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Autore: R_3_N    26/11/2023    4 recensioni
«Sembrava quasi che quel giovane musicista avesse messo la sua anima in quel violino, che avesse fatto della musica la sua ancora di salvezza. Suonava come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra, come s’egli stesso fosse diventato musica. Si muoveva con passione in quello spazio ridotto, lasciandosi guidare dalle note. E d’un tratto, in quella canzone iniziarono a farsi sempre più rari gli accordi maggiori.
Angoscia fu ciò che provò Eco. Un’angoscia che però lasciava uno spiraglio di speranza, suggerita dai rarefatti picchi allegri. Il bambino ascoltò, in trance. Un pizzicore agli angoli degli occhi glieli fece sbattere, e fu solo allora che Eco si accorse di star piangendo.»
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Eco non si è mai posto il problema del futuro. Vive nel presente, vuole divertirsi. Tutto deve essere rosa e fiori, immerso in un clima di spensierata felicità. Ma il disegno della vita non funziona così, ed Eco se ne renderà conto prima del previsto. Tra misteri, rivelazioni e menzogne, una storia di un bambino che, crescendo, scopre il malsano funzionamento della società.
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ATTENZIONE: slow burn non tanto legale. E, sebbene i primi capitoli saranno tranquillissimi, c'è un'alta possibilità che venga presa una piega drammatica.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Chi non muore si rivede!
 
I’m back, non mi dilungo più di tanto in queste note, mettendo subito un link: personaggi & oggetti rilevanti del primo capitolo.
Da sinistra: Leotorio, Isaac, Pròxenos (aka il violino di Isaac).

Poi vabbé, liberissimi di immaginare a modo vostro i personaggi, metto poche descrizioni dell’aspetto fisico anche per lasciare più scelta ai lettori (anche se canonicamente sono pensati come indicano le immagini).
 
NOTE:
 
- Il primissimo plot twist della storia in questo capitolo. Sempre se “colpo di scena” si può chiamare…
- Titolo alternativo: "Eco che piange 24/7"
 
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
Capitolo 2

Catalessi
 
 

 
 
 


Parole.
 

Parole sbavate su una pergamena non erano ormai più leggibili.

Eco si asciugò le lacrime dagli occhi col dorso di una mano, tenendo uno sguardo deconcentrato su quelle carte. Fuori dalla sua stanza poteva ancora udire il vociare di suo padre e sua nonna.
 

Cosa devo fare con te!?” Gli aveva sbraitato Argyròs dieci minuti prima. “Ti devo rendere infermo? È questo che vuoi?! Rimanere su una dannata sedia per il resto della tua vita?!
 
E poi…
 
Cosa direbbe la tua povera madre?! A sapere che ha dato la vita per un bambino stupido!
 

Un singhiozzo lo fece tremare. Eppure Eco era abituato alle sfuriate di suo padre, non avrebbe dovuto sentirsi così inadeguato. Tuttavia questa volta doveva aver proprio superato il limite, suo padre non nominava mai sua madre.
 

Ma non potevo evitare di dormire con lei quella notte?! Così lei sarebbe rimasta in vita!
 

Ed a quella frase così carica di rancore, Eco non aveva retto più. Era corso in camera sua, gettandosi sul letto e nascondendo la faccia sotto il cuscino.

Eco non aveva avuto la grazia di conoscere sua madre, morta prematuramente di parto. Ciò però non significava che non ne sentisse la mancanza. Sua nonna era semplicemente sua nonna, e Callisto era la sua balia. Non era stato allattato da loro. Nessuna delle due riusciva ad eguagliare una figura materna.

Eco aveva poi preso le pergamene di studio, in una vana speranza di pensare ad altro. Ma era difficile concentrarsi, non con due persone che davano scena al piano di sotto.

 
“È questo il modo di trattare tuo figlio!?” Eco udì sua nonna rimproverare suo padre. La sua voce era acuta, Hilde doveva sentirsi tesa come una corda di violino.

“Tu gliele perdoneresti tutte, mamma!” Argyròs ribatté, altrettanto animatamente. “Mi sembra di vedere Krise! Uno più imbecille dell’altro!”

