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Autore: Lalani    10/09/2009    2 recensioni
“La ragazza si voltò di nuovo verso la tavolata, mentre le lacrime si dissolvevano, e tornò a guardare lo strano spettacolo delle luna spiona e dei fuochi d’artificio scintillanti. E, per l’ennesima volta, si sentì una prigioniera in una gabbia di cristallo. Proprio come lei, la principessa invisibile. In fondo, a Lavinia non è stato permesso scegliere.”
Fan fic su Hinata e sulla crudeltà della vita reale. Tributo a Lavinia, la principessa invisibile.
PRIMA CLASSIFICATA AL CONTEST "I CAN'T STAY WITHOUT MUSIC" DI ONLY_ME
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Eccoci al primo atto!
Un ringraziamento a:
Hinata_Dincht: grazie per la recensione^^, mi lusinghi fin troppo!Sono felice di sapere che ti piace il mio stile. Anch’io ho letto la tua fic, la recensirò al più presto!Bacioni!
Shatzy: che belle le tue recensioni, mi commuovono sempre(LaLa si inchina^^).Inutile dirti che adoro vedere i tuoi commenti e le tue impressioni, mi onorano^^. Naruto apparirà solo nell’ultimo capitolo…e sarà un finale a sorpresa, già già!E comunque il mio nome fa schifo=_= ogni volta che mi presento è un’agoniaXDBacioni!
Bene, signore, ora inizia l'angosciaXD
Buona Lettura!



Atto Primo: Insomnia
Four Days to Death



I'm stuck in my own head and I'm oceans away
Would anybody notice if I chose to stay?
I'll send an S.O.S. tonight


