Capitolo XXVII
Non c’era tempo per dare una
degna
sepoltura a Medina, né per tornare a Caverby; furono
costretti a lasciare i
suoi resti ai piedi di un acero con la promessa che sarebbero tornati.
Per un
momento, la fretta di Pain era svanita: aveva adagiato la schiena di
Medina
contro il tronco dell’albero e si era inginocchiato di fronte
a lui, in
silenzio. Il generale si era concesso soltanto un minuto.
«Procediamo.»
Seguirono Pain al riparo sotto i
rami carichi di foglie rosso sangue, permettendosi di fare rumore fino
a quando
non furono in vista della costa. Solo allora il generale si
girò verso i suoi
uomini e prese parola. «Secondo le informazioni che aveva
raccolto Medina, i
nostri avversari si sono diretti alla zona del porto,
all’estremità
settentrionale di Innsmouth. Ci arriveremo a piedi, fiancheggiando la
città. Da
lì, c’è un ottimo punto di
osservazione.»
«Quanto tempo
abbiamo?» domandò
Alexander.
«È presto per
dirlo. Harding,
quando hanno lasciato la base?»
«Quaranta minuti prima del
vostro
arrivo.»
«Ciò significa
che hanno circa un’ora
di vantaggio, e hanno preso tutte le camionette.» Pain
imprecò sottovoce.
«Sapevano per certo che altri si sarebbero rivoltati contro
di loro e hanno
preferito impedire che potessero raggiungerli rapidamente.»
«Non c’era
alternativa. Era troppo
rischioso imbattersi in Darcus prima di essersi procurati le
armi.»
«Lo so, detective. Non mi
pento
della nostra decisione.»
Pain era distaccato. Era scomparsa
ogni traccia dell’emozione con cui aveva trasportato fra gli
alberi il cadavere
di Medina. Ellen lo invidiava: a lei quella morte aveva portato
soltanto
sconforto. Sorridendo, atteggiandosi da ragazzino immaturo e gioviale,
Medina
aveva alleviato la tensione, che era tornata insieme al terrore per
ciò che
stavano per affrontare.
Dovevano raggiungere
un’altura:
avrebbero potuto tagliare attraverso la città fantasma di
Innsmouth, ma
scelsero prudentemente di allungare la strada quando,
all’imbocco di un vicolo,
notarono una figura muoversi nell’ombra: difficile sapere se
fosse armata,
ancora più difficile scoprire se fosse in compagnia. Furono
costretti a
camminare rasente la spiaggia e fu allora che Ellen avvistò
altri corpi: a
differenza del precedente, non si muovevano.
Fece un cenno a Michael, che lo
replicò a Pain. Si chinarono dietro gli arbusti e scrutarono
con attenzione la
spiaggia.
Erano dieci, ed erano cadaveri.
«Carter…»
sibilò Kurtz alla destra
di Ellen.
Dunque il molo e lo Scoglio del
Diavolo non erano le uniche destinazioni di Darcus e Cutty, e i
bastardi avevano
già cominciato a macellare le loro vittime.
Dovettero abbandonare anche quei
corpi riversi sulla sabbia, la gola tagliata e le mani libere. Darcus
li aveva
soggiogati, costringendoli a rimanere fermi mentre i suoi accoliti li
sgozzavano; in qualche modo, li aveva convinti che quella fosse la loro
volontà.
Nauseata, si girò di scatto per evitare di vomitare su
Kurtz, e notò qualcosa
muoversi nelle acque. Diede una gomitata al soldato.
Adesso lo – li vedevano
tutti. C’erano fiaccole
accese lungo la riva, le stesse che avevano permesso a Kurtz di
riconoscere il
cadavere di Carter, e che ora illuminavano i profili delle creature in
mare.
Ellen si stupì: non erano i mostri che li avevano attaccati
al Tyner Lab e
sotto lo Scoglio del Diavolo. Erano umanoidi, con spalle e busto nudi
fuori
dall’acqua, ma sul volto sembravano indossare una maschera.
Non li avevano
visti né mostravano l’intenzione di raggiungere la
terraferma. Erano in attesa.
«Andiamo»
mormorò Pain.
Accovacciati, ripresero il loro
cammino lungo gli arbusti, permettendosi di rialzarsi solo quando una
nuova
zona boschiva li occultò. Era davvero il punto ideale da cui
guardare il molo,
ma non avrebbero potuto fare granché da quella posizione.
