazze che ballavano con lei. Erano quasi tutti in pista da ballo, tranne lui. Quel porco del blouson noir era vicino alla rete metallica a flirtare con un sacco di donne. Era quasi certa di questo. In un moto di nervosismo, scostò le coperte con un calcio e si mise seduta sul bordo del materasso.
Si toccò il vestito rosso che ancora indossava in quel momento, stropicciato e girato, con entrambe le spalline che erano scivolate sulle braccia. La strana fabbricazione in lattice sfregava sulla pelle non appena muoveva appena il corpo. Era il vestito che le aveva prestato Shiori… dov’era finita Shiori la sera precedente?
Quando posò di nuovo lo sguardo sulla borsa a tracolla, un timore più grande di quelli avuti finora la invase completamente, spingendola a correre verso di essa e sbattendo col tallone su qualcosa di inaspettato e metallico. La bambina si girò confusa e vide un secchio vuoto vicino al letto rotolare sul pavimento. Si domandò tra sé e sé cosa ci facesse lì, ma la priorità della borsa a tracolla ebbe la meglio e non le diede il tempo di rispondersi.
Si chinò a terra e l’aprì con agitazione. Cercò tra il cambio, l’uniforme scolastica, i libri di studio, facendo infine un sospiro di sollievo quando trovò delle banconote arrotolate chiuse da un elastico verde. Qualsiasi cosa fosse successa la sera precedente, per fortuna nessuno le aveva rubato i soldi per l’affitto. Li contò per essere certa che fossero tutti e venne pervasa da uno sconforto inevitabile al pensiero che non erano abbastanza per pagare l’amministratore del condominio, e che quello era l’ultimo giorno per poter raggiungere la cifra necessaria.
Si portò una mano tra i capelli slegati e spettinati e si massaggiò la fronte. Non era il momento di pensare alla festa della sera precedente: la priorità era il suo appartamento.
Prese con decisione il lenzuolo del letto legandoselo attorno al collo a mo’ di mantellina, agguantò la borsa, prese il gatto in braccio e uscì dalla stanza.
Si affacciò al corridoio, notando un silenzio spettrale che aleggiava in quello che Xiaoyu capì essere un condominio abbandonato. Scese le scale in fretta con la paura istintiva di essere notata e uscì dal portone d’ingresso. Quando si guardò intorno, notò una zona familiare. Dal modo in cui le nubi occupavano gran parte del cielo e dalla forma sconnessa della stradina sterrata davanti a sé fu certa di trovarsi vicino alla periferia est.
Percorse delle vie a caso, fin quando non sentì alcune voci familiari. Sorpassò la rete metallica attraverso il buco all’angolo e raggiunse il piazzale del covo.
“Xiaoyu!” esclamò uno degli uomini non appena la notò. “Piccola, dov’eri finita? È da ieri sera che ti cerchiamo!”
Il ragazzone che aveva parlato, un tipo alto con la cresta e gli occhiali da sole sottili e appuntiti, si avvicinò a lei e la bambina, d’istinto, si chiuse ancor di più attorno al lenzuolo per non rivelare neppure un lembo del vestito rosso.
“Scusate se vi ho fatto preoccupare, ho dormito da… un’amica,” spiegò la cinese. “Ahm,” disse dopo un po’, “ci vediamo.”
“Perché hai un lenzuolo in testa?” chiese confuso un altro che aveva assistito alla scena da lontano.
“Non è un lenzuolo, è… un cappotto molto ricercato di questi tempi. Me l’ha detto Forest, e lui s’intende di moda,” disse la cinese parlando assolutamente a vanvera, cosa che succedeva quando non sapeva cosa dire e quando, come in quel caso, aveva la mente ancora annebbiata a causa dei postumi della notte trascorsa. “Dove sono tutti gli altri?”
“Stanno… prelevando e organizzando, come sempre,” rispose il tipo con la cresta in maniera sospettosamente evasiva, ma Xiaoyu non ci badò, presa dai suoi problemi da risolvere. Salutò veloce con la mano e corse via senza guardarsi indietro, tenendosi ben stretto il lenzuolo con una mano.
“Hai sentito miagolare anche tu?” chiese il tipo con la cresta a quello rasato.
“Mh,” mugolò pensieroso l’altro mettendosi a braccia conserte. “Sembrava un saluto… Secondo te è un’altra di quelle strane mode di oggigiorno?”
“Chiediamolo a Forest,” convenne l’altro annuendo deciso con la testa.

Non appena il getto d’acqua calda della doccia le bagnò il viso, Xiaoyu sentì tutti i muscoli del corpo rilassarsi. Girò la manopola e si alzò dalla seggiola di plastica per dirigersi alla grande vasca rivestita in piastrelle portandosi con sé l’asciugamano. Si trovava in un bagno pubblico non troppo lontano dalla periferia est suggerito dai membri del covo, avvisandola che se avesse detto alla reception che faceva parte del loro gruppo non avrebbe pagato neppure uno yen. Al che, la bambina aveva storto il naso confusa.
“Quindi è una specie di bagno pubblico statale?” aveva chiesto curiosa.
“No, è di nostra proprietà. Serve a riciclare il denaro,” spiegò uno degli uomini di Hwoarang.
“Riciclare il denaro?”
“Sì, il nostro denaro.”
La bambina assottigliò gli occhi sempre più perplessa e disse: “Ma scusate, con tutto quello che potete riciclare perché proprio le banconote? Non avete paura che poi vi finiscano?”
In risposta ci fu un roboante, sentito, prolungato riso a crepapelle di tutti. Uno di loro, dopo essersi pulito gli occhi, tirò qualche pacca sulla schiena della cinese.
“Bella battuta sagace! Sei proprio uno spasso!” considerò divertito prima di richiamare gli altri e tornare a quel che loro avevano chiamato lavoro di squadra, ossia andare al centro di Tokyo e distrarre qualche negoziante di qualche multinazionale mentre gli altri rubavano la merce. Xiaoyu era rimasta a osservarli in silenzio. Non aveva capito ciò che era appena successo e rimase con quel dubbio per altri mesi, fin quando non se ne dimenticò del tutto.
In quel momento, l’unica cosa a cui pensava era quanto fosse stata fortunata a poter usufruire di un servizio simile, ed essendo un bagno pubblico diviso per sessi per lo più frequentato dai balordi della periferia est, come unica ragazza aveva tutta la sala per sé.
Si immerse completamente nella grande vasca calda e appoggiò la nuca sul bordo di porcellana, chiudendo gli occhi. Il mal di testa le faceva meno male, non aveva più i giramenti, e la nausea le era quasi del tutto andata via. A mente lucida, sgombra, riuscì più facilmente a ripensare alla sera prima.
Stava ballando con le ragazze, gli uomini del covo, e infine con uno sconosciuto. Era alto, vestito di nero, ma non ricordava le fattezze facciali. Tutto attorno a lei vorticava, e non capiva se era per via delle piroette che faceva o perché era la testa a girarle. Poi le si era avvicinato lui, che l’aveva riconosciuta nonostante il trucco e il vestito.
“Sei così bevuta che non capisci neppure quello che succede. Guardati! Ti reggi a malapena in piedi, vestita come una sgualdrina di strada. Lo sai che qualcuno potrebbe approfittarne?”
Era sicura che fosse il blouson noir. L’aveva presa per il polso per portarla via di malo modo. E poi.
