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Autore: Antys    13/03/2024    1 recensioni
Non gli piacevano le emozioni negative che l’invadevano ad ogni aneddoto del suo passato che condivideva con quella cerchia pittoresca, accrescendo il malessere che tentava di seppellire dentro di sé. Ti prego, anche per stanotte dammi tregua.
[…]
L’aveva registrato con ritardo, come il licantropo l’avesse toccato con totale naturalezza e senza essere attraversato dal minino dubbio per calmare la sua crisi di panico. La temperatura corporea si era insinuata sottopelle, carezzandolo, ed era stata una sensazione così familiare a cui abbandonarsi e lascarsi vezzeggiare da risultargli totalmente anomala per la semplice ragione che Derek Hale non l’avesse mai toccato in vita sua.
[…]
Derek non era in grado di capire quale fosse il problema. «Stiles».
Ma era inutile chiamarlo, il figlio dello sceriffo era completamente sordo alla sua voce, probabilmente a tutte. «Sta arrivando».
Derek si guardò intorno, una mano sul braccio di Stiles ad arrestare la sua avanzata, a cercare ed individuare se una minaccia si stesse avvicinando, ma non sentiva nulla, c’era soltanto il totale silenzio e la brezza congelata che smuoveva le foglie degli alberi. «Non sta arrivando nessuno».
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Stiles Stilinski, Theo Raeken, Tracy Stewart
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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5° Capitolo

 

Stiles quella mattina non fu ridestato dal sole cocente che filtrava dalla finestra ai suoi piedi, ma dalla pioggia battente, incessante e che oscurava completamente il cielo, le nuvole grigie perseveravano a incutere timore, non garantendo che il tempo climatico migliorasse.

Le dita furono stuzzicate da qualcosa di morbido e peloso ed involontariamente stinse quella consistenza sconosciuta, ma estremamente confortevole e calda che lo avvolgeva completamente. Le palpebre si aprirono con sforzo, uno sguardo appannato al vetro pieno di striature d’acqua, impossibili da focalizzare, stesso destino toccò alla palla di pelliccia che respirava tranquillamente sotto il suo tocco.

La chiazza nera riuscì a metterla a fuoco dopo qualche attimo, tra uno sbadiglio e l’altro, riprendendo confidenza con l’ambiente che lo circondava e che riconobbe al volo. Un lupo nero adulto riposava sul letto, il muso poggiato sul petto e il corpo ricurvo su se stesso, era completamente appiccicato a lui.

Un mormorio di stupore sfuggì dalla sua bocca e la mano risalì verso la testa, affondando nel folto pelo, accarezzandolo dolcemente in mezzo alle orecchie. Non riusciva a scorgere e sentire Derek da nessuna parte, ma non era difficile individuare chi si nascondesse sotto la forma di lupo completo. «Sei davvero meraviglioso» non riuscì a trattenere il sorriso felice ed ammaliato che si dipinse sul volto.

Le orecchie del canide si rizzarono, muovendosi al suono della voce, godendosi passivamente quella premura per qualche attimo prolungato, finché i suoi occhi non si mostrarono, vigili e consapevoli, completamente svegli ed attenti.

Stiles lo scrutò con sgomento, incontrando per la prima volta iridi di fuoco e mare, perfettamente amalgamati tra loro, ma senza incrociarsi mai. Il cerchio esterno era di quel blu metallico che aveva sempre pensato appartenergli e quello interno, che toccava la pupilla scura, era del colore del comando, di un’Alpha. Era qualcosa che non credeva potesse esistere ed a cui mai avrebbe immaginato di essere spettatore; era quella la motivazione per cui si ostinava a non mostrarli? «Derek» non era sicuro di che cosa fosse uscito fuori, un misto tra un’espressione interrogativa ed esclamativa; non era in grado di cogliere cosa predominasse.

Derek si disfò della sua presa e si alzò sulle quattro zampe, rimanendo per qualche attimo a squadrarlo con la sua profondità tipica che gli avrebbe impedito di scambiarlo con chiunque altro, poi scese dal letto e si diresse verso la cucina, i rumori degli artigli e dei cuscinetti che ammortizzavano il passo felpato si tramutarono in passi di piedi umani nudi che aderivano al pavimento.

Avvertì la porta della lavanderia aprirsi e uno sportello scattare, non sapeva identificare se fosse quello della lavatrice o dell’asciugatrice. Lo sentì muoversi, il fruscio dei vestiti a seguirlo, l’anta del frigorifero schiudersi, una bottiglia essere estratta e un bicchiere di vetro essere riempito d’acqua.

Attese, il respiro di Derek che si faceva più pesante, come affaticato. Poco dopo tornò in versione umana con un bicchiere pieno quasi all’orlo, le sue capacità non gli permettevano di far cadere una sola goccia di liquido trasparente e glielo porse quando arrivò da lui, con Stiles che lo accettava leggermente riluttante e più che altro confuso, portandosi in posizione da seduta. Fu soddisfacente essere dissetato da acqua fresca. «Hai davvero ritenuto necessario vestirti di là?».

«Sì» Derek indossava soltanto dei pantaloni comodi, casalinghi, ma il petto era ancora scoperto, come lo erano i suoi piedi. «Non volevo andassi in iperventilazione».

Le gote del figlio dello sceriffo si surriscaldarono e distolse per un attimo gli occhi. «Dovresti vestirti di più, allora» ma Derek aveva già quell’idea evidentemente, difatti era rivolto verso l’armadio coperto impegnato ad afferrare una maglia qualsiasi. Stiles poteva osservare i muscoli delle spalle contrarsi, insieme alla schiena nuda che si allungava, il grande tatuaggio inchiostrato di nero flettersi, indelebile sulla pelle leggermente bronzea. Erano anni che non vedeva quella triscele figurare tra le sue scapole e di occasioni comunque ne erano esistite poche, ma da quando era diventata una matricola universitaria poteva osservarla ogni mattina da quasi un mese.

«Non mi pare ti dispiaccia» affermò disinteressato, scostando la tenda aranciata per trovare quello che stava cercando.

«Dio, Derek!» perché doveva avere a che fare con un tale essere infame? «Odio questa cosa, che puoi sentire le mie emozioni».

Il mannaro indossò una maglietta grigia dalle maniche lunghe, voltandosi verso di lui con un giudizio ben assestato. «Non sento soltanto le tue emozioni, sento tutto».

«Ecco, appunto» sbuffò gonfiando le guance, profondamente offeso dalla precisazione. Era imbarazzante e anche umiliante. Con Scott non c’erano problemi, non giudicava mai le sue azioni o ciò che sentiva, era spensierato e anche molto distratto; con Derek la situazione era ben diversa. «Sei troppo bello, è un’ingiustizia».

Derek arcuò un folto sopracciglio, l’attenzione rivolta totalmente verso i suoi deliri. «Dovrei chiedere scusa?».

«Sì» esclamò di slancio Stiles, non pensando minimamente a quanto apparissero ridicole le sue esternazioni.

Il licantropo schioccò la lingua contro il palato, la mossa esasperata e dilettata dall’essere pittoresco dell’umano.

Si accomodò sulla sedia abbinata alla scrivania, scostandola leggermente e direzionandola verso Stiles, mentre a disaggio lo studente di criminologia finiva di svuotare il bicchiere.

C’era una strana tensione elettrica e Stiles sapeva ci fosse qualcosa in agguato. «Sei un lupo completo».

«Acuta osservazione» lo incalzò il mutaforma, la nota sarcastica evidente.

«Da quanto tempo puoi assumere la forma completa?» Stiles era piuttosto sicuro che prima di intraprendere la vita da universitario Derek non ne fosse in grado, al contrario di Laura che ne era stata in grado nel momento in cui aveva ottenuto il ruolo di Alpha. Ma cosa poteva affermare di sapere su di lui, se nemmeno conosceva il reale colore dei suoi occhi.

«Un anno» fu tutto quello che Derek gli concesse, secco e sbrigativo.

Un anno, Stiles non sapeva come sentirsi a riguardo, non era stato il suo momento più florido quello. O per meglio dire, non era proprio esistito, cancellato dalle memorie del mondo. Mentre lui era stato dimenticato da chiunque, perfino dal suo stesso padre, Derek doveva aver affrontato qualcosa che l’aveva fatto divenire un tutt’uno con il suo lupo. Stiles era retrocesso, Derek evoluto.

