Giochi di Ruolo > Il Richiamo di Cthulhu
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Autore: MedusaNoir    28/02/2024    0 recensioni
Arkham, ottobre 1928. La brillante studentessa di Biologia Ellen Lawlier viene convocata dal decano Miller per un consulto: la carcassa di una creatura ignota è stata rinvenuta sulle sponde del Miskatonic River e l’università ha deciso di mettere in piedi un’equipe per indagare. Ben presto si ritroverà immischiata in qualcosa di più grande: streghe, cultisti, una pesante eredità e quattro libri sui quali tutti vogliono mettere le mani...
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXVII

 

Non c’era tempo per dare una degna sepoltura a Medina, né per tornare a Caverby; furono costretti a lasciare i suoi resti ai piedi di un acero con la promessa che sarebbero tornati. Per un momento, la fretta di Pain era svanita: aveva adagiato la schiena di Medina contro il tronco dell’albero e si era inginocchiato di fronte a lui, in silenzio. Il generale si era concesso soltanto un minuto.

«Procediamo.»

Seguirono Pain al riparo sotto i rami carichi di foglie rosso sangue, permettendosi di fare rumore fino a quando non furono in vista della costa. Solo allora il generale si girò verso i suoi uomini e prese parola. «Secondo le informazioni che aveva raccolto Medina, i nostri avversari si sono diretti alla zona del porto, all’estremità settentrionale di Innsmouth. Ci arriveremo a piedi, fiancheggiando la città. Da lì, c’è un ottimo punto di osservazione.»

«Quanto tempo abbiamo?» domandò Alexander.

«È presto per dirlo. Harding, quando hanno lasciato la base?»

«Quaranta minuti prima del vostro arrivo.»

«Ciò significa che hanno circa un’ora di vantaggio, e hanno preso tutte le camionette.» Pain imprecò sottovoce. «Sapevano per certo che altri si sarebbero rivoltati contro di loro e hanno preferito impedire che potessero raggiungerli rapidamente.»

«Non c’era alternativa. Era troppo rischioso imbattersi in Darcus prima di essersi procurati le armi.»

«Lo so, detective. Non mi pento della nostra decisione.»

Pain era distaccato. Era scomparsa ogni traccia dell’emozione con cui aveva trasportato fra gli alberi il cadavere di Medina. Ellen lo invidiava: a lei quella morte aveva portato soltanto sconforto. Sorridendo, atteggiandosi da ragazzino immaturo e gioviale, Medina aveva alleviato la tensione, che era tornata insieme al terrore per ciò che stavano per affrontare.

Dovevano raggiungere un’altura: avrebbero potuto tagliare attraverso la città fantasma di Innsmouth, ma scelsero prudentemente di allungare la strada quando, all’imbocco di un vicolo, notarono una figura muoversi nell’ombra: difficile sapere se fosse armata, ancora più difficile scoprire se fosse in compagnia. Furono costretti a camminare rasente la spiaggia e fu allora che Ellen avvistò altri corpi: a differenza del precedente, non si muovevano.

Fece un cenno a Michael, che lo replicò a Pain. Si chinarono dietro gli arbusti e scrutarono con attenzione la spiaggia.

Erano dieci, ed erano cadaveri.

«Carter…» sibilò Kurtz alla destra di Ellen.

Dunque il molo e lo Scoglio del Diavolo non erano le uniche destinazioni di Darcus e Cutty, e i bastardi avevano già cominciato a macellare le loro vittime.

Dovettero abbandonare anche quei corpi riversi sulla sabbia, la gola tagliata e le mani libere. Darcus li aveva soggiogati, costringendoli a rimanere fermi mentre i suoi accoliti li sgozzavano; in qualche modo, li aveva convinti che quella fosse la loro volontà. Nauseata, si girò di scatto per evitare di vomitare su Kurtz, e notò qualcosa muoversi nelle acque. Diede una gomitata al soldato.

Adesso lo – li vedevano tutti. C’erano fiaccole accese lungo la riva, le stesse che avevano permesso a Kurtz di riconoscere il cadavere di Carter, e che ora illuminavano i profili delle creature in mare. Ellen si stupì: non erano i mostri che li avevano attaccati al Tyner Lab e sotto lo Scoglio del Diavolo. Erano umanoidi, con spalle e busto nudi fuori dall’acqua, ma sul volto sembravano indossare una maschera. Non li avevano visti né mostravano l’intenzione di raggiungere la terraferma. Erano in attesa.

