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Autore: Clay92    27/03/2024    0 recensioni
Ho 28 anni, sono una ragazza come tante, niente caratteristiche particolari, niente successi da ricordare, non ci saranno opere o monumenti dedicati in mia memoria. Non vincerò un nobel o un oscar. Di ragazze come me, con una storia come la mia o forse peggio ce ne sono a migliaia, eppure oggi sento il bisogno di raccontarmi. Quando hai una vita come la mia, pensi sempre di esserti ormai abituata al peggio, sei convinta che niente possa più ferirti, deluderti o spezzarti. La vita però, così come la mia famiglia, è sempre pronta a sferrarti dei potenti ganci. Quando ormai pensavo che non si potesse toccare di più il fondo, quando ormai pensavo di aver sconfitto i fantasmi che mi portavo dietro ecco che proprio come una soap opera scadente, arriva l’ennesimo colpo di scena. Gli scheletri sembrano infiniti e alcune rivelazioni fanno più male che altre. Sono nata e cresciuta in un covo di vipere, circondata da tanto fango, le persone che mi hanno aiutato ad uscirne si contano sulle dite di una mano. È per me e per loro che oggi voglio raccontare la mia storia e soprattutto perché sono stanca che gente come “i Forrester dei poveri”, così
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tornare dai nonni era stato positivo. Non avevo più la mia cameretta ma i nonni e gli zii mi viziano tanto. Mi sentivo protetta e soprattutto il fatto di non dover più mentire, non avere più paura dei ricatti di Psyco che mi diceva che se avessi detto la verità su quello che succedeva in casa mi avrebbe separato da mio fratello mi rendevano libera. Ho pensato finalmente che potessi comportarmi come una bambina di nove anni qualunque. Psyco mi sgridava ancora certo e molte volte la gente le dava pure ragione, perché secondo loro facevo troppi capricci a causa di mia nonna Matilde che me le dava tutte vinte. Eppure, nessuno sapeva oppure faceva finta di non sapere di tutte le botte che mi ero sempre presa, esattamente come facevano finta quando vedevano i lividi sul volto di Psyco. Nessuno però sapeva che la nonna mi aveva insegnato che non sono le cose materiali che ti rendono felici, che oggi si poteva spendere 1000 lire ma che domani non dovevo fare i capricci se non poteva, che anche quando poteva comprarmi un intero reparto giochi mi faceva sempre sceglierne solo uno, chiedendomi se fossi convinta perché da grande avrei dovuto prendere decisioni difficili ed era giusto che imparassi a scegliere con la mia testa e soprattutto a non avere rimpianti. Ero viziata certo, non l’ho mai negato ma allo stesso tempo ho sempre saputo quando era il caso di fare i capricci e quando no.
In quell’anno venne a mancare nonno Marco, fu un duro colpo. Quando andai a trovarlo in ospedale mi scambiò per mio padre. Vedere nonna Matilde piangere fu una accoltellata al cuore. Lei ai miei occhi era una donna forte, fortissima, la migliore al mondo e vederla piangere mi destabilizzò. Se c’era una persona che non meritava di piangere, che non meritava di soffrire ancora era proprio lei. Le restai vicino insieme a mia cugina Susanna, che ha sempre considerato la nonna più una seconda mamma che una zia. Noi tre, seppur appartenenti a tre generazioni differenti, siamo sempre state molto unite. Quando ero piccola Susanna mi prendeva in giro dicendomi che era la nipote preferita di nonna Matilde e io le rispondevo che era bugiarda perché invece lo ero io. Ancora oggi quando ci facciamo gli auguri di compleanno ci prendiamo in giro su questo fatto con io che le faccio gli auguri chiamandola nipote n 2 e lei che mi risponde che in realtà è la n1.