«Voglio che passi le notti qui» disse il licantropo, andando dritto al punto e aggirando qualsiasi tentativo l’umano avrebbe tentato per scappare dalla questione principale.

Le pupille della matricola si ingrandirono e gli occhi sgranarono, si sentì spinta all’indietro. «Non se ne parla».

«Se ne parla eccome» dissentì asciutto Derek, le iridi di giada serve e non permissive. «Sta degenerando, sta diventando troppo pericoloso per te. Non voglio più doverti trascinare dall’autostrada mentre un’auto cerca di investirti o ripescarti dal fiume in piena» Derek aveva mille esempi che avrebbe potuto esternare e far presente, descrivendo ogni sensazione che l’avevano attraversato, il tormento che non riusciva a scrollarsi di dosso. «Cosa capiterebbe se non riuscissi a trovarti? Se non dovessi intervenire in tempo e strapparti dalla strada? O non essere abbastanza veloce mentre la corrente ti porta via?».

«Cosa?» Stiles era esterrefatto, incredulo, credeva di avere delle allucinazioni uditive. «Un auto, il fiume?».

Derek lo vide tremare, il bicchiere che teneva ancora in mano che oscillava, il viso che si faceva completamente pallido. Si avvicinò con circospezione, il contenitore di vetro che gli estraeva dalle dita e lo poggiava sul comodino, sistemandosi di fronte a lui sul materasso. «Non ti sei svegliato. Ti sei gettato nel Red Cedar River e hai continuato a farti trascinare dalla corrente, perfino quando ti ho tirato fuori. Questa cosa mi terrorizza, devo sapere di trovati in un luogo dove posso intervenire subito, senza cercarti in ogni centimetro del campus».

Stiles lo guardò affranto, distrutto, non era pensabile che nella sua incoscienza facesse delle cose simili, che desse tutto quel lavoro a Derek per tenerlo vivo e incolume. «Non volevo trascinarti in tutto questo».

«Lo so» proferì Derek con certezza, conscio di ciò che vivesse dentro il figlio dello sceriffo. «È qualcosa che devi accettare, preferisco averti qui, sotto il mio occhio vigile. Questo non vuol dire che voglia controllarti».

«So che non vuoi controllarmi» era incredibile, come le cose si stessero invertendo tra loro, quanta passione e moderazione il capitano gli stesse dedicando. Fu a quel puntò che cadde in picchiata sul letto, coprendosi fino alla testa con le coperte, fuggendo nell’unico modo permessogli. Derek non commentò né si mosse, restò esattamente come l’aveva lasciato. «Devo dirtelo, vero? Cosa è accaduto».

Derek perseverò nel suo silenzio, l’impatto dell’importanza che rivendicava il suo spazio. «Sarebbe d’aiuto».

Lo studente di criminologia sospirò esausto e sconfitto, domandandosi quanto ancora potesse andare avanti senza condividere nulla con lui. La sua attenzione cadde su un piccolo spiraglio lasciato libero dalle lenzuola, la sveglia digitale di Derek che scandiva il tempo. «Abbiamo perso le lezioni» realizzò senza davvero comprendere cosa dovesse provare. Derek era rimasto con lui per tutto il tempo, a discapito di se stesso e si chiese cosa avesse realmente affrontato quella notte, quanto esausto fosse.

«Quelle mattutine, sì» convenne con lui il padrone di casa, consapevole che l’orologio segnasse le undici.

«Ne hai nel pomeriggio?» chiese allora Stiles, sollecitato dalla precisazione del mannaro.

«Una» dichiarò con semplicità, non turbato minimamente di non aver adempiuto al suo compito di studente. «Tu?».

«Due» ah, era una fatica realizzarlo. Era stanchissimo e la giornata non era nemmeno cominciata, anzi era ben avviata senza che lui avesse fatto niente. Ma evidentemente il suo corpo e la sua mente la pensavano in modo diverso, loro avevano affrontato qualcosa di cui non era consapevole.

Derek decise di sistemarsi meglio sul letto, distendendosi parzialmente, senza fare sentire troppo la sua invadenza e Stiles uscì pigramente dal suo rifugio, guardandolo come se si aspettasse qualcosa. «È il primo sorriso che ti ho visto fare» disse invece, lasciando completamente di stucco Stiles e facendo comparire nei suoi tratti facciali un interrogativo ben presente. «Al lupo».

«Oh» l’umano era piuttosto combattuto e disorientato, era un appunto che non si aspettava di udire da Derek. «Conti i miei sorrisi?» quell’ipotesi lo fece sorridere dentro più di quanto potesse sospettare e le labbra si incurvarono all’insù in automatico, senza controllo, incredibilmente deliziate e quel leggero sottotono di ironia graffiante.

«Sì, se il numero da tenere a mente è uno» proferì Derek, implacabile allo stuzzicare del suo ospite.

«Se mi mostrerai nuovamente quel bellissimo lupo, sorriderò di nuovo» lo invitò ed incitò, il ghignetto di sfida che si palesava senza vergogna.

Derek roteò gli occhi verso il cielo, per niente stupito di quanto facilmente la sua anima da canaglia prendesse vigore. «Non mi trasformerò per te».

«Tecnicamente, è quello che hai fatto» l’aveva cercato in quella forma? Com’era riuscito a condurlo nel suo appartamento? Perché aveva avuto la necessità di vegliare su di lui mantenendo la trasformazione, addormentandosi acciambellato al suo fianco?

«Non mi trasformerò per soddisfare i tuoi capricci» parò il tiro il capitano della squadra di basket. Stiles era pericoloso continuamente, non si poteva mai abbassare la guarda, la vittoria era sempre dalla sua parte.

«E così come farai a vedermi sorridere?» ammiccò spudoratamente, lo scintillio nelle gemme ambrate.

«Stiles, sono serio» il tuono risuonò tra le quattro pareti e Stiles si ritrovò a guardarlo bene, realizzò anche che le pagliuzze blu e rosse che vedeva emergere in particolari circostanze nelle iridi verdi erano reali. «Non devi dirmi quello che è successo adesso, puoi anche non farlo mai, ma credo sia importante affrontare la questione».

Il figlio dello sceriffo sospirò di nuovo, più sconfitto e avvilito di quanto non apparisse in precedenza. Nascose parzialmente il viso sul cuscino e guardò dritto Derek che non distoglieva l’attenzione da lui. «Non è questione di non volertelo dire, semplicemente non so nemmeno da dove cominciare» si ammonì e socchiuse per qualche attimo le palpebre; da digerire era qualcosa di insopportabile. «Sono successe troppe cose e sono tutte intricare e collegate. Mi fa scoppiare il cervello» ma in effetti era esploso davvero e la maggior parte dei tasselli li aveva sistemati lui.

Una mano del licantropo si poggiò su uno zigomo dell’umano, il lato lasciato libero dal guanciale piumoso, e le dita serpeggiarono tra i capelli che lui stesso aveva ripulito nella notte precedente e si legarono pigramente alle ciocche scombinate. «Puoi partire da dove preferisci e andare con calma, ho tutto il tempo del mondo».

Accidenti, continuava a ritrovarsi a domandarsi se Derek l’avesse mai toccato in quel modo ed ogni volta gli appariva più significativa di quella precedente, eppure perseverava a non ricordarsi alcuna occasione in cui un’evenienza simile potesse essere capitata, tutto il suo calore gli scorreva nell’epidermide e andava fino in fondo, strato dopo strato. Era stordente. «Sai qualcosa sui Nogitsune?».

Derek non aveva una linea guida su come sarebbe iniziato quel discorso, ma non si aspettava che partisse proprio da quell’antefatto. «Sono degli spiriti millenari, di volpi oscure».

«Sì, vero» il respiro della matricola si appesantì e il tocco di Derek si fece più cadenzato, più confortevole; Stiles avrebbe voluto serrare le palpebre e godersi la sensazione invece di andare avanti. «Sono stato posseduto da uno Nogitsune, per diverso tempo. Anche troppo».

Il licantropo serrò le labbra, la notizia strisciò avvezza e si intrappolò dentro di lui; qualcosa l’aveva decriptata nei deliri dell’umano, ma non andavano mai a fondo e non aveva capito quanto tortuosa fosse stata. «Quando?».

