Libri > Notre Dame de Paris
Segui la storia  |       
Autore: ToscaSam    25/06/2023    1 recensioni
Come tutti, ho sempre desiderato un finale diverso da quello del libro. In questa storia, cercando di imitare lo stile dell'immenso Hugo, si cerca di concedere un epilogo alternativo ad alcuni personaggi, pur rimanendo in linea con il loro carattere originale.
Il racconto parte da Claude Frollo, la Esmeralda, Pierre Gringoire e Djali, in viaggio sulla barca a remi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda, Pierre Gringoire
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Di come si guadagna una madre


 
Pierre Gringoire si svegliò di soprassalto. Si sentiva sudato, dolorante e spaventato. Una bizzarra mescolanza di sensazioni, pensò, che in un primo momento facevano fatica a giustificarsi nella sua testa. Non volendo dare di matto, immaginandosi che presto o tardi tutto gli sarebbe parso più chiaro, il poeta aprì gli occhi: vide sopra la sua testa un soffitto di pietra che non conosceva. Essendo un filosofo scolastico, raramente gli capitava di fare appello alla concretezza, eppure in quell’occasione non trovò altro rimedio che la logica: egli aveva abbandonato i suoi giacigli di fortuna mesi addietro e ormai si era abituato al tetto che gli avevano messo sopra la testa gli zingari suoi amici. Eppure non si trattava del soffitto della sua dimora. Seguendo una sua naturale propensione al fantasticare, si rammentò della prima volta che aveva visto il tetto di quella che da qualche mese a quella parte chiamava casa. Era stata una notte in cui aveva temuto più volte di trovarsi col cappio al collo, le assi inchiodate e la terra sopra la testa. La sua vita era rimasta intatta grazie alla ragazza che lo aveva sposato, con quella deliziosa cerimonia della brocca rotta.
Fu a quel punto che il poeta si rinvenne: la ragazza, la barca sul fiume, Claude Frollo che era impazzito e gli aveva puntato il coltello alla gola. Nell’intorpidimento di chi è stato addormentato per molto tempo, riuscì a trovare una mano e a guidarla verso il punto più dolorante del suo corpo. Le dita si posarono sull’incavo del collo e tastando vi trovarono degli orribili filamenti che avevano tutta l’aria di non appartenere alla sua forma umana originaria. Qualcuno doveva avergli ricucito la ferita come se fosse un sacco di rape strappato. Il pensiero di una mano munita di ago e filo che agiva sul suo collo lo fece sudare. “Ecco spiegata anche la paura” si disse. 
Sentendosi comunque piuttosto vivo e deciso a scoprire dove si trovasse, il filosofo eclettico si alzò dal suo giaciglio, che scoprì essere una gran tavola di legno.
Attorno a lui vide uno spettacolo che il lettore certo riconoscerà: alambicchi, scheletri di animali appesi al soffitto, una sfera che rotolava sull'impiantito, ippocefali alla rinfusa con boccali nei quali tremolavano foglie d'oro, compassi, teste di morto poste su delle veline screziate di figure e di caratteri, grossi manoscritti uno sull'altro spalancati, senza riguardo per i fragili angoli della pergamena. Era una stanza davvero piccola, oscura e illuminata a fatica. “Scenario bizzarro” si disse il poeta: “non mi aspettavo di certo queste teste stecchite. Speriamo che chi le ha messe qui non volesse aggiungerci anche la mia”.
Gringoire fu in piedi e si diresse con curiosità verso l’unica finestrella della stanza. Dopo aver dato una sbirciata fuori, esclamò: « Ah, dunque mi trovo dentro Notre-Dame. Questa finestra sembra dare sui tetti della cattedrale».