Scorsero i soldati in
due semicerchi: in quello esterno, uomini in piedi stazionavano dietro
i
militari inginocchiati – le
prede. Erano un numero esagerato, troppi per loro quindici,
ma erano
concentrati, le voci cantilenanti in una lingua sconosciuta. Altri
profili erano
sparsi per la spiaggia; tra loro dovevano esserci Darcus e Cutty.
Pain indicò i cinque della
sua
unità che imbracciavano un fucile.
«Copriteci.»
Erano cecchini provetti, Ellen
poté intuirlo osservandoli sparpagliarsi per
l’altura in cerca della visuale
migliore. Una volta che solo Williams fu rimasto nelle vicinanze, Pain
cominciò
a scendere da un sentiero scavato nella roccia in religioso silenzio;
per
fortuna, la nenia giocava a loro favore.
Quando furono più vicini,
Ellen
ebbe un brivido, e fu certa di non essere la sola. Gli occhi vitrei dei
soldati
inginocchiati confermarono la loro ipotesi; tenevano la bocca serrata
mentre i
loro aguzzini, alle spalle, cantavano tenendo stretto un pugnale
ciascuno.
Ellen scrutò quello più vicino: aveva il manico
intarsiato e simboli argentei
rilucevano sulla lama. Anche sopra le banchine del porto erano state
posizionate delle fiaccole.
All’estremità
della banchina
centrale c’era Darcus. Era accompagnato da due uomini, un
soldato e Cutty, che
si reggeva malamente sulla stampella, ma aveva il volto deturpato da un
ghigno
sotto il naso rotto. Con orrore, Ellen notò lembi di pelle
sul collo di Darcus
alzarsi e abbassarsi mentre parlava, e riconobbe la forma delle
branchie. Stava
continuando a mutare.
Dovevano agire in fretta, prima
che la cantilena finisse e gli accoliti dell’Ordine del
Crepuscolo d’Argento
sollevassero i pugnali sacrificali. Prima di tutto bisognava liberarsi
dei
soldati di guardia, e lo fecero in silenzio, consci che i tre sul
pontile, gli
unici con lo sguardo rivolto alla terraferma, erano troppo concentrati
sul
rituale per prestare loro interesse. I soldati di Pain usavano armi da
taglio,
silenziose e letali, ma Ellen non ne aveva una e attendeva di sparare,
coperta
di Michael, quando i cecchini aprirono il fuoco.
Non c’era pietà
nei loro colpi,
era scomparsa insieme al sorriso genuino e confortante di Medina.
Quella notte,
non avrebbero fatto prigionieri.
Cinque pallottole andarono a
segno, colpendo simultaneamente le teste di altrettanti soldati. Darcus
vacillò
e per poco non perse il controllo mentale delle sue prede; sollevando
la mano
umana, tracciò un segno.
Dal libro aperto sul pontile non
uscì niente. Furono le acque a muoversi.
Esseri come quelli avvistati nella
spiaggia emersero dall’oceano, e insieme a loro
c’erano le creature mostruose,
gli anfibi giganti e ricurvi che avevano già combattuto. Non
erano solo due
come nel dormitorio del Campus, né una manciata di
più: erano decine.
Ellen si era pietrificata senza
accorgersene. Michael le afferrò la manica e la
tirò giù, salvandola dal proiettile
esploso da uno dei soldati di guardia. Le creature si muovevano in
fretta,
risalivano la riva e i pontili, e le loro unghie si occuparono
personalmente di
sgozzare le vittime sacrificali. Ellen non aveva idea che potessero
essere così
veloci: uno dei mostri corse e buttò giù Kurtz,
tranciandogli di netto un
braccio. A terra, Ellen incontrò gli occhi ormai vuoti del
caporale, la bocca
aperta in un grido inudibile.
«Vieni via!»
gridò Michael,
trascinandola indietro e sparando all’impazzata, cercando di
farsi spazio.
Ellen capiva il suo terrore: le creature avrebbero ucciso gli uomini,
ma lei,
Lilyan e Janet…
Oh, cazzo, cazzo, cazzo. Erano state così stupide
ad
andare là.
Scosse i piedi, incapace di rialzarsi,
e prese la mira: abbatté il mostro più vicino, ma
ce n’erano altri, e i
cecchini avevano smesso di sparare.
«Ellen, scappa!»
urlò di nuovo
Michael, portandosi davanti a lei per difenderla.
