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Autore: Sunnyfox    24/12/2023    3 recensioni
Rufy si era abbarbicato sulla polena non appena era stato annunciato l'avvistamento di una nave.
Non un'imbarcazione imponente. Se ne stava ferma, in mezzo al mare, le vele ammainate, le bandiere a mezz'asta. Non si avvertiva quella tipica, frenetica presenza di personale di bordo. Ma quel canto raccontava loro una storia diversa. Qualcuno c'era e stava intonando una nenia: lenta, malinconica; parole incomprensibili. [...]
«Affidatemi al freddo mare azzurro. Che lo strepitio delle onde sia il mio requiem solenne, dormirò un sonno sereno...» enunciò Sanji, affiancandoli.
Videro il gruppo di marinai trasportare sulle spalle un'asse, alla quale era assicurato quello che, da lontano, sembrava solo un sacco di iuta. Solo quando lo fecero scivolare sul parapetto e lo sporsero all'esterno, offrendolo al cielo, al mare e al vento, si resero conto che fasciato lì dentro doveva esserci un corpo. Probabilmente il compagno di viaggio che se ne era andato per sempre.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Fuoribordo

 

''Bella, se il mar m’inghiotte tu vedi a sera

Una colomba bianca venir leggera''

 

 

La Sunny ebbe un sussulto imprevisto.

Nami alzò di scatto la testa dalla scrivania su cui si era addormentata e capì che quello non era solo il risultato di un'onda anomala.

Aveva tenacemente tenuto duro fino a tardi, esaminando carteggi, analizzando rotte per Especia, ma alla fine l'oblio aveva avuto la meglio. Nonostante tutti i suoi propositi di vegliare, di tenere sotto controllo ogni movimento sospetto, ogni singolo scricchiolio della nave.

L'idea che ci fosse solo Zoro a vigilare sulla loro incolumità di solito la faceva sentire al sicuro, ma la verità era che dormire sotto lo stesso tetto di quello strambo individuo aveva disintegrato inspiegabilmente quella granitica certezza.

La prima impressione al suo risveglio fu che ci fosse stato un significativo mutamento nell’aria. Lo sentiva serpeggiare sulla pelle, lungo la spina dorsale.

Si levò in piedi, ancora un po' offuscata dal sonno. Traballò fuori, in corridoio, insospettita dal fatto che sembrasse essere l’unica ad essersene resa conto. Era tentata di andare a svegliare Robin, di chiamare a gran voce il capitano, ma la verità era che non era certa di voler allarmare l’intera ciurma per una sensazione.

O così almeno pensava. Quando aprì il portellone che dava sul ponte della nave stentò a credere ai propri occhi: sullo sfondo di una notte non ancora del tutto smaltita, il bilico fra le tenebre e i bagliori del sole nascente, si stagliava la sagoma di un'isola. A svettare sopra di essa quella che aveva tutta l'aria di essere un vulcano.

«Non può essere…» le uscì in un sussurro.

Riconobbe Especia solo grazie ai racconti fatti da Ishmael la sera precedente.

Adocchiò il Log Pose: uno degli aghi che, stabile e ostinato, indicava la direzione. La meta a un passo dall'essere raggiunta. Ma non poteva essere corretto, i suoi calcoli non potevano essersi allontanati tanto clamorosamente dalla realtà. Era un errore da principiante che non era disposta ad ammettere.

A meno che... non fossero i carteggi ad essere imprecisi. La triangolazione delle mappe che aveva con sé di quella zona, a dover essere riviste. Ridisegnate.

Si stava ancora interrogando sulla probabilità che quella fosse solo un'allucinazione, o a razionalizzare l'errore, quando un boato sembrò esplodere dalle profondità della terra, come il rumore di una frattura. Vide gli sbuffi di fumo del vulcano fremere impazienti fra celati zampilli di lava e l’istante successivo persino il mare rispondere a quegli stimoli con onde che andavano a inseguirsi una dopo l’altra, per infrangersi poi sulla Sunny.

La definitiva scossa di rinculo fu così potente che per poco non la scaraventò a terra. Si aggrappò allo stipite della porta, faticando a restare in piedi.