«Andiamo» mormorò Pain.

Accovacciati, ripresero il loro cammino lungo gli arbusti, permettendosi di rialzarsi solo quando una nuova zona boschiva li occultò. Era davvero il punto ideale da cui guardare il molo, ma non avrebbero potuto fare granché da quella posizione. Scorsero i soldati in due semicerchi: in quello esterno, uomini in piedi stazionavano dietro i militari inginocchiati – le prede. Erano un numero esagerato, troppi per loro quindici, ma erano concentrati, le voci cantilenanti in una lingua sconosciuta. Altri profili erano sparsi per la spiaggia; tra loro dovevano esserci Darcus e Cutty.

Pain indicò i cinque della sua unità che imbracciavano un fucile. «Copriteci.»

Erano cecchini provetti, Ellen poté intuirlo osservandoli sparpagliarsi per l’altura in cerca della visuale migliore. Una volta che solo Williams fu rimasto nelle vicinanze, Pain cominciò a scendere da un sentiero scavato nella roccia in religioso silenzio; per fortuna, la nenia giocava a loro favore.

Quando furono più vicini, Ellen ebbe un brivido, e fu certa di non essere la sola. Gli occhi vitrei dei soldati inginocchiati confermarono la loro ipotesi; tenevano la bocca serrata mentre i loro aguzzini, alle spalle, cantavano tenendo stretto un pugnale ciascuno. Ellen scrutò quello più vicino: aveva il manico intarsiato e simboli argentei rilucevano sulla lama. Anche sopra le banchine del porto erano state posizionate delle fiaccole.

All’estremità della banchina centrale c’era Darcus. Era accompagnato da due uomini, un soldato e Cutty, che si reggeva malamente sulla stampella, ma aveva il volto deturpato da un ghigno sotto il naso rotto. Con orrore, Ellen notò lembi di pelle sul collo di Darcus alzarsi e abbassarsi mentre parlava, e riconobbe la forma delle branchie. Stava continuando a mutare.

Dovevano agire in fretta, prima che la cantilena finisse e gli accoliti dell’Ordine del Crepuscolo d’Argento sollevassero i pugnali sacrificali. Prima di tutto bisognava liberarsi dei soldati di guardia, e lo fecero in silenzio, consci che i tre sul pontile, gli unici con lo sguardo rivolto alla terraferma, erano troppo concentrati sul rituale per prestare loro interesse. I soldati di Pain usavano armi da taglio, silenziose e letali, ma Ellen non ne aveva una e attendeva di sparare, coperta di Michael, quando i cecchini aprirono il fuoco.

Non c’era pietà nei loro colpi, era scomparsa insieme al sorriso genuino e confortante di Medina. Quella notte, non avrebbero fatto prigionieri.

Cinque pallottole andarono a segno, colpendo simultaneamente le teste di altrettanti soldati. Darcus vacillò e per poco non perse il controllo mentale delle sue prede; sollevando la mano umana, tracciò un segno.

Dal libro aperto sul pontile non uscì niente. Furono le acque a muoversi.

Esseri come quelli avvistati nella spiaggia emersero dall’oceano, e insieme a loro c’erano le creature mostruose, gli anfibi giganti e ricurvi che avevano già combattuto. Non erano solo due come nel dormitorio del Campus, né una manciata di più: erano decine.

Ellen si era pietrificata senza accorgersene. Michael le afferrò la manica e la tirò giù, salvandola dal proiettile esploso da uno dei soldati di guardia. Le creature si muovevano in fretta, risalivano la riva e i pontili, e le loro unghie si occuparono personalmente di sgozzare le vittime sacrificali. Ellen non aveva idea che potessero essere così veloci: uno dei mostri corse e buttò giù Kurtz, tranciandogli di netto un braccio. A terra, Ellen incontrò gli occhi ormai vuoti del caporale, la bocca aperta in un grido inudibile.

«Vieni via!» gridò Michael, trascinandola indietro e sparando all’impazzata, cercando di farsi spazio. Ellen capiva il suo terrore: le creature avrebbero ucciso gli uomini, ma lei, Lilyan e Janet…

Oh, cazzo, cazzo, cazzo. Erano state così stupide ad andare là.