Non scapperò non
scapperò non
scapperò…
Il terrore però si era
impossessato di lei, le pupille dilatate mentre osservava altri mostri
correre
sul molo, e non aveva il coraggio di cercare Janet o Lilyan,
o…
Alexander si stava muovendo a
passo svelto lungo il pontile centrale, cercando di sparare con la
pistola
ormai scarica. Darcus sorrideva, aspettava a braccia aperte, e non
smise di
sorridere anche dopo avere ricevuto il pugno del nipote in pieno volto.
Lo fece quando luci esplosero
verso il porto, illuminando ogni figura, ogni umano, ogni ibrido.
Trovando il
coraggio di girarsi, Ellen vide due biplani in aria e
l’esercito riversarsi
nelle strade di Innsmouth.
***
Da ragazzina, Ellen aveva
detestato la matematica. Nessuno lo avrebbe intuito, data la sua mente
analitica e la passione per ogni tipo di scienza, ma non le piacevano i
calcoli; li trovava certi, lineari, e solo avanzando con lo studio il
suo odio
aveva iniziato a scemare. Probabilità, ipotesi, una
soluzione da scoprire: pane
per i suoi denti. Era per tale motivo che raramente contava, eppure
quel giorno
lo stava facendo. Contava ogni caduto, ogni soldato che veniva
azzannato dai
mostri o che veniva abbattuto dai colpi dei suoi alleati; contava ogni
creatura
che emergeva dall’oceano, ogni rinforzo che accorreva alle
sue spalle.
Erano partiti dalla base militare
in quindici. Cinque cecchini erano stata abbattuti, e anche Kurtz.
Altri due
uomini fedeli al generale caddero. Rimanevano Pain, Setter e i civili.
Sette
persone per combattere un numero talmente alto di nemici che le era
stato
impossibile tenere il conto.
Quando l’esercito
– i rinforzi
contattati da Pain – apparve tra le strade di Innsmouth e nel
cielo, Ellen
avrebbe voluto contarli tutti, divenire consapevole di ogni persona
giunta in
loro soccorso, e non poterlo fare la rese euforica.
Durò un attimo, prima di
ricordarsi perché detestava i numeri.
La matematica sbagliava: cento non
erano superiori a uno, se quell’uno era Darcus.
Si era liberato di Alexander, che
stava lottando in acqua contro gli umanoidi con la faccia deformata, ed
era
rimasto solo sulla banchina, un soldato morto a terra e Cutty scomparso
nel
nulla. Teneva il libro spalancato sulle mani e recitava una nenia
diversa dalla
precedente, e che fece tremare il mondo: non fu solo la terra a
muoversi, non
furono soltanto le onde a infrangersi contro i pontili, spezzandone
funi e
ormeggi; il cielo stesso si mosse, vacillò davanti a Ellen.
Non erano i suoi
occhi a tradirla. Uno dei biplani precipitò in acqua,
l’altro si sfranse contro
una scogliera ed esplose in fiamme, mentre Darcus rideva, e rideva, e
sembrava
avere previsto ogni cosa.
Michael l’aveva portata al
riparo,
dietro il muro spezzato di un edificio, ma lei non voleva rimanere.
Sapeva
quanto le sarebbe potuto costare, tuttavia non poteva restare nascosta
mentre i
suoi amici rischiavano la vita – o peggio. Guardò
Michael, che sospirò
sconfitto ed estrasse un coltello dalla tasca.
«Usalo tu: sei piccola, puoi
sgusciare fra di loro. Mira al cuore o alla gola. Se sono
mostri… scappa. Li
colpirò da lontano con il fucile.»
«Quando lo
hai…?»
«Era di un soldato di Cutty.
È
stato generoso a lasciarmelo dopo che l’avevo
strangolato.» Il suo tentativo di
alleggerire il nervosismo comune fu vano. «Fa’
attenzione.»
«Dobbiamo…
dobbiamo fermare
Darcus.»
«Per quello abbiamo
Alexander e
Pain.»
Lo sguardo di entrambi vagò
sulla
riva, da cui stava emergendo Alexander, ferito, ma vivo, con quella
determinazione negli occhi che non lo avrebbe abbandonato
finché Darcus fosse
stato un pericolo. Pain non era nei paraggi, eppure le doti di cui
aveva dato
sfoggio in quei giorni li convinsero che fosse ancora sul campo.
«Punta alle creature che
stanno
seguendo Alexander» riprese Michael. «Tu copri le
spalle a lui, io copro le
spalle a te.»