«Al terzo anno, quando abbiamo trovato Malia» se lo ricordava bene il momento in cui nei boschi lui e Scott erano andati in giro per cercare quel coyote che ritenevano fosse una ragazza, intrappolata nel corpo animale da nove anni, dopo l’incidente stradale e la dipartita della sua famiglia adottiva. Stiles aveva bisogno di mettere le cose a posto, scacciare gli incubi ed i tormenti che gli annidavano la testa, chiudere quella porta oscura nel suo cuore che aveva dovuto aprire per sconfiggere il Darach.

Quando una porta non è una porta?, era il quesito, Stiles aveva risposto quando è socchiusa. Ma lo era rimasta per tutto il tempo, perché la volpe si era già insidiata ed aveva soltanto nascosto le sue tracce, mascherandole. «Mi ha manipolato, messo in testa pensieri terrificanti, i miei incubi ricorrenti. Ha usato il mio corpo e le mie azioni a suo vantaggio, mi ha intrappolato dentro me stesso, da cui non riuscivo ad uscire. Mi ha ingannato, riempito la testa di illusioni e ha usato tutto quello che le serviva contro di me» si fermò, perché l’affanno stava accelerando e gli opprimeva il petto.

Raccontarlo gli faceva rivedere ogni secondo dell’agonia che aveva vissuto, quanto fosse incapace di respirare. «Mi ha fatto credere che fossi affetto dalla stessa malattia di mia madre» la voce si spezzò e faticò a riprendere il ritmo. Era stato tra i colpi più bassi che potesse assestargli.

Le dita del lupo si insinuarono ancora in profondità e la sua testa si sistemò sullo stesso cuscino occupato dal figlio dello sceriffo. Erano occhi negli occhi e non c’era nulla a mitigarli, a permettergli di celarsi almeno un po’. «L’ho odiato. Ho odiato come conoscesse perfettamente la mia mente e riuscisse a usarla contro di me. Ho pensato che lei avesse ragione, che l’avesse sempre avuta».

Stiles non si spiegò, non rivelò la figura misteriosa che si nascondeva dietro lei, ma in passato l’umano gli aveva fatto intendere a chi si riferisse, chi era la persona che gli aveva arrecato più danno. «So quanto male ti abbia fatto» Derek aveva vissuto un’esperienza piuttosto simile, seppur con modalità differenti.

«Non sai quello che ho fatto» articolò lo studente di criminologia, le iridi d’ambrosia che si scurirono. «Ho ucciso Allison» rivelò spietatamente, come se non dovesse in alcun modo provare comprensione e compassione per lui. Nessuna possibilità di redenzione. «Ho ucciso tantissime persone. Così tante, Derek, non riesco nemmeno a contarle».

Derek si irrigidì al nome della cacciatrice. Era già stato informato della sua dipartita prematura, ma Stiles non aveva mai fatto cenno a cosa le fosse successo, benché Derek avesse afferrato qualcosa dalla sua afflizione, dal patimento che provava alla sua memoria. «Ho ucciso anch’io».

«Non è paragonabile» tremò sotto i suoi polpastrelli, la vista che si riempiva di liquido trasparente. «Tu l’hai fatto per amore, io per nutrice una volpe sadica con il dolore».

«Amore?» ripeté Derek accigliato, la fruizione del calore che si affievoliva leggermente per via delle dita che si erano lievemente scostate dal viso del suo interlocutore. «Non lo chiamerei così».

Il viso di Stiles si increspò e gli occhi si sgranarono leggermente, colpito da una fitta nociva al petto. «E come lo chiameresti?».

«Arroganza» disse lapidario il mutaforma, in una sintesi perfetta.

Era stato ingenuo nel farsi sedurre dai sussurri di Peter e sì, arrogante nel credere che una vita da essere soprannaturale fosse la chiave di volta per chiunque, ciò a cui tutti ambissero e senza nessuna controindicazione. La sua presunzione aveva richiesto un prezzo molto difficile da pagare. Lo stava ancora scontando.

Una lacrima scappò dalle ciglia dell’umano e Derek la asciugò con il pollice cancellandone le tracce, evento che avvenne anche dall’altro lato, ma fu assorbita dal cuscino. «Ehy» soffiò morbidamente il lupo mannaro, il viso che si avvicinava al suo, le fronti che combaciavano lentamente. «Non sei stato tu, non hai nessuna colpa».

Avrebbe voluto dirgli quelle esatte parole, ma la questione Paige era troppo complicata e insidiosa. Ciò che Derek pensava di se stesso lo pensava anche Stiles, era estremamente difficoltoso celarlo. «Vorrei fosse così» proferì Stiles agitato, destabilizzato, non riusciva a togliersi la sensazione dalle viscere. «L’ho avuta per mesi nella mia testa, a sussurrarmi, a pianificare le sue mosse e io non l’ho capito subito. Quando ho cominciato a dubitare di me stesso, di tutto quello che mi stava capitando, ho cercato di avvisare tutti, ma nessuno voleva credermi» uno scoppio di risa amara gli scappò, la follia dell’assurdità e altre lacrime non riuscì a serrarle. «Tutto quel dolore. È di questo che si nutrono i Nogitsune: caos, confusione e dolore farcito con ancora più dolore. Tutte quelle vite spezzate dalla mia incapacità di resistergli».

«È questo che credi? Di essere stato incapace?» Derek lo guardò dritto nelle pupille, il verde riflesso nell’ambrosia.

«Gli serviva il mio consenso» annunciò la matricola, il tormento che si faceva sempre più premente. «E io glielo concesso».

Derek non si tirò indietro, non apparve nemmeno stupito di quella possibilità, rimase esattamente piantato dov’era, a completo contatto con lui. «Hai detto che ha usato molti escamotage contro di te, per controllarti; che cosa ha usato quella volta?».

Stiles non riusciva a capire come Derek potesse essere tanto fiducioso su quell’aspetto, quanto fosse proiettato oltre le sue parole. «Malia».

Parve evidente come il mannaro assorbì il colpo, una conoscenza parziale che si ramificava. «Non sei stato incapace, sei stato messo di fronte a una scelta impossibile e hai agito al meglio delle tue possibilità» era chiaro che Stiles avrebbe voluto salvare tutti, nessuno escluso, chi conosceva come le sue tasche e sconosciuti che non aveva mai incontrato in vita sua. Scegliere tra una sola persona e tutti gli altri era qualcosa di impensabile, gli faceva credere di aver preso la decisione sbagliata. Faceva anche quello parte del gioco della volpe?

Stiles fu scosso dai singhiozzi che tentava di soffocare e tutto il suo corpo vibrava contro quello della creatura della notte che lo teneva saldo alla realtà. «Vorrei riuscire a vederla come te».

Derek gli schioccò un bacio su una tempia, mentre Stiles si aggrappava tremante a lui. «Un giorno lo farai».

Mantenne le labbra su quel punto finché l’umano non cominciò a calmarsi, i tremori a placarsi e l’agitazione a togliere gli artigli su di lui. Ancora una volta Stiles non registrò la naturalezza e libertà delle gestualità con cui il lupo completo lo ricopriva, un bacio che in un’altra epoca non sarebbe mai esistito. Lo Stiles del passato si sarebbe liquefatto a quel contatto, ma quello attuale era troppo annichilito da tutto il resto per analizzare la situazione e decodificarla.

«Non è cambiato niente dopo che si è separata da me» forse era stato perfino peggiore, perché non poteva più provare a contrastarla.

Derek lo guardò con un interrogativo ben presente, la barba curata e morbida che sfregava contro di lui per il movimento, ma la bocca si separò e Stiles non avrebbe mai creduto di non volere che accadesse, che l’istintività di Derek restasse concentrata su di sé. «Trovarono il modo, Scott e tutti gli altri, credevamo fosse una cosa che rientrata nei nostri desideri, invece era proprio quello che il Nogitsune voleva. Ogni mossa, ogni scelta e ogni pensiero, l’aveva già previsto ed eravamo tutti sue pedine» Stiles lo ricordava come se non fosse trascorso un solo giorno. «Eravamo ancora collegati, ma mentre io mi indebolivo, la volpe si rafforzava e diventava sempre più padrona del corpo che si era costruita. Dovevano trovare il modo di imprigionarla per fermare tutto il male che stava portando. Non puoi uccidere un Nogitsune, puoi solo intrappolarlo».

«È questo che ti spaventa? Che può essere liberato in qualsiasi momento?» domandò di seguito il nato lupo, le parole vuote di uno Stiles inconsapevole che prendevano una forma.

