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Autore: Tynuccia    26/03/2024    1 recensioni
[Gundam SEED Freedom] Dearka e Shiho scattarono sull'attenti e si scambiarono un'occhiata. Quella che poteva essere una grande vittoria per i PLANT si stava trasformando in uno sgradevole incubo.
Genere: Azione, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 3

Pirro


“Benvenuto allo Stato Maggiore, Caporale”.

 

Garcia si portò sull’attenti. “Grazie, Tenente Colonnello Joule. Ne è passato di tempo”.

 

Yzak si limitò a fare un cenno del capo, invitandolo tacitamente a seguirlo nella stanzetta adibita per l’interrogatorio. Come da prassi, era stata allestita in una delle sale riunioni, con le tende aperte ed invasa dalla luce naturale, per non mettere a disagio l’imputato del giorno. Ovviamente, all’albino quell’idea non andava particolarmente giù. Non con una personalità sibillina come Garcia, a cui voleva estorcere i segreti più inconfessabili. A partire da un suo eventuale coinvolgimento con i Blue Cosmos. 

Si umettò le labbra sottili, adottando un comportamento accomodante. “Vorrei iniziare con l’esprimere orgoglio per averla tra di noi. Molti degli uomini della task force che l’hanno salvata erano al mio servizio”.

 

“Grazie”, concesse Hank, accomodandosi sulla sedia. “Hanno fatto un lavoro eccelso”. Su quello, non poteva discutere, benché il suo ritrovamento fosse stato concordato a tavolino. Una scia di briciole, che aveva condotto i servizi segreti a scovare il suo nascondiglio. Ciò che, però, lo lasciava perplesso, era l’atteggiamento del giovane davanti a lui. Lo ricordava dai tempi in cui non era ancora stato rapito, e già all’epoca l’aveva trovato estremamente sgradevole, con quei modi di fare boriosi e insopportabili; aveva avuto persino l’ardire di abbaiare ordini al Comandante Waltfeld, sebbene fosse stato semplicemente un moccioso con la Redcoat. Ora, invece, gli appariva totalmente diverso. Posato, e gentile, e si domandò se la guerra non fosse stata troppo pesante perfino per un personaggio simile. Dietro la facciata cortese, però, riusciva a intravedere perfettamente un certo astio, oltre che un’evidente freddezza. Simulò una risata con un colpetto di tosse. Forse era lui l’unico che era profondamente cambiato, e si crogiolò nello status quo dell’albino con l’uniforme candida, intento a fissarlo con finta benevolenza. Era un esempio magistrale di nepotismo, con i suoi gradi militari direttamente proporzionali alla sua giovane età, e quel velo accondiscendente che gli riempiva gli occhi rappresentava alla perfezione il motivo per cui desiderava arrivare in fondo con il suo piano; per insegnare una lezione a tutti quei Coordinator tanto ciechi da credersi meglio degli altri. 

 

“Quella di oggi è una formalità”, stava intanto spiegando Yzak. “Capirà, Caporale, che le domande che le verranno poste saranno di routine, come è capitato a tanti nostri colleghi nel corso degli anni. Per lei va bene se cominciamo?”.

 

Hank annuì, ed attese che il ragazzo fosse sull’uscio per chiamarlo un’ultima volta. Non gli sfuggì il minimo guizzo di irritazione che gli indurì i lineamenti. “Una curiosità, signore. L’ultima volta che l’ho vista non aveva forse una cicatrice sul volto? Una di cui parlava in continuazione. Una specie di vendetta personale, se non ricordo male”.

 

Yzak indugiò sulla porta, sforzandosi di non soccombere al lato più fumantino del suo carattere. In ballo c’era la sicurezza nazionale, dopotutto. “L’ho fatta rimuovere, Caporale”, replicò con voce neutra. “Ho capito che un concetto simile era totalmente un capriccio infantile”. Cercò nella sua espressione qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse fargli capire che aveva imboccato la strada corretta, ma ovviamente l’altro si limitò a fare un cenno del capo. Si giudicò estremamente ingenuo nell’aver sperato di metterlo in castagna con così poco, ma tanto valeva provare. “Se non ha altre curiosità sulla mia persona…”. Aspettò il suo benestare e schiacciò il pulsante, facendo entrare il primo agente della scaletta concordata, quindi fece il suo ingresso nella stanzetta adiacente. Si appoggiò al muro, le braccia conserte sul torace, ed osservò l’inizio di quello spettacolino attraverso il finto specchio che dava sulla sala riunioni. Libero di non recitare più alcuna parte, il suo volto si accartocciò, infastidito da quel pallone gonfiato. O lui stava prendendo fischi per fiaschi, o Garcia era un ottimo attore, un santo martire che era riemerso dalle viscere della Terra con una gran voglia di far commuovere la brava gente di PLANT. “Pezzo di merda”, sibilò. 