«E chi coprirà le
tue?»
Le labbra si incresparono in una
smorfia beffarda. «La mia fortuna sfacciata.»
Nel momento in cui si gettarono di
nuovo nella mischia, il frastuono esplose intorno a loro, un caos
generato
dalle urla disperate dei morenti, dal crepitare delle fiamme, dalle
armi in
mano all’esercito alleato. Luce e lampi esplodevano nella
notte mentre Ellen
strisciava tra i cadaveri, attaccava un ibrido e un altro, si faceva
strada
verso Alexander udendo i colpi del fucile di Michael. Con un moto di
sollievo
individuò Janet e Lilyan, schiena contro schiena, intente a
sparare in basso da
un punto rialzato.
Ellen superò il corpo
diviso a
metà di Setter, ma Pain era ancora in piedi e aveva puntato
Cutty. Gli sparava
con calma, avvicinandosi un passo alla volta, mentre lo scienziato
arrancava a
quattro zampe. Come Darcus, Cutty muoveva le dita ed evocava uno scudo
di
energia che si indeboliva ogni secondo che passava, fino a quando Pain
non
giunse di fronte a lui e fece fuoco alla testa. Una pallottola, una
seconda e
una terza, fino a quando il viso di Cutty non divenne una maschera di
sangue
come quello di Medina.
Solo a quel punto Pain si accorse
di Ellen e Michael, e capì quello che stavano facendo. Si
gettò in avanti fino
a raggiungerli, li superò, affiancò Alexander
mentre si liberava delle
creature. Darcus li notò quando furono a pochi piedi da lui
ed Ellen avrebbe
giurato di vederlo sbiancare. Con un incantesimo si librò in
aria, sfuggendo ai
pugni del nipote, che doveva avere perso il revolver in acqua; Pain
cambiò il
caricatore e riprese a sparare, ma una sferzata di energia rossa gli
trafisse
il petto. Era impossibile capire se fosse ancora vivo, ma aveva smesso
di
muoversi.
Ellen credeva che Alexander
avrebbe preso la pistola del generale, invece rimase concentrato su
Darcus, le
braccia lungo il busto, impassibile. Un attimo dopo, ciò che
era accaduto nella
Chiesa Occidentale si ripeté, e fu grandioso.
Alexander non era più solo:
gli
spiriti – o ciò che era rimasto dei Guardiani del
passato – si addensarono
attorno a lui, visibili anche da lontano, anche agli occhi di Darcus,
che si
fermò in aria. Uomini con gli stessi lineamenti di
Alexander, più giovani e più
anziani, dai capelli scuri o dalla chioma ramata, nitidi come se
fossero
realmente lì. Guidarono le mani dell’ultimo
Guardiano, mossero le sue dita in
gesti rapidi, decisi e rabbiosi, disegnando simboli che rifulsero nella
notte,
accerchiando Darcus, riportandolo a terra. Lo stregone cercava invano
di
combattere le corde invisibili che lo legavano, gridando e imprecando,
evocando
aiuto, ma niente accadde.
Con grazia, Alexander lo
calò sul
molo mentre le immagini dei suoi antenati svanivano e restava soltanto
lui,
forte e determinato, per la prima volta davanti a uno zio che non
poteva più
nuocergli.
Il fracasso si placò, lo
scontro
si spense e le creature marine sopravvissute scapparono nelle acque
profonde,
comprendendo che per il popolo di Innsmouth non era ancora giunto il
momento di
tornare.
Ellen e Michael raggiunsero le
loro amiche e le aiutarono a scendere dalle casse che avevano impilato
e
circondato di torce come un avamposto difensivo. Ellen le strinse
entrambe,
rincuorata che fossero vive e illese. Sulla banchina, un alto
funzionario del
governo – pulito come se non avesse partecipato alla
battaglia, e forse era
così – aveva raggiunto Alexander e Darcus, e si
era chinato per controllare
come stesse Pain. Avvicinandosi, videro il generale muovere una gamba.
«Non muore proprio
mai» sibilò
Lilyan, ed Ellen sbuffò divertita.
Erano salvi. Potevano fare
battute, abbracciarsi, concedersi il lusso di riposare. Non avrebbero
sprecato
un altro momento a temere Darcus McCrindle.
«Cos’avete
intenzione di fare con
il libro?» stava chiedendo l’uomo brizzolato in
divisa.
