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Autore: Tubo Belmont    22/04/2023    6 recensioni
[Chainsawman]
[Satanic Panic AU]
Coraggioso Cacciatore di Demoni.
Riuscirai a mantenere lo stesso tipo di coraggio, una volta che troverai il tuo percorso sbarrato da un Male così intendo da essere in grado di consumare la realtà stessa?
Genere: Dark, Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Angel non era solito ritrattare una sua affermazione.
Era testardo fino all’ultimo centimetro del suo essere e, persino quando aveva torto marcio, non l’avrebbe mai data vinta a nessuno.
E lo stesso, valeva per quando si faceva un’idea su qualcosa.
La situazione in cui si trovava adesso, tuttavia, lo aveva portato a raggiungere quello stato mentale in cui, per la prima volta, era costretto ad ammettere di essersi sbagliato: aveva sottovalutato il suo avversario.
La separazione dal proprio collega non si era rivelata così costruttiva come pensava.
Respiro pesante, occhio chiuso e la mano sinistra, su cui scendevano copiosi rivoli di sangue, stretta attorno al braccio da cui reggeva l’elsa della propria arma. Quando era stato separato da Aki, era abbastanza certo che il Demone ad averlo attaccato non fosse il più pericoloso in assoluto. La sua percezione da Sacerdote aveva suggerito un probabile Generale, con sì e no non più di due o tre legioni sotto di sé.
Ed in effetti, a onor del vero, non è che quella creatura avesse fatto molto per mettergli i bastoni tra le ruote.
Non direttamente, per lo meno.
Quel bastardo se ne rimaneva in cima a quel trono di vetrate rotte, ad osservare lo spettacolo con quel disgustoso sorriso in mezzo ai tentacoli rossi. Mentre le infinite armate di cloni continuavano ad avanzare, in un mare di sguardi vuoti e sorrisi allucinati.
Angel digrignò i denti. Non importava quanti ne facesse fuori e quante volte riuscisse a schivare i loro stupidi attacchi… quelli continuavano a ripresentarsi a dozzine. Ed ogni volta che le creature aumentavano, aumentavano anche le ferite sul suo corpo e gli strappi sulla sua divisa sgualcita. I morti avanzarono, e Angel fece un passo indietro. Poi le creature balzarono in avanti con le braccia tese e le fauci spalancate, finendo tagliuzzati sulla spada del loro avversario.
Non senza che prima alcuni di loro superassero la sua scarsa difesa, raggiungendolo con fauci ed artigli.
Il ragazzo emise una sonora imprecazione ed indietreggiò ancora, rendendosi conto per il rotto della cuffia di starsi trovando a pochissimi centimetri dal limite della piattaforma di rovi. Voltò lo sguardo verso la spalla e guardò di sottecchi ciò che si trovava sotto di lui.
Nel migliore dei casi, sarebbe caduto all’infinito.
Tornò a guardare in avanti, trovandosi di fronte l’esercito di suoi doppioni distorti, osservato dal Demone nero. Un’intensa frustrazione raggiunse il suo corpo, conscio che probabilmente se lui ed Hayakawa fossero stati assieme quella maledetta situazione si sarebbe già risolta da sola. Invece aveva deciso di fare lo ‘splendido’ e di  lasciarsi catturare.
Bravo, cazzo. Davvero bravo.
Si sarebbe volentieri preso a schiaffi, in quel momento, non fosse stato per la fatica ancora più intensa della pigrizia che, ora, gli bloccava le braccia flaccide verso il basso. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi.
Poi li spalancò, sforzandosi a mantenere un’espressione dura e seriosa di fronte al suo nemico.
Nemico che, senza allontanare la mano da sotto al mento, continuava ad osservarlo con occhi invisibili ed un sorriso strafottente, ancora più largo e disgustoso.
La cosa lo fece imbestialire.  
Ringhiò rabbioso e, con uno sforzo immane, sollevò l’altro braccio ed afferrò bruscamente l’elsa della spada a due mani, puntandola in avanti come segno di muta sfida.
L’azione fu talmente rapida che, qualcosa di non identificato, cadde dalla larga tasca dei pantaloni, tintinnando al suolo rumorosamente.
Angel si voltò in direzione del suono.
E sgranò gli occhi, vedendo l’oggetto di cui si era totalmente scordato l’esistenza che ricambiava il suo riflesso sulla sua superficie dorata.
 