E poi… le aveva accarezzato la mano?
Xiaoyu si alzò col busto scombussolata. Qualcosa sicuramente non quadrava, non era possibile che fosse successo. Nel sforzare la mente le ritornò una fitta alle tempie e si massaggiò la fronte per alleviare il dolore. Era come se stesse fondendo la realtà con qualche strano sogno che il subconscio aveva ricacciato fuori e di cui si era completamente dimenticata.
Si diede qualche schiaffo leggero sulle guance e si immerse con la testa nell’acqua calda e lenitiva, e non appena si sentì meglio decise di uscire dal bagno pubblico e cercare una soluzione per quello che attualmente era il problema più importante. Quando si trovò nello spogliatoio, dopo aver indossato la biancheria, nell’infilare il vestito rosso nella borsa notò scivolare da una tasca qualcosa. Lo raccolse, accorgendosi trattarsi di un biglietto da visita consunto e rosa.
“Girls bar…?” lesse curiosa e interdetta. Poi, un ricordo le riaffiorò improvvisamente:

”E così, piccola, hai bisogno di soldi?” chiese la prostituta alta e bionda tenendola per le mani e fermando la danza per avvicinarsi a lei e sentire meglio. La musica alta rimbombava per tutta la piazzola, così la bambina si era avvicinata alle altre per farsi sentire meglio.
“Devo dare 200000 yen entro domani sera, o l’amministratore mi caccerà di casa!” spiegò la bambina abbracciando le tre donne davanti a sé, un po’ per un’istintiva richiesta di conforto, un po’ perché si reggeva appena in piedi.
“Conosco una persona che potrebbe aiutarti,” disse la tipa di colore porgendole un biglietto da visita. “Gestisce un girls bar, quei locali che ora vanno tanto di moda dove gli uomini prendono un drink in compagnia delle donne che ci lavorano.”
“Compagnia…?” chiese con sospetto la cinese.
“Niente di che, dolcezza, solo due chiacchiere in cui ti fingerai interessata di quello che dicono. Non ti possono toccare, non c’è invischiato il sesso… devi solo gestire il locale come una normale barista e sederti ogni tanto con loro.”
La tipa di colore alzò confusa un sopracciglio quando notò la bambina cominciare a ridere.
“La parola sesso è davvero buffa, non credete? Sssseeesssssssssooo… normalmente mi farebbe arrossire, ma se la decontestualizzi è proprio divertente, come tutte le parole con una sola consonante. Babbooo, Pappaaaa...”
La tizia di colore si mise a ridere, mentre la stangona bionda la guardò seria. “Zuccherino, hai capito cosa ti abbiamo appena detto?”
“Fuuuffaaaaaaaaa…”
“L’abbiamo del tutto persa, ragazze,” ritenne la tipa in carne cominciando a ridere a crepapelle.


La bambina guardò la foto stampata sul biglietto da visita, poi lo girò per leggerne l’indirizzo. Non aveva mai fatto la barista, ma in fondo le settimane in cui aveva lavorato al Matto si era dovuta occupare di compiti simili, come sparecchiare, pulire e lavare piatti e bicchieri. Per quanto riguardava la compagnia, dopo aver vissuto mesi con tanti uomini, tra l’altro difficili e problematici, ritenne la faccenda piuttosto semplice.
Si mise il biglietto da visita in tasca e si aggiustò i codini, poi, prima di varcare la porta che dava all’atrio, fece un risolino.
“Fuffa…” mormorò divertita.
Cercò durante il tragitto nuove parole con doppie consonanti.

Dopo un quarto d’ora circa di camminata, arrivò al quartiere del girls bar. Era periferico come quello del covo dell’est, ma al contrario di quest’ultimo pieno di piccoli appartamenti accatastati e abitati, stradine a senso unico, chioschi e konbini.
Xiaoyu arrivò di fronte al negozietto, un piccolo edificio senza vetrine che dava direttamente alla strada, ed entrò. Appena aprì e richiuse l’anta, un campanellino attaccato allo stipite superiore risuonò. Il locale era piccolo, con un bancone di tre metri circa e sette tavolini circolari che rimpinzavano tutto lo spazio. Una porticina aperta dava a una sorta di cortile interno e sul lato alcune scale in legno portavano al primo piano.
“Permesso…?” disse la bambina. Non c’era anima viva.
“Siamo chiusi!” sentì dire da una voce roca, che Xiaoyu non seppe capire se fosse di una donna o di un uomo.
“Ehm… sono qui per propormi come barista. Mi chiedevo se-”
“Sali,” si sentì solo dire seccamente. La cinese obbedì, prese le scale e varcò la soglia aperta. Nello stanzino pieno di casse e scatoloni vide una scrivania dietro al quale c’era una donna sulla cinquantina – non fu facile capirne il sesso a primo occhio, indossava abiti larghi e maschili e aveva un cappello in testa. La donna, con i piedi incrociati appoggiati sulla scrivania, mosse la testa quanto bastava per osservarla di sottecchi. Aveva una sigaretta accesa tra le labbra e uno sguardo severo.
Rimase a fissarla in quel modo, per diversi secondi; al che Xiaoyu, sopraffatta dall’imbarazzo, tossì per rompere il silenzio.
“Le ragazze di Madeleine mi hanno parlato di questo post-”
“È uno scherzo,” la interruppe subito la donna assottigliando gli occhi sospettosa. “Non puoi conoscerle davvero.”
“Ma-”
“Quanti anni hai?” le chiese mettendo i piedi a terra, chinandosi in avanti e incrociando le braccia sulla scrivania. Xiaoyu sapeva che in posti simili era illegale lavorare da minorenne.
“Uhm… venti,” mentì la bambina.
“No è vero,” ritenne secca la donna. “Per tre motivi. Il primo è stato il “uhm”, il secondo che hai la faccia di una ragazzina, e il terzo e più importante…” soggiunse, indicando la cinese, la quale non capì l’antifona e guardò l’interlocutrice perplessa.
“Il vestito da scolaretta,” spiegò lei tornando con la schiena appoggiata alla sedia e i piedi incrociati sulla scrivania. Xiaoyu si guardò l’uniforme e si sorprese della sua stessa smemoratezza per quell’enorme svista. “Non ho tempo da perdere,” decretò la donna tornando alle fatture e la calcolatrice.
“Un attimo, la prego, io conosco davvero le ragazze di Madeleine. Lavorano al passaggio a livello, sono una quindicina, una di loro è di colore, l’altra alta e bionda…” tentò di dire la cinese, non ricevendo neppure un’occhiata dall’altra. “Ho anche lavorato al Matto.”
Solo in quel momento, la donna contraccambiò lo sguardo della bambina. “Hai detto il Matto?”
“Sì, il locale di Marshall,” informò la cinese, e l’altra sorrise appena.
“Quel vecchio pazzo…” disse soltanto. “Per quanto hai lavorato?”
“Un mese in tutto… compreso ieri sera,” ripose Xiaoyu.
“Per così tanto… è un record per le sue cameriere. Vuol dire che ti accontenti proprio di tutto.”
“Prego?”
“Sì, insomma, che hai proprio bisogno di soldi per arrivare a lavorare in un posto simile...”
“Non è male. I Law sono brave persone, e i clienti simpatici.”
“Simpatici,” ripeté la donna ridendo a bocca chiusa. “Sei davvero un tipo strano.”