Alexander penetrò la
prigione di
simboli di Darcus e gli strappò il tomo che tentava di
tenere fra le mani.
«Questo» si limitò a rispondere, mentre
evocava una fiamma ad altezza umana.
Senza neanche guardare il libro, lo gettò nel fuoco.
«NO!»
La prigione era rimasta aperta.
Darcus scivolò fuori e si lanciò dietro il libro,
afferrandolo, cingendolo,
mentre il fuoco bruciava entrambi.
Un attimo dopo, di loro non rimase
che cenere.
***
Passò un’intera
settimana senza
che le loro vite fossero messe in pericolo. Una settimana di
incertezze,
recupero e timore di tornare nell’incubo, ma magnificamente
priva di nota.
L’esercito americano aveva
creduto
al loro racconto. Li aveva scortati nella base militare di Boston, dal
momento
che quella di Ipswich era stata dichiarata
“inagibile”, e li aveva tenuti in
osservazione fino al giorno successivo. Tutti loro,
dall’ottimista Janet alla
disfattista Ellen, avevano temuto che la storia si potesse ripetere:
non
serviva uno stregone come Darcus per liberarsi di cinque civili che
sapevano
troppo.
Il comandante Keller li
interrogò
uno alla volta, in una maniera del tutto differente dalle torture di
Pain. Li
divise soltanto per sentirsi dare la loro personale versione della
vicenda, una
conferma delle parole del generale. Sembrava che, dopo i fatti che
nell’inverno
tra il 1927 e il 1928 avevano portato alle retate e
all’evacuazione di
Innsmouth, termini come “sovrannaturale” o
“mostruosi ibridi marini” suonassero
normali alle orecchie del comandante e dei suoi sottoposti.
Furono sfamati, lavati e
accompagnati in un dormitorio riservato a loro, dove trovare abiti
puliti e
asciutti. Le ferite vennero disinfettate e ricucite, tra gemiti di
dolore e lo
svenimento di Alexander, il quale non si era accorto che più
di una creatura
era riuscita a raggiungere e mordere le sue gambe; forse era stata la
magia a
farlo camminare fino a quel momento, o forse l’adrenalina
aveva funzionato su
di lui come su Ellen, che si era accasciata a terra per la fitta
insopportabile
all’addome. Scoprirono che anche Pain era sopravvissuto e
sarebbe tornato a
combattere, nonostante le gravi condizioni in cui era stato riportato
alla
base. Dovettero essergli malvolentieri grati per avere contattato i
rinforzi e
avere interceduto per loro con il comandante, spiegando che non erano i
pericolosi terroristi dipinti da Cutty. L’unico che rimase in
contatto con lui
fu Alexander, che volle tenersi aggiornato sulle decisioni governative.
Dopo una settimana di silenzio,
erano sul punto di sentirsi al sicuro. Accadde precisamente un
lunedì, quando
Lilyan scoppiò in lacrime nella sala da pranzo
perché il vestito nuovo di zecca
si era macchiato prima ancora che potesse sfoggiarlo
all’aperto. Il suo pianto
fu seguito da una risata corale, e perfino lei si lasciò
andare quando ne comprese
il significato: era tornata la pace.
Ciascuno di loro trovò il
coraggio
di fare progetti a lungo termine, singolarmente, senza una
pianificazione in
salotto con schemi, ricerche e planimetrie. Alexander fu il primo ad
affermare
le sue intenzioni: sarebbe tornato dalla madre adottiva per
confortarla, farle
sapere che stava bene e che non aveva dimenticato ciò che
lei e il signor Blake
avevano fatto per il piccolo Xander; erano i suoi genitori, gli unici
che
ricordasse di avere conosciuto, ed era loro grato per l’uomo
che era diventato.
Avrebbe tuttavia fatto presto un viaggio nel Maine, nella Greenville
dei
McCrindle, per parlare con l’ispettore Gerber e gli abitanti
della zona: voleva
apprendere quanto possibile sulla sua famiglia d’origine,
visitare ancora le
loro tombe e assicurare alla lapide di Owen McCrindle che la sua
eredità era
finalmente al sicuro. Si era inoltre messo in contatto con il municipio
di
Arkham per spostare le spoglie di zio Silas a Greenville, accanto al
fratello,
nella cripta di famiglia che la città aveva costruito per i
loro benefattori.
Lilyan prese parola dopo di lui.