Un bracciale. Largo almeno come il suo braccio.
Un bracciale dorato e decorato dagli assolutamente non inquietanti rilievi di minuscoli occhi umani spalancati, che contornavano tutta la superficie esterna come bizzarre pietre preziose. L’oggetto era scivolato sulla scrivania di legno lucido e, adesso, era sotto lo sguardo scrutatore del giovane Sacerdote.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, continuando ad osservare con sospetto.
“Uhm…” Angel piegò la schiena e piantò le mani sulla base della scrivania, guardandolo intensamente ad un millimetro dal proprio naso “… mmmmh…”
L’interlocutrice si pinzò il naso con le dita, sospirando pesantemente.
“… sembra costoso…” alzò lo sguardo verso di lei “… se non ti conoscessi, starei quasi per dire che me lo stai regalando per provarci con me.”
“A tanto così, Angel” Sorella Makima, sfoderando un sorriso smagliante sulle labbra pitturate di rosso chiaro e serrando le palpebre sugli occhi, alzò la mano destra tendendo pollice ed indice in perpendicolare tra loro, come se stesse tenendo in mano una biglia “sei a tanto così dal vedere la tua paga drasticamente ridotta.”
E quelle parole, che per le orecchie del giovane suonarono molto peggio di una minaccia di morte, tornò subito composto, mani dietro la schiena, sguardo fisso in avanti ed una lieve goccia di sudore sulla fronte.
La donna riaprì gli occhi, tornando al suo solito e gelido sorriso e lasciando nel cassetto quello da ‘presto giocherò con le tue budella’. Per quanto Makima fosse considerata dai suoi sottoposti solo come una collezionista psicopatica ed una maledetta avara, Angel compreso, era pur sempre anche la più terrificante abitante del Giappone.
Aveva vinto un contest.
“Hai idea di cosa sia questo?” domandò all’improvviso la donna, indicando il bracciale.
Angel si riscosse dai suoi pensieri, tornando a guardare l’artefatto “Sembra un braccialetto. Un braccialetto per chi ha veramente pessimo gusto.”
“Precisamente” annuì quell’altra vigorosamente, compiaciuta “ma in vero, per quanto sia un letterale pugno nell’occhio da guardare, questo coso potrebbe addirittura salvarti la vita, un giorno.”
Angel sbatté le palpebre, confuso.
Poi la consapevolezza si fece strada tra le sue meningi, facendogli alzare di scatto lo sguardo verso la sua datrice di lavoro, a bocca aperta “Aspetta… non vorrai mica dirmi che…?”
“Precisamente. Di nuovo.” La donna lo puntò con il dito, facendogli l’occhiolino “ti sto affidando una delle mie Reliquie, caro il mio Sacerdotino.”
Reliquie. Oggetti così antichi che, si dice, esistessero ancora prima che l’idea dell’umanità fosse, appunto, un’idea. Artefatti posseduti da coloro che, in tempi di un’epoca immemore e sconosciuta, esattamente come pochi esseri umani adesso, combattevano contro coloro che avevano intenzione di distruggere il Mondo.
Armi leggendarie, utilizzate dagli Angeli in persona per annientare i Demoni.
Il ragazzo trovò tutto questo spaventosamente ironico… e sospetto.
Sorella Makima non si sarebbe mai separata da uno dei più pregiati oggetti della sua collezione, una Reliquia Angelica, probabilmente più costosa di casa sua, quella dei suoi genitori e quella dei nonni dei suoi nonni, per poterla dare ad un misero sottoposto.
“Sorella Makima” il ragazzo la guardò, serio. Mentre rimuginava, intanto, la donna si era voltata verso la finestra dietro alla scrivania, avvicinandosi ad essa con le mani giunte dietro al vestito nero da “… che cosa hai intenzione di fare, questa volta?”
“… uhm… la potrei chiamare una… scommessa.” Mormorò in risposta, osservando gli orfanelli che giocavano allegramente nel prato del convento, decorato da una colossale scultura della Vergine Maria posta al centro, in mezzo ad una siepe di fiori colorati “… voglio vedere se tu, assieme a qualche altro figliuolo, hai ciò che serve per prendere in mano un pezzo dell’eredità di coloro che, un tempo, facevano il nostro lavoro.”
Makima tornò ad accomodarsi alla scrivania. Poi posò un dito sul bracciale, spingendolo ulteriormente verso Angel “Gratuitamente.”
Angel guardò il bracciale.
Poi guardò Makima.
E poi tornò sul bracciale.
Non aveva motivo di pensare che il suo Capo stesse provando da ingannarlo in qualche modo. Tra i pochi lati positivi della Sorella, uno principale era la sua brutale trasparenza. La mancanza di peli sulla lingua di Makima era la causa per cui molti suoi sottoposti avevano più di un complesso d’inferiorità.
Però affidare Reliquie ad esseri umani… sembrava un rischio molto grande.
E il primo pezzo di un piano decisamente più grande.
“Morale della favola, Angel” piegò la schiena, la Sorella, abbassandosi sulla scrivania e poggiando il mento sulle mani dalle dita intrecciate. Gli occhi gialli brillarono come topazi in mezzo alla penombra, ricordando al Sacerdote per quale motivo quella donna fosse il capo del gruppo di Cacciatori di Demoni più grande al Mondo “vi sto dando ‘in prestito’ i miei giocattoli. Giocattoli che potrebbero arrivare, un giorno, a significare il futuro di questo lavoro. Avrai notato, ultimamente, che il Male si sta facendo molto più agguerrito, e non vomita soltanto Imp da quattro soldi a possedere mocciosi per squartare qualche vergine. Se chi bazzica sotto la realtà ha intenzione di alzare la posta in palio, chi sono io per rinunciare alla sfida?”
Il ragazzo guardò il bracciale un’ultima volta “Insomma… vuoi creare dei ‘Super’ Sacerdoti, adesso?”
Quella fece spallucce, accentuando il sorriso “Oppure voglio solo evitare che troppi figliuoli muoiano sotto al mio naso. Sono molto più generosa di quello che voi tutti credete, miei cari.”
Il ragazzo sospirò, non pienamente convinto sull’ultima affermazione della Sorella.
Ma prese il braccialetto comunque.
Rifiutare un ‘regalo’ di quel tipo solo perché ‘fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’ sarebbe stato scortese. E probabilmente la sua paga sarebbe diminuita drasticamente.
Il tempo di allontanarsi e di aprire la porta dell’ufficio, che Makima tornò a parlare “Mi raccomando, fai molta attenzione con quello.”
Angel si voltò verso di lei, scrutandola da dietro una spalla.
“Non è un Braccialetto Magico che ti fa diventare una Magical Girl, ma un artefatto così antico e potente che potrebbe folgorarti sul posto, se non sei meritevole di utilizzarne il potere.”
Ecco la fregatura…
“Usalo solo in caso di estrema necessità. E non preoccuparti di morire” Makima gli fece l’occhiolino “Se sei costretto ad usarlo, allora vuol dire che saresti comunque morto a prescindere.”
 
Usarlo proprio ora…? Sono deluso da me stesso…
Avrebbe preferito utilizzarlo in una situazione più critica.
Ma quando si sta per morire, è sempre una situazione critica, no?
Il ragazzo scattò verso il bracciale caduto sulla piattaforma, afferrandolo.
Una volta tornato eretto, abbassò l’arma e premette sull’occhio in rilievo più brillante. Il Bracciale dell’Ophanim – così aveva scoperto chiamarsi, dopo una ricerca fatta assieme al suo compagno di stanza Beam – si aprì con uno scatto rumoroso.
Il rosso strinse i denti, cominciando a sentire l’apprensione farsi largo tra le viscere. Allo stesso tempo, però, senti la vicinanza con l’armata di cloni, ricevendo la certezza che esitare ancora avrebbe significato morire. Quindi scoprì il braccio destro, facendo su la manica nera.
“Se per sta’ cazzata ci crepo di merda, brutta stronza” strinse la presa e fece sbattere il bracciale al centro del braccio. Quello si richiuse con uno scatto, come una manetta “il mio fantasma ti perseguiterà fino alla fine dei tuoi giorni…!”
E i cloni scattarono verso di lui, artigliandolo e mordendolo furiosamente.
La spada cadde sulla piattaforma.
E così fece Angel.
O meglio, il Sacerdote cadde fuori dalla piattaforma assieme ad una trentina di suoi doppioni, intenti a morderlo e a graffiarlo. Precipitò, senza un suono o un lamento, verso quel vuoto rosso ed urlante, con il compiacimento della creatura demoniaca che aveva osservato tutto lo spettacolo.
Poi il suo sorriso svanì, per la prima volta da quando aveva fatto la sua comparsa, da in mezzo a quei tentacoli rossi.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=sY5fmZX1A1o]
 