 

“E lo hai dedotto da una chiacchierata di pochi minuti?”, ritorse Dearka, intento a guardare qualcosa sul cellulare. “Forse avresti dovuto studiare psicologia”.

 

Yzak si voltò repentinamente a fulminarlo con lo sguardo. “Quel tipo non mi piace a pelle. Ed il fatto che sia stato in mano ai Blue Cosmos per tre anni dovrebbe farti suonare almeno un migliaio di campanelli d’allarme”, abbaiò, forte dell’insonorizzazione della stanza.

 

Il biondo si strinse nelle spalle e ripose il telefono. “Ehi, la penso come te, non c’è bisogno di scaldarti”, iniziò, con la dovuta cautela, “ma devi ammettere che in questi giorni non ne ha sbagliata mezza. Forse dovremmo iniziare a valutare l’ipotesi che sia semplicemente un povero diavolo con una tempra d’acciaio”.

 

L’albino schiuse le labbra per rispondergli a tono, ma un colpo di tosse alla sua sinistra lo fece desistere.

 

“Signori”, intervenne Shiho, con quel fare conciliatorio di chi è abituato a dover fare da paciere. Soprattutto fra i due, costantemente impegnati a bisticciare. “Non possiamo, innanzitutto, vedere come va a finire questo interrogatorio, prima di fasciarci la testa?”.

 

Yzak sbuffò, considerando che aveva ragione. Come sempre. “Tu, piuttosto. Ti senti pronta?”. La guardò, ed era il ritratto della calma passiva mentre assisteva alla scena oltre lo specchio come se fosse stato un film appassionante. “Non sarà semplice”.

 

“Sì, signore. Ha qualche modifica last minute?”. Shiho ricambiò lo sguardo, confusa da quella poco caratteristica indagine sul suo stato d’animo. Che il suo superiore fosse teso era evidente a tutti, e lei stessa non poteva fare altro che celare i suoi pensieri. Per quanto si fidasse ciecamente dell’istinto del Comandante, quella volta doveva schierarsi con Dearka: dal suo rientro, trasmesso sui media come un evento unico, Garcia non aveva dato l’impressione di essere un pericoloso nemico della patria. Tutt’altro. Si chiese se sarebbe stato più facile smascherare lui, o far cambiare idea al Comandante. Probabilmente la prima.

 

“Nessuna modifica”, disse Yzak, visibilmente più calmo. Sapeva di aver riposto la questione nelle mani più capaci della squadra, l’unico grattacapo rappresentato dalla grandissima faccia tosta di Garcia, che stava rispondendo alle domande con la calma di uno studente brillantemente preparato ad un’interrogazione.

 

Quando fu il turno di Shiho, Dearka le batté un paio di colpi sulla spalla ed alzò i pollici, facendole roteare gli occhi, e Yzak la chiamò prima di farle varcare la porta. “Fatti valere”, le raccomandò semplicemente, e la sicurezza che lampeggiò nei suoi occhi violacei fu sufficiente per rasserenare il suo animo burrascoso.

 

*

 

Hank si stava versando un bicchiere d’acqua nell’istante in cui la porta si aprì nuovamente. Si iniziò a chiedere per quanto tempo ancora sarebbe dovuta continuare la messinscena di routine, ma sollevò un sopracciglio nel vedere entrare una donna. Tutti gli agenti che lo avevano interrogato fino a quel momento erano stati uomini, del resto, e non si era aspettato che nel selezionatissimo entourage di YzakJoule potesse esserci un’esponente del gentil sesso. La guardò incuriosito mentre si accomodava e gli concedeva l’ombra di un sorriso. Non poteva avere più di vent’anni, ed il fatto che indossasse la Redcoat gli fece domandare se fosse per merito o per fortunati natali. 