Stiles lo guardò con occhi giganti, la testa che scattava all’insù e si disfò dal legame che il licantropo aveva istaurato. «Credi che possa? L’abbiamo nascosto» anche se la prima volta non aveva funzionato molto bene.

«Non conta quello che credo io, ma quello in cui credi tu» lo Stiles vagante nella notte ne era fin troppo sicuro, voleva scappare a tutti i costi e non riusciva ad inquadrare il modo migliore per riuscire nell’impresa. A volte credeva che si fosse fissato sull’azione peggiore da compiere, il punto di non ritorno, ma in realtà non gli aveva mai dato l’impressione che fosse davvero quella la meta, ma solo il non aver controllo di nulla. «È questo che ripeti tutte le volte in cui ti trovo: la volpe sta tornando a prenderti».

«Ah» l’umano sentiva che il materasso lo stava risucchiando al suo interno. «Quindi sapevi della volpe?».

«Erano solo parole sparse che dovevo collocare nel giusto ordine e con un senso logico» non era stato facile e sentire tutta la storia da Stiles gli faceva capire quanto poco avesse realmente compreso. «Il tuo tormento, dovevi esternarlo».

Stiles si alzò dal letto irrequieto, i piedi nudi sul pavimento, l’indecisione di dove andare, la sua mente macinava e macinava pensieri.

«Sei arrabbiato?» domandò allora il padrone di casa, portandosi in posizione da seduta corretta, osservando l’umano girare su se stesso.

«No» Stiles lo guardò senza capire, non riuscendo a cogliere la sua preoccupazione moderata. «Dovresti esserlo tu, perché non vi abbiamo chiamato» tanto aveva detto e fatto, ma alla fine uno Stiles, lui, aveva comunque avuto il bisogno di confidarsi con Derek.

«Era questo il patto» disse allora la creatura della notte, riportando indietro parole che erano state pronunciate per rassicurarli ed invitarli a mettere radici da un’altra parte.

«Lo so bene» Stiles ne era fin troppo consapevole, come lo era stato il suo branco. «Era la nostra battaglia, voi avevate già affrontato le vostre. Abbiamo chiesto a Peter e Malia di non dirvi nulla».

Il mannaro si accigliò, aveva una mezza ramanzina da fare a qualcuno e se l’appuntò mentalmente. «Vuoi fare sempre tutto da solo. Hai la pretesa di voler aiutare chiunque, ma non può accadere lo stesso con te».

Stiles non ribatté, non avrebbe avuto alcun senso negare l’evidenza. Se ci fosse riuscito, non avrebbe mai coinvolto nessuno nei suoi problemi. Era quello che aveva tentato di fare anche intestardendosi di frequentare l’università nelle condizioni in cui si trovava. Senza Derek, dove si sarebbe ritrovato?  E perché il lupo nero sembrava conoscerlo così bene, aver compreso tutte le sue particolarità abilmente nascoste? Aveva accusato Derek di non avergli permesso di far parte della sua vita, ma se invece fosse accaduto senza che lui ne avesse preso coscienza?

Inavvertitamente e probabilmente richiamato dal colore, la visione periferica fa cattura dalle proprie braccia e individuò quella sfumatura particolare, rossa e arancione che si fondevano insieme. Fu chiamato in allarme, le sue memorie non corrispondevano, era quasi certo di aver indossato il suo pigiama preferito di Ritorno al Futuro. Si diresse verso lo specchio, l’attenzione trattenuta di Derek su di sé, lo vide anche sbiancare quando riuscì a riflettersi sulla superficie. Stiles si ritrovò a trattenere il respiro.

Indossava un completo di un pigiama autunnale, maniche e pantaloni lunghi, a occhio decretava fosse di due taglie più grandi, come tutto quello che Derek gli prestava. Le maniche erano di quell’arancione rossiccio che Stiles incontrava in diversi oggetti personali di Derek, che inizialmente aveva identificato come casuale; anche i pantaloni erano di quel colore, ma più chiaro e vi erano delle piccole stampe ripetute, simili all’enorme che si trovava sulla maglietta, al suo centro: una volpe rossa disegnata con tratti morbidi, allegra e vigorosa, giocava con dei palloncini dello stesso colore del pigiama. Sui pantaloni invece i disegni si alternavano, a volte la volpe era arrotolata su di sé e dormiva, altre volte era nel bel mezzo di un salto, pensierosa in quella successiva, entusiasta subito dopo, emozionata e pronta a prendere tutto dalla vita nella stampa accanto. C’era tanta cura in ogni tratto, i colori vividi alternati a quelli pastello, Stiles non riusciva a mettere in fila un pensiero. «È molto carino» era la cosa più carina che avesse visto negli ultimi tempi, c’era un mondo che si stava divertendo a sue spese.

«È un vecchio pigiama» fu tutto quello che Derek riuscì ad articolare, la semplicità della sua giustificazione.

Un sopracciglio del figlio dello sceriffo si arcuò immediatamente ed ispezionò meglio la fattura, gli occhi e il tatto che studiavano le cuciture. «Non sembra essere stato usato» era immacolato, appena uscito dal negozio o dalla scatola che lo conteneva.

«È così» confermò la creatura leggendaria.

Stiles vedeva nei lineamenti perfetti e controllati quanto Derek non fosse realmente sereno di affrontare la questione. «Perché tenerlo, allora? Ti piacciono talmente tanto le volpi?» ma sapeva essere crudelmente spietato senza alcuna ragione.

«Tu non hai qualcosa che ti porti sempre dietro e che credi un giorno ti tornerà utile?» Derek aveva estratto le unghie, dalla perfidia senza scopo di Stiles non si faceva domare.

«Sì, certo» soltanto che Derek proprio non sapeva cosa fosse un pigiama, la sua moda notte si limitava a dei pantaloni, a volte pensava dovesse ringraziarlo per quell’accortezza. «Quindi la volpe rientra nei tuoi gusti? Un lupo come te?» a Stiles si arricciavano le dita dei piedi, era qualcosa di adorabile, fin troppo tenero per legarsi al lupo cattivo per eccellenza a cui corrispondeva Derek Hale. Faticava a trattenere il sorriso che voleva prendere predominio.

Derek lo guardò piuttosto giudicante, come se non fosse sicuro di parlare con la persona giusta. «La ragazza di Scott è una kitsune».

Derek apprendeva in fretta le nozioni di cui era stato all’oscuro. «Scott non fa testo» rise un po’, perché gli risultava incredibilmente assurdo avere una conversazione del genere con il capitano della squadra di basket.

«Puoi cambiarti» lo invitò il mutaforma, indicandogli l’armadio aperto coperto dalle tende colorate, lì dove c’era una piccola pila dedicata ai vestiti che in genere gli passava. Ne aveva creata una di proposito, l’andava aggiornando ogni volta che glieli riconsegnava perfettamente puliti e pronti per essere riutilizzati, anche se Stiles sperava sempre che sarebbe stato Derek a indossarli, avrebbe significato che il suo problema di sonnambulismo fosse passato. «Ѐ il più caldo che ho».

«No, va bene. Ti ho detto che è carino, non sono così suscettibile» capiva perché il mannaro volesse correre ai ripari. Indossare un indumento che raffigurava una bellissima volpe giocherellona proprio da qualcuno che aveva patito per delle sofferenze profonde scaturite da una sua simile, poteva far esplodere il cervello; messo sempre che Stiles ne possedesse ancora uno. Ma poi fu attraversato da un pensiero, dalla motivazione che aveva portato Derek a doversi preoccupare di quell’aspetto, di cercare qualcosa che lo tenesse al caldo. Era caduto dentro un fiume, sotto la pioggia e Derek era stato costretto a seguirlo, a tirarlo fuori dalla sua trappola di correnti pericolose. Stiles era pulito, perfettamente in ordine, non aveva un minimo livido, del fango tra i capelli. Il suo cuore ebbe dei sussulti pericolosi.

«Non è successo niente» Derek captò subito l’agitazione nel figlio dello sceriffo, i battiti accelerati, il fiato che diveniva pesante. Si alzò dal letto per renderlo più evidente, perché il suo affanno era diventato il proprio. «Non ti ho toccato».