Mentre sbirciava così, si perse nei suoi pensieri e attraversò la sua vicenda concentrandosi sugli ultimi ricordi che possedeva: chissà che fine aveva fatto la sua capretta, quell’adorabile Djali che gli era corsa incontro e gli si era seduta in grembo durante il terribile attraversamento della Senna. Chissà se la sua padroncina era riuscita a sfuggire alla giustizia e chissà se le forze armate del re erano ancora alla sua ricerca oppure se la piccola penzolava tristemente dal cappio della forca. rabbrividì al pensiero che entrambe, la fanciulla e la capra, fossero state catturate e giustiziate. In quel momento il filosofo si sentì qualcosa sul petto e dei fastidiosi grani sfregarsi al collo così dolorosamente ricucito. Guardò di cosa potesse trattarsi e ne rimase meravigliato: era l’amuleto che quella vespa di sua moglie gli aveva sempre proibito di toccare, quello che secondo lei era impregnato di chissà quale magia pagana. Gringoire fu molto sorpreso che l’oggetto si trovasse al suo collo, non riusciva a immaginare uno scenario in cui la giovane glielo avesse donato spontaneamente. Questo gli fece temere che alla fine la giustizia l’avesse raggiunta e che fosse stata uccisa e spogliata dei suoi beni. “Ma perché qualcuno avrebbe dovuto mettere al mio collo questo amuleto, in ogni caso?” pensava ragionevolmente. “Forse è perché si è saputo che sono suo marito e, trovandomi in un così misero stato, gli ufficiali non hanno saputo come farmi avere la mia parte di eredità se non quella di cacciarmela addosso. In effetti suona meno assurdo di quanto avrei pensato inizialmente”. Gringoire era comunque scettico della sua ipotesi appena formulata ma la curiosità vinse sul resto: era ormai padrone dell’amuleto e senza più titubanza aprì il sacchetto con i vetrini verdi, estraendone il contenuto. Quello che vide lo deluse un po’. Si trattava di una scarpetta da infante, di stoffa rosa ricamata. Uno di quei vestimenti che potrebbero stare bene al piccolo piede di un Gesù bambino, nei gruppi scultorei di un presepe in una chiesa di campagna. Insieme alla scarpina c’era una pergamena, che recitava: “Quando l'uguale ritroverai Tua madre riabbraccerai”. Dopo qualche minuto di contemplazione, Gringoire si batté un colpo sulla fronte:
« Mi venga un colpo se questa scarpa non l’ho già vista all’insaccata della Tour-Roland!». 
Gringoire, con la testa avvolta da un turbinio di pensieri, si voltò e per poco non morì di spavento: alla sua destra c’era una grande poltrona con sopra il suo occupante, immobile. Era di spalle, indossava una lunga veste nera, la nuca era calva e i pochi capelli rimasti rilucevano di grigio alla debole luce emanata dalla finestra.
« Maestro?» chiese il poeta, portandosi una mano al cuore. L’uomo non si muoveva, pareva un vecchio addormentato davanti a un camino. Gringoire osò toccare la spalla di quell’uomo ed esso si voltò con un abbandono sgraziato: si trattava di Claude Frollo ed era morto.
« Per la barba di Belzebù!» fece Gringoire saltando indietro come un grillo. 
Il morto aveva un aspetto terribile: pallido, le guance infossate, le occhiaie e le labbra secche. Eppure gli occhi erano chiusi, come qualcuno che ha avuto una giornata stancante e alla fine cede e si abbandona al sonno. Era l’involucro sofferente di un’anima perduta, che alla fine, aveva deciso di ristorarsi.
“Povero diavolo” pensò il Gringoire soffermandosi ad analizzare il corpo dell’arcidiacono. Non c’erano tracce di accoltellamenti né di pozioni sataniche. Era morto spontaneamente, si sarebbe detto diverse ore addietro. Gringoire non riuscì a provare odio verso quell’uomo che aveva scoperto essere pazzo. Gli aveva comunque insegnato il latino e l’aveva indottrinato alla filosofia quando era solo un ragazzo di strada, che non avrebbe saputo distinguere l’alfabeto greco da uno scarabocchio infantile.