Hinata aveva trovato notevoli difficoltà ad abituarsi all’assenza della limousine alla mattina. Aveva dovuto abbandonare i pochi vizi che si concedeva: svegliarsi diversi minuti dopo gli ultimi squilli della sveglia, pettinarsi direttamente in macchina e indossare le zeppe, troppo scomode per lunghi tragitti a piedi.  
In fondo, era abbastanza alta, che senso aveva? Era un piccolo e frivolo capriccio, avere l’illusione di essere un po’ più alta, più libera, più vicina al cielo.
Ma, in fondo, non aveva senso; su questo rifletteva Hinata, mentre scivolava giù per la stradina ripida e verdeggiante che separava la diafana dimora degli Hyuuga dal resto della città.
Hinata abbassò il viso, nel vano tentativo di nasconderlo con la frangia corvina, quando vide la limousine sorpassarla in un lampo di luce metallizzata. Le sembrava quasi di sentire su di sé gli occhi di Hanabi bruciare e carbonizzare il suo volto.
“Sei diventata troppo pesante per la nostra lussuosa limousine, sorellina” le aveva ripetuto Hanabi quella mattina, come tutte le altre di quell’assurdo e afoso Maggio. Hinata scivolò fino alla scuola, sciogliendosi tra la folla colorata di monotone tonalità accese e metallizzate dal sole. Sfumature che mal si amalgamavano ai suoi colori tenui.
Quella mattina Hinata sapeva dove dirigersi, e invece di infilarsi nel suo banco all’estremità destra, accantonato al muro, corse nel cortile della scuola.
Nel prato prematuramente seccato dal sole fioriva un altro tipo di erba, accompagnata spesso dalle sue sorelle più potenti. Fin dal suo primo anno Hinata era venuta a conoscenza dell’illegale traffico sbocciato anche tra le mura protette della sua scuola, un istituto privato costruito per i soli benestanti.
Ma anche lì i disagi erano molti, e Hinata per prima sentiva che l’ambiente scolastico era terribilmente ipocrita: tanti fiori, tanti insegnati  programmati come computer, tante apparecchiature sofisticate per un futuro grottesco e racchiuso in una scatola fatta di mura plasticate. Il destino del padre, che poi discende al figlio. Almeno Hinata era consapevole che, data la sua situazione, la fabbrica di famiglia sarebbe passata interamente ad Hanabi e a Neji, e, almeno questo, le dava l’illusione di avere il cuore più leggero.
La ragazza scese nel cortile, non più contornato da viole e primule come in Marzo, ma smorzato dal caldo cocente, e intravide Temari che giocava, per l’appunto, con le Temari, le tradizionali palline giapponesi. Le faceva rimbalzare a suo piacimento e la seta colorata scintillava alla luce mattutina. Hinata rimase per qualche istante a fissare le palline color malva e lavanda solcare leggere le mani della ragazza, le sue unghie mangiucchiate, i calli, cicatrici di un passato tormentato. Temari giocava col suo stesso nome: aveva in mano la chiave del suo destino, se lo rigirava tra le mani sicure e nelle sue iridi verde chiaro già si intravedevano orizzonti futuri. Ora che aveva quasi ottenuto il diploma della maturità sarebbe potuta scappare dalla scintillante prigionia che il padre, sindaco della città confinante, aveva imposto a lei e ai suoi fratelli.
Il nome di Temari era un gioco, semplice ma colorato con frammenti di arcobaleno, e scorreva su un destino incerto ma pieno di sole.
Mentre il suo nome, Hinata, era vuoto. Il nome di un ennesima principessa senza trono.
Un’ennesima Lavinia.
La giovane Hyuuga raggiunse quasi di corsa la formosa figura di Temari contornata da un’aureola di paglia.
“Cercavo Gaara” chiese timidamente e lei la indirizzò nel cortile dietro il teatro, salutandola poi con sorriso affettato.
Hinata, per tutti la signorina Hyuuga, una dei tanti Hyuuga, si incamminò verso la sua meta su un sentiero adombrato di fantasmi. Molti ragazzi dell’istituto, durante le prime ore scolastiche, si rifugiavano in quel brullo eden e fumavano, con gli occhi impiastricciati di vapori tossici, rossi e gonfi. Sfiniti dalle responsabilità, scaricavano le frustrazioni sulla canna e sulla sigaretta di turno, imprecando e sputando. Anche i migliori dell’istituto si nascondevano lì per concretizzare le loro fantasie di libertà, esponendola agli altri o lasciandola marcire dentro di loro. Ma più Hinata avanzava nel cortile, più il livello delle droghe si alzava e più le fantasie si concretizzavano, fino a diventare vere e proprie allucinazioni. Nel cortile vicino al teatro scolastico e alla palestra circolavano polveri e pasticche sempre più pericolose, spesso fatte infiltrare da maggiorenni, che stordivano i ragazzi destinati a diventare il pilastro della società. Intravide la chioma color rubino di Gaara dietro il teatro dove spesso recitava suo fratello Kankuro; Hinata avanzò, incerta, e vide gli occhi perlacei e spenti del ragazzo appoggiarsi su di lei con sospetto, anche se i suoi lineamenti leggeri non mutarono. Teneva in mano una canna enorme e conservava le pasticche per il pomeriggio o per spacciarle; per il momento si limitava a farle tintinnare nella tasca come se fossero monete d’oro.