«Nami!» la voce di Zoro la raggiunse dal fondo del ponte e solo allora si accorse di non essere sola. Lo cercò con lo sguardo, ma non era lo spadaccino ad essere entrato nel suo campo visivo. Era Ishmael colui che le stava correndo incontro. Con una determinazione e una sproporzionata ferocia nello sguardo. Sfuggito al controllo di uno Zoro che non aveva affatto previsto quella svolta, l'uomo le si abbatté addosso con una forza che non sembrava appartenergli, con quei muscoli appena aggrappati alle ossa che lo tenevano in piedi a stento; ancora prima che se ne rendesse conto si sentì sballottare dall'ennesima scossa, trascinare lontano dalla porta e poi precipitare nel vuoto, giù dal ponte della nave, le braccia dell'uomo ancora saldamente aggrappate a lei.

A seguire ci fu solo il gelo del mare e un oscuro oblio di schiuma e vortici d'acqua ad avvolgerla.

Due occhi gialli, enormi e sgomenti furono l'ultima cosa che vide, prima di lasciarsi andare all'oscurità.

 

Si era svolto tutto così rapidamente che Zoro non ebbe nemmeno il tempo di attuare una strategia di difesa. La mano all'elsa della sua spada, ma nessuna possibilità di capire come o su chi usarla.

Ishmael che sfuggiva al suo controllo, la scossa di terremoto e Nami sulla porta della cambusa.

Tre elementi del tutto casuali che avevano portato a quella che gli sembrò una combinazione ingestibile.

E poi Nami era sparita fuori bordo con quel naufrago maledetto, mentre un'onda più alta della Sunny stessa si avvicinava come una muraglia alle loro spalle e le luci all'interno della nave si accendevano, una dopo l'altra. La ciurma definitivamente conscia del pericolo.

Gli rimase così poco tempo per pensare, che prese la decisione più istintiva, pericolosa e stupida: saldò le sue spade alla fusciacca e con uno slancio si tuffò in mare, sparendo fra i flutti, esattamente nello stesso punto in cui erano spariti navigatrice e naufrago.

 

*

 

«Che diavolo significa che Nami è scomparsa?!» Sanji si era affacciato al parapetto della nave, il mare tornato tranquillo.

Franky e Jimbe erano riusciti a mantenere salda la Sunny, a farle cavalcare le onde e portato in salvo la sua scocca e tutti i membri della ciurma.

Tutti tranne gli unici che non erano riusciti a trovare: Nami e Zoro.

Nemmeno di Ishmael c'era più traccia.

«Possibile che nessuno si sia accorto che non era qui con noi?» gridò di nuovo, volgendosi come una furia quando Usop e gli altri erano tornati dall'ennesima, meticolosa ispezione della nave.

«Nami non ha toccato il suo giaciglio, c'erano ancora tutte le sue cose sparse sulla scrivania, e nel suo studio la luce era ancora accesa» intervenne Robin, le mani a raccogliere freneticamente i suoi capelli, ancora fradici dopo la doccia di acqua di mare.

«E di quell'incapace del marimo?» esclamò di nuovo Sanji. La sua voce tradiva certo rabbia, ma anche una sorta di segreta preoccupazione anche per le sorti dello spadaccino.

Possibile che entrambi fossero evaporati nel niente? Caduti in mare senza spiegazione? Nemmeno l'ispezione subacquea di Franky aveva dato alcun frutto.

«Ishmael non era con noi quando siamo stati svegliati dal maremoto» disse Usop, pallido come un cencio.

«Zoro non si fidava di quel tipo» piagnucolò Chopper osservando l'isola di Especia. Ormai erano arrivati tanto vicino da potergli orbitare attorno. Jimbe stava cercando un attracco sicuro «Avremmo dovuto ascoltarlo...»

Sembrava ora il più incline a condannare l'estraneo che solo poche ora prima aveva difeso a spada tratta: probabilmente si sentiva in colpa.

«E che differenza avrebbe fatto?» si intromise Franky, che cercava di tenere per sé il beneficio del dubbio «lo avreste rispedito in mare?»

«No, ma forse avremmo dovuto prestare più attenzione alla sua presenza sulla nave» gli rispose Chopper che rivolse il suo sguardo in cerca di approvazione al capitano che se ne restava in disparte, lo sguardo perso in direzione dell'orizzonte, del mare sconfinato, dell'alba nascente.

«Zoro è forte, Nami non si perde mai» la voce di Rufy si espresse con sicurezza, ma senza quella leggera spavalderia che lo contraddistingueva «stanno bene»

Da dove arrivasse quella certezza nessuno riusciva a capirlo, ma erano certo parole che nessuno di loro avrebbe mai messo in dubbio.