La bambina fece un sorriso di circostanza, non capendo se fosse un complimento o un’offesa. “Quindi… posso lavorare?”
“Hai mai fatto la barista?”
“No. Ma imparerò!”
“Facciamo così. Stasera fai una prova. Se fallisci non ti lascio neppure un soldo, se ne sei capace ti pagherò ogni sera che verrai,” disse la donna alzandosi dalla sedia. Solo allora Xiaoyu realizzò quanto fosse alta. “Lo stipendio è di 7000 yen a not-”
“Accetto!” disse solo Xiaoyu a voce alta.
“Frena, ci sono delle regole da seguire. La prima è che non devi mai dire, mai, a nessuno che lavori qui. Sei una minorenne, e se mi scoprissero mi farebbero chiudere imminente. Per quello e per altre piccole cose…” ammise la donna con mistero. “Secondo, non devi trattare male i clienti, a meno che non sia necessario. Se ti toccano, allontanati e fai finta di nulla, ma non lasciarli fare. Terza regola, quando parlano fingi di pendere dalle loro labbra, qualsiasi cosa dicano. Che sia il loro cane, il loro lavoro noioso da banchiere, la loro moglie che non li capisce… devi sembrare un’allegra ingenuotta che si esalta ad ogni chiacchierata, chiaro?”
“Non ti deluderò, capo, diventerò una barista coi controfiocchi!” esclamò Xiaoyu stringendo i pugni con entusiasmo.
“Esattamente quello che intendevo dire,” si complimentò la donna annuendo con la testa.
“Non stavo recitando…” ammise la bambina perplessa. La donna la guardò senza dire una parola, poi si girò e si diresse alle scale.
“Comunque non chiamarmi capo. Puoi chiamarmi, uhm, Tsumugi.”
“È davvero il tuo nome?” domandò la cinese facendola girare e alzare un sopracciglio. “È che hai detto “uhm”,” soggiunse dubbiosa.
“Tsumugi,” ripeté soltanto la donna prima di scendere le scale e lasciare la nuova arrivata sola tra i suoi pensieri.

La bambina approfittò di quell’ora e mezza libera per familiarizzare col locale: ne guardò i cassetti, le mensole, ne studiò i prodotti da pulizia, le bibite e gli alcolici. Pulì il piano del bancone e il bagno, dopodiché andò in camerino a cambiarsi dopo che Tsumugi le diede l’uniforme da lavoro: un paio di pantaloncini grigi, una canotta lilla e degli sneakers. Poco dopo, arrivarono le sue colleghe – Hitomi, capelli corti e dieci anni di esperienza in quel campo, e Nanami, una ganguro girl ventenne dalle gote grandi e gli occhi truccati – con le quali si presentò.
I primi clienti furono facili: se ne occuparono le due più anziane, mentre Xiaoyu si dedicò a pulire, sistemare e portare alcolici, ma man mano che il tempo passava entravano sempre più persone e presto avrebbe dovuto fare di più per agevolare il lavoro delle altre.
“In questo taccuino ci sono le istruzioni su come fare i cocktail,” le disse al volo Hitomi con la voce attutita dalla musica poggiando sul bancone un libretto marrone. Xiaoyu lo aprì e trovò tanti termini strani, numeri e frazioni...
“Cos’è un tumbler alto?” chiese alla collega.
“È il bicchiere che si usa quando si serve la Coca Cola.”
“E cos’è uno shaker?”
Hitomi, a quella domanda, rimase completamente spiazzata.
“Facciamo che… io rimango dietro al bancone e tu ti occupi dei clienti, ok?”
La bambina fece un sorriso di circostanza, capendo di essere stata relegata a quel ruolo a causa della sua pessima conoscenza in materia di barman.
“Ok!” rispose facendo finta di niente prendendo il vassoio pieno di bibite.
“Ricordati di servire prima il più anziano,” ricordò Hitomi prima di lasciarla andare. La cinese si diresse al tavolo in questione, occupato da quattro uomini brizzolati. Rimase spiazzata e immobile, mentre i clienti la guardavano confusamente.
“Chi di voi è il più vecchio?” chiese con una schiettezza così spontanea e ingenua che li fece quasi cadere dalle sedie. Nanami corse a salvare la situazione ridendo e frapponendosi tra lei e gli uomini.
“Chi vuole vedermi ballare sul bancone?” domandò in maniera civettuola facendo completamente dimenticare l’accaduto. “Xiaoyu, tesoro, perché non vai a sederti con gli ultimi due arrivati mentre io servo i signori…?” soggiunse rubando un po’ troppo di prepotenza il vassoio della cinese e elargendole un sorriso dannatamente forzato.
La bambina percepì un’aura omicida attorno alla ganguro, una sorta di istinto innato che i combattenti di arti marziali come lei possedevano, ma fece finta di niente e obbedì. Si sedette al tavolo più lontano, occupato da due giovani con gli occhiali in abiti da ufficio.
“Ciao, ragazzi,” disse facendo un sorriso a trentadue denti. I due si sentirono subito a loro agio al sorriso spontaneo della bambina, e cominciarono a parlare del più e del meno. Il più basso dei due raccontò di una tipa con cui lavorava di cui aveva una cotta, ma non sapeva come confessarsi. Xiaoyu si ricordò delle parole del suo capo, che le aveva suggerito di sembrare un’allegra ingenuotta che si esalta ad ogni chiacchierata, e così fece:
“Oh povero cucciolo, scommetto che i tuoi tormenti d’amore non ti fanno dormire la notte!” esclamò teatralmente mettendosi le mani sulla faccia e scuotendo la testa.
“Stai… per caso usando del sarcasmo?” chiese il tipo più alto scrutandola offeso.
“Eh? No, non stavo-”
La cinese si bloccò non appena notò lo sguardo di disapprovazione del suo capo appoggiata allo stipite della porta che dava al giardino interno. Aveva una sigaretta in mano ormai spenta – il tabacco non bruciava neppure più – e Xiaoyu intuì che la stesse fissando da molto tempo. Non c’era bisogno di parole per capire che quello sguardo assassino non era un buon segno.
Difatti, dopo poco più di mezz’ora di disastri simili, la bambina fu mandata a pulire la parte bassa del bancone, nascosta da qualsiasi cliente. Sospirò, realizzando che per quanto si fosse impegnata quella sera niente avrebbe potuto salvarla da quella situazione, talmente catastrofica che era certa che Tsumugi per nulla al mondo l’avrebbe richiamata. Sarebbe stato già un miracolo ricevere metà della paga stabilita.
Si sforzò di non pensarci mentre puliva le mensole basse del frigo, quando sentì qualcuno urlare parole forti. Si alzò e vide tre uomini a un tavolo ridere di gusto, mentre uno di loro tratteneva per il polso con prepotenza Hitomi.
“La prego, signore, mi lasci…” implorò la ragazza.
“Eeeeh? Se dici così sembra che ti stiamo facendo uno sgarbo… eppure i clienti, qui, devono sentirsi a loro agio. È lo slogan di questo locale, o sbaglio?” esclamò quello che l’aveva afferrata per il polso, strascicando le parole come un ubriaco e ricevendo l’attenzione dell’intero locale su di sé. Gli altri due che l’accompagnavano ridevano sguaiatamente agitando per aria i loro drink.