Ah, Stiles pensava di avere un mancamento per il solo fatto che Derek avesse concretizzato a parole il suo disagio. «Non lo penso» perché avrebbe dovuto? In quella loro convivenza erano entrambi tesi come corde di violino, che venivano scosse per ogni paranoia. Stiles capiva la propria reticenza, l’essere completamente alla mercé del lupo mannaro e inconsapevole di tutto quello che poteva accadergli o fargli, ma di certo non metteva a fuoco la possibilità e ragione per cui Derek potesse in qualche modo approfittarsi di lui. «È solo imbarazzante. Hai dovuto occuparti anche di questo» spogliarlo, lavarlo e rivestirlo. Automaticamente quello includeva la gestualità di essere stato toccato senza alcun velo a frapporsi tra loro, totalmente nudo sotto i suoi occhi verdi scrutatori, ma con l’unica finalità di riscaldarlo e togliergli lo sporco della sua avventura acquatica notturna. «E so, so che non mi romperesti. Fai di tutto per tenermi intero».

«Per me non è un peso, né occuparmi di te né tenerti intero» Derek lo disse con convinzione certa, una sorta di vocazione che a Stiles provocò leggera paura, ma non riusciva ad identificare di che fattezza. «Farti del male, non è qualcosa che farei coscienziosamente».

«Questo lo so» il Derek che aveva davanti non aveva mai mostrato quella direzione, molto diverso da quello diciottenne con cui si era imbattuto dopo che Scott era stato morso e Laura li aveva accolti a braccia aperte. Non che intendesse che a quel tempo il lupo volesse arrecargli danno, ma non si prodigava di certo verso la sua figura. Forse, intrinsecamente, il rifiuto di Derek nei suoi confronti l’aveva vissuto in quel modo, come un male subito. Era qualcosa di totalmente irrazionale.

Stiles sentì il bisogno di allontanarsi, di mettere della distanza per riprendere fiato, per tutta quella parte di sé che aveva condiviso con il mannaro.

Si diresse in cucina, aprendo il frigorifero e cercando qualcosa che gli desse le energie che in quel momento il suo corpo esigeva. C’erano tre cartoni di succhi di frutta da un litro e mezzo ciascuno: ace, pera e ananas. Stiles era piuttosto sicuro di aver terminato il suo preferito due giorni prima.

I primi giorni in cui si era ridestato catapultato nel monolocale del mutaforma, vi era soltanto la confezione ace e non era nemmeno certo che Derek lo bevesse spassionatamente. «È troppo aspro» si era lamentata la matricola, non perché volesse gettare delle regole in una casa che non era la sua, ma semplicemente perché aveva l'abitudine di esternare i pensieri ad alta voce.

Derek l’aveva fissato giudicante mentre gli preparava il caffè con una macchinetta a cui Stiles non avrebbe mai osato avvicinarsi, sia perché sembrava eccessivamente complicata sia perché urlava costosa da ogni angolatura riflettente. «E cosa preferiresti?».

«Qualcosa di dolce» aveva dichiarato ovvio, accomodandosi su una sedia del tavolo mentre aspettava la sua tazza.

Derek gliela consegnò, l’odore di caffeina e caramello salato che gli solleticavano le narici. «Ad esempio?».

«Pera» non gli stava dettando un menù, non gli voleva stilare una lista della spesa, aveva risposto perché era quello che ci si aspettava quando una domanda veniva posta; era del tutto disinteressato.

Derek non lo era, il giorno dopo all’interno del frigorifero vi era quel fantomatico succo di frutta alla pera e quattro mattine successive quello all’ananas, che non era un concentrato di zucchero come il primo, ma era una perfetta via di mezzo tra la dolcezza e l’asprezza. Stiles si era un po’ innamorato di quel gusto e Derek faceva in modo che non mancassero mai nella loro colazione insieme. Acquistava anche le migliori marche, quelle dal prezzo più alto. Stiles non si meritava una premura come quella, non se la meritava soprattutto dopo la discussione del giorno prima, in cui esternava chiaramente di non volere il suo aiuto e che i loro rapporti potessero concludersi in quel preciso momento, ma Derek aveva comunque rifornito il frigo di ciò che l’umano preferiva.

Lo studente di criminologia afferrò il contenitore ancora sigillato in cui era specificato pera e si avvicinò allo stipetto in cui erano riposti i bicchieri in vetro, prendendone uno e riempiendolo di succo di frutta quasi fino all’orlo, per poi adagiare il cartone sul tavolo e sedersi sul divano.

La vetrata dietro di lui era costellata di gocce d’acqua, la pioggia non cessava e all’interno del soggiorno non entrava la solita luce che la caratterizzava sempre. Era quasi sicuro che Derek avesse ispezionato ogni appartamento libero del palazzo prima di decidere di affittare quello, l’ultimo piano laterale, in cui erano presenti molte più finestre rispetto agli appartamenti interni o a quelli dei piani inferiori. Derek voleva luminosità, così com’era nel bilocale che Laura aveva comprato a Beacon Hill e com’era nella vecchia villa Hale. Stiles era un po’ invaghito da quella personalità controversa di un autentico lupo solitario e cupo.

Derek lo raggiunse soltanto qualche minuto dopo, la macchina del caffè azionata a tostare il caffè e il toppig al caramello salato estratto dallo sportello del frigorifero. Non parlarono, il silenzio perdurò e Stiles poteva sentire soltanto i movimenti del padrone di casa, mentre si gustava la sua bevanda zuccherata. «Come ha fatto il Nogitsune ad arrivare a te?» domandò il mutaforma subito dopo aver versato la bevanda alla caffeina nella sua tazza, spostando una sedia e prendendone possesso. Sul tavolo vi erano fette biscottate e marmellata d’arancia, biscotti al cioccolato e un pacco di fette di pane in bauletto che sarebbero state più appetitose se tostate, ma era evidente che Derek non avesse intenzione di accendere un solo fornello come non lo era Stiles stesso.

«Si è liberato» semplificò il figlio dello sceriffo. Si aspettava che delle domande sarebbero saltate fuori, ma ad alcune non voleva affatto rispondere.

«Da dove si è liberato?» non era la risposta che si aspettava, non era per niente una risposta.

«Dal sua prigione» proferì Stiles nuovamente con ovvietà, accompagnando la risposta con un movimento degli occhi che la sostenesse.

«Stiles» ruggì a denti stretti. Sapeva che stava tergiversando, nel suo modo subdolo di giocare. Che mistero c’era nella scelta di una volpe malvagia di possedere la mente di un’altra volpe lungimirante ed astuta, condita di scaltrezza e doppie manipolazioni? Stiles era la persona perfetta, non era nemmeno un quesito che qualcuno avrebbe dovuto porsi, eppure i suoi amici non avevano compreso che si celasse proprio dietro la figura di Stiles. Possibile che fosse l’unico, tra tutti loro, a vederlo sotto quelle sembianze?

«Dal Nemeton» fu costretto ad esternare, l’umore che cambiava e si incupiva. Dovette prendere due sorsi del suo succo per andare avanti. «Il Nemeton si è risvegliato e di conseguenza, anche la volpe. Era prigioniera lì».

«Il Nemeton si è risvegliato?» chiese Derek incredulo alle proprie orecchie, lo guardò come se non riuscisse a recepire il messaggio. «Com’è accaduto?».

«Non l’hai percepito?» fu il turno di Stiles di apparire sorpreso, era qualcosa che non aveva messo in conto.

«No, non faccio più parte di un branco a Beacon Hills» spiegò semplicemente il capitano della squadra di basket, incerto che fosse stato necessario. Stiles era il più sveglio di tutti loro, aveva capito come funzionava quel mondo molto prima degli esseri soprannaturali da cui si era circondato.

«Lo so, però…» si fece pensieroso, non riusciva a capire un meccanismo che gli era parso chiaro inizialmente, sostenuto delle molteplici prove che si era ritrovato dinnanzi. Più che prove, cataclismi. «Da quando si è risvegliato, molte e troppe creature ne sono stati attratti. Dobbiamo vigilarlo sempre e impedire che si approprino del suo potere. Pensavo fossi riuscito a sentirlo anche tu».

«Non mi interessa il suo potere» dichiarò spicciolo il licantropo, leggermente indispettito che fosse categorizzato insieme alle altre creature che nel tempo Stiles si era ritrovato a combattere.

Stiles sentì di essere entrato in possesso di un nuovo tassello per quel regno sovrannaturale in possesso di regole tutte sue e anche del fatto che Derek fosse ormai completamente estraneo alla loro città natale. Magari l’albero sacro non voleva prendere altro dal lupo completo.