Lo guardarono voltarsi nella loro direzione, le braccia intrecciate al petto. Sembrava più indispettito che preoccupato. Chi lo conosceva bene avrebbe potuto intuire facilmente il perché: una persona a cui aveva dato la sua fiducia lo aveva tradito. Ingannato. Colpevole... fino a prova contraria, certo. Ma non sembrava affatto disposto a concedere altro che quello a chi si era probabilmente reso responsabile della sparizione della sua navigatrice e del suo spadaccino. In buona fede o meno.

Sembrò sul punto di aggiungere altro ma qualcosa catturò improvvisamente la sua attenzione.

Persino la sua espressione cambiò, quando sembrò adocchiare qualcosa a prua della nave.

«Che cavolo sono quelli?» esclamò, saltando giù dal parapetto su cui si era arrampicato, per attraversare in corsa l'intero ponte della nave e sporgersi dalla parte diametralmente opposta.

Il resto della ciurma non si fece pregare per seguirlo, incuriositi dalla medesima anomalia.

I faraglioni che si addossavano all'isola erano ricoperti da tavole di legno, ognuna di esse svettava più o meno insistente con un messaggio ben preciso: Non vogliamo pirati.

A suggellare quella richiesta, proprio sotto l'incurvatura di uno degli scogli, tre cappi di corda ormai consunta e marcescente, sorreggevano per il collo quelli che sembravano ormai i cadaveri putrefatti e parzialmente scheletrici di quelli che dovevano essere stati uomini, non molti mesi prima. Agghindati a spregio come classici filibustieri, persino lo scheletro di una scimmia a penzolare accanto all'ultimo, impiccata non meno impietosamente di come era toccato ai tre compari.

«Che spettacolo disgustoso» singhiozzò Chopper nascondendosi dietro a Robin.

La nave passò loro accanto, così vicino che poterono quasi sentire l'olezzo delle loro carni in putrefazione, osservare nell'oscurità delle loro orbite ormai vuote. Quando si posò un gabbiano sulla testa ormai calva di uno dei tre e prese a becchettarlo, come a farci banchetto, Usop dovette scappare per evitare di rimettere di fronte a tutti.

«Chi diavolo può aver pensato che questa fosse una buona idea?» esalò Sanji che per esorcizzare quella vista non fece altro che accendersi una sigaretta, distogliendo rispettosamente lo sguardo.

«Qualcuno che voleva far passare un messaggio ben preciso» Jimbe gli si era avvicinato, osservando ora quell'isola come qualcosa di ben poco accogliente, nonostante le premesse fatte solo la sera precedente da Ishmael. Il vulcano ancora fumante che ora svettava come una minaccia più che come un eccitante diversivo alla navigazione. E le pareti insormontabili di scogliere che facevano da muraglia respingente a chiunque volesse avvicinarsi.

«Che i pirati non suscitassero simpatia, questo lo sapevamo dal giorno zero in cui ci siamo imbarcati» esalò Franky «ma che si arrivasse a tanto per far recepire un messaggio... mi pare una soluzione di pessimo gusto.»

«Li abbiamo superati?» domandò Chopper, la testa ancora affondata su una delle gambe di Robin.

«Ce li stiamo lasciando alle spalle» lo rassicurò la donna, dandogli un docile buffetto in testa.

«Erano raccapriccianti» sbuffò a riprender fiato, congestionato dal ribrezzo «Brook non è mai stato così spaventoso, per dire»

«Grazie per il complimento» rispose lo scheletro che, nonostante l'abitudine di specchiarsi ogni giorno e ritrovare un volto scheletrico, non sembrò comunque particolarmente felice di assistere a quel tipo di spettacolo.

Sembrava che la morte fosse l'insolita e costante protagonista in quei giorni. Un presagio che non suggeriva niente di buono.

«Se queste sono le premesse dovremmo cercare un posto sicuro dove attraccare la Sunny, lontano da occhi indiscreti» suggerì Jimbe, con lo sguardo a cercare di nuovo un silenzioso Rufy.

«Credo anche io sarebbe meglio evitare di farci riconoscere» concordò Sanji «la nostra priorità è quella di ritrovare Nami-san» non dovette specificare che il discorso era esteso anche allo spadaccino che mai e poi mai avrebbe nominato in modo esplicito.

Rufy salì di nuovo sulla balaustra.

«Attracchiamo e andiamo a riprenderceli» decretò con voce ferma e decisa.