“C’è modo e modo di fare le cose, e non parlare così di Eco e tuo fratello!”

“Perché no?” Eco riconobbe l’amara risata di suo padre. “Sarebbe stato meglio se Eco fosse partito con lui, meno problemi per tutti noi. Si completano!”

 
Eco scaraventò via le pergamene, raccogliendosi in una posizione fetale sul letto. Se doveva essere così tanto non voluto da suo padre, bastava solo che gli indicasse la via per andarsene.

Le voci fuori dalla sua camera si quietarono poco dopo, seguite dallo sbattere di una porta al piano di sotto. Argyròs doveva essersi ritirato nel suo studio.

Eco sospirò gravemente, la voglia di non fare assolutamente niente se non dormire. Quando provò a chiudere gli occhi, un lieve bussare alla porta gli fece quasi accapponare la pelle.

“Eco?”

Era Hilde. Eco inspirò ancora, ponderando l’idea di non rispondere affatto. Udì poi la porta aprirsi e chiudersi, e il suo letto muoversi sotto il peso di sua nonna.

“Tesoro… So che sei sveglio.” Disse Hilde, portando una mano al volto di suo nipote.

“Lasciami stare!” Si rigirò il bambino, scappando dalle carezze di sua nonna. Ma quando la vide con un triste sorriso, Eco si sentì immediatamente in colpa. “Scusami…” Sussurrò, per poi darle le spalle.

“Sai che tuo padre non intende niente di ciò che ha detto, è arrabbiato e preoccupato, presto si calmerà.”

Uno sbuffo sarcastico scosse il bambino, che sentì nuovamente gli occhi inumidirsi. Hilde lo guardò senza dire niente, poi si alzò, avvicinandosi alla finestra.

“Credimi, Eco.” Disse Hilde, il suo sguardo oltre i vetri. “Quando ho avuto tuo padre e tuo zio, ero molto irragionevole.” Sorrise nel ricordare quei tempi. “A differenza di tuo padre, ero completamente da sola. E quei due gemelli erano addirittura più scalmanati di te, specialmente tuo zio.”

Eco allora si voltò verso di lei, mettendosi stancamente seduto.

“Quante litigate, quante strillate!” Sua nonna ridacchiò. “Ho detto loro cose che una madre non dovrebbe dire. Ma non le ho mai intese veramente.” Hilde sospirò, voltandosi nuovamente verso suo nipote. “La rabbia fa dire cose che non pensiamo.”

Eco rimase fermo. Nemmeno si preoccupò di asciugarsi ulteriori lacrime, le quali scivolarono fluidamente sulle sue guance. Aspettò che sua nonna si sedesse nuovamente accanto a lui, e che lo circondasse in un caldo abbraccio prima di dar voce al suo dolore.

“Tanto… tanto ha ragione lui-” un singhiozzo gli ostacolò le parole. “Non vi do m-mai ascolto. Faccio… sempre quello c-che mi pare-” Eco poggiò la testa sul petto di sua nonna, quest’ultima che disegnava dei cerchi immaginari sulla sua schiena. “E faccio casini…”

Hilde aprì la bocca, ma suo nipote la batté sul tempo, continuando quel cosciente soliloquio.

“U-un disas- sono un disastro!” Abbondanti gocce salate bagnarono il vestito di Hilde. “A cosa servo? Non sono buono nemmeno ad imparare tre parole in Celestiale! Niente…” Eco soffocò un mugolio, cercando di venire testa ai singhiozzi. “Buono a niente- se non a combinare guai…”

 Hilde lo strinse ancor più a sé, lasciando che il bambino tirasse fuori tutto.

“Essere vivace non significa essere inutile.” Sua nonna continuò ad accarezzargli la schiena. “Tu non immagini nemmeno quanto tu sia importante per noi, tesoro.”

Eco sinceramente non riusciva a comprendere cosa ci fosse di così rilevante in lui, non quando faceva sempre arrabbiare suo padre… e probabilmente pure sua nonna, anche se quest’ultima non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, empatica com’era.

“Se tu non ci fossi, le giornate a casa Ifandis sarebbero semplicemente buie,” affermò sua nonna. “Tuo padre ed io avremmo una vita così monotona, così grigia…”

Eco ebbe la forza di alzare il viso. Sebbene in preda a fremiti, riuscì a mantenere lo sguardo dritto negli occhi di sua nonna.