Quella vista spiacevole divenne presto insopportabile agli occhi del poeta, che decise di uscire dall’unica porta presente nella stanza. Discese la scala a chiocciola che trovò oltre il passaggio ed infine fu completamente certo di trovarsi nella cattedrale di Notre-Dame. Si ritrovò all’interno della chiesa sbucando da non si sa dove e se anche avesse voluto ripercorrere i propri passi, Gringoire non li avrebbe ritrovati. 
La chiesa era gremita di soldati e di monatti di una qualche confraternita. A terra, disposti in file ordinate, giacevano innumerevoli corpi avvolti in stracci sporchi. 
Gringoire si avvicinò ad un ufficiale, che aveva la divisa degli arcieri di Sua Maestà.
« Messere, che è avvenuto qui?».
L’uomo si voltò e rispose abbaiando:
« Corpo di Dio, ieri sera c’è stata una sommossa. Quei bricconi della Corte dei Miracoli, il diavolo li porti, hanno assediato la cattedrale. Pare fossero seimila uomini, ma la cattedrale ne ha fatti secchi diverse centinaia. Stiamo provvedendo a sgomberare il tutto. Li getteremo nella Senna»
« Oh! è vero, sono io che ho suggerito l’assalto a Notre-Dame» disse fra sé Gringoire, picchiandosi una mano sulla fronte.
« Che dite, signore?»
« Niente, messere. Ma in che senso la cattedrale ne ha fatti fuori alcuni?»
« Quel demonio guercio del campanaro. Pare che abbia difeso l’accesso alla chiesa e che ne abbia stecchiti diversi. Dovranno arrestarlo, povero diavolo»
« Ma lo impiccheranno?»
« Spero di sì, quel demonio non dovrebbe vivere in terre cristiane»
« Mi domandavo, brav’uomo, alla fine siete riusciti ad acciuffare la strega? E la capra?»
« Diavolo, no. Quella serpe deve aver usato una qualche stregoneria per volatilizzarsi. Era nascosta nella chiesa ma di lei non si è trovato nemmeno l’ombra. Le mie truppe e quelle del re l’hanno cercata dovunque nella cité, voglio dire, non avrebbe potuto attraversare il fiume a nuoto»
« Tutto vero. E della capra che mi sapete dire?»
« Ma di che diavolerie parli?»
« Oh, niente, niente, meglio così. Grazie messere».
Gringoire si allontanò, raggiungendo l’uscita. Si soffermò ad osservare il portale della cattedrale.
Rapito dalla magnificenza delle sculture che adornavano la facciata, Gringoire si sentì leggero e si dimenticò le terribili sensazioni con cui si era risvegliato. Il Portale del Giudizio Universale, con l’intrico di bassorilievi, gli pareva come un libro aperto sulla storia dell'umanità. Il suo animo di poeta e filosofo si commosse dinnanzi alle figure che trasudavano vita e drammaticità. Gli angeli, con ali possenti e sguardi penetranti, sembravano sospesi tra il cielo e la terra, pronti a pronunciare sentenze divine. Gringoire provò a dare un nome alle emozioni che vedeva scolpite sui loro volti di pietra: compassione, giustizia, timore. E poi la Madonna, figura di grazia e misericordia, che stringeva fra le braccia il suo amato Figlio. Quella scarpina rosa che ben sapeva sarebbe stata perfetta attorno a tali piccole dita.
L'osservatore si lasciò avvolgere dalla complessità delle scene rappresentate nei bassorilievi. Le anime dei giusti in ascesa verso il cielo, mentre demoni dall'aspetto spaventoso cercavano di trascinare i peccatori nell'abisso infernale. 
I grani di adrézarach sfregarono ancora contro la ferita del poeta, che si rammentò dell’amuleto e della scarpa.
« Giusto, bisogna che chieda a suor Gudule come c’è finita la sua scarpetta al mio collo».
Così dicendo si incamminò in direzione della cella in cui la reclusa faceva penitenza eterna. La cattedrale era ormai alle sue spalle, così come il defunto arcidiacono, gli arcieri e i corpi dei suoi amici malviventi.