Puntò lo sguardo sulle tre sagome che andavano a nascondersi lentamente dietro la muraglia delle scogliere, il pensiero rivolto ai compagni perduti.

 

*

 

Zoro si svegliò annaspando.

Le labbra intorpidite dal sale e la gola riarsa. Riemerse dalla sabbia, trascinandosi dietro un ciuffo d'alghe che gli si era aggrappato ai capelli. Il movimento fu tanto brusco che gli provocò un conato; dovette voltarsi di lato per vomitare quella che aveva tutta l'aria di essere solo acqua di mare e schiuma. Restò placidamente a osservare il suo disgustoso operato, prima di riprendersi e rimettersi a sedere pesantemente sulla spiaggia, ora inondata dal sole.

L'unico occhio buono, accecato dal candore di quella sabbia color avorio.

Ci mise qualche istante a ricomporre la serie di ricordi che lo avevano condotto lì. Gli sfuggiva qualche dettaglio, ma sapeva di essere finito in mare per recuperare qualcuno ed era stato trascinato via dalla corrente.

Sott'acqua non era stato facile individuare chicchessia. Le onde avevano smosso un fondale che rendeva difficile vedere sotto la superficie. Ma ad un certo punto era stato sicuro di aver afferrato qualcuno, di aver stretto la presa, di aver cercato disperatamente di raggiungere la superficie.

Ma i convulsi sballottamenti delle acque e le correnti provocate dalle onde che tornavano a inabissarsi, creando vortici scomposti e impossibili da attraversare, gli avevano fatto perdere il raziocinio.

Gli avevano insegnato fin da bambino che doveva nuotare in direzione delle bolle, nel caso avesse perso orientamento sott'acqua. Che avrebbe dovuto spingere coi reni, per risalire in superficie, trattenere il fiato e lasciarsi trasportare verso l'alto. L'unica direttiva che gli riusciva semplice eseguire. L'istinto che lo portava alla sopravvivenza.

Era certo di non aver lasciato la presa, quando i polmoni avevano raggiunto il massimo della sopportazione. Era certo di averci provato fino all'ultimo quando un agglomerato di scogli li aveva accolti nel loro spigoloso abbraccio e sospinti avanti e indietro per diversi metri, lacerando carni e ossa, strappando silenziosa grida di dolore.

Solo allora aveva incanalato troppa acqua, nel disperato tentativo di respirare. Buffo come avesse pensato che sarebbe stato molto più semplice saper respirare sott'acqua come facevano gli uomini pesce. Buffo e singolare come il suo ultimo pensiero fosse stato rivolto proprio a Jimbe, mentre perdeva definitivamente i sensi e la sua mano lasciava quella di Nami.

 

Fu istintivo assicurarsi di avere ancora con sé le katane.

Lo sguardo cadde sulla fusciacca a cui era ancora annodata la sua Wado Ichimonji, e ne ebbe immediato sollievo. Spinse lo sguardò poco più in là, ritrovando anche le altre due che avevano tentato una fuga, prima di capire che forse non ne valeva davvero la pena. Che lo spadaccino era ancora destinato a portarle lontano.

Cercò di rimettersi in piedi per recuperarle. Una sferzata di dolore lo prese alla sprovvista, facendogli piegare di nuovo la schiena in avanti. C'era sangue rappreso un po' ovunque, tagli sulle braccia, sul viso, ma non si diede la pena di capire quali ossa fossero ancora sane e quali malandate. Era in piedi sulle sue gambe ed era più che sufficiente.

Gli pulsava la testa, ma quello era sicuramente dovuto alla momentanea mancanza d'ossigeno e tutta l'acqua di mare che aveva ingerito.

Si trascinò lungo la spiaggia, recuperando le spade, mentre con lo sguardo scandagliava i dintorni per orientarsi, per capire dove fosse finito. Per capire se fosse solo.

Chilometri di spiaggia bianca si estendevano fin dove riusciva a spingersi lo sguardo. Lontano, verso l'orizzonte, il mare e il cielo erano blu cobalto. A delimitare la spiaggia, da una parte una maestosa scogliera e dall'altra, alle sue spalle, una fitta boscaglia che nascondeva il resto dell'isola. Sopra tutto svettava la punta di quello che sembrava un vulcano.

E solo a pochi metri di distanza, una sagoma distesa a terra, in parte coperta dalla sabbia che era stata smossa dal vento.

Cominciò a camminare lungo la spiaggia, lentamente all'inizio e poi sempre più rapidamente. I vestiti ancora parzialmente inzuppati che non facilitavano i movimenti, la sabbia che trascinava a fondo i suoi stivali pesanti.