 

“Buongiorno Caporale. Sono il Maggiore Shiho Hahnenfuss, d’ora in avanti sarò io a condurre l’interrogatorio”, parlò lei, con voce flebile e quieta.

 

“Piacere di fare la sua conoscenza”, replicò Hank, totalmente a suo agio. Una ragazzina non avrebbe certo rappresentato una minaccia, e si gustò il sorso d’acqua come se fosse stata una birra ghiacciata in una torrida giornata estiva. “Cosa vuole sapere?”.

 

Shiho scrollò le spalle, aprendo un quaderno ed agguantando una penna. “Vorrei concentrarmi sull’inizio della sua prigionia, se per lei va bene”. Lo vide annuire e poggiare il bicchiere con calma studiata sul tavolo. “Come sa, le prime settantadue ore di un rapimento sono cruciali. Dopo quanto tempo sono cominciati gli interrogatori?”.

 

“Quasi subito”, disse Hank, la voce monotona. 

 

Lei scribacchiò qualcosa sulla carta. “Cosa volevano sapere?”.

 

Garcia si strofinò il mento con fare meditabondo. “Tutto ciò che sapevo sulle operazioni di terra. I rifornimenti, le comunicazioni, le regole d’ingaggio”.

 

“Nel suo debriefing a Gibilterra ha dichiarato di non aver mai rivelato tali informazioni”. Shiho finì di prendere appunti e sollevò lo sguardo su di lui. “Corretto?”.

 

Hank si esibì in una risata roca e priva di humor. “Mi hanno addestrato bene all’eventualità di finire in prigionia, quando ero in Accademia. Dovrebbe aver seguito i medesimi corsi, Maggiore”.

 

Shiho dovette sforzarsi di non sorridere al pensiero che, se al suo posto ci fosse stato il Comandante, nell'udire quel tono derisorio avrebbe sicuramente fatto sanguinare il naso dell’imputato con un sonoro pugno. In barba alla terapia di gestione della rabbia. 

Invece, si limitò a dargli conferma con un cenno del capo e picchiettò la penna sul tavolo. Per lei, fare il poliziotto cattivo non significava necessariamente ricorrere alla violenza o a modi sgarbati, quanto non cedere all’altro un singolo centimetro di terreno. “Ironia a parte, Caporale, se lo sarà sicuramente chiesto”, continuò, il tono gentile nonostante tutto. Lo vide aggrottare la fronte e fermò il movimento della penna. “Il perché l’hanno tenuta in vita per tre anni sebbene si sia dimostrato tanto leale alla nostra causa”.

 

Il fare accomodante di Garcia vacillò appena, ma tornò sereno quasi subito, e sventolò con noncuranza una mano in aria. “Ho supposto che volessero preservarmi come preziosa merce di scambio”.

 

Shiho emise un verso pensieroso, trovando quella risposta alquanto ridicola. Faticava a credere che alle alte sfere potessero adoperarsi per pagare il riscatto di qualcuno tanto anonimo, e presumere che lei avrebbe potuto accettare una motivazione simile la offendeva su molti livelli. “Eppure nessuno ha mai avanzato pretese, ed il suo nome è rimasto nella tristemente lunga lista di soldati MIA e KIA durante la prima guerra”, obiettò, aprendo il fascicolo ed estraendone un foglio. “Come il suo collega, il Caporale Benedict Foster, che però non è riuscito a farcela, da quanto mi pare di aver capito”. Gli mostrò la fotografia istituzionale di un militare sulla quarantina, i capelli brizzolati e gli occhi nocciola. Osservò, trionfante, come per un attimo Garcia parve completamente smarrito. Il dettaglio di un suo compagno di squadra, rapito dai Blue Cosmos insieme a lui, era stato fornito dallo stesso Hank, a Gibilterra, come informazione di poco conto, quasi al pari della composizione del rancio. 

 

“Cosa sta insinuando?”, borbottò il Caporale, perdendo quell’atteggiamento cooperativo che aveva fatto infuriare il Comandante Joule. 