Scosse i piedi, incapace di rialzarsi, e prese la mira: abbatté il mostro più vicino, ma ce n’erano altri, e i cecchini avevano smesso di sparare.

«Ellen, scappa!» urlò di nuovo Michael, portandosi davanti a lei per difenderla.

Non scapperò non scapperò non scapperò…

Il terrore però si era impossessato di lei, le pupille dilatate mentre osservava altri mostri correre sul molo, e non aveva il coraggio di cercare Janet o Lilyan, o…

Alexander si stava muovendo a passo svelto lungo il pontile centrale, cercando di sparare con la pistola ormai scarica. Darcus sorrideva, aspettava a braccia aperte, e non smise di sorridere anche dopo avere ricevuto il pugno del nipote in pieno volto.

Lo fece quando luci esplosero verso il porto, illuminando ogni figura, ogni umano, ogni ibrido. Trovando il coraggio di girarsi, Ellen vide due biplani in aria e l’esercito riversarsi nelle strade di Innsmouth.

 

***

 

Da ragazzina, Ellen aveva detestato la matematica. Nessuno lo avrebbe intuito, data la sua mente analitica e la passione per ogni tipo di scienza, ma non le piacevano i calcoli; li trovava certi, lineari, e solo avanzando con lo studio il suo odio aveva iniziato a scemare. Probabilità, ipotesi, una soluzione da scoprire: pane per i suoi denti. Era per tale motivo che raramente contava, eppure quel giorno lo stava facendo. Contava ogni caduto, ogni soldato che veniva azzannato dai mostri o che veniva abbattuto dai colpi dei suoi alleati; contava ogni creatura che emergeva dall’oceano, ogni rinforzo che accorreva alle sue spalle.

Erano partiti dalla base militare in quindici. Cinque cecchini erano stata abbattuti, e anche Kurtz. Altri due uomini fedeli al generale caddero. Rimanevano Pain, Setter e i civili. Sette persone per combattere un numero talmente alto di nemici che le era stato impossibile tenere il conto.

Quando l’esercito – i rinforzi contattati da Pain – apparve tra le strade di Innsmouth e nel cielo, Ellen avrebbe voluto contarli tutti, divenire consapevole di ogni persona giunta in loro soccorso, e non poterlo fare la rese euforica.

Durò un attimo, prima di ricordarsi perché detestava i numeri.

La matematica sbagliava: cento non erano superiori a uno, se quell’uno era Darcus.

Si era liberato di Alexander, che stava lottando in acqua contro gli umanoidi con la faccia deformata, ed era rimasto solo sulla banchina, un soldato morto a terra e Cutty scomparso nel nulla. Teneva il libro spalancato sulle mani e recitava una nenia diversa dalla precedente, e che fece tremare il mondo: non fu solo la terra a muoversi, non furono soltanto le onde a infrangersi contro i pontili, spezzandone funi e ormeggi; il cielo stesso si mosse, vacillò davanti a Ellen. Non erano i suoi occhi a tradirla. Uno dei biplani precipitò in acqua, l’altro si sfranse contro una scogliera ed esplose in fiamme, mentre Darcus rideva, e rideva, e sembrava avere previsto ogni cosa.

Michael l’aveva portata al riparo, dietro il muro spezzato di un edificio, ma lei non voleva rimanere. Sapeva quanto le sarebbe potuto costare, tuttavia non poteva restare nascosta mentre i suoi amici rischiavano la vita – o peggio. Guardò Michael, che sospirò sconfitto ed estrasse un coltello dalla tasca.

«Usalo tu: sei piccola, puoi sgusciare fra di loro. Mira al cuore o alla gola. Se sono mostri… scappa. Li colpirò da lontano con il fucile.»

«Quando lo hai…?»

«Era di un soldato di Cutty. È stato generoso a lasciarmelo dopo che l’avevo strangolato.» Il suo tentativo di alleggerire il nervosismo comune fu vano. «Fa’ attenzione.»

«Dobbiamo… dobbiamo fermare Darcus.»

«Per quello abbiamo Alexander e Pain.»