«Com’è accaduto, il risveglio?» riformulò il padrone di casa, il caffè che si stava lentamente raffreddando, il cielo che perseverava a rimanere grigio.

«Lo abbiamo risvegliato noi: io, Scott ed Allison. Abbiamo dovuto, per impedire che lo facesse il Darach» non avrebbe voluto rivelare quelle informazioni così, avrebbe dovuto partire dal principio ed essere più chiaro. «Il Darach era la mia professoressa di letteratura, per essere precisi e prendeva potere dal Nemeton molto prima del suo totale risveglio, non potevamo permettere che ne avesse il completo controllo. Ne abbiamo deviato le intenzioni».

«Molto prima del totale risveglio? Il Nemeton era morto» non c’erano dubbi su quello, il suo tronco veniva utilizzato dai druidi per costruire oggetti speciali e intrisi di potere rimanente. Se quella lavorazione fosse avvenuta nel pieno della sua linfa vitale, sarebbe stato un sacrilegio.

Stiles tacque, si portò il bicchiere alle labbra come se potesse impedirgli di aprirle e dargli suono, una scusa che non poteva essere rettificata. Aveva fatto un’azzardata scelta di parole e il suo malcontento si impresse nelle pareti che li circondavano.

Derek lo fissò a lungo, gli occhi che cercavano delle risposte che non arrivavano. Avrebbe voluto sommergerlo di domande, scoprire tutto quello che era accaduto in quegli anni, ma Stiles si stava chiudendo a riccio. «Non vuoi dirmelo?».

Le sue iridi ambrate brillavano, il sussulto di una maschera che cadeva a terra. «No».

Derek non recepì bene il colpo, non capiva perché ci fosse qualcosa che non potesse confidargli dopo ciò che aveva compiuto sotto il volere del Nogitsune, poteva esserci qualcosa di più grave? Non riusciva ad identificare quale potesse essere. «Hai detto che gli episodi di sonnambulismo sono iniziati, ormai, sette mesi fa. Ma dai giorni della volpe è trascorso molto più di un anno».

«È vero» si limitò a confermare l’umano, ma non andò oltre.

«Che altro è accaduto?» era evidente, Stiles aveva esternato fossero successe fin troppe cose, tutte legate tra di loro, ma Derek ancora non riusciva ad individuare quale fosse l’anello congiuntivo. Tutto quell’insieme non aveva fatto del bene alla sua psiche.

Stiles lo fissò penetrante e Derek individuò un’oscurità tutta nuova in lui, qualcosa che sapeva fosse in grado di tirare fuori se l’occasione lo richiedeva, ma non era mai stata così sporca e letale. «Sono stato dimenticato».

 

Stiles era andato via prima di un’ora consona per il pranzo, indossando nuovamente i vestiti e le scarpe di Derek che soltanto il pomeriggio prima aveva consegnato ad Erica come intermediaria; era evidente che le avesse riportate al legittimo proprietario e il loro tempismo era piuttosto d’impatto per una situazione di cui Stiles non riusciva a distarsi.

Aveva mangiato da solo, in uno dei locali affiliati ai buoni pasto che rientravano nella borsa di studio, di corsa si era diretto verso la prima lezione pomeridiana ed a tentoni e con troppi pensieri nella testa l’aveva seguita. Non ne aveva ricavato il miglior risultato, ma nelle condizioni in cui era, non poteva trarre qualcosa di diverso.

«Come te la passi, amico?» la suoneria del suo telefono era stata l’unica compagnia di quella giornata così devastante, la voce familiare e allegra che risuonava a chilometri e chilometri di distanza.

«Ehy, Scott» salutò distrattamente, sfinito. I suoi sforzi da studente quel giorno erano stati minimi, ma il figlio dello sceriffo non riusciva ad alleggerirsi la mente. Non era pentito di aver rivelato buona parte dei crucci che l’avevano visto protagonista lontano dagli occhi di Derek, ma lo aveva privato di energie che già gli mancavano per via della nottataccia che entrambi avevano affrontato. Forse era anche esausto dalle parti che ancora voleva tenere per sé; gli creava delle tensioni interne doverle tacere, non rivelare troppo.

«Come procede da quelle parti?» chiese entusiasta il messicano, la spensieratezza tipica che lo caratterizzava.

«Non demordo» cercò di mitigare Stiles, la smorfia che sapeva essere percepibile da un capo telefonico all’altro.

Seguì uno scambio acceso tra i due, in cui si aggiornavano reciprocamente, raccontandosi quanto le cose andassero bene. Scott esternava la verità, Stiles mentiva spudoratamente; era un bene che i suoi super sensi non fossero troppo affinati tra un’interferenza e l’altra. «Non crederai mai chi ho incontrato da queste parti» disse allora, bisognoso di condividere qualcosa che non fosse un segreto. «Erica».

«Erica?» ripeté in una eco l’Alpha, le meningi che si spremevano per cogliere a tutto tondo la figura a cui il suo migliore amico si riferiva. «Erica Reyes?».

«Proprio lei» confermò con entusiasmo Stiles, felice che non l’avesse completamente rimossa dalle sue memorie. «Frequenta il corso d’arte ed è nel dormitorio femminile».

«Che coincidenza» esclamò vitale Scott, agitandosi sul posto come se potesse essere visto dagli entrambi frequentatori della Michigan State University. «È bello trovare una faccia amica. Lydia si lamenta sempre che all’IMT non conosce nessuno».

Già, coincidenza, Stiles non riusciva a togliersi l’anomalia con cui risuonava quella parola. «Lydia impiegherà cinque minuti a diventare la reginetta di quel posto».

«Assolutamente vero» concordò senza fronzoli il Vero Alpha. «Tu, invece, hai fatto nuove amicizie?».

Che terreno insidioso quello. «Sì, Erica si è quasi creata un branco tutto suo, mi ha presentato le sue persone preferite, Boyd ed Isaac. Isaac ti piacerebbe» non sapeva dire il contrario. «Passo il mio tempo libero con loro, in genere».

«Altre creature soprannaturali, Stiles?» chiese retoricamente il messicano, piuttosto rassegnato a quella sua inconsueta caratteristica.

«Sono loro a trovare me. Devo avere un sensore che si attiva, altrimenti non si spiega» era stato divertente all’inizio, poi dannoso e nocivo. Era ancora innamorato di quel mondo, lo sarebbe stato sempre, ma a volte voleva soltanto respirare normalità, esseri umani banali come tutti gli altri. «Sono dei bravi lupi».

«Se a te sta bene, non ci sono problemi» semplificò il messicano; lui di certo non ne aveva, ma la sensazione che Stiles volesse allontanarsene l’aveva ben percepita quando la lettera di accettazione della Michigan State University era arrivata, insieme all’aver ottenuto una borsa di studio completa che gli garantiva una copertura totale e un alloggio incluso. L’aveva quasi sentito liberarsi i polmoni per prendere una nuova boccata d’ossigeno.

A volte si chiedeva se non fosse quello che avesse sofferto di più tra tutti loro. Stiles teneva le sue difficoltà per sé, l’aveva sempre fatto. Super sensi o meno, non era in grado di leggergli nella mente, ma soltanto fiutare le sue emozioni e alcune sapeva mitigarle piuttosto bene.

«C’è anche un’altra persona» faticò a prendere fiato Stiles, in un primo momento aveva pensato che quell’informazione se la sarebbe tenuta per sé, senza davvero sapere perché nasconderla. Probabilmente perché avrebbe svelato più di se stesso e della sua situazione che qualsiasi altro aspetto. «Derek».

La linea parve essere caduta per quanto il silenzio si prorogò. «Derek chi?».

Stiles avrebbe voluto tirargli il telefono in faccia, magari storcendogli ancora di più la mascella. «Quanti Derek abbiamo in comune?».

«Derek Hale» articolò in un’unica parola, segno che era ben consapevole di chi stessero parlando.

«Sì, Derek Hale» confermò lo studente di criminologia, non c’era nient’altro da aggiungere.

«Anche lui studia lì?» si vide costretto a chiedere Scott, in una conferma.

«Sì, letteratura» l’edificio incredibilmente vicino al suo, i due minuti che aveva cronometrato personalmente.

«Questo spiega la presenza di Erica» si illuminò Scott, come se dei pezzi di un puzzle appena assemblato finalmente combaciassero.