“Tu… la colori, la nostra vita.”

Un sorriso genuino e sincero si disegnò sul volto di Hilde, ed Eco sentì una calda fitta al cuore.

“Ti sembra poco?” Hilde inarcò un sopracciglio, senza mai smettere di sorridere. “Sei l’ancora della famiglia, tesoro. Se qualcosa ti accadesse, io e tuo padre perderemmo una parte vitale di noi. A quel punto non sarebbe più vivere, ma guardarsi vivere.”
 
Male, Eco iniziava a sentirsi male. Tuttavia quello era un dolore buono. Una sopraffazione di emozioni, tutte mirate alla ripresa del senno. Eco apparteneva alla famiglia Ifandis. Una famiglia complicata, certo, ma l’affetto familiare non mancava.

Il bambino non riuscì a contenere altri singhiozzi. Si nascose il volto tra le mani, mentre le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato. Si sarebbe scusato a dovere con suo padre il giorno dopo, al dissipare della tensione.

“Ti voglio bene, nonna…” Sussurrò il bambino, abbracciando di nuovo Hilde.

“Anche io te ne voglio, tesoro. Così come tuo padre,” ricambiò la donna, aspettando che suo nipote si riprendesse piano piano. “E proprio per questo motivo, è nostro dovere educarti e farti crescere bene.”

Eco annuì, lasciandosi cullare dal battito cardiaco di sua nonna. Eco si sarebbe pure addormentato tra le braccia di Hilde se questa non lo avesse distratto con una nuova affermazione.

“E sei in punizione. Per una settimana non uscirai di casa.” Disse Hilde, condendo il tutto con un sorrisetto spocchioso.

“COME?!”

Eco si era appena ripreso dalla litigata, questa non ci voleva proprio. Tuttavia, se lo sarebbe dovuto aspettare. Il bambino strabuzzò gli occhi, fissando sua nonna con uno sguardo esterrefatto.

“Beh, che ti aspettavi? La bravata l’hai fatta te. Ti abbiamo cercato per più di due ore. E tuo padre…” Hilde si portò il dorso di una mano alla bocca, ridacchiando divertita. “Stava già andando ad avvertire le guardie. Non l’ho mai visto così impanicato e spaventato.”

Eco allora lasciò andare un gemito disilluso, provocando altri risolini da parte di sua nonna. Non c’era niente da ribattere, se l’era cercata. Una settimana recluso era il minimo.

Stava quasi per accettare il suo triste destino quando un pensiero lampante lo fece scattare sull’attenti.

“ISAAC!” Urlò quel nome, facendo sobbalzare sua nonna.

Hilde lo guardò con aria interrogativa: “Isaac?”

“Stasera! Lui- il violino! Il concerto! Oh, ma dai!” Eco si scombussolò i capelli con le mani. “Me lo perdo- non ci credo!”

Hilde sbatté le palpebre più volte, poi prese un respiro e diede un colpetto di nocche sulla fronte di suo nipote, facendolo rinsavire.

“Ehi!” Trillò Eco, portandosi una mano sulla fronte. “Perché lo hai fatto?”

Hilde sbuffò divertita, poi incrociò le braccia, osservando suo nipote con un velo di interesse.

“Chi è Isaac?”

“Lui,” iniziò Eco. “È un musicista, l’ho conosciuto prima e siamo già amici! Mi ha fatto provare il suo violino, e mi ha invitato al concerto stasera-”

“Ti ha invitato? Eco, tutte queste libertà con gli sconosciuti?” Lo interruppe sua nonna. “Quanti anni ha?”

“Isaac ha, uhm-” Eco fissò sua nonna in modo interrogativo, facendosi poco dopo una vaga idea di dove volesse andare a parare Hilde. “Sembra più giovane di papà di qualche anno. E no. Non è un rapitore, nonna. È un violinista.”

“Come puoi esserne certo.” Chiese scetticamente sua nonna.

Eco sospirò per l’ennesima volta, afflitto. Isaac gli era sembrato un ragazzo per bene.