Una colonna di luce brillante si era innalzata dal punto esatto in cui il Sacerdote era scomparso. Una colonna così alta che andò ad espandersi fin verso al soffitto inesistente di quella dimensione di volti urlanti. Il Demone si alzò in piedi, lentamente, col muso deforme rivolto verso la fine invisibile della colonna. I cloni non precipitati parvero ritrarsi, quasi impauriti.
Poi la luce scomparve.
Al posto di quest’ultima, era apparso uno strano bozzolo fluttuante a mezz’aria, formato da tre paia di enormi ali piumate chiuse su di loro. Ali piumate al cui centro, senza alcun preavviso, si spalancarono giganteschi occhi dall’iride rossa, che puntarono la marcia di creature davanti.
Il Demone s’irrigidì, muovendo un passo all’indietro.
“… suppongo dovrei dirvi di non aver paura…”
La testolina di Angel fece capolino da sopra quel triangolo rovesciato di candide piume, assieme alla sua voce vellutata e flebile. La sua espressione era beata, anche se seria, ed ogni segno della fatica sul suo volto pareva essere svanito nel nulla.
“… ma sarebbe un’affermazione che andrebbe contro al motivo per cui sono qui.”
Aprì gli occhi e così fecero quattro delle paia di ali, arrivando a raggiungere i sei metri di lunghezza. Quel semplice gesto, cambiò l’ambiente circostante, come se Angel avesse appena acceso un interruttore invisibile: lo sfondo rosso e i volti urlanti lasciarono spazio ad un’esibizione di nuvole candide come la panna montata, illuminate da una luce dorata che sembrava arrivare da ovunque e da nessuna parte. Ed in mezzo a quelle nuvole, spuntarono a centinaia di migliaia di altri occhi rossi. Tutti che puntavano con un furore ed una superbia antichissime gli scherzi della natura sottostanti.
Angel scrollò le spalle nude e candide, senza rivelare il resto del corpo da sotto le enormi ali ancora piegate su di lui, mentre la spada che era caduta in terra cominciava a fluttuare verso di sé “che ne dite se facciamo la finita subito? Così me ne ritorno da quel pazzo suicida del mio partner?”
Il Demone emise uno stridio furente, simile ad un gruppo di babbuini che finiscono in un tritacarne, puntando quindi il dito artigliato verso la nuova forma di Angel e scatenando ogni suo singolo mostro contro di lui. Altri cloni fuoriuscirono dagli specchi circostanti, correndo concitati contro al bozzolo di ali.
Mogiamente, il ‘ragazzo’ liberò un braccio dalle piume, quello circondato dal bracciale occhiuto. Subito, la spada presa in dotazione per la missione si rizzò sull’attenti, con la lama rivolta verso l’alto.
E si sdoppiò, come una cellula che si moltiplica.
Angel puntò il dito del braccio in avanti, con l’espressione più gelida che avesse mai avuto, e ventiquattro spade scattarono come un gruppo di feroci calabroni, lasciandosi dietro una scia d’energia dorata ovunque andassero. Tagliarono ogni singolo clone, facendo volare sangue oscuro, arti e budella un po’ovunque, e rompendo ogni singolo specchio che continuava a crearli. La danza di spade dorate terminò con ogni singola arma che volava verso una direzione diversa, svanendo in mezzo alle nuvole.
Angel nascose il braccio tra le piume, per poi puntare gli occhi verso il Demone nero, che ringhiò furente.
La creatura piegò la schiena, le gambe e le braccia, per poi eseguire un possente balzo verso l’alto, facendo volare a loro volta diversi pezzi di specchio. Alcuni di quei pezzi li utilizzò come rampe, rimbalzandoci sopra con i piedi per darsi ulteriori e poderosissime spinte, infrangendoli ad ogni suo salto.
Ogni singola azione venne eseguita senza che quei colossali occhi in mezzo alle nuvole lo perdessero di vista, nemmeno per un secondo.
Quindi, arrivato ad un pezzo di vetro bloccato perfettamente al centro del cielo, rivolto per caso verso al corpo del Sacerdote, la creatura emise un acuto ruggito rabbioso e, piegate le ginocchia, balzò verso di lui, con le fauci umane spalancate, gli artigli tesi e la bava scura che colava dal lato destro della bocca come il pezzo di una ragnatela. Angelo lo guardò svogliatamente.
Poi, puntò il dito verso di lui, quando la creatura si trovava a poco meno di qualche centimetro di distanza dal suo corpo. E le spade riapparvero, come baionette di luce, attorno al corpo del Demone. Penetrarono nella carne avvolta dal pelo nero, facendone scempio e macchiando di oscurità le candide piume dell’angelo.
 
Angel, portatosi al centro della piattaforma di rovi, ormai ricoperta di budella e sangue e arti, teneva sollevata nel centro della mano la testa sanguinante del Demone degli specchi.
“Non credo abbia più senso fare il misterioso, adesso che sei solo una testa ansimante…” Angel sbatté le palpebre, guardando la creatura che reggeva in mano boccheggiare mogiamente come un pesce fuor d’acqua “… quale Demone ha richiesto il tuo aiuto, Generale?”
L’essere emise un sospiro raschiante e affannoso.
Angel sbatté nuovamente gli occhi, poi si portò la testa della creatura all’orecchio, in ascolto.
E quella parlò. Rivelando la più atroce e terribile verità che potesse aspettarsi.
Il ragazzo angelico s’irrigidì, sgranando gli occhi, allontanando la creatura da se e guardandola sconvolto, sperando quasi che quel terribile nome di bestemmia che avesse appena sentito fosse solo l’ultimo inganno di quella creatura del Male.
Ma quell’altra tornò a sorridere malevola, beandosi del suo sgomento.
 