La finestra con le sbarre spesse dietro cui la donna si disperava era ora dinnanzi agli occhi di Gringoire:
« Signora, sono il poeta e filosofo Pierre Gringoire, vengo or ora dalla cattedrale, dove ieri s’è consumato un gran massacro».
Una voce di caverna, roca e infernale rispose al poeta dall’ombra: « E l’hanno presa? Hanno preso quell’egiziana? La forca era per lei ma non ho udito le sue grida!»
« Ahimé, non l’hanno presa»
« Ahhh, che vuoi tu allora, che vieni qui a portarmi queste notizie? Che vuoi tu, vedermi dibattere, strapparmi i capelli e affondarmi le unghie nella carne?»
« In fede mia, signora, quello l’abbiamo già visto numerose volte»
« E allora vattene, lasciami sola col mio dolore, vedi bene che il buon Dio non mi dà pace. Credevo di poter assistere alla morte dell’egiziana e invece lei è sempre libera, respira la mia stessa aria, che la mia bambina non respira più, perché le zingare me l’hanno mangiata. Oh, povera creatura, chissà che banchetto, povera anima del paradiso» e qui Gringoire intravide le braccia scarne dibattersi sul petto magro della reclusa, ancora seminascosta dall’ombra.
« Si, me ne dolgo, buona donna, me ne dolgo. Ma ecco, nelle vostre lamentele non vi ho forse udito più volte rammentare la scarpina che voi cuciste per vostra figlia? Non declamate di solito la bellezza di quel roseo piedino che la calzava? Ecco, mi domandavo, non è forse vostra questa scarpa?» disse il filosofo estraendo la minuscola calzatura dal sacchetto color smeraldo e mostrandola a suor Gudule.
Nell’istante in cui la mano con la scarpa rosa toccò la luce, il braccio scarno che prima si era dibattuto nell’ombra comparve con la rapidità di un lampo e si strinse come una tenaglia per lepri attorno al braccio di Gringoire.
« La mia bambina! Dove hai trovato quella scarpa?! Parla! Parla o ti strapperò questo braccio a morsi!»
« Per i baffi del papa! Mi fulmini il buon Dio se questa scarpa non l’ho trovata attorno al mio collo stamane» gridò il poeta cercando di strapparsi via quella mano di ferro.
« Attorno al tuo collo? E che vuol dire attorno al tuo collo?»
« La scarpa stava dentro questo astuccio egiziano, che mia moglie, ehm, voglio dire, quella ragazza egiziana che voi odiate tanto, ha sempre portato al collo. Per qualche ragione a me sconosciuta ora l’amuleto si trova in mio possesso e dentro vi ho trovato la scarpa» ammise il poeta sempre combattendo con le dita affilate della reclusa.
« L’egiziana? Quell’egiziana? Questa scarpa è sempre stata al suo collo?»
« Se si presume che dentro il sacchetto vi fosse sempre stata la scarpa e che lei non l’avesse mai mostrata a nessuno, sì, direi che l’aveva sempre con sé. E guardate, c’è quella pergamena che dice tua madre ritroverai se l’uguale con te avrai o una cosa così, non riesco a vederla da qui, se continuate a graffiarmi il braccio».
Le unghie di suor Gudule raggiunsero la scarpina con la pergamena e in quel momento tutto il viso, segnato dal dolore, di quella donna folle apparve alla luce. I suoi occhi brillavano di lacrime. Teneva nelle mani due scarpine identiche, rosa, ricamate, che avrebbero potuto contenere i piedi di una minuscola bambina.
« Quell’egiziana … lei avrebbe avuto la stessa età della mia Agnès. Oh la mia povera figlia! Era lei, dunque? Il buon Dio me l'aveva ridata, l’ho sempre avuta al mio fianco per tutti questi anni! E non lo sapevo! Signore Gesù, ed è bellissima! Dunque le egiziane non l'avevano mangiata! Chi lo aveva detto? Figlioletta mia! Figlioletta mia! Quelle brave egiziane! Io le amo le egiziane! Dunque è per questo che il cuore mi sussultava ogni volta che mi passava dinnanzi. Ed io che prendevo ciò per odio! Oh spero che mi perdoni. Agnès mia, perdonami!».