«Nami!» chiamò senza doversi interrogare troppo. Non poteva essere altri che lei, non avrebbe accettato nessun altro che non fosse lei.

Riconobbe i suoi vestiti e poi il colore dei suoi capelli ancora fradici che, come i tentacoli di una piovra, le ricadevano sul viso, nascondendolo.

Incespicò sui piedi, cadendo poi sulle ginocchia, proprio accanto a lei.

«Nami» la richiamò di nuovo, afferrandola per le spalle, nel tentativo di risvegliarla. Le scostò i capelli dal viso, come non fosse del tutto persuaso di averla trovata. Era pallida, le labbra erano cianotiche e aveva un orribile taglio sulla fronte che andava certo sistemato in qualche modo.

«Nami, svegliati» disse perentorio, dandole un buffetto sul viso che ritrovò gelido come il ghiaccio, sotto le sue dita.

«Non fare scherzi, svegliati!» rincarò la dose, scuotendola ancora, adesso più bruscamente. Di nuovo non ottenne alcuna reazione.

Una sensazione orribile si impossessò di lui, nel momento in cui realizzò di aver già visto quel pallore. Di aver già ritrovato nel volto di qualcun altro, quel definitivo, placido abbandono.

 

Per un istante si ritrovò nei suoi ricordi di ragazzino.

Ad osservare un fazzoletto che scivolava dal volto esanime dell'unica vera amica che avesse mai avuto. Non era previsto succedesse, non era previsto lui la vedesse. Ma per la prima volta in vita sua ebbe chiaro cosa significasse quella tanto odiosa, definitiva parola. Cosa significasse osservarne il volto cereo e anonimo. La maschera mortuaria di un corpo che ormai non era che l'involucro svuotato della sua essenza.

 

Avvicinò di nuovo tremante le dita al viso di Nami, le lasciò scivolare sul collo, vicino alla giugulare, così come gli aveva insegnato Chopper, un giorno in cui aveva deciso di spiegar loro alcune tecniche di primo soccorso, dopo l'ennesima caduta in mare del loro sconsiderato capitano. Sotto al collo, è il modo migliore per accertarsi se ci sia ancora battito. Gli sembrò di sentire la sua vocina, suggerirgli.

Tenne le dita premute a lungo, cercando le pulsazioni delle sue vene, concentrandosi per avvertirle, per quanto la situazione glielo concedesse. E poi, a sedare le sue preoccupazioni, avvertì una pulsazione, debole quando il frullio delle ali di una farfalla. Sperò ardentemente di non aver solo preso un abbaglio.

Ora il respiro.

Zoro avvicinò il volo a quello della ragazza, cercando di avvertire il suo alito caldo. Percepì solo un leggero sibilo, molto più debole del battito del suo cuore.

«Perché è così pallida?» chiese a nessuno in particolare, forse a cercare suggerimento alla vocina di Chopper nella sua testa.

La trascinò su a sedere, e di nuovo la schiaffeggiò brevemente, prima di prendere fra le dita il suo naso e stringere.

Ma che diavolo stai facendo?!

«Non lo so, sto andando per tentativi!» esclamò in direzione della sua coscienza.

Ma in qualche modo doveva aver scatenato un processo insolito perché non fece in tempo a lasciarla andare che sentì Nami riprendere bruscamente fiato, annaspando dalla bocca: un'esplosione nel silenzio statico di quella spiaggia silenziosa. La ascoltò tossire a più riprese, mentre dalle sue labbra uscivano rivoli di schiuma. I suoi occhi si riaprirono solo per un istante e puntarono dritti nei suoi, liquidi e confusi, ma sembrò non riconoscerlo. Il colore del viso però sembrò mutare sensibilmente, il colore delle labbra anche.

Zoro non riuscì a descrivere il sollievo che gli distese le membra, anche se solo per un breve, misero istante. Quello successivo Nami perse di nuovo i sensi, tornando ad accasciarsi fra le sue braccia.

«Merda...» esalò, guardandosi attorno, come in cerca d'aiuto. Ma esattamente così come aveva constatato prima di trovare Nami, dovette riconoscere di essere solo.

«D'accordo, come al solito, non hai voglia di rendermela facile» disse, bonariamente arreso, afferrandola saldamente sotto le ginocchia e le spalle, barcollando appena, per sollevarla fra le sue braccia. Era molto più leggera di quanto ricordasse.