Incoraggiato goliardicamente dai suoi amici, l’uomo si alzò e trascinò con sé la cameriera, ma prima di raggiungere la porta che dava al giardino interno venne intercettato da Xiaoyu.
“Lasciala stare, non vedi che non vuole?!” esclamò la bambina lanciandogli uno sguardo torvo, ma lui, anziché sentirsi minacciato, rise divertito.
“Chi diavolo è questa puttanella in miniatura?” urlò, buttando la cameriera di peso per terra e avvicinandosi alla cinese. “Spostati.”
La bambina non si mosse; al che, l’uomo la spintonò con una mano all’altezza della spalla sinistra.
Xiaoyu non ci vide più.
Afferrò l’uomo per l’avambraccio con entrambe le mani, lo tirò verso di sé e con un movimento veloce gli fece fare una capriola in avanti per aria facendolo cadere di schiena a terra.
“Maledetta troietta!” urlò uno del tavolo che si alzò di scatto e cacciò un coltellino dalla tasca, provocando le urla di paura delle cameriere e di alcuni clienti vicino loro. “Te la faccio vedere io!”
Si scagliò contro la cinese, che intrecciò veloci le braccia attorno alla mano armata del tipo e con un gesto impercettibile tanto era veloce lo disarmò facendo cadere il coltello a terra, a cui diede un calcio per farlo volare via. Poco prima di contrattaccare, percepì alle proprie spalle il terzo uomo scagliarsi contro di lei; lo schivò in tempo e approfittò della sua forza per spingerlo verso l’altro avversario e fargli assestare un pugno in faccia. Quando quest’ultimo cadde a terra e l’altro le fu di fianco, Xiaoyu giro su se stessa fino a trovarsi alle sue spalle e, con una serie di rotazioni delle braccia, gli assestò dei colpi con le mani, facendolo capitombolare sul pavimento. I tre si alzarono in malo modo e scapparono dal locale spaventati a morte.
La cinese si rese conto solo in quel momento di avere gli occhi di tutti puntati su di sé. Riposò le braccia dopo essersi inconsciamente messa in posizione da combattente e lanciò uno sguardo terrorizzato al capo, rimembrandosi della terza e forse più importante regola di tutte: di non trattare male i clienti e di allontanarli in maniera cordiale. Tsumugi la stava fissando con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse quanto bastarono per farle cadere la sigaretta appena cominciata a terra. Dopodiché, aprì la bocca in quello che all’inizio alla bambina parve un principio di urlo, ma che invece si trattò di un sorriso a trentadue denti.
La donna cominciò ad applaudire avvicinandosi alla cinese, e di rimando ci fu un coro esultante da parte di tutti i presenti nel locale, che si complimentavano con Xiaoyu e urlavano di gioia.
“Era settimane che quei tre ci infastidivano,” le disse Nanami aiutando Hitomi ad alzarsi, la quale le lanciò un sorriso riconoscente. “Abbiamo anche chiamato la polizia, ma questo li ha resi solo più arrabbiati...”
“Grazie a te non torneranno più,” fece Tsumugi dandole delle pacche sulla spalla. “Ti sei proprio meritata la paga di stasera, più un bell’aumento,” disse facendola sorridere entusiasta, “che però dovrò detrarti per la sedia che hai rotto,” soggiunse spegnendole ogni sprazzo di gioia. Le due cameriere risero per la scenetta, contagiando la bambina che si aggregò a loro.
Venne chiamata da uno dei clienti che le chiese di mostrargli l’ultima mossa. Xiaoyu acconsentì, simulandola a rallentatore, e Tsumugi, che aveva uno spiccato spirito imprenditoriale, pensò già in quel momento di dare alla nuova arrivata compiti atipici per la professione per cui si era proposta, come fare ai clienti lezioni di arti marziali; ma si tenne l’idea per sé, lasciando che la bambina si divertisse come non l’aveva mai vista fare quel pomeriggio.

La luna a spicchio si stagliava oltre il monte Fuji, accompagnata dal silenzio urbano di una giornata al suo termine. I negozi erano chiusi, le famiglie a dormire; l’unico rumore che spezzava la quiete notturna, oltre un cane che abbaiava alcune vie lontano, era il calpestio frettoloso della bambina che si appropinquava a casa. Sperava con tutto il cuore di poterla ancora chiamare tale. Era arrivata oltre la metà della cifra pattuita con l’amministratore del suo condominio, ma a detta di lui avrebbe dovuta averla tutta per non venir cacciata dall’appartamento per inadempienza. Aveva contato più e più volte tutti i soldi che aveva raccolto in quei due giorni con l’illusione che per qualche errore di calcolo li avesse conteggiati meno di quanto fossero, ma non fu così. Si fermò di colpo, svegliando il gatto tra le braccia, e rifletté. Forse l’amministratore, l’ultima volta, era solo di cattivo umore… forse, intuendo che l’intenzione di risolvere il problema del debito era sincera, le avrebbe dato altri giorni per accumulare il resto dei soldi…
Percorse la strada, stavolta correndo, spinta da una determinazione che in quei giorni non aveva mai avuto. Parlando a cuore aperto con l’amministratore era sicura di poter risolvere tutto.
Quando arrivò al quartiere, una zona residenziale persino più silenziosa della precedente visto che non c’erano negozi, si sentì frastornata nel sentire una canzone a tutta volume. Una musica, come l’aveva definita lei tempo addietro a Hwoarang dopo aver tentato invano di addormentarsi, odiosamente chiassosa e con troppe, inutili percussioni – e quella sera, ricordava perfettamente che in risposta quello sciagurato dai capelli rossi aveva alzato ulteriormente il volume sorridendo divertito e in tono di sfida.
Le venne quasi un mancamento quando si accorse che quel chiasso proveniva proprio dal suo palazzo, accompagnato da grosse risate e chiacchiericci. Le luci del suo appartamento erano le uniche accese: possibile che l’amministratore avesse dato in affitto ad altri la sua casa senza avvisarla?
Corse col cuore in gola, ma quando arrivò alle scale del condominio al piano terra vide qualcosa di persino più strano.
“John?” chiamò stralunata notando l’omone che si stava fumando una sigaretta proprio in prossimità delle rampe. Quest’ultimo si girò verso di lei e trasecolò.
“Cazzo, cazzo… ero distratto!” disse buttando la cicca e avvicinandosi a lei prendendola per le spalle. “Ok, ok, ascolta. Dovevo essere di guardia e avvisare gli altri del tuo arrivo… perciò fai finta di non avermi visto e sali su facendo una faccia sorpresa.”
“Che… cosa?” gli chiese Xiaoyu perplessa. Non capiva cosa stesse succedendo; non sapeva se dover essere preoccupata o cos’altro. Di sicuro spiazzata, poiché mai aveva visto John in un quartiere così borghese – sarebbe stato meno strano vedere un indigeno africano al Polo Nord.
“Sì, proprio quella faccia!” esclamò John spingendo dolcemente la bambina per le scale. Quando arrivarono al primo piano, a pochi metri dall’appartamento aperto della cinese, l’omone la prese per mano e l’accompagnò alla soglia d’ingresso.
“È arrivata Xiaoyuuu!” esultò l’americano alzando entrambe le braccia e, visto che ancora teneva la bambina per mano, quasi non l’alzò da terra. Quest’ultima osservò l’ambiente, il suo piccolo bilocale stracolmo di facce conosciute.