“Mi sono avvicinato io a lui, l’ho pure fatto arrabbiare all’inizio. Credo.” Ammise Eco, le sue guance che si tingevano di un colore più vivace. “Mi ha solo suggerito di andare al concerto, tutto qua. Ha detto che ho l’orecchio assoluto, o qualcosa del genere, non so che sia.”

Hilde annuì, ponderando chissà quali opzioni.

“È belloccio?”

Il bambino guardò sua nonna, spiazzato da quella domanda.

“Ma che cavolo c’entra!?”

E sua nonna rise di gusto. Vedere suo nipote scandalizzato e imbarazzato allo stesso tempo era sempre divertente.

“Di musica ci capisco ben poco,” ammise la donna, appena ripresasi dalle risate. “Ma se tu starai ad ascoltare il concerto, almeno io potrò bearmi di qualcos’altro.” Finì, facendo un occhiolino al bambino.

Eco scosse la testa, abbastanza a disagio all’idea di vedere sua nonna sbavare su Isaac. Ma subito dopo sgranò gli occhi, un’espressione stupefatta sul volto. Hilde annuì decisa alla realizzazione di Eco, sorridendogli di nuovo amorevolmente.

“La punizione inizia da domani. Dunque stasera,” Hilde si avvicinò ad un orecchio di Eco. “Andremo al concerto insieme. Mano nella mano.”
 
 
 
 
 
- ♫♩♭♬♫♪♫♩♭♬♫♪ -
GOT  / Discordia
 
 
 
 
Eco ammirava molto sua nonna.

Una grande donna che, da sola, era riuscita a farsi strada nella vita. Hilde riusciva sempre ad avere tutto sotto controllo, a mediare. Sia Eco e sia Argyròs le dovevano la loro salute mentale; senza di lei, molto probabilmente quei due sarebbero stati sempre ad azzannarsi al collo.

“Che meraviglia!” Il bambino udì sua nonna, e le lanciò uno sguardo per scoprirla ammaliata ad osservare la piazza centrale.

I due erano usciti poco dopo cena. Un pasto assai silenzioso, all’apice dell’imbarazzo, sotto lo sguardo giudicante e seccato di Argyròs. Probabilmente Hilde aveva avuto un’altra discussione con suo padre, e con lui era giunta ad un accordo. Forse era proprio per quello che Argyròs non aveva aperto bocca quando Hilde ed Eco avevano lasciato la struttura.

“Te lo avevo detto!” Rispose Eco, i suoi occhi che brillavano. Come sua nonna, il bambino si prese un momento per bearsi della vitalità di quel luogo, pieno di luci, colori e musica.

Le persone erano entusiaste, ed il loro chiacchierare spensierato e felice immergeva il piccolo in una dimensione pacifica. Hilde lo teneva per mano, guidandolo tra il pubblico fino a raggiungere un ottimo posto. Sebbene circondati da altrettante persone, i due potevano vedere benissimo il palco ed i musicisti che si esibivano.

Le sopracciglia di Eco scattarono all’insù quando il bambino riconobbe un certo musicista. Così come riconobbe lo strepitare femminile levatosi dal pubblico appena quel violinista iniziò la sua performance. Leotorio, sì. Era quello il suo nome.

Eco lo osservò mandare baci alle fanciulle, addirittura gli parve di vederlo fare contatto visivo con sua nonna, quest’ultima che gli faceva gli occhi dolci. Eco scosse la testa in imbarazzo, ascoltando poi cosa Leotorio aveva da offrire.

Dopo quel musicista affascinante, fu il turno di un altro, e poi di un altro ancora.

E dopo, finalmente, Eco riconobbe una testa bionda salire sul palco. Gli occhi di Eco brillarono ancora quando Isaac si mostrò d’innanzi al pubblico.

“Eccolo nonna! Eccolo!” Trillò in fibrillazione.

Quando il bambino lo vide muovere l’archetto sulle corde del violino, una melodia penetrante si sprigionò intorno. Alle orecchie di altri sarebbe sembrata una comune ed elegante sinfonia, ma non a quelle di Eco. I rumori del pubblico sparirono, ed il bambino sentì solamente il suono di Pròxenos.