 

La ragazza si limitò a concedergli un sorriso di sbieco. “Sono solo curiosa. Nessuno dei due ha ceduto agli interrogatori, eppure è stato risparmiato soltanto lei”.

 

Hank strinse le labbra e distolse lo sguardo. “Ben non ha retto bene le torture. È morto durante la nostra seconda settimana di prigionia, e l’ho dovuto seppellire io stesso, appena fuori dal bunker. Sotto lo sguardo attento dei Blue Cosmos. E dei loro mitra”.

 

“Capisco”, disse Shiho dopo qualche istante, riappropriandosi della fotografia. Benché le sue parole fossero toccanti, dal suo tono di voce mancava totalmente quella nota di empatia che chiunque si sarebbe aspettato di sentire alla menzione di un camerata ucciso barbaramente. Sfogliò il dossier, rimanendo in silenzio mentre selezionava un’altra immagine. Se la rigirò tra le mani, pronta a porre la sua ultima domanda. “Il bunker di cui parla è appena fuori Banadiya, se non sbaglio”.

 

“Non sbaglia”, confermò Garcia, a denti stretti.

 

Lei gli allungò il foglio, che ritraeva Samuel Johansson, risalente al 71. “Conosce quest’uomo?”.

 

Hank schioccò la lingua sul palato, risentito. “Chiunque in ZAFT sa chi è”.

 

“Banadiya è il luogo in cui è stato avvistato più spesso”, affermò Shiho, con cautela, e nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono sentì quasi un brivido pervaderla. “Lo ha mai incontrato, in questi tre anni?”.

 

Lui tergiversò, mantenendo un’espressione neutrale. Il ricordo di quando era stato portato in una nuova stanza del bunker, e si era ritrovato di fronte Johansson in persona, era ancora marchiato a fuoco nella sua mente. Il sorriso benevolo, ed il tono di voce carezzevole; il modo educato con cui si era rivolto a lui, offrendogli un sorso d’acqua e della frutta fresca dopo giorni di nulla. Il valore che, con il tempo, aveva acquisito per lui. Che, ora, una poppante troppo altezzosa glielo chiedesse con tanta leggerezza, con tanta ignoranza, gli fece venire voglia di sporgersi dalla sedia e schiaffeggiarla.

“Davvero pensa che uno dei maggiori ricercati dei Blue Cosmos si sia preso la briga di fare visita a me?”, ritorse, sputando fiele. 

 

“Non me la sento di escludere l’ipotesi. Ogni informazione, per quanto minuscola, potrebbe essere vitale nella cattura di quell’individuo”, replicò lei, intrecciando le dita. “E, Caporale, se posso permettermi... la sua non era una risposta”.

 

Hank balzò in piedi, rovesciando la sedia sul pavimento con un tonfo sordo. “Dove sta andando a parare, Maggiore Hahnenfuss? Non mi piace essere accusato di eresie simili”.

 

Shiho, abituata agli scatti d’ira del Comandante Joule, non batté ciglio. Come da copione, la porta alle sue spalle si aprì, e Dearka fece il suo ingresso. “Oi, Hahnenfuss, vedi di non strafare”, la rimbrottò, come se fosse seriamente infuriato per le sue domande scomode. In quattro anni era probabilmente la prima volta che si comportava per davvero come un suo superiore. “Mi dispiace, Caporale”, disse poi all’indirizzo di Hank, che era ancora aggrappato al tavolo con un’espressione livida in volto. “Posso accompagnarla all’ingresso? Direi che qui abbiamo terminato, grazie per il suo tempo”.

Garcia annuì e passò vicino a Shiho, lanciandole un’occhiata torbida, mentre Dearka gli sussurrava: “Donne, eh? Sarà stata in quel periodo del mese, mi scuso al posto suo”.

 

Rimasta sola, Shiho radunò le carte e spense la videocamera. Si concesse un sospiro soltanto quando tornò nella stanza adiacente. Di fronte a lei, Yzak Joule era praticamente raggiante, e stava addirittura sorridendo. “Ben fatto. Davvero ben fatto. Sei proprio la mia sottoposta migliore”, le disse, facendola avvampare intensamente.

 

“Grazie”, mormorò lei. “Si è agitato troppo, per non avere qualcosa da nascondere”.

