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Autore: Glenda    19/06/2023    2 recensioni
Firenze, primi duemila.
Artin ha trent'anni e già sa di vivere in un mondo ostile: padre in galera, madre in ospedale, lavoro intermittente e tre fratelli da mantenere, barcamenandosi ogni giorno tra assistenti sociali, bollette e microcriminalità dei quartieri popolari. Finché, il giorno in cui pensa di non farcela proprio più, un misterioso uomo che gli somiglia come un gemello gli propone un patto terrificante...
Questa è una storia d'ambientazione realistica ma dal tono magico-fiabesco, che riprende il filone tradizionale del principe e il povero e degli scambi di identità: ci sono protagonisti eroici, ottimismo, redenzioni inaspettate, gentilezza come se piovesse, e i miracoli accadono. Anche se lo sfondo è cupo. Anche se il mondo è pieno di falsità, macchinazioni, apparenze e ferocia nascosta.
Dunque astenersi i non amanti dei buoni sentimenti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marta Curiello non riuscì a trattenere l’entusiasmo quando vide Artin andarle incontro con una scatola intera di gelatine di frutta, confezionate in una carta lucida e un grosso nastro giallo. Non si soffermò a pensare cosa gli fosse successo in tutti quei mesi: era solo felice di vederlo vivo.

Elia entrò nel reparto, camminando lentamente attraverso i corridoi del dolore silenzioso, attraverso vite appese alla speranza di altri, e a volte forse solo alla propria. Ma un uomo in coma può sperare? Ad un passo pensava che no, che se la consapevolezza si spegne, si spegne anche tutto il resto; al successivo sperava di sì, come se quei lunghi sonni fossero il suo sonno, come se anche per lui ci fosse aspettativa di risveglio.

Si sedette accanto a Eneda Dorsi, e si accorse che non riusciva a sorridere.

Ne fu felice.

Il suo vecchio sorriso era perso, e un giorno, forse, ne avrebbe avuto uno nuovo. Un po' più simile a quello del suo gemello.

Artin non aveva strappato il cielo: aveva semplicemente visto lo strappo e ci aveva puntato il dito, mostrandolo a tutti. Ora quel buco nella carta non poteva più essere ignorato: si doveva solo scegliere come guardarlo.

Lui avrebbe voluto vedere cose c’era di là, ma per riuscirci ci voleva un grande salto.

Osservò Eneda con dolcezza e vide la fronte di Artin, il naso di Artin, e, dietro le palpebre chiuse, immaginò gli occhi di Artin. La sua fronte, il suo naso, i suoi occhi. Sua madre.

- Sai… - disse - ultimamente penso spesso alla storia del verme e della pulce. Ci penso ogni volta che mi alzo. “Sei una pulce” mi dico “sei una pulce. Salta. Salta!” E allora… comincio a sentire. Sento l’energia delle mie gambe, sento il vento che mi accarezza mentre spicco il volo, sento che mi alzo ed il cielo si avvicina, e poi sento le mie gambe che tornano stabili sul suolo, e le vibrazioni del loro impatto col terreno. Sento tutta la pericolosità di quel salto: so che un giorno potrei mettere un piede in fallo e cadere, o solo non prendere lo slancio abbastanza in tempo ed essere schiacciato. Ho paura tutte le volte. Ma c’è energia in questo. Finalmente la sento, e con lei so che posso imparare a sentire, piano piano, anche tutto il resto. Ma per farlo ho bisogno di te. Ho bisogno di una madre che mi insegni. -

Elia guardò il cielo fuori dalla finestra diventare scuro e pensò che voleva accendere la lampada sul comodino, perché - anche se si dorme - è bello sapere che esistono modi di illuminare la notte.

 

Eneda aprì gli occhi.

  
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