Puntò lo sguardo verso l'intricata foresta di alberi tropicali alle sue spalle e decise che se pur doveva cominciare da qualche parte, avrebbe dovuto farlo da lì.

 

*

 

Nam riaprì gli occhi perché aveva sentito qualcosa zampettarle sul viso.

Si mise bruscamente a sedere, scacciando un insetto che ora si dimenava a terra, ribaltato dalla parte sbagliata.

Si sentiva confusa, estremamente annebbiata. Faticava a mettere a fuoco i dintorni ma si rese conto di essere seduta su un giaciglio asciutto, al riparo dal sole cocente di mezzogiorno.

Quando cercò di analizzare l'origine del suo dolore, le dita andarono a scontrarsi con un taglio sulla fronte che la fece scattare di nuovo, tanto bruciava al suo tocco.

Sentiva freddo, nonostante fosse ben cosciente di non trovarsi in un posto freddo.

I vestiti si erano asciugati, i capelli anche, ma era più facile dire quali fossero i muscoli in salute che contare quelli che le facevano male.

Si chiese chi le avesse riservato quel trattamento, ma sopratutto si chiese dove diavolo si trovasse. Tentò un movimento che non la portò da nessuna parte. Si sentiva ancora troppo debole per tentare di rimettersi in piedi. E questo sarebbe stato un bel guaio, anche solo per capire come orientarsi. Dalla sua posizione tutto ciò che riusciva a vedere era una spiaggia, oltre la boscaglia.

Cominciò a tremare, non seppe dire se di freddo, ancora, o di paura. Non sapere cosa fosse successo era ben più spaventoso di quello di aver constatato di essere sola.

Poi, un fruscio alle sue spalle. Si irrigidì e ritrasse accanto al tronco di uno degli alberi accanto a cui era stata sistemata. Gli si appiattì addosso comunque, quando le fu chiaro che la sagoma che stava avanzando era quella di un essere umano e non di un grosso animale.

Emerse dalla boscaglia un uomo dalla stazza imponente, il passo pesante. Il fatto che fosse armato non la rassicurò per niente.

«Ti sei svegliata» le si rivolse, fermandosi appena prima di raggiungerla. Sembrava sollevato, ma il volto era provato dalla stanchezza.

Non riuscì a rispondergli, al contrario se ne restò ferma immobile, come fosse possibile non essere importunata ulteriormente se non si fosse mossa, come potesse mimetizzarsi con il resto del paesaggio.

Lo guardò avvicinarsi, chinarsi di fronte a lei, in mano sorreggeva quello che sembrava un frutto, tagliato a metà.

«C'è dell'acqua zuccherata qui dentro, l'ho assaggiato e non sono morto, direi che puoi berlo anche tu» le disse. Nonostante il tono gentile, Nami sentiva il cuore esplodere nel petto dalla paura. Le membra irrigidite dal terrore.

Si ritrasse ancora, fissando l'uomo e quel frutto che le stava offrendo con evidente diffidenza e sconcerto.

«Stai bene?» le chiese allora, il sollievo che lentamente lasciava spazio alla preoccupazione.

Lo fissò ancora per un istante, prima di muovere le labbra per formulare una frase di senso compiuto.

«N-non farmi del male...» sussurrò, la voce che uscì in un sibilo arrochito. La gola le faceva un male del diavolo.

«Sei impazzita? Ti sembra che voglia farti del male?» fissò il frutto come fosse quello l'oggetto della discordia «ti ho detto che non sono morto. Sembra buono. E devi bere qualcosa... sei... disidratata» cercò di formulare la parola come la reminiscenza di insegnamenti passati.

Deglutì a fatica, sentendo il bisogno di accettare quel gesto, l'acqua che si muoveva invitante, dentro quel guscio rigido.

«Forza Nami, mi si sta addormentando il braccio» aggiunse e solo allora, quel nome, sembrò darle un brivido positivo.

Lo guardò dritto in viso, cercando un indizio, anche solo una sensazione. Ma tutto ciò che ottenne fu l'ennesima fitta di mal di testa.

«Tu... mi conosci?» formulò dopo un lungo istante.

E fu solo in quel momento che l'uomo sembrò realizzare che non aveva la minima idea di chi fosse.

«Merda» disse.

 

Continua...

 

Note:

Un piccolo aggiornamento, così ne approfitto anche per fare a tutti gli auguri di buone feste.

   
 
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