“Idiota! Dovevi avvisarci prima che arrivasse!” fece il tipo rasato che quella mattina aveva incontrato la cinese e che stava indossando dio solo sapeva perché un lenzuolo sulla testa.
“Sei tu l’idiota!” contrariò John arrabbiato indicandolo malamente col dito libero. “Avresti dovuto tenere le luci spente. E tu!” soggiunse prendendosela stavolta con un tipo capellone e ricciolo, “avresti dovuto tenere la musica a volume basso.”
“Sei tu che mi hai detto di tenerla a volume alto per non far sentire i porno che Mugen sta guardando in TV!”
“Non ho mai detto niente del genere!” controbatté John, rimanendo perplesso per il significato di quell’affermazione solo in un secondo momento. Il capellone ricciolo fece spallucce e disse, semplicemente:
“Allora me l’ha detto qualcun altro.”
“Mugen, cos’è questa storia dei porno?!” urlò l’americano; al che, il tatuato si affacciò dalla cameretta di Xiaoyu.
“Non ho fatto niente! Ho solo acceso la TV per distrarmi e a quest’ora ci sono solo cose spinte, non l’ho deciso io il palinsesto,” si discolpò Mugen con serenità prima di tornare a guardare come se nulla fosse quello che lui stesso pochi minuti prima aveva definito un triplo sandwich ma che non aveva nulla a che fare con materie culinarie.
La piccola Ling, in tutto questo, era ancora frastornata per la situazione: il suo appartamento era pieno zeppo di balordi del covo che urlavano, ridevano e litigavano, e nessuno la stava informando su cosa stava accadendo e...
Quel tale che stava ballando in camicia non era per caso l’amministratore?
“Suppongo che ancora nessuno ti abbia spiegato niente,” disse Rana di fianco alla bambina appoggiandosi con la schiena sullo stipite della porta e bevendo un sorso di sakè. “Mi spiace che debba essere io quello a farlo, non sono molto bravo in queste cose… i ragazzi hanno messo i soldi da parte per pagarti gli affitti arretrati e volevano farti una sorpresa.”
“Sei un guastafeste, Rana!” urlò il tipo con gli occhiali da sole. “Dovevamo dirglielo tutti insieme, e invece arrivi te e, senza un minimo di enfasi o emozione, spiattelli tutto e rovini la sorpresa!”
“Era già rovinata,” convenne serio l’uomo animale. “E metà di voi e già ubriaca. Non dovevamo stappare gli alcolici dopo l’arrivo di Xiaoyu?”
La bambina rimase impietrita e guardò l’amministratore, il quale, notandola a sua volta, le si avvicinò col passo incerto di un ubriaco e la faccia rossa e fregiata da un sorriso largo.
“I tuoi amici sono davvero uno spasso… perché non me li hai presentati prima?” le disse cominciando a ballare a tempo non appena si sentì chiamare dagli uomini del covo.
Quando finalmente cominciò ad elaborare ciò che era davvero successo, iniziò a piangere in silenzio. Si nascose il viso, sperando che tutto quel caos distraesse i balordi, ma uno di loro, il tipo col cappellino, notò la bambina tremare con la faccia tra le mani e accorse subito a consolarla. Uno dietro l’altro, tutti gli uomini le si avvicinarono, chi preoccupati, chi commossi, e la cinese li abbracciò uno ad uno ringraziandoli dal più profondo del cuore. Persino Mugen preferì l’abbraccio casto e sincero della sua bambina al culmine inevitabile del filmino di bassa lega che di lì a poco sarebbe avvenuto.
“Vi voglio beneeee!” esclamò Xiaoyu singhiozzando, abbracciandoli tutti e lasciandosi abbracciare. Tutte le tensioni dei due giorni passati, i postumi orribili della sbornia, lo stress di dover lavorare per avere più soldi possibili – tutto questo venne spazzato via in un attimo e tutto grazie agli amici migliori a cui potesse mai anelare. Sciagurati senza morale, feccia della società, ladri e borseggiatori, eppure le persone più buone che avesse mai conosciuto. Nessuno le aveva mai fatto un regalo simile…
Al pensiero la bambina si staccò dall’ennesimo abbraccio, si pulì le lacrime e aprì la borsa a tracolla che ancora teneva sulla spalla. Prese le banconote arrotolate e le diede a John.
“Questo è ciò che sono riuscita ad accumulare… non è abbastanza per ripagarvi, ma se mi date qualche giorno-”
“Non parliamo ora di queste cose, piccola,” disse dolcemente John chiudendole in un pugno la mano che teneva i soldi. “Pensiamo solo a divertirci. E a evitare che Mugen guardi altri porno o rovisti nella tua biancheria.”
“Mai fatto niente del genere!” esclamò il tatuato con un’enfasi ostentata che lo tradì subito.
La bambina ripose i soldi nella borsa e sorrise, poi batté le mani con entusiasmo colta da un’idea improvvisa.
“Dobbiamo fare una foto ricordo tutti insieme adesso che posso finalmente usare la macchina fotografica,” propose allegramente armeggiando nei cassetti della scrivania, e poco dopo un quesito le attraversò la mente. “Dov’è il blouson noir?”
“Da qualche parte qui fuori. Ha detto che aveva bisogno di un posto dove fumare in pace,” informò Rana, sorridendo qualche secondo dopo l’affermazione enunciata. “Sai, è stato lui a dirci della tua situazione… e Madeleine in qualche modo sapeva dove abiti. Per questo siamo riusciti ad aiutarti.”
Xiaoyu sorrise. “Devo ringraziarli entrambi…”
“Ne avrai occasione,” ritenne Rana con fare come sempre conciso e apparentemente distaccato. “Allora, questa foto?”
La bambina prese la macchina e cominciò a fotografare tutti, senza avvisare e talvolta dicendo di mettersi in posa; primi piani, mezzi piani, foto di gruppo, selfie: era così contenta e ispirata che sentiva di doverne fare almeno un centinaio per cogliere appieno quella felicità collettiva.
“Vado a chiamare il blouson noir,” disse poi uscendo dall’appartamento e percorrendo il corridoio esterno. Scese le scale e si fermò al piazzale in cerca del coreano, ma non vide anima viva. Si guardò prima intorno, poi contemplò la luna e notò uno sbuffo di fumo levarsi dal tetto piatto e basso dell’edificio. Sorrise, risalendo le scale.

Hwoarang, sdraiato e con gli occhi al cielo, stava ammirando un firmamento diverso da quello a cui era abituato. Nella periferia est le nubi coprivano ogni cosa, ma adesso, per quanto lo smog fosse ancora presente, riusciva a vedere persino qualche stella. Sentiva gli schiamazzi a qualche metro sotto, e talvolta aveva sorriso divertito alle scemenze che sparavano i suoi uomini, ma quando sentì annunciare l’arrivo della bambina si fece serio.
Il pensiero della notte precedente lo aveva perseguitato per tutto il giorno, e per la prima volta in vita sua aveva avuto paura delle conseguenze delle sue azioni. Circostanze sconosciute avevano tenuto la bambina lontana da lui per tutto l’arco della giornata, ma prima o poi avrebbe dovuto confrontarsi coi suoi ricordi o la presunta amnesia. Al contrario di lui, rimasto lucido per tutta la durata della festa, la cinese si era ubriacata bevendo chissà quanti distillati diversi per arrivare allo stato in cui era, mentre lui ricordava con chiarezza ogni cosa: gli sguardi languidi di Xiaoyu, i suoi sorrisi imbarazzati, e quelle labbra a cui aveva finalmente rubato il bacio che bramava da più tempo di quanto ammettesse.