Era tornato nel corridoio della casa maledetta.
Inginocchiato a terra, vestiti ricomparsi dal nulla, occhi sgranati e la spada coricata davanti a sé. Lo specchio che lo aveva inghiottito era completamente distrutto, ed i cocci riflettenti del vetro erano tutti sparsi sul pavimento di legno.
Poco importava, però, dato che adesso Angel sapeva che aveva lasciato Aki in balia di…
“DANNAZIONE!” digrignò i denti e scattò in avanti, afferrando l’elsa della spada.
Non c’era tempo da perdere!
Fece per rialzarsi in piedi e correre verso le scale, ma ogni singola parte del suo corpo venne attraversata da una terribile ed intensa fitta, che lo costrinse nuovamente a terra sulle ginocchia, con la spada conficcata davanti a sé per non rovinare a terra.
Poteva sentire l’Ophanim che bruciava sul suo braccio.
Maledizione… tutto questo potere, solo per poi trovarmi più spossato che dopo una notte di alcolici!?
Odiava quella situazione.
Odiava il trovarsi lì.
Odiava starsene dolorante in mezzo a quella catapecchia.
Odiava l’aver lasciato solo quel maledetto bastardo di Aki.
Voleva starsene a casa, a giocare ai videogiochi assieme ai suoi amici.
E invece eccolo lì, a rischiare la vita per un mestiere – enormemente – remunerativo.
In un’altra vita, avrebbe fatto il sarto.
Sei i Demoni non avessero nuovamente raso al suolo il suo villaggio, ovviamente.
“N-non morire… dannazione…” si rialzò in piedi a fatica, usando la spada come bastone da passeggio e avviandosi alla scala “… se provi a morire, ti ammazzo, Hayakawa Aki!”
 
[…]
 
Oltre a quelle fiamme infernali, adesso il buio della soffitta era illuminato dalle scintille di uno scontro.
Il silenzio, era scandito dal forte rumore delle armi che si schiantavano tra loro, esplodendo in una cacofonia feroce e violenta.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=MLbLz7M34ek]
 