Amava la villa che l’Arcivescovo le aveva lasciato, ma aveva
bisogno di tornare
da suo padre, di una cameriera che l’aiutasse a cambiarsi e
delle amiche che
non sospettavano che fine avesse fatto nell’ultimo mese.
Jeremy sarebbe rimasto
a vegliare su Chateaubriand Manor mentre lei avrebbe brillato: per anni
aveva
preso lezioni private di canto, musica e recitazione, ed era
determinata a
rincorrere il suo sogno. Giraud, disse, l’aveva incoraggiata:
era stato l’unico
a vedere nella Lilyan di undici anni l’ardore di una donna
risoluta e
ambiziosa, convincendo il senatore Butler che i suoi non erano capricci
infantili. Con il fiocco rosa nei capelli e la croce
d’argento contro il collo,
Lilyan si disse decisa anche a scoprire il segreto dietro Chateaubriand
Manor,
la villa degli antenati dell’Arcivescovo Giraud, ma avrebbe
lasciato Jeremy a
compiere le ricerche. Lei era pronta a splendere.
Janet era indecisa, ed Ellen si
stupì quando ne comprese il motivo. Per l’intera
durata del loro calvario, si
era concentrata sul rapporto tra Alexander e Lilyan, sul desiderio di
proteggerla dopo quanto accaduto a Salem, e la sua attenzione aveva
sorvolato
sui momenti in cui Janet e Alexander rimanevano in disparte, parlando a
bassa
voce, ridendo e stringendosi la mano. Con le gote imporporate, Janet le
confessò che stavano cercando di capire se fosse scattato
qualcosa fra loro;
forse avrebbero rimandato la partenza per Greenville, o forse ne
avrebbero
parlato lì ad Arkham, ma presto avrebbero trovato una
risposta.
Poco alla volta, Ellen
cominciò a
trasferirsi nella camera del dormitorio abbandonata a ottobre. Era
messa
davvero male, ma niente di irrisolvibile. Rimise in sesto mobili e
carta da
parati, quel tanto che le bastava per non passare da una villa di
French Hill a
una topaia, e riportò sulla fedele scrivania gli appunti e i
manuali di studio.
Si recò anche dal decano Miller, che fu sorpreso di vederla
e provò a farla
desistere dal proposito di riprendere
l’università, invano. L’accenno agli
strani eventi occorsi il mese prima e la nomina dell’Arkham
Gazette lo
convinsero a riprenderla in
facoltà, e perfino a concederle di saltare il corso del
professor Peabody.
Il Campus era tornato un luogo
sicuro, e anche nel Merchant District le cose sembravano volgere per il
meglio.
Incontrò Marco, che le fece una scenata per avere portato i
gemelli nella tana
del lupo; una volta scaricata la frustrazione, Marco le
raccontò che O’Bannion
aveva abbassato le mire dopo l’incendio nella Chiesa
Occidentale, dove avevano
perso la vita i suoi scagnozzi migliori. Per la verità, uno
dei corpi ritrovati
non era stato identificato, tuttavia Sills era scomparso dalla
città, e ciò
poteva avere solo brutte implicazioni per O’Bannion: il suo
tirapiedi preferito
era morto oppure lo aveva preso per il culo. Si guardò dal
domandarle se avesse
qualcosa a che fare con l’incendio: temeva di conoscere la
risposta.
C’era stato un discorso che
Ellen non
aveva voluto affrontare con Marco, né con il diretto
interessato; aveva
preferito aspettare che il momento avvenisse, e infine era successo.
Una notte di fine novembre, mentre
dormiva tra le confortevoli lenzuola di Chateaubriand Manor,
avvertì Michael
muoversi nel letto e stuzzicarle la schiena.
«No… ho
sonno» si lamentò
mugugnando.
Michael non smise di baciarla.
«Per l’ultima volta. Domani parto.»
Fu presa solo in parte alla
sprovvista. Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, e il fatto che
Michael non
gliene avesse ancora parlato rivelava molto di entrambi. Allontanando
il
pensiero del futuro, si girò nel letto e lo baciò
sulle labbra, lasciando che
quella notte fosse completamente dedicata al loro addio.
Il mattino seguente, rimase sotto
le coperte mentre Michael preparava i bagagli e scendeva a fare
colazione, e a
dare la notizia ai loro amici. Li raggiunse dopo un lungo bagno per
schiarirsi
le idee; quando entrò nella sala da pranzo, tutti gli occhi
furono puntati su
di lei, tranne quelli di Michael, ostinatamente fissi sull’Arkham
Gazette.