Ispirò a fondo la sigaretta per non pensarci e per distendere i nervi, poi udì un rumore sospetto alle proprie spalle. Non ebbe il tempo di girarsi che sentì il suono di uno scatto fotografico e venne accecato da un flash inaspettato.
“Eri sul tetto come pensavo,” disse allegramente la bambina con in mano la macchina digitale, mentre l’altro imprecò a denti stretti coprendosi gli occhi infastidito.
“Non riesci proprio a fare a meno di entrare in scena nella maniera più fastidiosa possibile,” ritenne sarcasticamente Hwoarang lanciandole uno sguardo seccato.
“Mi hanno detto di quel che avete fatto,” disse Xiaoyu ignorando completamente la provocazione e sedendosi vicino a lui, il quale, d’istinto e senza riuscire a controllarsi, si alzò col busto e irrigidì i muscoli del collo. Era un ragazzo di strada tutto d’un pezzo, e fu grazie a questo che riuscì a mantenere una parvenza di contegno e a non mostrare il timore che in realtà provava. “E mi hanno detto che è stata una tua idea.”
Il coreano distolse lo sguardo dal sorriso radioso e naturale di lei. Cercò in tutti i modi un’altra risposta sagace da poter usarle contro, ma non trovò nulla.
“Ho solo raccontato quello che stavi passando. L’idea l’abbiamo avuta tutti assieme,” spiegò cercando di svilire il più possibile quella pensata che in realtà gli era venuta dal cuore e che aveva proposto, tra l’altro, con un certo, sentito carisma per riuscire a convincere il resto del clan.
“Ad ogni modo, è stato un gesto carino e ti prometto che vi restituirò ogni centesimo.”
“Puoi ben dirlo, e con gli interessi,” scherzò il rosso riuscendo finalmente a guardarla, ritrovandosela bella come la sera prima, chiedendosi come avrebbe più avuto la forza di non toccarla.
Un gatto nero salì sul piano di un condizionatore esterno e saltò sul tetto, arrivando alle gambe del coreano.
“Gatto!” fece la bambina tutta felice prendendolo in braccio.
“Si chiama di nuovo così, adesso?” chiese Hwoarang incuriosito.
“Perché, prima come si chiamava?” domandò a sua volta la cinese. Il rosso le scrutò il viso delicato, l’espressione sincera e di naturale confusione. Sapeva che una come lei, tremendamente spontanea e sprovveduta, non sarebbe riuscita a mentire così egregiamente come avrebbe invece fatto lui.
Hwoarang fece spallucce e si rimise la sigaretta tra le labbra. “Mah, non so… micio, probabilmente,” scherzò arridendo da un lato della bocca.
“Scemo,” disse Xiaoyu tirandogli una pacca leggera sulla spalla. Il rosso sorrise, poi si fece serio e aggrottò la fronte.
“C’è qualcosa che non va?” chiese la bambina preoccupata.
Le avrebbe voluto chiedere se ricordava qualcosa, qualsiasi cosa, ma il quesito rimase incastrato nella gola.
“Volevo darti questo,” disse poi cacciando quello che sembrava un portafortuna di stoffa giapponese. La cinese lo prese e vide sopra di esso, cucita al centro, una foto di Wang e lei da piccola.
“È una copia della fotografia che abbiamo trovato in salotto… così, ora che hai di nuovo il mazzo di chiavi di casa, puoi portarla sempre con te come portachiavi,” spiegò Hwoarang. La bambina guardò intensamente il portafortuna, poi lui, e non riuscì a frenare un abbraccio sentito, saltandogli al collo e cogliendolo alla sprovvista.
“Avevo abbracciato tutti tranne te…” si giustificò soltanto Xiaoyu sorridendo. Il rosso alzò la mano per cingerle l’attaccatura del collo, lasciandola a mezz’aria e sfiorandole appena l’orlo dell’uniforme, e non appena tentò di posarla lei si allontanò da lui col busto.
“So che per te queste sono cose da stupide femminucce, ma oggi sono così felice che non m’importa niente di quello che pensi,” dichiarò la cinese con un sorriso largo che mostrava tutti i denti.
“A dire il vero stavo pensando che sembravi una mocciosa che aveva appena ricevuto il regalino di natale, ma grazie del suggerimento,” scherzò Hwoarang, ridendosela di gusto mentre vedeva la sua bambina fare il broncio e cercare invano di colpirlo. Era così che doveva essere il loro rapporto, rifletté: puro, immacolato, di amici che scherzavano talvolta in maniera pesante, ma che sapevano di poter contare l’uno sull’altra.
Si alzò e si spolverò i calzoni di pelle, poi guardò la cinese tra il divertito e l’irrisorio.
“Andiamo giù a fare questa stupida cosa delle foto, così me la levo di torno il prima possibile,” scherzò il rosso grattandosi la testa e cominciando a scendere.
“Tu sei un Grinch di qualsiasi cosa bella!” contrariò Xiaoyu oltraggiata. “Ogni cosa che piace alla maggior parte delle persone tu la odi!”
“Mi piace la pizza,” ribatté il coreano con facilità lasciandola di stucco.
“Ok, col cibo è facile. Intendevo qualcosa di collettivo, tipo una festa, una ricorrenza...”
“Mi piace vedere la nazionale di Baseball.”
“Va bene, ma quando c’è di mezzo la musica o i festoni-”
“Mi piace il sesso,” disse il blouson noir girandosi a guardarla già divertito all’inevitabile, scontata reazione che avrebbe avuto la sua bambina: lo fissò prima in silenzio senza dire una parola con gli occhi sgranati, arrossendo in seguito e a scatto ritardato dopo aver elaborato il contenuto dell’ultima frase.
“Ti vedo disorientata… sei ancora rimasta alla storia dell’uovo e della cicogna?” scherzò Hwoarang ridendosela già di gusto. La bambina lo fulminò con lo sguardo e batté il piede a terra.
“Stupido! So cos’è!”
“Cos’è cosa?”
“Il… l’accoppiamento!”
“Che intendi con accoppiamento? Fare squadra insieme?”
“Sai bene cosa intendo, ma tu come al solito fai il cretinooo!” urlò esasperata la cinese saltando agilmente sul corridoio sottostante e cominciando a inseguirlo mentre lui scappava divertito.

“Finalmente siete arrivati! Dove diavolo eravate finiti?!” domando John all’arrivo inatteso e improvviso del blouson noir e la bambina che avevano varcato la soglia dell’appartamento completamente trafelati e sudati. “Dobbiamo fare la foto di gruppo tutti insieme!”
“Che bel’accoppiamento di parole che hai usato, John,” scherzò Hwoarang lanciando uno sguardo eloquente alla sua bambina.
“Sei un deficiente! Un idiota!” urlò quest’ultima puntandogli l’indice con fare minaccioso. “E parlando di accoppiamenti di parole, sei cosi tante cose insieme che dovrebbero inventare delle offese specifiche per te! Tipo cretinente! Scemiota!”
“Deficiota!” suggerì Mugen tutto contento intuendo subito il gioco a cui volle immediatamente partecipare. “È proprio il nostro capo.”