Ma non spiegava quella di Derek. «Sì, lo segue sempre dappertutto».

«Frequenti anche lui?» domandò Scott d’istinto; era un’azione consequenziale farlo, se la lupa mannara aveva una sorta di branco privato, era logico pensare che anche Derek ne facesse parte, anche se non era scontato. Con Derek Hale nulla lo era.

«Diciamo di sì» si trovava in svantaggio, Derek era la persona che frequentava più di tutte, volente o meno. Stranamente era anche quella con cui si trovava meglio e apprezzava maggiormente. «È sempre lo stesso, non farti grandissime aspettative» ma era una menzogna anche quella.

«Ah, questa vorrei proprio vederla» la risata di Scott lo contagiò e anche se si sentiva sporco per le verità che non gli rivelava, il motivo per cui Derek e Stiles si fossero incontrati e passassero fin troppo tempo insieme, si sentì comunque più in pace con se stesso.

 

Derek percepì il suo odore molto prima che raggiungesse la porta e iniziasse a bussare, quando sentì l’impatto delle nocche sulla lastra di legno solida si chiese perché non l’avesse aperta prima.

«Sembra non mi aspettassi» disse Stiles, lo sguardo deciso, le intenzioni evidenti, un piccolo borsone alla mano e un fagotto dentro una busta di stoffa.

Derek lo fece entrare senza troppe cerimonie e Stiles andò avanti conoscendo bene l’ambiente. «Mi sembravi restio» ma se l’umano portava con sé quell’agglomerato di stoffa che aveva le fattezze del suo prezioso cuscino senza la quale non riusciva a dormire e che conservava pienamente il suo odore, era un indizio promettente che puntava in tutt’altra direzione.

«Lo sono ancora» quando il figlio dello sceriffo aveva concluso la loro discussione con sono stato dimenticato, non aveva accettato che Derek ponesse altre domande e lui non ne aveva fatte; si erano limitati a spizzicare quella colazione tardiva e Stiles si era preparato per tornare al dormitorio e risolvere tutte le questioni in sospeso. Non si era deciso a preparare quella borsa dalle dimensioni ridotte finché non era arrivata l’ora di cena, ancora una volta consumata in solitaria. Aveva anche sperato che non arrivasse Jiang, non avrebbe saputo come giustificare la sua assenza annunciata e non voleva dover dare spiegazioni a nessuno. «Odio dipendere dagli altri, ma in questo momento non sono in grado di occuparmi di me e tu sei l’unico che può e vuole proteggermi da me stesso».

Stiles aveva poggiato il borsone sulla scrivania del padrone di casa, sistemato il cuscino sul materasso e si era buttato di peso sul letto, al tracollo delle sue forze. Riuscire ad arrivare lì gliene aveva richieste ben troppe e non era ancora riuscito a recuperare quelle che aveva perso. Dalla finestra, la visione a testa in giù, la luna si mostrava fiera in uno scenario notturno, le nuvole grigie erano ancora lì e la pioggia aveva concesso una tregua per un paio d’ore. Minacciava di ripresentarsi presto. «Ho le scarpe» gli fece notare, muovendo i piedi con le scarpe indosso per aria. Era una sorta di vittoria, in qualche modo.

«Lo vedo» proferì Derek, andandogli incontro. «Non devi pensare di essere un peso per me».

«Difficile farlo» borbottò la matricola, il sospiro che gli sporcava la voce. Si portò in posizione da seduto, il cruccio che distorceva i suoi lineamenti facciali. «Non mi devi niente».

«È solo uno scambio di favori che cerchi?» chiese di rimando il capitano della squadra di basket, le braccia conserte e la stazza imponente.

«No» la mortificazione affiorò, gli occhi bassi e la consapevolezza di far emergere la parte peggiore di sé. Era sempre stato bravo in quello. «È solo che… mi sento in difetto».

Derek lo guardò per qualche secondo in silenzioso scrutamento e la mascella serrata si ammorbidì. «Non è una situazione ottimale, ma io preferisco averti qui. Non ti sei imposto, non ti sei autoinvitato, non hai invaso i miei spazi».

«Lo farò» Stiles sorrise machiavellico, ma era timido e contenuto, come se non volesse sbilanciarsi troppo.

«Ne prenderò atto» Derek stette al gioco e gli dedicò un angolo della bocca a sostegno del loro prendersi in giro.

Stiles si sentì alleggerito e il peso che sentiva sul petto evaporò leggermente. «Vado a cambiarmi» comunicò allora, alzandosi velocemente dal materasso e prendendo la borsa al volo. Si rintanò dentro il bagno ed indossò direttamente il pigiama di Star Wars, senza lavarsi o gingillarsi, se ne era già occupato nel suo campus usando gli spazi comuni e non voleva prendere da Derek più di quanto non gli offrisse già.

Uscì dandosi il cambio con il lupo che non espresse alcun commento e Stiles avrebbe tanto voluto gettarsi già tra le coperte e farsi catturare dalle braccia di Morfeo, era esausto e voleva soltanto ricaricarsi, ma aveva ancora la decenza di aspettare che fosse il padrone di casa ad aprire le danze.

Si rintanò in cucina a bere un bicchiere d’acqua e ad osservare la vetrata essere toccata nuovamente di gocce d’acqua. Era ben consapevole di quanta familiarità avesse preso nell’appartamento di Derek, soltanto ventinove giorni, quanto ancora si sarebbe allargata?

Derek uscì una ventina di minuti dopo, la doccia fatta, il corpo umido, i pantaloni soliti protagonisti sul mannaro, non c’era altro e Stiles si distese sul letto dopo di lui, arrotolandosi tra le lenzuola; poteva chiudere gli occhi e farsi trascinare. «Mio padre non voleva frequentassi il college quest’anno» rilevò invece, spinto dal dover dare dei chiarimenti al ragazzo che si prodigava tanto per lui. «Voleva che rimandassi di un anno, il tempo di riuscire a capire come gestire le cose e trovare una soluzione, ma avrei perso la borsa di studio e non volevo accadesse. Non volevo nemmeno rimandare, avevo davvero il bisogno di cambiare aria» ricordava come si fosse opposto, quanto avesse cercato in tutti i modi di far valere le sue ragioni. «Abbiamo fatto un patto, se le cose si fossero fatte più complicate sarei tornato e avrei rimandato all’anno successivo».

«Si aspettava davvero lo rispettassi?» era evidente che Stiles non avesse chiamato lo sceriffo e spiegato cosa stesse succedendo, quanto le cose fosse peggiorate.

«No, è un bravo papà, fa finta di credere alle mie bugie» era ingiusto nei suoi confronti, come lo era con tutta la sua cerchia. «Ma sono sicuro, che se recepisse qualcosa di allarmante, mi verrebbe a prendere di peso».

«Quindi, adesso, lo sceriffo conosce il nostro mondo?» nel silenzio riflessivo, il mannaro chiese conferme. L’aveva già dato per scontato, il modo in cui Stiles parlava del suo coinvolgimento con i suoi problemi legati alle disavventure soprannaturali erano chiari.

«Sì» si voltò lievemente verso il licantropo, lo sguardo già rivolto verso di lui. «Il Darach aveva rapito mio padre, Melissa e Chris Argent, voleva sacrificarli, procedere con il rituale che aveva iniziato con i sacrifici precedenti, per questo io, Allison e Scott abbiamo preso il loro posto» si era spaventato come mai prima di allora e aveva cercato di fare tutto quello che era in suo potere. «Siamo morti per tre giorni e si è creata questa fessura nei nostri cuori, un legame con l’oscurità» seppe che Derek gestì malamente il colpo alla parola morti, ma non era qualcosa che poteva celargli, un sacrificio aveva un unico significato. «Abbiamo cercato di sanarla successivamente, Scott ed Allison ci sono riusciti; credevo di essermela cavata anch’io, era quello che la mia testa mi aveva fatto credere, ma il Nogitsune l’ha usata a suo vantaggio. Ѐ entrato» Stiles provava profonda rabbia per un’ingenuità che non gli apparteneva, ma non avrebbe mai potuto credere che uno spirito malvagio millenario fosse stato affascinato da lui. «È un bene che mio padre fosse stato informato, non avrebbe capito, non sarebbe riuscito ad aiutarmi. La volpe ha ingannato e usato anche lui» le urla nel cuore della notte, le sue sparizioni, i sintomi della Demenza Frontotemporale che si palesavano ogni giorno di più, simulati magnificamente studiate e la tac del suo cervello che risultava pulita. Gli episodi di sonnambulismo che si erano palesati un anno dopo così simili a quelli indotti dalla volpe.