Lo sguardo di entrambi vagò sulla riva, da cui stava emergendo Alexander, ferito, ma vivo, con quella determinazione negli occhi che non lo avrebbe abbandonato finché Darcus fosse stato un pericolo. Pain non era nei paraggi, eppure le doti di cui aveva dato sfoggio in quei giorni li convinsero che fosse ancora sul campo.

«Punta alle creature che stanno seguendo Alexander» riprese Michael. «Tu copri le spalle a lui, io copro le spalle a te.»

«E chi coprirà le tue?»

Le labbra si incresparono in una smorfia beffarda. «La mia fortuna sfacciata.»

Nel momento in cui si gettarono di nuovo nella mischia, il frastuono esplose intorno a loro, un caos generato dalle urla disperate dei morenti, dal crepitare delle fiamme, dalle armi in mano all’esercito alleato. Luce e lampi esplodevano nella notte mentre Ellen strisciava tra i cadaveri, attaccava un ibrido e un altro, si faceva strada verso Alexander udendo i colpi del fucile di Michael. Con un moto di sollievo individuò Janet e Lilyan, schiena contro schiena, intente a sparare in basso da un punto rialzato.

Ellen superò il corpo diviso a metà di Setter, ma Pain era ancora in piedi e aveva puntato Cutty. Gli sparava con calma, avvicinandosi un passo alla volta, mentre lo scienziato arrancava a quattro zampe. Come Darcus, Cutty muoveva le dita ed evocava uno scudo di energia che si indeboliva ogni secondo che passava, fino a quando Pain non giunse di fronte a lui e fece fuoco alla testa. Una pallottola, una seconda e una terza, fino a quando il viso di Cutty non divenne una maschera di sangue come quello di Medina.

Solo a quel punto Pain si accorse di Ellen e Michael, e capì quello che stavano facendo. Si gettò in avanti fino a raggiungerli, li superò, affiancò Alexander mentre si liberava delle creature. Darcus li notò quando furono a pochi piedi da lui ed Ellen avrebbe giurato di vederlo sbiancare. Con un incantesimo si librò in aria, sfuggendo ai pugni del nipote, che doveva avere perso il revolver in acqua; Pain cambiò il caricatore e riprese a sparare, ma una sferzata di energia rossa gli trafisse il petto. Era impossibile capire se fosse ancora vivo, ma aveva smesso di muoversi.

Ellen credeva che Alexander avrebbe preso la pistola del generale, invece rimase concentrato su Darcus, le braccia lungo il busto, impassibile. Un attimo dopo, ciò che era accaduto nella Chiesa Occidentale si ripeté, e fu grandioso.

Alexander non era più solo: gli spiriti – o ciò che era rimasto dei Guardiani del passato – si addensarono attorno a lui, visibili anche da lontano, anche agli occhi di Darcus, che si fermò in aria. Uomini con gli stessi lineamenti di Alexander, più giovani e più anziani, dai capelli scuri o dalla chioma ramata, nitidi come se fossero realmente lì. Guidarono le mani dell’ultimo Guardiano, mossero le sue dita in gesti rapidi, decisi e rabbiosi, disegnando simboli che rifulsero nella notte, accerchiando Darcus, riportandolo a terra. Lo stregone cercava invano di combattere le corde invisibili che lo legavano, gridando e imprecando, evocando aiuto, ma niente accadde.

Con grazia, Alexander lo calò sul molo mentre le immagini dei suoi antenati svanivano e restava soltanto lui, forte e determinato, per la prima volta davanti a uno zio che non poteva più nuocergli.

Il fracasso si placò, lo scontro si spense e le creature marine sopravvissute scapparono nelle acque profonde, comprendendo che per il popolo di Innsmouth non era ancora giunto il momento di tornare.

Ellen e Michael raggiunsero le loro amiche e le aiutarono a scendere dalle casse che avevano impilato e circondato di torce come un avamposto difensivo. Ellen le strinse entrambe, rincuorata che fossero vive e illese. Sulla banchina, un alto funzionario del governo – pulito come se non avesse partecipato alla battaglia, e forse era così – aveva raggiunto Alexander e Darcus, e si era chinato per controllare come stesse Pain. Avvicinandosi, videro il generale muovere una gamba.

«Non muore proprio mai» sibilò Lilyan, ed Ellen sbuffò divertita.