Gringoire, molto confuso, provò a riprendere la sua scarpa ma la reclusa non lo fece avvicinare.
« Che ne hai fatto tu della mia bambina? Ho visto che facevi dei numeri con lei, che ti impilavi le sedie in bocca, che facevi il giocoliere con i gatti sulla testa. Ed eri con lei! Potrei giurarlo. Dov’è lei ora?»
« Sulla mia anima, ero con lei perché sono suo marito e lei è mia moglie. Ci ha sposato il re di Thunes per mezzo di una brocca rotta».
Quelle parole sortirono uno strano effetto nella reclusa della Tour-Roland. Con un movimento velocissimo quanto delicato le due identiche scarpette erano ora in un angolo della cella mentre le braccia ossute della donna si dimenavano fuori dalle sbarre e cercavano di abbracciare il poeta. La donna piangeva:
« Oh, sei dunque anche tu mio figlio. E sembri in buona salute! Ti sei preso cura di lei, le hai voluto bene. Abbracciami figlio mio, abbracciami. Conducimi da lei, te ne prego. Aiutami a uscire da qui, ricongiungiamoci, siamo una famiglia. Ho ereditato qualcosa a Reims, avremo un campo, una casa. Presto, fammi uscire figlio mio. Stamani non avevo che odio e disperazione dentro di me e ora ho due figli. Dio, mi scoppia il cuore di gioia».
Il poeta decise che non aveva nulla da perdere da quella situazione e la peggiore delle prospettive sembrava quella di guadagnare una madre. Visto che la sua l’aveva perduta così tanti anni addietro e che non si ricordava nemmeno cosa volesse dire l’abbraccio di una madre, visto che la promessa di un campo e una casa a Reims pareva estendersi anche a lui, decise di accettare quella strana, imprevista novità.
« Bene, madre. Ehm, dunque, come faccio a farvi uscire di qui? La vostra piccola è fuggita, l’avevano condannata alla forca ma parrebbe averla scampata. Non dovrebbe essere troppo distante, non so quanto i suoi piedini d’egiziana possano correre in una notte».
La reclusa si alzò, si scostò i lunghi capelli grigi dalla fronte, e senza dire una parola si mise a scuotere con le due mani le sbarre della cella più furiosamente di una leonessa. Le sbarre resistettero. Allora andò a cercare in un angolo della cella un grossa pietra che le serviva da guanciale, e la scagliò contro le sbarre con tanta violenza che una di esse si spezzò mandando mille scintille. Un secondo colpo sfondò completamente la vecchia croce di ferro che sbarrava la finestra. Allora con le mani finì di rompere e scostare i tronconi arrugginiti delle sbarre. Ci sono dei momenti in cui le mani di una donna hanno una forza sovrumana. 
« Misericordia» esclamò il poeta a quella vista.
« Aiutami ad allargare il varco» lo supplicò la donna.
Gringoire si mise all’opera e afferrò un’altra grossa pietra con cui prese a colpire la parete della cella. Dopo faticosi tentativi, un mattone si mosse e il poeta riuscì a rimuoverlo. La finestrella era ora abbastanza grande perché un corpo scarno come quello della reclusa potesse passarvi.
« Venite, madre, afferrate il mio braccio e cercate di scivolare oltre il buco» disse il Gringoire. L’insaccata recuperò le due scarpine ricamate e poi raggiunse il foro nella parete. Il filosofo si sentì afferrare con una forza diversa da quella con cui suor Gudule l’aveva quasi affettato, poco tempo prima. La donna era così magra che farla scivolare oltre la fessura fu come vedere un filo di lana raggiungere l’altro lato della cruna di un ago.
Era libera. Si reggeva sulle proprie gambe e abbracciava Pierre Gringoire chiamandolo figlio.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Notre Dame de Paris / Vai alla pagina dell'autore: ToscaSam