Note gravi e acute si susseguivano fluidamente, i giusti tempi di prolungamento, le pause significative; quella melodia s’impossessò del cuore di Eco, il quale mai aveva tolto lo sguardo da Isaac. Un sorriso spontaneo si formò sul volto del bambino, ed i suoi occhi furono percorsi da tanti luccichii di meraviglia.

Isaac volteggiava su quel palco, suonando la sua canzone. Sembrava quasi che quel giovane musicista avesse messo la sua anima in quel violino, che avesse fatto della musica la sua ancora di salvezza. Suonava come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra, come s’egli stesso fosse diventato musica. Si muoveva con passione in quello spazio ridotto, lasciandosi guidare dalle note.

D’un tratto, in quella canzone iniziarono a farsi sempre più rari gli accordi maggiori. Angoscia fu ciò che provò Eco. Un’angoscia che però lasciava uno spiraglio di speranza, suggerita dai rarefatti picchi allegri. Il bambino ascoltò, in trance. Un pizzicore agli angoli degli occhi glieli fece sbattere, e fu solo allora che Eco si accorse di star piangendo.

Quella melodia gli era penetrata fin dentro le ossa, lasciandolo in preda a brividi elettrizzanti.

Poi, Eco sentì il proprio battito accelerare, preso dallo stupore: Isaac lo aveva scorto nelle fila del pubblico, e adesso i loro sguardi erano incatenati. Le labbra del musicista si piegarono lievemente all’insù, come segno di riconoscimento. In tutta risposta, Eco alzò una mano facendo il simbolo della vittoria, mentre con l’altra si asciugava le lacrime.

“È lui Isaac?” Eco sentì sua nonna domandare. “Un bel ragazzone, non c’è che dire. Ce l’ha l’amorosa secondo te?”

Eco sbuffò, guardando allora sua nonna con un sopracciglio alzato e un sorrisetto. Ah… Donne.

“Ma chi se ne frega! Concentrati sulla musica, nonna!”

In tutta risposta Hilde rise di gusto, portandosi una mano alla bocca. Tuttavia, Eco la vide poi concentrarsi sul concerto, e rise divertito quando sua nonna iniziò a muoversi a ritmo della melodia.

Il bambino lasciò allora che la musica lo riavvolgesse, tornando ad osservare Isaac.

Quel musicista era qualcosa di sensazionale, ed Eco fantasticò di essere al suo posto. Chissà se sarebbe mai riuscito a maneggiare uno strumento musicale in quel modo elegante e delicato.

Le lanterne illuminavano il palco e il suo protagonista, e gli ornamenti floreali donavano al tutto una tinta ultraterrena. Un’atmosfera da sogno di cui Eco poteva solo provarne invidia e meraviglia.

Il bambino lasciò che quello scenario lo catturasse, che lo catapultasse in un’altra realtà. Una realtà in cui dominasse la pace dei sensi.


E così fu. Ma solo in parte.


Eco sbatté le palpebre più volte, riducendo poi il campo visivo per mettere meglio a fuoco. Sembrava quasi che la luce si stesse affievolendo sempre di più. Così come i rumori.

Il bambino si voltò in confusione verso sua nonna, ma la donna non era più al suo fianco.

Spalancati gli occhi dallo stupore, Eco si voltò nuovamente verso Isaac.

Ciò che vide gli fece gelare il sangue: il musicista era scomparso, così come il palco. Un brivido di panico gli percorse la spina dorsale, ed il bambino si girò indietro con una certa fretta. Il pubblico si era volatilizzato nel nulla, insieme a qualsiasi tipo di suono.

 
 
Penombra.
 

 
Una fitta selva lo circondò in un istante, materializzandosi attorno a lui senza preavviso. I rami ben intrecciati tra loro sembravano formare una cupola infinita, bloccando la maggior parte dei lontani raggi di un sole ormai calante.

Eco si voltò più volte. Prima a destra, poi a sinistra, in una continua ostinazione: soltanto macabri alberi e ombre. Eco avvertì un agghiacciante panico iniziargli a reclamare anima e corpo. Un momento prima era alla Festa delle Arti, così piena di colori e vita, ad ascoltare Isaac suonare quell’emozionante melodia, e adesso… quello?