Erano salvi. Potevano fare battute, abbracciarsi, concedersi il lusso di riposare. Non avrebbero sprecato un altro momento a temere Darcus McCrindle.

«Cos’avete intenzione di fare con il libro?» stava chiedendo l’uomo brizzolato in divisa.

Alexander penetrò la prigione di simboli di Darcus e gli strappò il tomo che tentava di tenere fra le mani. «Questo» si limitò a rispondere, mentre evocava una fiamma ad altezza umana. Senza neanche guardare il libro, lo gettò nel fuoco.

«NO!»

La prigione era rimasta aperta. Darcus scivolò fuori e si lanciò dietro il libro, afferrandolo, cingendolo, mentre il fuoco bruciava entrambi.

Un attimo dopo, di loro non rimase che cenere.

 

***

 

Passò un’intera settimana senza che le loro vite fossero messe in pericolo. Una settimana di incertezze, recupero e timore di tornare nell’incubo, ma magnificamente priva di nota.

L’esercito americano aveva creduto al loro racconto. Li aveva scortati nella base militare di Boston, dal momento che quella di Ipswich era stata dichiarata “inagibile”, e li aveva tenuti in osservazione fino al giorno successivo. Tutti loro, dall’ottimista Janet alla disfattista Ellen, avevano temuto che la storia si potesse ripetere: non serviva uno stregone come Darcus per liberarsi di cinque civili che sapevano troppo.

Il comandante Keller li interrogò uno alla volta, in una maniera del tutto differente dalle torture di Pain. Li divise soltanto per sentirsi dare la loro personale versione della vicenda, una conferma delle parole del generale. Sembrava che, dopo i fatti che nell’inverno tra il 1927 e il 1928 avevano portato alle retate e all’evacuazione di Innsmouth, termini come “sovrannaturale” o “mostruosi ibridi marini” suonassero normali alle orecchie del comandante e dei suoi sottoposti.

Furono sfamati, lavati e accompagnati in un dormitorio riservato a loro, dove trovare abiti puliti e asciutti. Le ferite vennero disinfettate e ricucite, tra gemiti di dolore e lo svenimento di Alexander, il quale non si era accorto che più di una creatura era riuscita a raggiungere e mordere le sue gambe; forse era stata la magia a farlo camminare fino a quel momento, o forse l’adrenalina aveva funzionato su di lui come su Ellen, che si era accasciata a terra per la fitta insopportabile all’addome. Scoprirono che anche Pain era sopravvissuto e sarebbe tornato a combattere, nonostante le gravi condizioni in cui era stato riportato alla base. Dovettero essergli malvolentieri grati per avere contattato i rinforzi e avere interceduto per loro con il comandante, spiegando che non erano i pericolosi terroristi dipinti da Cutty. L’unico che rimase in contatto con lui fu Alexander, che volle tenersi aggiornato sulle decisioni governative.

Dopo una settimana di silenzio, erano sul punto di sentirsi al sicuro. Accadde precisamente un lunedì, quando Lilyan scoppiò in lacrime nella sala da pranzo perché il vestito nuovo di zecca si era macchiato prima ancora che potesse sfoggiarlo all’aperto. Il suo pianto fu seguito da una risata corale, e perfino lei si lasciò andare quando ne comprese il significato: era tornata la pace.

Ciascuno di loro trovò il coraggio di fare progetti a lungo termine, singolarmente, senza una pianificazione in salotto con schemi, ricerche e planimetrie. Alexander fu il primo ad affermare le sue intenzioni: sarebbe tornato dalla madre adottiva per confortarla, farle sapere che stava bene e che non aveva dimenticato ciò che lei e il signor Blake avevano fatto per il piccolo Xander; erano i suoi genitori, gli unici che ricordasse di avere conosciuto, ed era loro grato per l’uomo che era diventato. Avrebbe tuttavia fatto presto un viaggio nel Maine, nella Greenville dei McCrindle, per parlare con l’ispettore Gerber e gli abitanti della zona: voleva apprendere quanto possibile sulla sua famiglia d’origine, visitare ancora le loro tombe e assicurare alla lapide di Owen McCrindle che la sua eredità era finalmente al sicuro. Si era inoltre messo in contatto con il municipio di Arkham per spostare le spoglie di zio Silas a Greenville, accanto al fratello, nella cripta di famiglia che la città aveva costruito per i loro benefattori.