All’ombra di un pentacolo sullo sfondo dell’abisso, un essere umano ed un araldo dell’Inferno stavano combattendo all’ultimo sangue. Facendo balenare la katana, che tracciava brillanti archi in mezzo al nulla, Aki Hayakawa continuava ad incalzare il suo avversario in uno scontro serrato, con fendenti rapidi e decisi, accompagnati di tanto in tanto dalla pistola che, dopo un allontanamento rapido, si puntava verso il nemico, sputando un proiettile incandescente dalla canna.
Il proiettile, il più delle volte, sfiorava e feriva il corpo del mostro, facendo sgorgare il sangue nero e macchiando il suolo. Altre volte, la maggior parte, si schiantava sugli affilatissimi e lunghissimi artigli, o si bloccava tra le fauci incastrate nel folle sorriso della creatura.
Creatura che, ad ogni fendente, rispondeva con altrettanta foga, facendo danzare le braccia come fossero fruste dentate, facendo saltare le scintille verso l’alto ed il basso come il martello di un fabbro che si schianta sulla propria creazione.
Così danzavano, i due avversari, mentre l’arena di legno, fiamme e buio, pareva danzare assieme a loro, roteando su se stessa, e i loro passi picchiavano al suolo rabbiosamente, muovendosi a scatti avanti e indietro, assieme agli spari ed al vento che veniva tagliato dalle lame.
Fu a quel punto che il Demone, accentuando il sorriso ed eseguendo un balzo, piombò sul Sacerdote con un doppio fendente dall’alto, facendo quasi sembrare il suo movimento un brutale abbraccio. Aki digrignò i denti e pose la katana di fronte a sé, in verticale e rivolta con il piatto di lui. Gli artigli d’ossidiana della creatura si scontrarono sul metallo lucente della spada, provocando il più potente e stridente suono emesso da quel combattimento fino ad ora. Spinse verso il basso, facendo piegare appena la schiena dell’umano all’indietro, ghignando sempre di più.
Lo spadaccino schiccò la lingua e, con un ruggito trattenuto dalle labbra, spinse in avanti con tutta la forza che aveva, allontanandolo. Quello eseguì un giro della morte all’indietro, fluttuando a mezz’aria, per poi atterrare dolcemente al suolo, in punta di piedi, come una ballerina. L’essere puntò gli occhi neri come pezzi di ossidiana sul Sacerdote, ridendo sommessamente con la sua voce da ragazzina, mentre faceva danzare le dita da cui spuntavano quei dieci artigli neri, lunghi almeno poco più della metà della katana.
Rapido, il Sacerdote si riportò la katana davanti al corpo, puntata verso il basso e puntò la pistola in avanti, poco prima che il nemico scattasse verso di lui ridendo sguaiatamente.
Finì tutto il caricatore, sparando fino all’ultimo colpo.
Nessuno andò a segno, vendendo semplicemente deviato o schivato.
Ed il giovane capì che non avrebbe sicuramente avuto più tempo per ricaricare.
Gettò l’arma scarica di lato e, all’ultimo secondo, tornò a parare un nuovo doppio fendente a croce del nemico, che avvicinò molto pericolosamente il viso coperto di plastica al suo, dal basso verso l’alto. il respiro era gelido e sapeva di zolfo.
“Onestamente… mi aspettavo molto di più dall’uomo che tanto ha fatto parlare di se, giù da noi” rise sguaiatamente, cambiando con una certa costanza la voce cavernosa da Demone a quella da ragazza “… non sono nemmeno sudato.”
“Mi sottovaluti, Demonio.” Aki allontanò nuovamente il mostro da se, con una pedata in mezzo alla pancia. La creatura rise, poi ripartì all’attacco aprendo le braccia ai lati.
Il giovane scattò a sua volta verso di lui, rapidissimo, afferrando l’arma a bimane e menando un fendente in avanti, rivolto al collo della creatura.
Quella però sorrise sghemba, piegando le gambe in modo innaturale e schivando senza problemi.
Il tempo di sgranare gli occhi per la sorpresa, e lo spadaccino si ritrovò cinque lunghi e scarlatti tagli sulla camicia bianca, che sprizzarono sangue allegramente. Il ragazzo strinse i denti per far fronte al dolore, poi parò un affondo rivolto al cuore. L’impatto scatenò una pioggia di scintille e fece strisciare i mocassini al suolo, allontanandolo quasi fin contro al muro alle sue spalle.
Il Demone ritornò eretto, per poi piegarsi all’indietro innaturalmente e portarsi una mano davanti agli occhi, puntandolo con un artiglio e ridendo sguaiatamente.
Il ragazzo digrignò i denti e, sentendo il sangue ribollire nelle vene, ripartì all’attacco.
“Moccioso…” l’essere intanto era già ritornato composto, le braccia larghe ai propri lati e che, lentamente e quasi impercettibilmente, salivano verso l’altro. A loro volta, così stavano facendo le fiamme che attorniavano il teatro dello scontro “… ogni tua espressione è semplicemente una meraviglia.”
Alzò le dita artigliate verso l’alto.
E le fiamme scattarono verso il soffitto, innaffiandolo con le fiamme e creando un terribile tappetto incandescente ed in perpetuo movimento. Aki fermò la sua corsa, alzando lo sguardo al cielo. Una mossa astuta visto che, poco dopo, enormi palle di fuoco cominciarono a piovere verso di lui. il ragazzo masticò un imprecazione, cominciando a correre di lato e schivando una sequela di sfere che minacciarono di centrarlo in pieno. Quindi ne schivò una settima con una capovolta, per poi ripartire in avanti, verso l’artefice di quel maleficio, schivando e dividendo a metà altre palle di fuoco con la katana.
Nel frattempo, una lunghissima lingua di fiamma aveva cominciato a circondare come una serpe il corpo del Demone, senza sfiorarlo di un centimetro.  
nel frattempo, all’interno di quelle spire infuocate, la creatura danzava, muovendo le braccia in un movimento rotatorio, facendole sembrare acqua.
“Mi fai ridere, Hayakawa.” Sibilò, puntando lo sguardo verso l’avversario, sempre più vicino “è per questo che meriti un assaggio di pura malvagità.”
E la lingua di fuoco finalmente prese una forma precisa.
Quella di un gigantesco serpente che, con un sibilo, puntò la testa infuocata verso il giovane Sacerdote.
Quello, schivate le ultime poche palle di fuoco, si bloccò, scambiandosi uno sguardo con quello del predatore.
… perfetto.
Il serpente spalancò le fauci, snudando le zanne infuocate e scattò verso il ragazzo. Quello eseguì una sequela di balzi all’indietro, mentre la creatura lo incalzava sempre di più, molte volte, sfiorando con i denti incandescenti la punta della spada. Aki scappò più che poté… fino a trovarsi con le spalle al muro, in piena balia del nemico. Il serpente s’innalzò in tutta la sua grandezza, per poi gettarsi su di lui con le fauci spalancate. Aki digrignò i denti e affilò lo sguardo, alzando la spada innanzi a sé e colpendo l’essere sul muso. Ci fu una violentissima esplosione di fiamme e polvere, che lo nascose agli occhi del nemico.
Nemico che, dopo aver visto tutta la scena, scoppiò in una fragorosa risata, applaudendo come davanti al momento cardine di un magnifico spettacolo.
Quando la polvere finalmente si fu diradata, Aki era in mezzo ad un enorme macchia nera, assieme a qualche piccola fiammella che si era accesa su muro e pavimento. La giacca era stata quasi del tutto disintegrata, e diversi tagli ed abrasioni coprivano il volto del giovane.
I suoi occhi di ghiaccio erano puntati sul Demone.
“Accipicchia…” quello incrociò le braccia, assumendo un ghigno compiaciuto “Tu sei davvero fatto di tutta altra pasta, non è vero? Mi aspettavo qualche danno in più su quel bel faccino… sono un po’ deluso da me stesso, ora.”
L’altro si limitò a sputare un grumo di sangue di lato.
Per poi strapparsi la giacca nera di dosso e farla cadere a terra.
La camicia bianca e bagnata dal sudore aderì perfettamente al corpo tonico e muscoloso, mentre piegava le gambe ed afferrava la spada a bimane nuovamente, pronto per ripartire all’attacco.
“Oh, Hayakawa Aki…” il Demone piegò le gambe a sua volta, spalancando le braccia sorridendo raggiante. I denti brillanti come pugnali che brillavano tra le ombre “I AM HAVING SOM MUCH FUCKING FUN!
Scattarono l’uno contro l’altro.
E quando si trovarono a poco meno di qualche centimetro di distanza l’uno dall’altro, il tempo parve rallentare fino a stopparsi.
Menarono un fendente all’unisono.
Cinque artigli ferirono una spalla.
Ma anche la katana colpì qualcosa, poiché la sua lama fu immediatamente zuppa di sangue scuro.
I due corpi si allontanarono di diversi metri l’uno dall’altro, ognuno che mostrava la propria schiena.
Il ragazzo strinse i denti ed arricciò il naso per far fronte al dolore, poi scrollò l’arma verso il basso, ripulendola dal sangue del nemico.
Dunque, si voltò verso di lui.
Il sacchetto di plastica, diviso a metà, si trovava ai lati della creatura, che adesso teneva la testa piegata in avanti, invisibile ai suoi occhi. Le spalle erano basse, gli artigli all’ingiù e le gambe erano malferme.
Seguì una silente staticità, che Aki sfruttò per rimettersi in guardia.
Ed in quel momento… la creatura prese a ridere.
Prima piano, poi forte.
Poi ancora più forte, fino a ridere sguaiatamente.
Quando alzò la testa, il Demone mostrò un taglio di capelli corti.
Neri. Neri come i suoi.
Il sangue del Sacerdote si raggelò nelle vene.
“Oh… mio caro Hayakawa…”
La schiena della ragazza si piegò all’indietro, innaturalmente, seguita dal suono delle ossa che si spaccavano.
E con i suoi occhi neri, il sorriso morboso e folle ed un lungo taglio in mezzo alla fronte, il viso di Taiyo apparve di fronte ad un Aki sconvolto, che stava raccogliendo tutte le forze che aveva per non tremare.
“… Non puoi liberarti di me così facilmente.” Anche la voce era la sua.
Non era la prima volta che i Demoni usavano la voce del defunto fratello per attaccarlo. All’inizio era stato difficile ma, con il tempo, aveva trasformato quei tentativi di depistaggio come benzina per accrescere la sua rabbia. Ma il volto distorto dal Male di suo fratello… l’ultima volta che lo aveva visto era stata quella.
Quella maledetta giornata innevata.
Quando era ancora un bambino.
E mentre l’anima del giovane veniva scossa da un puro terrore, le fiamme dei manichini si fecero azzurre, gelide. Il soffitto smise di bruciare. Come sotto ad una bufera, la soffitta si riempì di neve e freddo, tale che ad ogni respiro una piccola nuvola di condensa si faceva largo tra le labbra del Sacerdote.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=VKfyq_hOL0c]
 