Colto da più tremiti, il bambino fece l'unica cosa che in quel momento avesse potuto fare: si mise a correre. Corse per quell'intricata foresta che poteva soltanto essere segno di presagio. Le tenebre sarebbero presto calate onnipotenti sul bambino, poiché i rari spiragli di luce facevano solo intravedere un cielo che piano piano si sfumava sempre di più dal violaceo al blu notte.

Eco sentì nuove lacrime scendere dai suoi occhi. Ma queste lacrime non erano come le precedenti. Queste erano cariche di terrore, infima paura e confusione.

"Nonna?!" Eco chiamò, senza mai smettere di sfrecciare in quella tetra foresta. "NONNA! ISAAC!"

Quel sentiero non sembrava facile da percorrere, pericolanti radici spuntavano dal terreno, aggrovigliate. Eppure il bambino stava correndo a perdifiato, implorando e cercando un aiuto piuttosto utopico.

Ma dopo tante e veloci falcate, la corsa disperata del bambino si trasformò in un potente schianto contro il terreno. Un gemito di dolore si sprigionò dalla sua gola quando Eco atterrò di faccia sul suolo. E, fatta leva sulle braccia, Eco riuscì appena a sollevarsi col busto, rivolgendo un’occhiata spaventata alle sue spalle: era inciampato su una massiccia radice.

“Nonna… Isaac…” Ripeté, la sua voce tremolante. “Papà…

Il piccolo si rannicchiò su se stesso, portando a fatica le gambe al petto.

“Dove sono…” Sussurrò, avvertendo nuove e umide scie rigargli le guance. “Ho paura…

Quando singhiozzi presero possesso delle sue corde vocali, Eco sigillò le palpebre, portando la testa a nascondersi tra le sue braccia e le sue ginocchia.

Era soltanto un brutto sogno, doveva semplicemente svegliarsi.

Come un mantra, Eco iniziò a contare nella sua mente, nella speranza di riprendersi da quell’incubo. Avrebbe continuato a contare all’infinito se soltanto un boato non lo avesse fatto sobbalzare.

Solo allora il bambino fece scattare la testa in su, sgranando gli occhi e guardandosi intorno freneticamente. Dopo quel suono assordante, Eco aguzzò le orecchie.

Sembravano rumori metallici quelli che potevano essere uditi, e non parevano molto lontani dal bambino.

Nella sempre più scura penombra Eco scorse in lontananza un bagliore rossastro.

Fuoco?

Una piccola carica di vigore riscosse il piccolo, che vide speranza in quella fioca luce. Combattendo la paura, il bambino riuscì ad alzarsi, camminando tremante verso quella fonte luminosa.

Cercò di non pensare a nient’altro mentre si dirigeva laddove sembrava esserci del fuoco, notando a poco a poco che si stava avvicinando ai pressi di un pendio. La vegetazione si stava aprendo, lasciando intravedere un cielo ormai scuro.

La luce rossastra era sempre più vicina, e questo scaldava abbastanza il bambino, tanto da permettergli di andare avanti e sopprimere quel sentimento di panico che lo stava divorando. I rumori metallici tuttavia si opponevano alla speranza che Eco credeva di raggiungere con quella luce. Tale speranza finì infranta quando il bambino arrivò finalmente all’inizio di quel pendio.

La scena che gli si presentò sotto agli occhi lo lasciò destabilizzato, facendogli fare qualche passo indietro.

 
C’era del fuoco, sì, ma quel fuoco non sembrava affatto benefattore.
 

Un’insidiosa danza di fiamme distruttrici si stava espandendo sotto a quel dislivello e molte, troppe, persone si stavano dimenando in due schieramenti, impugnando lame e archi. Dardi infuocati sfrecciavano tra le due schiere, ed una collisione di spade e alabarde risuonava prepotente in tutta l’area circostante, mescolandosi ad atroci grida di guerra.

Quel posto pullulava di caos, distruzione e morte.

Un forte odore di bruciato e sangue intossicava l’atmosfera, ed Eco sentì il bisogno di nascondersi dietro una grossa quercia poco distante da lui, giusto situata al limite del pendio.