Lilyan prese parola dopo di lui. Amava la villa che l’Arcivescovo le aveva lasciato, ma aveva bisogno di tornare da suo padre, di una cameriera che l’aiutasse a cambiarsi e delle amiche che non sospettavano che fine avesse fatto nell’ultimo mese. Jeremy sarebbe rimasto a vegliare su Chateaubriand Manor mentre lei avrebbe brillato: per anni aveva preso lezioni private di canto, musica e recitazione, ed era determinata a rincorrere il suo sogno. Giraud, disse, l’aveva incoraggiata: era stato l’unico a vedere nella Lilyan di undici anni l’ardore di una donna risoluta e ambiziosa, convincendo il senatore Butler che i suoi non erano capricci infantili. Con il fiocco rosa nei capelli e la croce d’argento contro il collo, Lilyan si disse decisa anche a scoprire il segreto dietro Chateaubriand Manor, la villa degli antenati dell’Arcivescovo Giraud, ma avrebbe lasciato Jeremy a compiere le ricerche. Lei era pronta a splendere.

Janet era indecisa, ed Ellen si stupì quando ne comprese il motivo. Per l’intera durata del loro calvario, si era concentrata sul rapporto tra Alexander e Lilyan, sul desiderio di proteggerla dopo quanto accaduto a Salem, e la sua attenzione aveva sorvolato sui momenti in cui Janet e Alexander rimanevano in disparte, parlando a bassa voce, ridendo e stringendosi la mano. Con le gote imporporate, Janet le confessò che stavano cercando di capire se fosse scattato qualcosa fra loro; forse avrebbero rimandato la partenza per Greenville, o forse ne avrebbero parlato lì ad Arkham, ma presto avrebbero trovato una risposta.

Poco alla volta, Ellen cominciò a trasferirsi nella camera del dormitorio abbandonata a ottobre. Era messa davvero male, ma niente di irrisolvibile. Rimise in sesto mobili e carta da parati, quel tanto che le bastava per non passare da una villa di French Hill a una topaia, e riportò sulla fedele scrivania gli appunti e i manuali di studio. Si recò anche dal decano Miller, che fu sorpreso di vederla e provò a farla desistere dal proposito di riprendere l’università, invano. L’accenno agli strani eventi occorsi il mese prima e la nomina dell’Arkham Gazette lo convinsero a riprenderla in facoltà, e perfino a concederle di saltare il corso del professor Peabody.

Il Campus era tornato un luogo sicuro, e anche nel Merchant District le cose sembravano volgere per il meglio. Incontrò Marco, che le fece una scenata per avere portato i gemelli nella tana del lupo; una volta scaricata la frustrazione, Marco le raccontò che O’Bannion aveva abbassato le mire dopo l’incendio nella Chiesa Occidentale, dove avevano perso la vita i suoi scagnozzi migliori. Per la verità, uno dei corpi ritrovati non era stato identificato, tuttavia Sills era scomparso dalla città, e ciò poteva avere solo brutte implicazioni per O’Bannion: il suo tirapiedi preferito era morto oppure lo aveva preso per il culo. Si guardò dal domandarle se avesse qualcosa a che fare con l’incendio: temeva di conoscere la risposta.

C’era stato un discorso che Ellen non aveva voluto affrontare con Marco, né con il diretto interessato; aveva preferito aspettare che il momento avvenisse, e infine era successo.

Una notte di fine novembre, mentre dormiva tra le confortevoli lenzuola di Chateaubriand Manor, avvertì Michael muoversi nel letto e stuzzicarle la schiena.

«No… ho sonno» si lamentò mugugnando.

Michael non smise di baciarla. «Per l’ultima volta. Domani parto.»

Fu presa solo in parte alla sprovvista. Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, e il fatto che Michael non gliene avesse ancora parlato rivelava molto di entrambi. Allontanando il pensiero del futuro, si girò nel letto e lo baciò sulle labbra, lasciando che quella notte fosse completamente dedicata al loro addio.