“Akiiiii…” il Demone, adesso, era diventato una perfetta copia del fratello minore che aveva perso quel giorno. Anche il giubbotto pesante beige e la cuffia rossa, sgualcite e macchiate di sangue e ricoperte di strappi, erano gli stessi. Lo chiamava, canticchiando, senza smettere di sorridere, camminando lentamente e con le braccia armate di artigli aperte ai lati e con la testolina che dondolava a destra ed a sinistra “… avanti… non vuoi giocare a ‘palle di neve’ con me?”
In un lampo, si trovava già davanti a lui, piegato così tanto in avanti da sfiorare il pavimento di legno.
Aki reagì quanto più veloce poteva, ma non fu sufficiente.
Suo fratello roteò su se stesso, strisciando con la schiena a terra come in un passo di break-dance, scagliando un poderosissimo calcio contro al mento del Sacerdote, che volò verso il soffitto. Li si schiantò di schiena, emettendo uno strozzato verso di dolore, per poi precipitare al suolo. Ma la creatura non lo lasciò atterrare: scattò in avanti, con il sorriso che rifletteva la luce spettrale delle fiamme e i denti che perdevano di tanto in tanto gocce nere come la pece, ed eseguì un doppio fendente con le cinquine di artigli.
Attacco che andò del tutto a segno.
Gli artigli penetrarono nella carne, entrando nelle spalle dello spadaccino ed uscendo dall’altra parte, facendo sgorgare una vasta quantità di sangue. Quindi il Demone, cominciando a ridere come un ossesso, piegò le braccia all’indietro, sollevando un lamentoso Aki sopra la testa, per poi scagliarlo verso il muro davanti, spedendolo a rotolare a terra fino a sbattere con la schiena contro alla vetrata rotta.
Il moro, dolorante e con ogni singola parte del suo corpo che gridava pietà, strinse i denti e fece per rialzarsi, afferrando l’elsa della katana e stringendola con tutte le sue forze. Ma la cosa che aveva preso l’aspetto di suo fratello si trovava già davanti a lui, a schiacciarle la mano che stava provando ad armarsi con uno stivale. Il giovane perse la presa, emettendo un lamento dolorante.
Quindi alzò la testa verso il nemico.
“Uhm… che peccato…” la creatura sollevò l’altro piede “… Sembra che io abbia già vinto, uh?
Lo schianto dello stivale contro al muso del Sacerdote fu tale da far tremare tutta la casa nella sua interezza. Una linea spezzata si sollevò dal punto in cui la testa di Aki era sprofondata nel legno, fino a raggiungere ciò che rimaneva della finestra che, finalmente, si spaccò del tutto.
“Mpf…” ‘Taiyo’ si allontanò dal corpo esanime del ‘fratello’, il cui volto adesso era una maschera sanguinante incastonata nelle schegge. A stento, riusciva a sfiorare la propria arma e tenere gli occhi fissi sull’avversario.
“Dunque è così che finisce… la leggenda?” il Demone camminò per qualche altro metro, con le mani intrecciate dietro la schiena. Poi si voltò di scatto, ridente. Liquido nero simile a catrame usciva da occhi, bocca e naso “Ero convinto che saresti stato il primo, dopo così tante ere, a darmi un po’ di divertimento. A quanto pare, nemmeno voi Sacerdoti valete il mio tempo. Che grandissima delusione…”
Si portò due dita davanti alla bocca, unendole tra loro, puntando gli artigli verso l’alto.
Le fiamme azzurre di due paia di manichini cominciarono a sollevarsi verso il soffitto.
“Nonostante ciò…” il sorriso si accentuò, parendo ancora più intenso e brillante a causa di quelle fiamme spettrali “… il tempo che abbiamo passato assieme lo custodirò con avidità. Mi sono davvero divertito!”
Aki alzò debolmente la testa verso l’alto.
Quattro enormi serpenti formati dalle fiamme azzurre restituirono lo sguardo.
“Addio, fratellone!” disse la creatura, usando la voce di Taiyo, mentre i serpenti scattavano in avanti snudando le fauci.
Il Sacerdote non si mosse. Nemmeno quando i nemici furono a pochi millimetri di distanza.
L’esplosione che ne seguì fece brillare d’azzurro tutto l’ambiente.
L’onda d’urto scompigliò il giubbotto sgualcito e rovinato e la capigliatura.
Ridacchiò, abbassando lentamente il braccio “E così, un altro insulso insetto e stato schiacciato.”
Come il braccio fu nuovamente lungo il suo fianco, poco dopo si trovava a svolazzare a mezz’aria, con una scia di sangue nerissimo che seguiva ogni suo movimento. La creatura si accorse della terribile menomazione solo quando l’arto tranciato aveva sbattuto un paio di volte a terra.
E quando un’intensa fontana di sangue esplose dal moncherino.
La creatura, più per la sorpresa che per il dolore, si strinse la zona ferita con la mano ancora agibile, voltandosi con denti digrignati “… perché?” per la prima volta da quando lo scontro era cominciato, l’essere provò un’intensa rabbia. Forse perché detestava l’aver perso un arto così facilmente; forse perché non riusciva a credere di essersi distratto così tanto. O forse perché, alcuni insetti, proprio non hanno intenzione di morire schiacciati “…come mai ti ostini ancora a svolazzare, scarafaggio…?
Alle sue spalle, un trasandato Aki, ricoperto di sangue e ferite, gli dava le spalle, lievemente piegato in avanti e con la katana appena piegata allo stesso modo, come dopo aver appena concluso un fendente dall’alto verso il basso. Gocce di sangue nero colavano dalla spada, fino a sporcargli le mani. Lo sguardo, era celato dalle tenebre.
“Lo sento, umano: la tua volontà di vivere è pressoché inesistente” il Demone si voltò del tutto verso di lui, senza lasciare andare il moncherino ancora zuppo di sangue “eppure… ucciderti è così difficile. È per questo che hai sterminato così tanti miei simili…?” riprese a ghignare “… perché ancora non ti lasci avvolgere dall’abbraccio della morte? Sappiamo che non hai speranze di sconfiggermi. Quindi perché ancora combatti?
Aki tornò finalmente eretto.
Testa bassa; scrollò la katana di lato, pulendola dal sangue.
“… perché, mi chiedi?”
Quando il Sacerdote si voltò, il Demone rimase piuttosto sorpreso. Il suo volto, tumefatto e insanguinato, era ancora più misero di quanto si aspettasse. Il suo sguardo era vuoto, come quello di un cadavere, e sulle labbra c’era l’ombra di un sorriso spento, finto come quello di un manifesto pubblicitario. Non era decisamente l’espressione rabbiosa da Distruttore di Demoni che si aspettava di vedere.
“…perché ho una paura fottuta.” Il Sacerdote si voltò verso di lui, tornando in posizione di battaglia, senza smettere di sorridere “Ho deciso di combattere per vendicarmi. Poi ho deciso di continuare a farlo per morire. Ma ogni volta che sono ad un passo dalla morte…” ridacchiò, senza allegria “… penso a mio fratello. Ai miei genitori. Al fatto che probabilmente non esiste un Paradiso dopo questa vita, ma solo le fiamme dannate dell’inferno dove quelli come te danzano… e temo il loro giudizio, non appena li avrò incontrati nuovamente. Per averli lasciati. Per non averli raggiunti nella dannazione eterna per così tanto tempo…” chiuse gli occhi e mostrò la dentatura sporca di sangue in un sorriso vuoto “… sono un fottutissimo codardo.”
Il Demone non riusciva a comprendere esattamente ciò che vedeva.
Era la prima volta che, l’essere umano innanzi a sé, si torturava da solo senza nemmeno permettergli di compiere il suo lavoro.
Era esilarante. E allo stesso tempo deludente.
“Ragazzino, lo sai…” la creatura allontanò la mano dal moncherino, piegando le gambe e tendendo gli artigli per quella che, se lo augurava, sarebbe stata l’ultima volta “… non dovresti aprirti così tanto nei confronti del tuo avversario. Non trovi?
Scattarono all’unisono.
Demone e umano.
Il primo menò un fendente da sinistra a destra.
Ma il secondo si piegò in avanti abbastanza in tempo, lasciando che l’artiglio fendesse di poco i capelli e tagliasse l’elastico che li teneva legati, facendoli ricadere in avanti in una corta cascata nera. Nell’abbassarsi, Aki aveva menato un fendente ascendente che aveva tagliato il secondo braccio. La lama era penetrata nella carne senza problemi ed aveva reciso l’osso come fosse stato fatto di burro.
Il sangue nero esplose, assieme ad una poderosa bestemmia da parte della creatura.
Ma non poté fare molto altro: Aki girò su se stesso, rapidissimo, dandogli le spalle. Poi sollevò la katana verso l’alto, la roteò verso di se e, rapidissimo, affondò. La lama sfiorò il suo fianco, penetrando fino quasi all’elsa nello stomaco del nemico, che si piegò appena in avanti con un lamento strozzato.
Rimasero così per qualche tempo, in stallo.
Con il sangue nero che continuava sempre più ad accumularsi sotto ai piedi dei due.
Fu la creatura a rompere il silenzio, cominciando a ridere.
Prima piano, poi sempre più forte. Proprio come poco fa.
“C-complimenti… moccioso… quante volte…” la testa si avvicinò all’orecchio del ragazzo, sibilante “mi hai ucciso, fratello caro? Questa è la numero sessantasei, non è vero?”
E mentre quel mostro tornava a ridere, Aki digrignò i denti e si voltò del tutto verso di lui, afferrando al katana a due mani e, con un movimento rapido, la fece uscire dal suo corpo, percorrendo il percorso che partiva dallo stomaco, arrivando fino alla cima della testa.
La risata s’interruppe.
Ma non lo fece il sorriso.
D’improvviso, la parte superiore del corpo di ‘Taiyo’ si divise a metà, scaturendo una lieve onda d’urto che fece finire il Sacerdote a gambe all’aria. Un geyser di sangue nero partì verso il soffitto, dove generò un gigantesco affresco oscuro, composto da budella, organi e ossa.
Rimase spiattellato sul soffitto, sfidando ogni singola legge di gravità.
E alla fine, quando il geyser smise di sgorgare dal corpo martoriato del Demone, quello stesso crollò di schiena, all’indietro.
Ancora sorrideva.
 