Ellen avrebbe preferito che Janet distogliesse lo sguardo come avevano
fatto
Lilyan e Alexander, invece continuò a scrutarla con una
fastidiosa apprensione
fino a che Jeremy non le posò davanti una cioccolata calda.
Lilyan, da brava
ospite, si mise a parlare delle novità apprese dal padre
sulla scena sociale di
Boston, e la tensione si rilassò.
Un’ora dopo, Jeremy era in
auto e
attendeva che Michael prendesse posto nei sedili anteriori per
accompagnarlo al
porto di Boston, dove una prima nave lo avrebbe condotto a New York
prima di
imbarcarsi sul transatlantico per Southampton.
«È stato un
piacere e un onore
fare la vostra conoscenza» li salutò Michael,
stringendo la mano di Alexander e
cingendo Lilyan e Janet in un caloroso abbraccio. «Alexander,
tieniti lontano
dalla lettura di tomi poco chiari. Consiglio vivamente ser Arthur Conan
Doyle,
credo possa essere di tuo gradimento. Lilyan, mi aspetto di vederti
brillare
come hai promesso: voglio che perfino in Europa si conosca il tuo nome.
E
Janet, cara… Ho conosciuto di rado archeologhe
così belle e talentuose.» La
fissò negli occhi, più a lungo degli altri, e lei
annuì asciugandosi una
lacrima. «Vi ringrazio di tutto, anche se avrei preferito
incontrarvi in
circostanze diverse. Su, ragazzina, andiamo.»
La testa di Ellen scattò in
alto e
Michael si mise a ridere.
«Non mi farai compagnia fino
a
Boston?»
Esitava. Alla fine si
infilò nei
sedili anteriori dell’auto senza dire una parola. Michael
montò a sua volta,
salutò ancora e Jeremy partì.
Ellen provava una sensazione di
freddo lungo l’intero corpo, un freddo che non aveva a che
fare con l’autunno
inoltrato. Si sentiva a disagio, fuori luogo, e avrebbe voluto fare un
passo
indietro e restare ad Arkham: quel breve viaggio sarebbe durato sempre
più di
quanto lei avrebbe voluto.
«Sei silenziosa
oggi» provò a
farla parlare Michael.
«Perché hai
voluto che venissi?»
Sollevò un sopracciglio,
confuso,
e si chinò per sussurrarle all’orecchio:
«Non l’abbiamo mai fatto su
un’auto.»
Ellen avvampò e lui rise
ancora.
«Ti ho preso
qualcosa.» Dal borsone
che teneva accanto estrasse un involucro. Ellen lo scartò e
riconobbe spesse
tavolette di cioccolata; sotto di loro, c’erano due mazzi di
banconote. «Quelle
sono per Logan e gli altri. Decidi tu in che modo fargliele avere:
ingaggia i
ragazzini per pedinare Miller, di’ che li hai rubati a
Lilyan, trasformali in
carne e pesce, o in una pila di coperte. Non possono fare quella vita
per
sempre. Non senza un aiuto.» La guardò
intensamente, ed Ellen seppe che l’aiuto
non erano i soldi, che prima o poi sarebbero finiti, ma lei.
Lo ringraziò con un cenno
del
capo, dandogli le spalle per osservare il paesaggio che mutava intorno
a loro.
Solo quando furono in vista di Boston lasciò scivolare le
dita fredde lungo il
sedile e incontrò quelle calde di Michael. Le strinse
appena, gli tenne la mano
finché Jeremy non ebbe svoltato in direzione del porto.
Scrutò in silenzio il
maggiordomo
mentre portava i bagagli di Michael verso l’imbarcazione, e
vedendolo tornare
le uscì un soffio tremolante dalla bocca.
«Ci siamo»
confermò Michael, in
piedi su una banchina così diversa da quella di Innsmouth da
sembrare che
appartenesse a un’altra epoca. Si spostò di fronte
a lei e le sorrise. «Credo
sia superfluo ringraziarti per ciò che hai fatto per
me.»
Ellen sussultò e lui rise.
Solo in
quel momento Ellen si accorse di quanto la sua allegria suonasse
forzata.
«Ti darei il mio indirizzo
di
Salisburgo, ma lo getteresti in mare. Per fortuna, Janet lo ha e potrai
chiederglielo quando vorrai. Se lo vorrai.»