Il mattino seguente, rimase sotto le coperte mentre Michael preparava i bagagli e scendeva a fare colazione, e a dare la notizia ai loro amici. Li raggiunse dopo un lungo bagno per schiarirsi le idee; quando entrò nella sala da pranzo, tutti gli occhi furono puntati su di lei, tranne quelli di Michael, ostinatamente fissi sull’Arkham Gazette. Ellen avrebbe preferito che Janet distogliesse lo sguardo come avevano fatto Lilyan e Alexander, invece continuò a scrutarla con una fastidiosa apprensione fino a che Jeremy non le posò davanti una cioccolata calda. Lilyan, da brava ospite, si mise a parlare delle novità apprese dal padre sulla scena sociale di Boston, e la tensione si rilassò.

Un’ora dopo, Jeremy era in auto e attendeva che Michael prendesse posto nei sedili anteriori per accompagnarlo al porto di Boston, dove una prima nave lo avrebbe condotto a New York prima di imbarcarsi sul transatlantico per Southampton.

«È stato un piacere e un onore fare la vostra conoscenza» li salutò Michael, stringendo la mano di Alexander e cingendo Lilyan e Janet in un caloroso abbraccio. «Alexander, tieniti lontano dalla lettura di tomi poco chiari. Consiglio vivamente ser Arthur Conan Doyle, credo possa essere di tuo gradimento. Lilyan, mi aspetto di vederti brillare come hai promesso: voglio che perfino in Europa si conosca il tuo nome. E Janet, cara… Ho conosciuto di rado archeologhe così belle e talentuose.» La fissò negli occhi, più a lungo degli altri, e lei annuì asciugandosi una lacrima. «Vi ringrazio di tutto, anche se avrei preferito incontrarvi in circostanze diverse. Su, ragazzina, andiamo.»

La testa di Ellen scattò in alto e Michael si mise a ridere.

«Non mi farai compagnia fino a Boston?»

Esitava. Alla fine si infilò nei sedili anteriori dell’auto senza dire una parola. Michael montò a sua volta, salutò ancora e Jeremy partì.

Ellen provava una sensazione di freddo lungo l’intero corpo, un freddo che non aveva a che fare con l’autunno inoltrato. Si sentiva a disagio, fuori luogo, e avrebbe voluto fare un passo indietro e restare ad Arkham: quel breve viaggio sarebbe durato sempre più di quanto lei avrebbe voluto.

«Sei silenziosa oggi» provò a farla parlare Michael.

«Perché hai voluto che venissi?»

Sollevò un sopracciglio, confuso, e si chinò per sussurrarle all’orecchio: «Non l’abbiamo mai fatto su un’auto.»

Ellen avvampò e lui rise ancora.

«Ti ho preso qualcosa.» Dal borsone che teneva accanto estrasse un involucro. Ellen lo scartò e riconobbe spesse tavolette di cioccolata; sotto di loro, c’erano due mazzi di banconote. «Quelle sono per Logan e gli altri. Decidi tu in che modo fargliele avere: ingaggia i ragazzini per pedinare Miller, di’ che li hai rubati a Lilyan, trasformali in carne e pesce, o in una pila di coperte. Non possono fare quella vita per sempre. Non senza un aiuto.» La guardò intensamente, ed Ellen seppe che l’aiuto non erano i soldi, che prima o poi sarebbero finiti, ma lei.

Lo ringraziò con un cenno del capo, dandogli le spalle per osservare il paesaggio che mutava intorno a loro. Solo quando furono in vista di Boston lasciò scivolare le dita fredde lungo il sedile e incontrò quelle calde di Michael. Le strinse appena, gli tenne la mano finché Jeremy non ebbe svoltato in direzione del porto.

Scrutò in silenzio il maggiordomo mentre portava i bagagli di Michael verso l’imbarcazione, e vedendolo tornare le uscì un soffio tremolante dalla bocca.

«Ci siamo» confermò Michael, in piedi su una banchina così diversa da quella di Innsmouth da sembrare che appartenesse a un’altra epoca. Si spostò di fronte a lei e le sorrise. «Credo sia superfluo ringraziarti per ciò che hai fatto per me.»

Ellen sussultò e lui rise. Solo in quel momento Ellen si accorse di quanto la sua allegria suonasse forzata.

«Ti darei il mio indirizzo di Salisburgo, ma lo getteresti in mare. Per fortuna, Janet lo ha e potrai chiederglielo quando vorrai. Se lo vorrai.»