Gli occhi del piccolo erano ridotti a due punti mentre fissavano quell’orrida scena sottostante. Sebbene la distanza non permettesse di delineare perfettamente i contorni di quelle persone, era facile capire chi fosse di una schiera e chi dell’altra: vi erano due armature ben diverse.

Tra quelle urla raccapriccianti, Eco distinse poi un suono assai più vicino, ed il bambino fece scattare lo sguardo proprio al punto più alto di quel pendio.

Una persona era inginocchiata su quel versante, e guardava verso il basso tenendosi avvolta tra le sue stesse braccia. Un grido strozzato si levò da quell’individuo, ed il bambino rimase pietrificato ad osservare quella figura afflitta dal dolore.

 
Ai’” Eco udì una voce maschile, e voltò la testa verso la sua fonte, nascondendosi meglio dietro l’albero.

 
Un ragazzo si era avvicinato a quell’individuo tormentato, ed era rimasto a pochi passi dalle sue spalle.

Eco vide la figura piegata su se stessa stringersi di più tra le braccia.

“Ai’, non puoi farti trovare qui.” Il nuovo arrivato parlò ancora, una palpabile urgenza e preoccupazione nel tono della sua voce. “Ti ammazzeranno.”

“Che lo facciano!” Rispose la figura straziata. “Me lo merito! Sono stato io…  È colpa- è colpa mia!”

Solo allora Eco identificò quella persona come maschio, e lo osservò destabilizzato quando quel ragazzo inginocchiato si prese la testa fra le mani, piangendo e urlando ancor di più.

L’altro ragazzo si avvicinò allora di più a quello frastornato, mettendogli una mano su una spalla.

“Non è stata colpa tua, non lo sapevi... Ti hanno ingannato.”

In tutta risposta, quello che corrispondeva al nome di Ai’ si lasciò scappare una risata amara e sarcastica.

Non lo sapevo non è una scusa! Sarei- sarei dovuto rimanere…” Abbondanti lacrime brillarono, riflettendo la luce rossa del fuoco sottostante. “Sono un traditore!

Eco continuò ad osservarli in silenzio, il cuore che gli batteva a mille. Lo scenario bellico colorava tutto di una tonalità cremisi, e con le varie ombre Eco a malapena riusciva a identificare al meglio quei due ragazzi sulla cima del pendio.

“Se tu sei un traditore, lo sono anche io,” affermò il ragazzo in piedi. “Ma a differenza tua, non ho intenzione di morire né di lasciarti indietro!” Detto ciò, Eco lo vide afferrare con forza quello ancora in ginocchio e trascinarlo via da quel dislivello.

“Thoris!” Ai’ fece resistenza, afferrando le mani dell’altro ragazzo e cercando di togliersele di dosso. “Smettila! Lasciami brutto stupido! Non voglio avere anche la tua morte sulla coscienza!”

“Non ce l’avrai,” Thoris era serio e determinato, non avrebbe lasciato che l’altro venisse catturato o giustiziato. “Ce ne andiamo. Insieme.

Ai’ scosse la testa, portandosi una mano alla bocca per soffocare sofferenti singhiozzi.

“Andare dove!? Il regno di Vördst sta venendo annientato!” Ai’ riuscì a liberarsi dalla stretta di Thoris, e lo fissò con occhi privi di speranza. “Tu non hai fatto niente, torna a casa! Avverti i nostri prima che sia troppo tardi!”

“Sono sicuro che si siano già messi in salvo.” Thoris fece un passo in avanti, verso l’altro. “E se pensi che io abbandoni il mio migliore amico, ti sbagli di grosso.” Continuò, serrando i pugni e lanciando uno sguardo oltre Ai’. “Non abbiamo tempo. L’Impero sta arrivando con più soldati.”

Ma l’altro ragazzo non sembrava demordere, troppo in preda alla devastazione.

“Dannazione, Ai’! Abbiamo fatto una promessa, te la ricordi?!”

“Una promessa infantile…” Sussurrò Ai’. “Sei un pazzo, un pazzo! Ragioni come un idiota!”

“Un idiota che però non vuole vederci crepare!” Fu allora che Thoris perse la sua compostezza, prendendo il suo amico per la collottola con entrambe le mani. “Tu sei tutto quello che ho. Per favore, non mi abbandonare!”