La gola era riarsa. Non riusciva a
parlare, ma si costrinse.
«Darcus…
è finita, secondo te?»
Michael si fece serio.
«Sì,
altrimenti non me ne andrei. Se tuttavia dovesse tornare…
hai imparato a
difenderti, e questo è ciò che conta.»
Le arruffò i capelli e la baciò sulla
fronte, a lungo, senza che nessuno dei due trovasse il coraggio di
muoversi.
«Addio, ragazzina» sussurrò.
Non attese che lei rispondesse.
Afferrò l’ultimo borsone e si allontanò
verso la nave.
Per un istante – un
folle, ridicolo istante –
Ellen fu tentata di seguirlo: ce n’erano
anche in Austria, di università, e forse perfino
più prestigiose e sicure di
Arkham. Avrebbe lasciato gli studi, ricominciato da capo, pubblicato
ricerche
sulle misteriose creature affrontate e sarebbe stata riconosciuta come
una
biologa di fama mondiale. Non aveva bisogno di rimanere negli Stati
Uniti per
realizzare i suoi sogni.
Non vide Michael scomparire nella
nave, si voltò prima, dandogli le spalle per
l’ultima volta.
Janet la attendeva a Chateaubriand
Manor, torcendosi le mani sulla soglia di casa. Quando Jeremy
accostò e la fece
scendere, si mosse subito verso di lei, ma Ellen stava bene. Se non
fosse stato
così, non glielo avrebbe comunque detto, eppure Janet la
conosceva abbastanza
da capire che era la verità.
«Sai» le disse
quella sera, mentre
aiutavano Jeremy ad apparecchiare «ho ricevuto una lettera
dai miei genitori.
Sono rientrati ad Agra da qualche giorno, e stavo pensando di andare a
trovarli.»
«È
fantastico!» esclamò Ellen. «Da
quanto non li vedi?»
«Quasi un anno, ormai. Mi
manca
fare il bagno nello Yamuna, e ho bisogno di… di sentirli
vicini.»
«Va’. Harvard non
ti ha ancora
chiesta indietro, e Alexander potrà aspettare.» Si
rese conto che aspettava una
conferma, così gliela diede. «Tornerò
al Campus dopo cena.»
«Cosa? Ma… non
vuoi aspettare
domani?»
«Quel letto è
troppo grande per
una persona sola, e già dovrò dire addio alle
lenzuola di seta. Perlomeno
tornerò nel mio rimpiangendo solo la comodità del
materasso.»
Era vero, era tutto vero. Non
stava soffrendo come immaginava Janet: voleva andare avanti e tornare
alla sua
vita, ricordando però coloro che le erano stati accanto
quando era fuggita da
Salem, sola e disperata, e un ragazzino di dodici anni le aveva teso
una mano.
Marco e la sua famiglia avevano fatto tanto per lei; era arrivato il
momento di
ricambiare il favore. Si passò una mano
sull’indice, dove fino a poco prima c’era
stato l’anello di diamanti: l’aveva riposto nella
borsa, destinato a essere
nascosto in un posto sicuro, in attesa del giorno in cui avrebbe dovuto
rivenderlo.
Quella sera, mentre cenavano
intorno al tavolo, due su un lato e due sull’altro per
attenuare l’assenza di
Michael, Ellen ricordò le parole che lui aveva usato per
raccontare la fine di
Stephen Crawl e la nascita del suo alter ego. Aveva fatto riferimento
alla loro
situazione, sostenendo che era stata l’urgenza a renderli
vicini, a
cementificare i legami tra gli abitanti di Chateaubriand Manor; aveva
avuto
ragione e torto allo stesso tempo. Il pericolo era cessato, eppure loro
quattro
– Ellen, Janet, Alexander e Lilyan – condividevano
un pasto, chiacchieravano e
ridevano, e lei non si era mai sentita tanto parte di qualcosa.
Le settimane, i mesi, gli anni li
avrebbero allontanati, fino a quando Ellen non avrebbe visto il volto
di Lilyan
sulle locandine di un teatro, o Alexander non sarebbe diventato noto
per avere
indagato su un’operazione di interesse mondiale, e solo Janet
avrebbe
continuato a farle visita. Ellen avrebbe ripensato a quella sera, alla
cena che
stavano consumando nella villa di un Arcivescovo tra le belle
abitazioni di
French Hill, e avrebbe saputo che quei legami li avevano cambiati per
sempre.