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Aki non aveva idea di quanto tempo fosse passato.
Lo scontro si era concluso da un pezzo, ed il lieve rumore delle gocce nere che cadevano dal soffitto era l’unica cosa che spezzava quel maledetto silenzio. Il corpo della creatura, che ancora replicava perfettamente quello di suo fratello, si trovava riverso al suolo, immobile, diviso a metà come una qualsiasi carogna su di un’autostrada.
Il folle sorriso insanguinato e gli occhi spalancati erano rivolti verso la macchia di sangue.
Il Sacerdote… non aveva idea del motivo per cui non stesse svanendo.
Ma al momento, non era nemmeno la cosa più importante, per lui.
In tutta onestà… nulla aveva più importanza. Da un sacco di tempo.
Quella caccia ai mostri si era, lentamente, trasformata nella più tediante e corrosiva tortura che si fosse mai aspettato. Benché la sua espressione rimanesse impassibile ogni volta che andava a caccia, benché avesse preso lezioni di combattimento dalla Sorella in persona, in modo di diventare abbastanza forte per sconfiggere qualsiasi creatura gli si parasse davanti.
Ma ad ogni mostro che distruggeva… ad ogni volta che la voce malevola che sentiva nelle orecchie provava ad imitare quella amorevole e gioviale di suo fratello, un frammento della sua anima si staccava dal resto, svanendo nel nulla.
Lentamente, era diventato un guscio vuoto.
Lentamente, nemmeno le amicizie che si era fatto al tempio e ogni progetto per il proprio ed incerto futuro, avevano smesso di avere senso.
Perché non sarebbe mai importato quanto a lungo avrebbe dovuto combattere.
Il Male non sarebbe mai morto. Il Male non avrebbe mai perso. Non del tutto.
E che lo volesse o meno, lo avrebbe presto spezzato a metà.
 
Perché in fin dei conti, se lo era sempre chiesto: se il Male aveva l’Inferno, loro che cos’avevano?
 
Per quale motivo la voce di un Bene superiore non rispondeva più alle loro preghiere?
Per quale motivo, gli Antichi Guerrieri che combattevano contro ai Demoni, avevano affidato questa grande responsabilità a dei semplici esseri umani?
Perché Sorella Makima…
 
Perché sorella Makima era entrata in quella casa?
Perché lo aveva salvato?
Perché non lo aveva lasciato morire?
Perché non era rientrato in casa assieme a lui?
Perché non aveva detto ‘ti voglio bene’ abbastanza volte ai suoi genitori?
Perché non aveva dato in anticipo il suo regalo di Natale a Taiyo?
Perché era nato?
Perché non era ancora morto?
Morto?
Morto?
MORTO?
 