“Gaara, mi dispiace disturbarti…” pigolò Hinata, sempre imbarazzata: aveva cominciato a chiamarlo per nome solo per non creare troppa confusione, dato che aveva due fratelli nello stesso istituto, e non perché erano nella stessa classe da tre anni.
La ragazza si mordicchiò il labbro, sentendo il coraggio infiltrarsi nelle sue vene e appiccicarsi sulla sua pelle come caramello.
“Quanto vuoi per un ecstasy?”
Quanto vuoi per la mia salvezza?
Tutti sapevano che Gaara soffriva di insonnia, quella che ti mangia i piedi di notte, quella che ti assilla come un incubo. Non era solo una scusa per giustificare le spesse occhiaie che facevano capolino da sotto le lunghe ciglia.
E per dormire, per sognare, lui che i sogni non li aveva mai visti, fantasticava. Ma poi le semplici fantasie non erano bastate a riempire la totale assenza di sonno e di sogni: così, per dimenticare la morte della madre, pallida e innocente, e dello zio, per dimenticare l’aberrante odio del padre e l’indifferenza dei fratelli, si era spinto in una tomba fatta di fumi e di false promesse. Hinata, quando era entrata in contatto con quell’ universo sporco e confuso, si era ripromessa di non sprofondare mai nell’abisso della dipendenza. Forse per i precetti che sin da piccola, sin dalla nascita, si era ritrovata scolpiti nella mente, forse per le fantasie che riusciva a costruire senza bisogno di stupefacenti, forse per il suo intramontabile ottimismo nascosto sotto strati di timidezza. Ma ormai le poche certezze e i pochi affetti le erano stati tolti dalla sua famiglia, dal suo stesso sangue. E di notte non dormiva più: aveva bisogno di sognare. Di affondare ancora e ancora, per anestetizzarsi completamente dalla realtà.
Gaara non mostrò sorpresa davanti al pallore del volto angosciato della compagna, davanti alla fragilità dei suoi occhi sconvolti, davanti alla sua assurda richiesta.
“Non posso: ti distruggerebbe. Ti distruggerà sicuramente” sibilò il ragazzo, e si ritrovò a pensare che la sua compagna era già distrutta, da quando era stato ufficializzato l’improvviso fidanzamento con Itachi Uchiha. Non sapeva perché, nessuno sapeva perché, non aveva alzato un dito, nessuno aveva alzato un dito.
Hinata gemette, di dolore, di frustrazione. Il suo SOS era stato ignorato, un’altra volta.
“N-non capisci??Io h-ho bis-sogno di a-a-iuto!” singhiozzò, quasi gridando, mentre il balbettio, che sembrava essere stato estirpato tra i suoi difetti, era ricomparso. Perché nessuno capiva l’odio e l’angoscia che crescevano in lei? Aveva bisogno si sognare. Ancora e ancora. E anche di distruggere. Ancora e ancora.
Gaara avanzò, sul palmo una pasticca rosa, allegra e amichevole.
Hinata la osservò, terrorizzata, mentre lacrime invisibili precipitavano al suolo.
“Questa non ti può aiutare, e nemmeno io” sibilò Gaara con voce atona “Non realizzerà i tuoi sogni, ma li rovinerà ulteriormente. Ti rimane la tua mente, la tua sensibilità, la tua intelligenza, la tua passione, il tuo amore…e anche la cosa che vuoi distruggere. Non bruciarli”.
Hinata sobbalzò, e sentì il suo cuore, la sua mente, i suoi capelli e i suoi seni saltare e poi cadere di nuovo, mollemente.
Allora forse aveva capito, aveva intuito, almeno lui.
Parlava di amore, Gaara, quello che teneva solo per sé stesso, che nascondeva in angolo polveroso e mai pulito, e talvolta ne prendeva un pezzetto piccolo piccolo, e lo mangiava come se fosse zucchero e miele.
Forse anche lui lo avrebbe condiviso, quel suo amore meraviglioso, quando sarebbe uscito dalla scintillante prigionia, come stava facendo sua sorella Temari. Forse il suo nome sarebbe cambiato, assieme al suo destino
Hinata guardò l’immagine del ragazzo, offuscata dalle sue lacrime, bella come un ricordo dimenticato. E decise di rimanere nel suo universo, mentre Gaara rientrava nei suoi oceani lontani, ignorando il suo SOS.
Prese la pasticca dalla sua mano e la lasciò cadere.
Assieme alle ultime disperate lacrime. Il pianto prima della condanna.
Anche Lavinia aveva pianto, quando era stata divisa dal suo vero amore?

 


Anche qui abbiamo un’analisi dei nomi dei personaggi, spero che sia giustaXD Il motivo per cui Hanabi tratta con fredda superiorità la sorella e il motivo che ha spinto Hinata a chiedere a Gaara della droga, verranno spiegati a tempo debito. Nell’ultima frase, metto in evidenza la mia idea che Lavinia, innamorata di Turno, a cui era promessa sposa, sia stata costretta a sposare uno straniero appena arrivato. Questa è una mia interpretazione, in realtà nell’Eneide non ci sono prove di questo fatto.
Grazie per la vostra attenzione,
LaLa
  
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