La gola era riarsa. Non riusciva a parlare, ma si costrinse.

«Darcus… è finita, secondo te?»

Michael si fece serio. «Sì, altrimenti non me ne andrei. Se tuttavia dovesse tornare… hai imparato a difenderti, e questo è ciò che conta.» Le arruffò i capelli e la baciò sulla fronte, a lungo, senza che nessuno dei due trovasse il coraggio di muoversi. «Addio, ragazzina» sussurrò.

Non attese che lei rispondesse. Afferrò l’ultimo borsone e si allontanò verso la nave.

Per un istante – un folle, ridicolo istante – Ellen fu tentata di seguirlo: ce n’erano anche in Austria, di università, e forse perfino più prestigiose e sicure di Arkham. Avrebbe lasciato gli studi, ricominciato da capo, pubblicato ricerche sulle misteriose creature affrontate e sarebbe stata riconosciuta come una biologa di fama mondiale. Non aveva bisogno di rimanere negli Stati Uniti per realizzare i suoi sogni.

Non vide Michael scomparire nella nave, si voltò prima, dandogli le spalle per l’ultima volta.

Janet la attendeva a Chateaubriand Manor, torcendosi le mani sulla soglia di casa. Quando Jeremy accostò e la fece scendere, si mosse subito verso di lei, ma Ellen stava bene. Se non fosse stato così, non glielo avrebbe comunque detto, eppure Janet la conosceva abbastanza da capire che era la verità.

«Sai» le disse quella sera, mentre aiutavano Jeremy ad apparecchiare «ho ricevuto una lettera dai miei genitori. Sono rientrati ad Agra da qualche giorno, e stavo pensando di andare a trovarli.»

«È fantastico!» esclamò Ellen. «Da quanto non li vedi?»

«Quasi un anno, ormai. Mi manca fare il bagno nello Yamuna, e ho bisogno di… di sentirli vicini.»

«Va’. Harvard non ti ha ancora chiesta indietro, e Alexander potrà aspettare.» Si rese conto che aspettava una conferma, così gliela diede. «Tornerò al Campus dopo cena.»

«Cosa? Ma… non vuoi aspettare domani?»

«Quel letto è troppo grande per una persona sola, e già dovrò dire addio alle lenzuola di seta. Perlomeno tornerò nel mio rimpiangendo solo la comodità del materasso.»

Era vero, era tutto vero. Non stava soffrendo come immaginava Janet: voleva andare avanti e tornare alla sua vita, ricordando però coloro che le erano stati accanto quando era fuggita da Salem, sola e disperata, e un ragazzino di dodici anni le aveva teso una mano. Marco e la sua famiglia avevano fatto tanto per lei; era arrivato il momento di ricambiare il favore. Si passò una mano sull’indice, dove fino a poco prima c’era stato l’anello di diamanti: l’aveva riposto nella borsa, destinato a essere nascosto in un posto sicuro, in attesa del giorno in cui avrebbe dovuto rivenderlo.

Quella sera, mentre cenavano intorno al tavolo, due su un lato e due sull’altro per attenuare l’assenza di Michael, Ellen ricordò le parole che lui aveva usato per raccontare la fine di Stephen Crawl e la nascita del suo alter ego. Aveva fatto riferimento alla loro situazione, sostenendo che era stata l’urgenza a renderli vicini, a cementificare i legami tra gli abitanti di Chateaubriand Manor; aveva avuto ragione e torto allo stesso tempo. Il pericolo era cessato, eppure loro quattro – Ellen, Janet, Alexander e Lilyan – condividevano un pasto, chiacchieravano e ridevano, e lei non si era mai sentita tanto parte di qualcosa.

Le settimane, i mesi, gli anni li avrebbero allontanati, fino a quando Ellen non avrebbe visto il volto di Lilyan sulle locandine di un teatro, o Alexander non sarebbe diventato noto per avere indagato su un’operazione di interesse mondiale, e solo Janet avrebbe continuato a farle visita. Ellen avrebbe ripensato a quella sera, alla cena che stavano consumando nella villa di un Arcivescovo tra le belle abitazioni di French Hill, e avrebbe saputo che quei legami li avevano cambiati per sempre.

   
 
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