“Basta…”
Strinse l’elsa della katana fino a sbiancarsi le nocche.
“Basta…”
Poi la sollevò da terra, stringendo i denti sul labbro inferiore fino a farlo sanguinare, scagliando l’arma verso al corpo del Demone. L’arma lo superò rimbalzando poco lontano. Quindi Aki si portò le mani al volto ed emise un altro grido angosciato.
“BASTA DANNAZIONE! BASTAAAAAAAA!!”
Si chiese per quante altre volte avrebbe dovuto risentire quella voce.
Quante altre volte lo avrebbe ridicolizzato.
Quante altre volte avrebbe potuto resistere, prima che la sua anima e la sua mente si disintegrassero.
Anche se… forse la sua anima si era già spezzata.
“S-sono…” mormorò tra le lacrime, piegandosi in avanti, in posizione fetale “… sono così… così dannatamente stanco…”
Pianse, come un bambino.
Pianse come quella volta, in quella casa, dove in nemmeno un millesimo di secondo aveva perso tutto.
E maledisse se stesso, per la sua immensa voglia di morire.
E per la sua codardia nel non afferrare quella dannata spada ed aprirsi lo stomaco con la stessa.
Restò a piangere, a lungo.
Fino a quando non sentì un lieve rumore di passi, proprio davanti alla sua testa.
Ma sembrarono quasi un eco lontano ed inesistente.
Era troppo impegnato a piangere e ad autocommiserarsi, per chiedersi se fossero vero o solo frutto della sua immaginazione.
“Aki. Fratellone, non piangere, ti prego.”
La voce di suo fratello.
Dolce, vellutata. Esattamente come se la ricordava.
E gentile, totalmente diversa da quella che aveva sentito per tutti quegli anni.
Smise di piangere e sgranò gli occhi, rivolti verso il pavimento.
Tirò su la testa di scatto, con il muso sporco di sangue, lacrime e muco.
Suo fratello era lì, a guardarlo dall’alto verso il basso. In piedi, con il suo giubbotto e la sua adorabile cuffia. Gli occhi erano azzurri e brillanti di vita e compassione. Non se li ricordava così belli.
“S-se piangi… mi rendi triste…”
Il bambino corrucciò la propria espressione, cominciando a piangere a sua volta.
E il Sacerdote davanti a lui… semplicemente smise di pensare razionalmente. Smise di pensare che quella fosse una semplice allucinazione. Un qualche altro orribile trucco, scatenato dal Demone che, chiaramente, non era ancora riuscito a sconfiggere.
Perché quella fu… probabilmente l’imitazione di Taiyo più convincente che avesse mai visto prima.
Inoltre, la sua volontà di combattere e la sua arma erano troppo lontani, irraggiungibili.
Se doveva morire… l’avrebbe fatto credendo di essere tra le braccia di  una persona amata.
“S-scusami. Scusami Taiyo. Scusami…” rapido, il giovane spadaccino si asciugò le lacrime ed il muco come meglio poteva, tornando a guardarlo sorridente “Ero… ero solo un po’ triste, tutto qua. Adesso mi è passato tutto, davvero. Non volevo farti preoccupare.”
Ma Taiyo piangeva ancora, singhiozzando sommessamente, con una manica dello spesso giubbotto davanti agli occhi. Quell’immagine lo ferì profondamente.
“P-perdonami, fratellino” Aki, ancora inginocchiato a terra, abbassò il capo, mordendosi il labbro “N-non sono riuscito a proteggerti. C-che razza di fratello maggiore non è in grado di proteggere la sua famiglia…”
La sua voce venne soffocata.
Il Sacerdote sgranò gli occhi.
Taiyo era scattato in avanti ed aveva circondato la sua testa con le proprie braccia, stringendogliela al petto. La testa di capelli neri e sudati venne carezzata più volte dal guanto morbido. Il bambino aveva smesso di piangere, improvvisamente. E adesso aveva appoggiato il mento sulla nuca del fratello, chiuso gli occhi, ed aveva cominciato a sussurrare, placidamente “va tutto bene… va tutto bene…”
Il Sacerdote ruppe nuovamente gli argini.
Senza freni, strinse il corpicino del fratello tra le braccia, scoppiando nuovamente a piangere con violenza, gridando più e più volte quanto fosse dispiaciuto di averlo abbandonato, quella volta.
Ma il fratellino, sorridendo placido, continuava a carezzargli i capelli, ripetendo più volte che lo aveva perdonato. Che non era colpa sua. Che era il momento di lasciarlo andare.
Non seppe per quanto tempo rimase arrampicato a Taiyo, con le mani che artigliavano il suo giubbino. Fu l’altro a scostarlo, guardandolo nuovamente dall’alto verso il basso, pietoso. Questa volta però sorrideva dolcemente.
“… non sei stanco, Aki?” mormorò il bambino, poggiando le mani coperte dai guanti sulle guance dell’altro ragazzo.
Quell’altro tirò su col naso, beandosi di quel contatto “… sì… sì, sono così stanco…”
Il sorriso di Taiyo si fece raggiante “… allora andiamo.”
La soffitta innevata scomparve.
E dietro al corpicino del bimbo, apparve una gigantesca spirale di nubi dorate. Tutte che convergevano in un unico punto al centro del cielo, da cui si irradiava una luce così intensa e calda che scioglieva ogni singolo dubbio.
“… mamma e papà ci stanno aspettando.”
Ed Aki sorrise, chiudendo gli occhi e lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Così… così tanto stanco…
 
[…]
 
Tra le tenebre della soffitta, rischiarata solo da quei trenta manichini infuocati, il sacerdote era in ginocchio sul legno, con un’espressione placida ed esausta sul volto insanguinato e lacrimante. Davanti a lui, partendo dalla pozza di sangue nero formatasi sul soffitto, scendeva un’empia e disgustosa formazione triangolare di carne, budella e pelle marcescenti, sulla quale spuntavano ad intervalli irregolari grossi volti dagli occhi bianchi e dal largo e disgustoso sorriso di denti neri, come bizzarri bubboni.
Una creatura umanoide, rachitica come una mummia, usciva dalla parte più stretta del grumo. Le lunghe braccia tenevano le mani dalle dita affusolate sul viso di Aki. Ad un collo stretto, si collegava una testa priva di lineamenti, fatta eccezione per il sorriso affilato. Dalla testa, scendeva una cascata di capelli neri e umidi.
Angel, che aveva arrancato sulle scale utilizzando la propria arma come suo sostegno, di fronte a quello spettacolo, sentì il cuore mancare un battito. 
   
 
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