Volevo un gran bene a nonno Marco e se dico sempre che la mia infanzia è divisa in due, una felice e una triste, come se l’avessero vissuta due persone distinte è anche grazie a lui e non solo a nonna Matilde. Io e nonno Marco condividevamo tante passioni. La prima su tutte era Robocopt di cui avevamo anche la cassetta, non ci perdevamo una sola puntata di “più forte ragazzi”, walker texas ranger o il tenente Colombo. Amavamo il wrestling e tante sono state le sgridate di nonna Matilde che ci intimava a non giocare alla lotta sopra il letto con il rischio di farci male, ma noi aspettavamo che lei se ne andasse, di sentire l’ascensore e poi ci trasformavamo nei wrestler Hulk Hogan e Andrè The Giant. Il sabato e la domenica mattina invece guardavamo i cartoni animati insieme e ActionMan era il nostro preferito. La sera, dopo Walker Texas Ranger, guardavamo Kenshiro, l’uomo Tigre e City Hunter, con nonna Matilde che si lamentava sempre di Ken perché nel frattempo mangiavamo e vedere cervelli spappolati non era il massimo. Perdere nonno Marco mi ha anche aperto gli occhi. Non ero mai stata una bambina affettuosa e lui se n’era andato senza che io potessi dirgli che gli volevo bene. Non gli ho nemmeno chiesto scusa quando quella mattina registrò una puntata di un film sul nastro in cui c’era la puntata dei Digimon, mio cartone preferito da sempre. Avevo fatto la pazza tanto che quella fu una delle poche occasioni in cui nonna Matilde si arrabbiò con me e mi fece la ramanzina perché stavo sbagliando. Alla faccia di chi credeva che la nonna me le facesse passare tutte lisce. Ricordo ancora che con me tenevo sempre il pupazzo di un Digimon a forma di gatto che quando si evolveva diventava un angelo donna. Non ci pensai due volte e glielo misi nel taschino della giacca con cui sarebbe stato vestito per il funerale e seppellito. Nonna mi chiese più volte se fossi sicura, era il mio pupazzo preferito e temeva che poi avrei pianto nel rivolerlo indietro. Io invece volevo che quel pupazzo andasse con il nonno, lui stava andando in cielo dal mio papà, ed era giusto che fosse accompagnato da un angelo. Lo so era una stupidata ma avevo otto anni e credevo ancora che prima o poi sarei entrata anch’io a Digiworld e sarei diventata una Digiprescelta. In realtà ci credo ancora. Credere che i Digimon esistessero e che anch’io ne avrei trovato uno mi rendeva felice e Angewomon (nome del Digimon angelo) era l’accompagnatrice perfetta per il viaggio che attendeva mio nonno. Non ricordo il funerale né i giorni dopo però ricordo la lezione che imparai, avrei dimostrato a tutti quelli che volevo bene che erano importanti per me, sarei diventata un pochino più affettuosa e soprattutto avrei imparato a dire ti voglio bene. Ricordo che la notizia della morte di mio nonno me la diede un’altra mia cugina fuori dalla scuola e nonostante tutto andai comunque a ritirare la pagella, ricordo ancora l’abbraccio con la maestra Maria. Era la maestra più severa; eppure, quella che devo ringraziare di più, senza di lei non avrei imparato a scrivere e a leggere e non avrei mai scoperto la mia più grande passione: i libri. Fu una sorpresa quando mi strinse tra le sue braccia e il calore che sentii. Avevo appena ricevuto una notizia brutta, sembravo inconsolabile eppure quell’abbraccio mi fece stare meglio. La rivalutai tantissimo, la vedevo più umana e meno severa. Non la ringraziai mai per quel gesto che mi aveva riscaldato il cuore.
Ma i ricordi più belli che ho con nonno Marco sono specialmente due. Il primo mi porta sempre tanta gioia e risate. Una mattina la nonna era uscita e il nonno mi chiese di apparecchiare la tavola. Non ricordo perché mi ribellai ma il nonno si arrabbiò. Iniziammo a rincorrerci per casa fino a quando non corsi fuori al balcone. La tapparella era abbassata e il nonno per rincorrermi fuori non se ne accorse e finì col tirare una capocciata contro la tapparella e cadde a terra. Nonostante facesse fatica ad alzarsi io lo lasciai lì steso. Nonna tornò e lo trovò ancora lì a terra, dopo averlo aiutato a rialzarsi gli scoppiò a ridere in faccia. È un ricordo forse stupido ma che a me fa davvero troppo ridere. Il secondo ricordo invece è uno di quelli che sono incinsi nel mio cuore. Un mercoledì la nonna andò al lavoro e mio nonno mi chiese se volessi andare con lui al mercato e visto che i cartoni erano tutti finiti accettai. Mentre eravamo in macchina e stavamo salendo la rampa dal box iniziai a dubitare che fosse una buona idea. Mi ero sempre divertita in macchina con il nonno, soprattutto quando tornavamo dalle vacanze in Calabria e il nonno mi chiedeva se volessi fare le gare e al mio si iniziava a superare le altre macchine con nonna che gli urlava di non fare stupidate, mentre io ridevo come una matta e mi sentivo come se fossi in macchina con Michael Schumacher. Arrivammo al mercato sani e salvi nonostante la mia titubanza iniziale. Girammo tutto il mercato e incontrammo anche le mie zie. Verso la fine del marcato però mi incantai davanti a un maglioncino bianco. Fossi stata con la nonna mi sarebbe bastato dire: nonna mi compri, ma con il nonno era diverso. Qualche volte aveva bisticciato con nonna proprio perché lei mi comprava di tutto e allora non me la sentivo di chiedergli niente. Lui però mi sorprese chiedendomi se volessi il maglioncino bianco. Tergiversai dicendogli che non c’era bisogno e che la nonna mi aveva detto che non c’erano tanto soldi e che quindi non serviva. Non so se lo ferii nell’orgoglio ma prese il portafoglio e mi mostrò tutti i soldi che c’erano dentro alche io esclamai: caspita nonno siamo ricchi! Mi rimproverò con il sorriso sulle labbra e mi chiese la mia taglia, appena gliela dissi lui mi sorprese ancora. Prese il maglioncino che avevo guardato per tutto il tempo ma anziché farselo dare bianco me lo prese azzurro, quando gli chiesi come mai mi rispose che sapeva che l’azzurro era il mio colore preferito. Quel maglioncino, a distanza di venti anni, è ancora dentro al mio armadio. Ogni tanto lo tiro fuori e fino a qualche anno fa riuscivo ancora ad entrarci anche se mi stava come un mini top.
   
 
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