 

L’albino sbuffò ed annuì. “La parte difficile inizia ora, perché non abbiamo comunque elementi sufficienti a cui aggrapparci”.

 

Shiho ripose il fascicolo nella borsa e lanciò uno sguardo al Comandante da sopra la spalla. “Quante probabilità ci sono che Dearka lo stia invitando fuori a bere?”.

 

Yzak si passò una mano tra i capelli, che rimasero comunque impeccabili. “Ti prego. Non voglio nemmeno pensarci”.

 

*

 

Due settimane, e Yzak si ritrovò a chiedersi se, magari, non sarebbe stato meglio se Dearka, effettivamente, avesse chiesto a Garcia di accompagnarlo in un tour dei nightclub di Aprilius.

 

Di carattere non semplice, il Comandante Joule non poteva tollerare che il suo istinto avesse fatto cilecca. Non quando l’interrogatorio aveva evidenziato determinati atteggiamenti. Shiho l’aveva punto nel vivo, e lui non aveva fatto nulla per smentirla. Certo, chiunque si sarebbe indignato nell’essere associato ad un criminale del calibro di Johansson, ma sotto la rabbia, Garcia aveva dato uno spiraglio di nervosismo. 

 

Dearka si era premurato di assecondarlo, nel tragitto fino all’uscita, ed essere accomodante il giusto per non fare in modo che vedesse nell’Intelligence un nemico palese. Dalle riprese delle videocamere, il sorriso che si erano rivolti doveva fargli dormire sonni tranquilli, e con tutta probabilità l’unica che il Caporale poteva detestare era Shiho, con le sue domande scomode ed il suo atteggiamento inflessibile.

 

Per quattordici giorni si erano attenuti al piano, limitandosi a scandagliare le uscite pubbliche di Garcia tra interviste ed ospitate in televisione, ma ogni volta avevano semplicemente assistito alla farsa dell’eroe dimenticato, capace di sopravvivere tra le mani dei terroristi ed uscirne solo con qualche cicatrice.

 

Come uno scarafaggio, rifletté Yzak, sistemandosi il colletto dell’uniforme mentre l’ascensore saliva. Non era contento di quello che stava per fare, neppure un po’, e Dearka non si era fatto troppi problemi ad esternare il proprio disappunto; perfino Shiho, che era sempre stata dalla sua parte, aveva stretto le labbra in un’espressione titubante. 

Lo sapeva da sé, non aveva bisogno di loro per capirlo, ma era l’ultima spiaggia. Soprattutto se si trattava della salvaguardia dei PLANT.

 

Le porte si aprirono alle sue spalle, e percorse i familiari corridoi del Consiglio Supremo, memore di quando, tra le due guerre, si era ritrovato al posto di sua madre. Era stato in quel frangente che aveva capito che la politica, con i suoi sottili giochi di potere, non sarebbe mai stata la sua strada, e che preferiva di gran lunga l’esercito.

 

Si fermò davanti ad una scrivania, e guardò l’impiegata. “Sono Yzak Joule. Ho un appuntamento”, la informò, poco interessato a vuote cortesie.

 

Quella arrossì, ben conscia di chi fosse l’albino e della fama da scapolo d’oro che lo precedeva, e si affrettò ad alzarsi. “Prego, Tenente Colonnello, da questa parte”. Lo condusse ad una porta finemente intarsiata e bussò un paio di volte, muovendo un passo di lato quando il suo superiore diede il via libera. Fece un cenno del capo all’ospite, premurandosi di aggiungere il sorriso più sfavillante che le riuscì, e se ne tornò alla sua postazione, ignara del tumulto interiore del giovane.

 

Yzak abbassò la maniglia e mosse un paio di passi in quello che, anni prima, era stato l’ufficio di Patrick Zala. Salvo che, ora, era occupato da un individuo ancora più detestabile, sebbene non sembrasse presentare gli squilibri mentali che avevano portato il padre di Athrun a commettere un genocidio. “Con permesso”.

 

L’uomo si alzò per andargli incontro, la mano tesa ed un sorriso appena accennato. “Yzak, da quanto tempo”. Hari Jagannath era il nuovo Presidente del Comitato per la Difesa Nazionale, ed apparteneva alla fazione radicale. Era un personaggio che gli faceva venire i brividi, per le sue convinzioni antiquate che i Coordinator fossero migliori dei Natural, e la storia sembrava si stesse ripetendo vista la sua animosità nei confronti del Presidente Lament, di vedute molto più ampie e ragionevoli.