Il bambino non aveva intenzione di lasciare il suo nascondiglio, congelato da quella situazione irreale. Vide quello che doveva essere Thoris venire scosso da più tremiti e poggiare la fronte sull’incavo del collo di Ai’, quest’ultimo che lasciava cadere appena le barriere per circondarlo in un debole abbraccio.

Le grida al di sotto del pendio si fecero più gravi, la marcia di ulteriori soldati sembrava provenire dalla loro destra.

I due ragazzi si guardarono allora con preoccupazione e terrore: il tempo era scaduto, rimanere lì significava morte certa. La luce del fuoco non li illuminò più di quel rosso cremisi quando i due ragazzi corsero via, e nella penombra Eco riuscì a catturare un particolare dettaglio, quando quelli passarono a lato del suo nascondiglio.


 
Entrambi avevano orecchie allungate, sottili… appuntite.
 
 

“E… o…”
 

Di che cosa diamine avesse visto, Eco non aveva la minima idea.

 
“… co…”

 
Sapeva solo che doveva andarsene da lì, quella foresta in fiamme odorava di caos e morte.

 
“… E… co…”

 
Gli veniva da vomitare. Voleva scappare, rincorrere quei due singolari individui, ma le sue gambe erano piantate al suolo. Non riusciva a muoversi, nemmeno a respirare. Poteva solo sentire lacrime continuare a bagnargli le guance. Era spaventato, era confuso. Era stanco. Quando avvertì le sue gambe iniziare a cedere, il bambino chiuse gli occhi, lasciandosi in preda agli eventi.

 
 
“Eco!?”

Il piccolo spalancò gli occhi di colpo.

“Che Elyshar ci grazi! Ti ho chiamato quattro volte!” Sua nonna gli aveva preso il volto tra le mani, chinandosi alla sua altezza. “Che succede tesoro? Stai male?”

Eco fissò sua nonna come se non credesse nemmeno di averla di fronte. Si sentiva sudato, appiccicoso, il suo respiro irregolare. Voleva strapparsi i vestiti di dosso, lo stavano strangolando. Gli mancava l’aria.

Un forte applauso e schiamazzi estasiati risuonarono d’un tratto in tutta la piazza. Il bambino sussultò, coprendosi istintivamente le orecchie con mani tremolanti.

“Andiamo via da qui,” sussurrò, la sua voce incrinata. “Voglio- voglio andare a casa-”

Sua nonna lo teneva ancora al volto, i suoi pollici ad asciugargli le lacrime. Hilde non aveva mai visto quell’espressione destabilizzata su suo nipote, era così fuori dal suo personaggio. La donna annuì, in pensiero per Eco. Avvertì il bambino stringerla in un abbraccio tremante, e lei portò allora una mano su un suo fianco. Sebbene la donna avesse una miriade di domande, sapeva benissimo che non era né il luogo né il momento adatto per porle.

I due si fecero strada tra il pubblico, cercando di non spintonare troppo le persone. Eco tenne il fiato sospeso finché non giunsero finalmente fuori dalla piazza, in uno spazio meno affollato.
 
Eco sapeva che un paio di occhi lo stavano seguendo in lontananza, quando lui e sua nonna furono sulla strada per il bordello.

 
Isaac era rimasto immobile sul palco, il pubblico ancora ad adularlo.


 
Sul suo volto, una sordida preoccupazione.
 
 








N/A:

Che dire signori… la droga dà, la droga toglie. Ho dovuto tagliare un bel pezzo finale, veniva troppo lungo altrimenti.

Comunque!

Devo ammettere che ho trovato una discreta soddisfazione nello scrivere questo capitolo, forse un po’ troppa. Mi piace infliggere dolore ad Eco. Mi dispiace solo non aver mostrato interazioni con Isaac e Leotorio in modo più approfondito, ma saranno le prime a comparire nel terzo capitolo (CHE PREVEDO VERSO META' FEBBRAIO, ho troppi esami tutti insieme e poco temo ;n;).

Ah poi, info a caso: Hilde ha nominato Elyshar. Costui è l’unica divinità di Yrvat.

Hasta luego!
   
 
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