“E tu sei un maialìaco,” ribatté il rosso avvicinandosi al tatuato, posandogli una mano sulla spalla e indicando il letto di Xiaoyu. “Ti sei persino scordato di spegnere la TV con la bambina che sta per varcare la porta della sua cameretta.”
“Oh cazzo!” urlò Mugen correndo in direzione della cinesina, senza riuscire ad arrivare in tempo: Xiaoyu aveva già posato la borsa sul materasso e si era girata in direzione dello schermo acceso.
“Aaaaah, cos’è quella roba?” esclamò la bambina vergognosamente coprendosi gli occhi alla vista di un uomo e una donna che cominciavano a spogliarsi e al contempo toccarsi in posti che lei stessa avrebbe definito ingenuamente speciali.
“Non trovo il telecomando!” urlò il tatuato in preda all’angoscia, buttando giù cuscini e pupazzetti per cercarlo meglio.
“Spero non te lo sia infilato nei pantaloni,” scherzò John.
Mentre tutti sfottevano Mugen, nel chiasso assordante di risate e battute, spinta da una curiosità insita e naturale Xiaoyu aprì l’indice e il medio per spiare la televisione. Chiudeva gli occhi senza volere ogni volta che la situazione sembrava farsi più pesante, ma il particolare di una scena le suggerì di guardare, come guidata dall’indicazione silenziosa del proprio inconscio: l’uomo teneva la donna addossata al muro, in piedi, e le mordeva il collo.
La cinese sgranò gli occhi nel vedere che l’uomo che poco dopo si staccò dall’attrice si era trasformato nel blouson noir. E quando, infine, riuscì a ricongiungere i pezzi nella mente, vide la scena più chiaramente, il ricordo che non aveva afferrato e riassemblato da quella mattina, fino a quel momento.

“Davvero pensi che io sia carina?”
“Tu sei bellissima, lo sei ogni giorno, senza bisogno di chissà quale trucco o vestito succinto.”
Le dita di lui scivolarono sull’avambraccio scoperto di lei, lasciandole una scia di brividi, fin quando non si intrecciarono con le sue. Xiaoyu sentiva il cuore batterle forte, così forte che aveva la sensazione che sarebbe uscito dal suo petto minuto e agitato.
L’aveva visto chinarsi su di lei e aveva chiuso gli occhi per l’agitazione, ma quando sentì le labbra di lui sfiorare le sue rilassò le palpebre e trattenne il respiro. Era stato un bacio dolce e veloce, così inaspettato in confronto al carattere passionale e irruento di quel ragazzo. Ma fu una frazione di secondo, il tempo di un sorriso timido di lei, e stavolta Hwoarang si chinò prendendola per la nuca per darle un bacio diverso, intenso, che trattenne sulle labbra con più vigore. La bambina aprì gli occhi a quell’inaspettato slancio, e fu strano come le venne naturale socchiudere la bocca, un invito che lei stessa si meravigliò di aver fatto nella sua totale inesperienza. Sentì la lingua toccare la propria; era una sensazione nuova, diversa da come se la sarebbe aspettata quando la vedeva in qualche film d’amore. Nei romanzi veniva descritta come qualcosa di caldo, ma Xiaoyu la sentì fresca e umida, in contrasto col suo fiato.
Il coreano si staccò da lei, la quale dedicò a quella pausa veloce il tempo di regolarizzare il respiro, per poi tornare a baciarlo gettandosi al suo collo, provocandogli una risatina compiaciuta. Hwoarang la strinse a sé per sentire il suo corpo caldo agitarsi contro il proprio, accarezzandola lungo i fianchi, salendo sulla schiena e tornando sul suo viso.
Si allontanò da lei per poterle baciare la clavicola, risalendo il collo fino all’attaccatura della testa. Xiaoyu sentì dei brividi intensi mai provati prima. Era un’eccitazione nuova, che le fece portare lo sguardo meravigliato al cielo e accelerare il respiro, fino a quando non divenne una vera e propria palpitazione. Il coreano si staccò per guardarle il viso arrossato e spossato da respiri irregolari e si meravigliò con una punta di orgoglio di quanto era bastato poco per renderla così. Alle altre era servito più di questo per farle arrivare a quel punto, ma alla sua bambina era bastato stuzzicarle il collo, forse proprio grazie alla sua inesperienza, a quella giovinezza sbocciata da poco che faceva sentire ogni brivido, ogni carezza, ogni stimolo come una novità.
“Ancora,” disse solo lei veloce, e Hwoarang obbedì sorridendo e buttandosi con la testa nell’incavo del suo collo, mordendo piano e succhiando, facendola impazzire al punto che non riusciva più neppure a trattenere i singulti. Non poteva sapere quanto fosse eccitante per lui tutto questo, sentirla impazzire sotto i suoi baci come se fossero già arrivati oltre, percepire entrambe le mani dietro la testa per incitarlo a continuare. Era bastato questo per provocargli la più naturale conseguenza maschile, e si domandò se Xiaoyu se ne fosse accorta – una sorta di curiosità, non più una preoccupazione, ma ritenne che quasi certamente non era così visto il modo in cui si era completamente abbandonata a se stessa.
I baci del rosso scesero in basso fino alla scollatura del vestito in lattice. Si fermò con la mano sul tiretto della zip, realizzando che sarebbe bastata una pressione minima per aprire quell’indumento scandalosamente attillato, ma si trattenne, colto da un’apprensione lucida che riuscì a frenarlo dallo spogliarla: si trovavano all’aperto, in un luogo pubblico, alla mercé di tutti.
Senza dare il tempo a Hwoarang di terminare le proprie elucubrazioni, la bambina si gettò su di lui cominciando a baciargli il collo, facendo scivolare le mani sotto la maglietta viola e lasciandole salire sul petto con l’intenzione di sfilargliela. L’audacia della sua compagna gli provocò nuovi brividi e gli mandò in tilt il cervello, trovando il culmine in quella frase che lei enunciò con una certa timidezza nella voce:
“Ti piace?”
Il coreano la guardò divertito e intenerito. Non si era accorta dell’eccitazione che gli arrecava, del rigonfiamento evidente nei pantaloni; e quest’aspetto di lei, così ingenua e spontanea, in uno strano gioco di contrasti, la rendeva persino più desiderabile.
Non riuscì più ad aspettare e la prese per mano per poterla portare con sé in un posto più appartato. Era pieno di palazzine abbandonate, così decise di entrare nella più vicina. Dopo qualche passo frettoloso, sentì la sua bambina incespicare, riuscendo ad afferrarla in tempo prima che cadesse. Si era dimenticato dello stato ebbro in cui si trovava, così decise di mettersi di fronte a lei e sollevarla per le gambe, cominciando a incamminarsi con impazienza e foga non appena si assicurò di sentire le braccia della bambina cingergli il collo per tenersi ben stretta. Xiaoyu ridacchiò a quello che probabilmente, nella condizione in cui era, le sembrò un gioco. Aspettò che salisse le scale prima di baciarlo in bocca a metà rampa, rendendo il suo incedere ed equilibrio precario, sia perché gli aveva coperto la vista, sia perché lo aveva distratto di nuovo. Hwoarang ricambiò il bacio fermandosi e ritrovando stabilità grazie all’appoggio del muro della palazzina. Strinse la ragazza e l’adagiò con sé sulle scale, sovrastandola e baciandola di nuovo. Si alzò col busto il tempo di sfilarsi la maglietta e tornò a dedicarsi a lei.