A sua volta, ai tempi, Yzak stesso aveva combattuto con l’arroganza di avere la verità in tasca, e Jagannath era come uno specchio sul passato in cui non voleva vedere il proprio riflesso.

 

“Mi scuso per lo scarso preavviso, Presidente”, cominciò il giovane, la bocca amara per essere dovuto ricorrere ad un escamotage simile. Si accomodò sul divano nell’angolo, incrociando le gambe.

 

L’uomo scosse il capo e si sedette sulla poltrona di fronte. “Sciocchezze. Vuoi un espresso?”.

 

L’altro valutò che avrebbe desiderato una flebo di caffeina direttamente in vena, ma preferiva non prolungare troppo l’incontro. “No, grazie”, rifiutò, educato nonostante tutto. “Presidente, sono venuto per discutere una questione delicata, oltre che estremamente confidenziale”. Lo vide assottigliare appena gli occhi, incuriosito. “Si tratta di Hank Garcia”.

 

A quel nome, i baffetti di Jagannath vibrarono lievemente. “Ah, sì. Il nostro eroe del mese”, declamò, senza particolare enfasi. “Ci sono novità di cui dovrei essere messo al corrente?”.

 

Yzak serrò la mascella, sempre più convinto che lo stava facendo per un bene superiore. “Non ci sono prove a suo carico, ma è da quando l’ho incontrato allo Stato Maggiore per l’interrogatorio che ho il dubbio che non stia dicendo tutta la verità”.

 

Il Presidente si appoggiò allo schienale, lisciando l’uniforme viola con una mano. Gli rivolse un ghigno mesto e sospirò. “Sono accuse gravi da muovere sull’uomo del momento”, gli fece notare, con fare paternalistico.

 

“Ne sono cosciente”, replicò l’albino, tenendo a bada l’ira, “ma, se mi concedesse l’opportunità di renderla partecipe dei miei pensieri…”. Ridursi a supplicare un verme del genere, soltanto perché più potente di lui. Patetico. Ad un suo cenno, Yzak decise di far leva sull’aspetto più odioso del carattere dell’altro. “Mi sembra una barzelletta che un Coordinator in mano ai Blue Cosmos sia sopravvissuto tanto a lungo in veste di prigioniero. Quando una mia sottoposta l’ha interrogato, si è dimostrato particolarmente suscettibile circa alcune domande poste ad hoc, e sarebbe una vergogna se l’Intelligence sorvolasse su una minaccia nazionale soltanto perché i media lo stanno celebrando su larga scala”. Fece una pausa ed aggiunse: “Non vorrei che fosse in combutta con quelli. I Natural”.

 

Alla menzione della razza che tanto detestava, i piccoli occhi di Jagannath brillarono di un misto di rabbia ed interesse. “E dove entro in gioco, io?”.

 

Yzak si sporse appena, appoggiando gli avambracci sulle cosce, le mani intrecciate. Scacco matto. “Potrebbe procurarmi un mandato del tribunale per tenerlo sotto stretta sorveglianza?”, domandò. “Per scacciare totalmente l’ipotesi di finire vittime di un attentato dei Blue Cosmos. Sono sicuro che comprenderà le mie preoccupazioni”.

 

Il Presidente sembrò animato da un ardore nuovo ed annuì con ferocia. “Lascia fare a me. Ho un amico che è giudice, non sarà affatto complicato”. Lo guardò solennemente, facendosi serio. “Sia ben chiaro che non voglio che il mio nome venga associato a questa tua piccola indagine, qualora dovesse rivelarsi un buco nell’acqua e dovessero metterti in croce. Lament vorrebbe la mia testa, e io farei la figura dell’ipocrita. Sono stato fotografato mentre stringevo la mano di Garcia, Cristo santo”.

 

Pensando che Jagannath fosse proprio un ometto insopportabile, Yzak si limitò ad annuire. “Ha la mia parola, Presidente”, mormorò, stringendogli la mano ed ingoiando l’acre sapore di una mezza vittoria.

  
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