«Sei morto» proferì al vuoto il mannaro, le dita di una mano che prendevano confidenza con il viso di Stiles, testandolo e acquisendo le nozioni fondamentali che gli confermassero fosse esattamente lì, sotto i suoi polpastrelli. «E sarai legato al Nemeton per sempre».

«Sì» Stiles sapeva bene quanto fosse sbagliato, quanto facilmente si stesse lasciando assuefare dal tocco di Derek. C’era una parte egoistica di lui che non voleva rimparare a vivere senza.

Il lupo completo non proseguì oltre, eppure sapeva quanto fosse assetato di conoscenza. Probabilmente doveva incanalare ed elaborare tutto quello che Stiles gli aveva confidato quel giorno; non poteva che comprenderlo. «È stato mio padre a indicarci il percorso per trovare Malia» lo illuminò come se fosse un fatto fondamentale e per Stiles lo era stato. Era cosciente di quanto Derek gli stesse prestando attenzione, ma non sapeva quanta ne avesse nei riguardi di lei. «Dopo aver scoperto del soprannaturale, ha voluto rianalizzare tutti i suoi vecchi casi irrisolti e il suo è quello che gli è rimasto più impresso. Noi non l’avremmo mai cercata».

«Nessuno la stava cercando» forse soltanto Peter, con delle rimanenze di sensazioni che gli comunicavano che esistesse una figlia da qualche parte. Sua madre, Talia Hale, gli aveva estratto ogni ricordo su tutta la faccenda, compresa la Lupa del Deserto. Trovarla era impensabile.

«Erica mi ha detto che l’hai incontrata» provò a testare il terreno il figlio dello sceriffo. Chissà cosa si provava ad entrare a conoscenza di un membro della propria famiglia che era andata dispersa ancor prima di sapere che esistesse.

«Sì» si limitò a confermare lo studente di letteratura, inflessibile come gli conferiva.

«Non ti è piaciuta?» domandò Stiles con tutto il tatto di cui era pregno, ma in realtà gli riuscì molto male, lui e Derek erano pessimi in quello.

Derek lo guardò stralunato, come se l’avesse detta grossa. «Perché lo pensi?».

«L’hai incontrata soltanto una volta» forse il lupo nero avrebbe dato una strigliata ad Erica dopo quella rivelazione.

«Non c’è stata altra occasione» si limitò a giustificarsi, senza scendere in particolari.

L’umano non se li aspettava, ma gli risuonava comunque anomalo. Era vero che Derek vivesse per la maggior parte dell’anno negli appartamenti privati del Michigan State, ma dubitava che non tornasse mai a New York nei mesi di pausa, tra una festività e l’altra. Laura, Peter e Malia erano tutti lì.

Stiles preferì non indagare ulteriormente, non ne avrebbe ricavato nulla di utile. «Non ho mai visto occhi come i tuoi» era riuscito a trattenere quel commento per tutto il giorno, ma nel silenzio vuoto che li circondava non era riuscito a trattenersi. Anche se, il silenzio serviva proprio per permettergli finalmente di addormentarsi, ma era evidente che la sua mente non fosse pronta a smettere di elaborare. «Credevo fossero blu».

«Lo sono» lo corresse la creatura della notte. Stiles li aveva visti brillare quelle iridi di giada, stuzzicate da un’osservazione che attendevano venisse esternata. Derek aveva quasi trattenuto uno sbuffo rassegnato. «Lo erano».

«Da quanto tempo li hai così?» non era sicuro di potergli porgere la domanda, nella retrovia della sua perspicacia era quasi certo di conoscere la risposta.

«Dall’incendio» dichiarò di conseguenza Derek, facendola risuonare come unico responso esistente.

Li teneva nascosti per quella ragione? «Sei un Alpha?».

«No» negò vigorosamente il mutaforma, la mano che si separava totalmente da Stiles, lasciandolo scoperto ‒ si stava abituando malamente. «Non sono niente».

Il mannaro era pacato e mansueto, era quasi sicuro che non gli avrebbe negato niente se avesse fatto la domanda giusta, ma alla formulazione Alpha si era alterato. «Sei tu a non voler essere niente?».

«È soltanto un potere annacquato» uno squarcio di risa derisoria ed amara gli uscì dalla bocca ed a Stiles spezzò il cuore, perché si rendeva conto di quanto la sua vita si ostinasse a bersagliarlo e punirlo.

Le falangi lunghe e affusolate della matricola si prodigarono e sfiorarono le ciglia nere inferiori, poggiando parte delle dita sull’epidermide al di sotto; con la visione periferica colse il fiato trattenuto da parte di Derek. «Forse devi scegliere chi vuoi essere, il ruolo più adatto a te».

Il modo con cui Derek lo guardò gli prosciugò tutta la salivazione che aveva in bocca, le pagliuzze zaffiro e rubino si accesero, ma non si mostrarono totalmente, lo smeraldo le teneva ancora in riga. Quante volte aveva avuto la risposta davanti a sé, ma non era riuscito a coglierla. «Laura è l’Alpha».

Quella fu la sola risposta del licantropo e Stiles si chiedeva se non si stesse aggrappando alla concretezza del ruolo che spettava alla sorella maggiore. «Puoi esserlo anche tu, se è quello che vuoi» il modo in cui Erica, Boyd ed Isaac lo seguivano era indicativo su che aura sprigionasse, che ne fosse cosciente o meno. «Non credo affatto che ti ripudierebbe o lo riterrebbe una mancanza di rispetto. È la persona più saggia e grandiosa che conosca» e lo amava con tutta se stessa.

«Sì, lo è» Derek concordò con lui senza rimostranze e Stiles la decretò come una vittoria.

Abbozzò un minuscolo sorriso e scivolò verso di lui, i polpastrelli ancora sul lato destro del viso del capitano, sulle occhiaie fortunatamente inesistenti rispetto alla mattina precedente. «I tuoi occhi, li trovo molto belli».

Derek emise un soffio sarcastico, facendo risuonare le sue parole come se non avessero grande rilevanza. «Trovi tutto bello, Stiles» era la parola che continuava a usare per descrivere certi aspetti di sé.

Stiles non si scoraggiò e non se la prese nemmeno troppo, era consapevole di essere ripetitivo su determinate questioni, ma non riusciva a trovare dei sinonimi che rendessero allo stesso modo. «Tutto di te, Derek, lo è».

Il trascorrere del tempo fu come se si fosse arrestato e Stiles crebbe di essere all’interno di una bolla che poteva esplodere da un momento all’altro, la facilità con cui Derek gli toglieva il respiro era inspiegabile, così com’era indescrivibile la profondità con cui lo guardava sempre.

Le iridi di giada furono risucchiate dal colore dell’oceano e del fuoco e Stiles non riuscì a trattenere quel sorriso di contentezza che si estese su ogni tratto del suo viso.

«Due» soffiò Derek alla vista, apprendendo immediatamente il numero che aumentava con una lentezza snervante.

Stiles si sciolse abbagliato dalla continua attenzione ed accuratezza che il lupo completo gli dedicava anche in quei frangenti così atipici e le labbra si curvarono di nuovo liete, felici, come non lo erano state da un infinito trascorrere temporale. Tre.

 

 

 

 

 

 

Buona parte delle verità di Stiles sono state rilevate e tutto ciò ci farà addentrare in una convivenza definitiva forzata tra loro due per necessità.

Gli eventi che noi tutti conosciamo canonici nella serie lo sono anche in questa storia, tranne i fatti della quarta stagione che è praticamente inesistente (e il film che non ho alcuna intenzione di vedere mai nella mia vita), quindi diciamo che gli eventi dalla quinta stagione in poi vengono anticipati.

Lo svolgimento di tali eventi si svolgono senza una presenza incisiva di Derek e di suoi affini, più i vari personaggi che incontreremo capitolo dopo capitolo, sostituiti ipoteticamente da qualcun altro che ha ricoperto i loro ruoli. Mi limiterò a citarli o sintetizzarli in breve giusto per creare una cornice quanto più chiara possibile, senza dover spenderci eccessivo tempo nel raccontare qualcosa che effettivamente conosciamo.

Alla prossima settimana,

Antys

   
 
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