“Manca solo… qualche passo,” mormorò Hwoarang con una certa riluttanza, visto il modo in cui lei aveva cominciato di nuovo a baciarlo sul petto scoperto. Con grande forza di volontà si alzò e trascinò con sé la sua compagna, stavolta facendo attenzione ad ogni passo e reggendola da sotto il braccio.
Entrò nella prima stanza e ne richiuse la porta con un calcio stringendo a sé la bambina e guardandola intensamente negli occhi. Ancora non ci credeva a quello che era successo, a ciò che stava per succedere. Sembrava la più impossibile delle fantasie da realizzare fino a qualche ora prima, e adesso lei era lì, tra le sue braccia, a fissarlo con uno sguardo dolce e lucido che non le aveva mai visto. Le accarezzò delicatamente la guancia con il dorso della mano, e poco dopo Xiaoyu sorrise e si buttò all’indietro sul letto trascinando con sé il ragazzo per il braccio libero.
Hwoarang le vide uno sguardo deciso, appassionato, che non aveva paura, al contrario del suo che cominciò a vacillare nell’incertezza.
“Xiaoyu…” disse, e lei, in risposta, sorrise intenerita.
“Mi hai chiamato per nome…” affermò commossa e felice come lui non l’aveva mai vista quella sera.
“Te ne ricorderai?” le chiese titubante. “Ti ricorderai di tutto questo?”
La cinese rise a quella domanda inaspettata e allo sguardo inspiegabilmente corrucciato del ragazzo. “Che vuoi dire?”
“Non ti rendi conto dello stato in cui sei, figurati di quello che stai facendo…” convenne Hwoarang guardandola serio. “Non sono sicuro che tu lo voglia.”
“Certo che lo voglio!” replicò decisa la cinese.
Il rosso scosse piano la testa. “Come faccio a sapere che non sia l’alcol a parlare? Stasera hai fatto parecchie cose strane.”
“È da un mese che lo voglio,” ammise la bambina supplicandolo con lo sguardo di crederle. A quella confessione il coreano la squadrò attentamente per poterle leggere un qualsiasi indizio di verità, ma trovò solo gli occhi vacui e lucidi di una persona ubriaca.
“Se quello che dici fosse vero, allora ci saranno altre occasioni… ma se non fosse così, io sto per farti qualcosa che rovinerebbe per sempre il nostro rapporto. Sperando che non sia già troppo tardi.”
“Perché adesso parli come se avessimo fatto una cosa orribile…?”
“Tu non hai fatto nulla, sono io che… per tutta la sera ti ho rinfacciato che potevano approfittare di te ed ora lo sto facendo io stesso da vero ipocrita. Io odio l’ipocrisia,” spiegò guardando la bambina negli occhi che parve avere lo sguardo di chi faticava a seguire un ragionamento. “Se tu fossi una tipa qualunque pescata in una festa probabilmente l’avrei fatto, ma tu sei… diversa.”
Nascose il vero significato di quelle parole persino in quel momento in cui era certo la cinese avrebbe dimenticato ogni cosa.
In un moto di tormento misto ad agitazione, Xiaoyu lo prese col viso tra le mani e lo baciò con passione. Lui la lasciò fare mentre le accarezzava la nuca, e quando si staccarono la guardò negli occhi. Le avrebbe voluto dire che era bella, ma si trattenne e la sdraiò di lato adagiandosi dietro di lei.
“Non sei stanca?” le chiese invece.
“Mi gira la testa…”
“Chiudi gli occhi, allora,” le suggerì a voce bassa. La vide rimanere immobile, ne osservò la nuca e i capelli scompigliati che cominciò ad accarezzare per favorirle il sonno.
“Mi fa male lo stomaco…” gli disse dopo un po’.
Hwoarang si alzò e si diresse nel corridoio dove gli parve di aver visto degli attrezzi edili abbandonati. Prese un secchio nero e si avviò in stanza, ma quando giunse da lei la trovò addormentata. Posò piano il secchio vicino al letto e la guardò in silenzio per un buon minuto. Camminò con passo felpato per la stanza e chiuse piano la porta dietro di sé.


La bambina si lasciò cadere all’indietro sul materasso del letto, seduta con la schiena curva a guardare davanti a sé senza mettere a fuoco il filmino osé che si stava consumando dentro la sua TV. All’improvviso, lo schermo divenne nero e sentì esultare Mugen al suo fianco, il quale la risvegliò prepotentemente dai pensieri.
“L’ho trovato!” affermò quest’ultimo sventolando in aria il telecomando in mano. “Si trovava in bagno.”
“Cosa diavolo ci faceva in bagno?” domandò il tipo con la cresta colorata guardandolo confuso.
“Spero per te che non sia per quello che penso…!” disse Rana in maniera sospettosa con sguardo di disapprovazione.
“Ah, ma certo, ora ho capito!” urlò Mugen guardando male tutti. “Siete stati voi a nascondere il telecomando in bagno… Bello scherzo, disgraziati figli di buona donna! Come quella volta che avete comprato una rivista porno piena di uomini nudi e me l’avete messa sotto il cuscino!”
“Colpevole,” ammise Hwoarang. “È stato uno degli scherzi più geniali di tutti i tempi… ne voglio rivendicare la paternità.”
“Sei davvero un deficiota, capo!”
Il rosso rise a crepapelle, seguito dagli altri, e posò per caso lo sguardo sulla bambina, rimasta seduta sul letto. Si accorse che era sbiancata e lo stava guardando con un’occhiata atterrita e confusa, la bocca socchiusa che sembrava voler dire qualcosa ma non riusciva nell’intento. Era quella l’espressione che Hwoarang auspicò di non vederle il giorno dopo la notte in cui aveva lasciato che gli istinti si abbandonassero e prevaricassero sulla ragione. La bambina era spontanea, trasparente, e sapeva che non sarebbe riuscita a nascondergli neppure a volerlo la rivelazione di quella verità che il rosso aveva sperato venisse dimenticata per sempre.
Il ragazzo aggrottò la fronte e lasciò che la paura vincesse sul proprio carattere tenace e menefreghista.
Era fottuto.
























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Io non commento. Mi sono lasciata palesemente trasportare dal mio lato fangirl. Era dai tempi delle medie che avevo immaginato questo capitolo, e vederlo finalmente finito – per quanto ci abbia messo tanto – mi dà una sensazione di gioia assoluta e al contempo di non essere riuscita a renderlo come volevo, forse proprio perché era un capitolo importantissimo.
AD OGNI MODO.
L’avete visto l’anime di Tekken bloodline? È STUPENDO, GUARDATELO.
Seconda cosa (un fatto decisamente meno importante): ho trovato alcuni maschietti nelle clip dell’anime messe su Youtube, shippare la Xiaorang e mi rende tanto felice. Sono in tutto due ragazzi – un filippino e un americano – ma io mi accontento così, poiché prima era una ship completamente impensabile (e lo è tutt’ora ma con un po’ più di base).
TERZA COSA ANCOR MENO IMPORTANTE. Ho trovato una fanart hentai, sempre disegnata da un uomo, Xiaorang. Anche questo mi ha reso la giornata meravigliosa.
Grazie per aver letto tutto lo sproloquio inutile da fangirl. Al prossimo capitolo!
  
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