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Autore: Fiore di Giada    16/04/2024    3 recensioni
Ad un tratto, da una strada laterale , apparve un motociclista, in sella ad una Ducati rossa.
Genzo sbarrò gli occhi, sorpreso. Impallidì.
Poi, strinse le mani sul volante e premette il piede sul freno. No, doveva impedire una tragedia!
L’auto, tuttavia, non si fermò e investì la Ducati.
La moto cadde e il corpo del motociclista venne sbalzato a diversi metri di distanza.
L’energia dell’impatto piegò il metallo del paraurti e il parabrezza, con un forte scricchiolio, si infranse.
Il braccio destro del giovane si piegò in un angolo innaturale e l’osso squarciò la pelle.
Poco dopo, l’atleta nipponico si accasciò sul volante, quasi privo di conoscenza. Era dunque finita?
Sarebbero morti insieme?
La BMW, con un lungo, fastidioso stridio, si fermò, lasciando lunghi solchi sull'asfalto, simili a nere ferite.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La squadra dell’Amburgo entrò nello stadio assieme a quella del Bayer Monaco.
Lo sguardo di Karl fissava un punto davanti a sé. Il chiasso del tifo giungeva alle sue orecchie.
Eppure, il dolore alla testa sembrava sopportabile.
Un mezzo sorriso sollevò le sue labbra. Forse, la speranza di una risoluzione positiva allontanava quella pena martellante.
Di tanto in tanto, lanciava occhiate fugaci agli spalti.
Ad un tratto, il suo sguardo si posò sulla figura snella di Hilda, seduta accanto a suo padre e una donna alta, non più giovane, dai lunghi capelli rossi.
La ragazza, quasi sentisse le occhiate del tedesco, alzò la mano in un breve cenno di saluto.
Un debole sorriso sollevò le sue labbra. Lei aveva mantenuto la promessa.
E, accanto a lei, erano presenti i suoi genitori.
Quello era un buon segnale.
Grazie., si disse, un lieve sorriso sulle labbra. Lei era riuscita a convincere i suoi genitori a venire allo stadio.
Questo era un risultato migliore di quanto si potesse sperare.
Si scosse dai suoi pensieri e, poco dopo, si avvicinò per il sorteggio.

Al fischio dell’arbitro, le squadre cessarono di giocare ed entrarono negli spogliatoi.
Hilda, sei sicura dell’utilità della nostra presenza? ‒ domandò la donna, il tono dubbioso.
Sì, mamma. Dobbiamo essere chiari. Nessuno di noi è d’accordo con la violenza ingiustificata. ‒ rispose la giovane, lo sguardo fisso sul campo. Non poteva non comprendere il timore di sua madre, dopo quanto era accaduto giorni prima.
Ma la sua onestà le imponeva di continuare la sua battaglia.
Susanna, nostra figlia ha ragione. Troppi si stanno servendo di Andreas, senza nemmeno chiedere la nostra opinione. ‒ intervenne l’uomo, lo sguardo cupo e la fronte aggrottata.
La donna si girò verso il coniuge e fissò su di lui i suoi occhi azzurro scuro, velati da un forte turbamento.
L’uomo, per alcuni istanti, strinse le labbra e il suo sguardo vagò sullo stadio.
Per mesi, noi ci siamo nascosti dietro al lutto, per non affrontare la verità. Odiavamo Wakabayashi perché è sopravvissuto, al contrario di Andreas. Ma la morte di nostro figlio è stata una tragica fatalità… ‒
Si interruppe e, d’istinto, coprì la bocca con la mano, mentre le lacrime cadevano dai suoi occhi cerulei. Davanti ai suoi occhi, si materializzava l’immagine del corpo di suo figlio, steso sull’asfalto, come un manichino ormai inutile.
Susanna strinse le labbra e gli posò una mano sul braccio. Il suo meraviglioso marito, come lei, soffriva per la morte del loro amato figlio.
Ma era riuscito a vedere gli eventi da un punto di vista differente.
Hilda, d’impeto, lo abbracciò e posò la testa bionda sulla sua spalla. Il tempo non aveva placato la loro pena per Andreas.
Genzo Wakabayashi è un ragazzo, come lo era Andreas. E, a causa di una violenza insensata, si è allontanato dalle persone a lui care. Non so come faccia a sopportare un tale peso. Io, al suo posto, impazzirei, se non dovessi vedervi più. ‒ spiegò lui.
Susanna, con un cenno del capo, annuì. In quel momento, il suo pensiero correva ai genitori del campione giapponese, privi di sue notizie.
E lei non era certa della sua reazione, se fosse accaduto a lei.
Rise di sé e la sua mano, leggera, accarezzò ancora il braccio di Martin. No, non doveva mentire a se stessa.
Anche lei avrebbe vissuto come un incubo una simile eventualità.

Al termine della partita, le due squadre rientrarono negli spogliatoi.
Hilda e i suoi genitori, seguendo il flusso degli spettatori, si avviarono verso l’uscita.
Figlia mia, ho una proposta da farti. ‒ mormorò ad un tratto Susanna.
Di che si tratta? ‒ domandò la ragazza, stupita.
Susanna fece per rispondere, ma alcuni giornalisti si avvicinarono, i microfoni protesi.
Senza alcuna esitazione, Hilda si parò davanti ai suoi genitori, come uno scudo.
Signorina Schumann, è un po’ strano vedere in uno stadio una persona come lei. ‒ esordì un giornalista alto e magro, il tono pacato.
La ballerina aggrottò le sopracciglia e fissò sull’interlocutore uno sguardo imperscrutabile.
Per quel che ricordo, nessuna legge proibisce a me e alla mia famiglia di frequentare gli stadi. ‒ rispose lei, ferma. Non le piaceva quell’affollamento di esponenti della carta stampata.
Sorpreso dalla risposta della giovane, il giornalista, per alcuni istanti, tacque.
Signorina, fino a poco tempo fa la sua opinione era diversa. ‒ continuò l’uomo, un lampo ironico negli occhi metallici.
Hilda, a stento, frenò un sospiro di disappunto. Comprendeva quello che aveva sofferto Wakabayashi con l’assalto di una stampa stupida.
Sa, si può cambiare idea nel corso dei mesi, se si è abbastanza intelligenti. ‒ rispose lei, il tono vibrante di sarcasmo.
Il sorriso sul viso del giornalista si accentuò.
E’ vero, ma la gente mormora. Ci ha mai pensato? ‒ chiese ancora.
Di scatto, Susanna avanzò d’un passo, gli occhi castani ardenti d’ira. Come osavano parlare così della loro famiglia?
Hilda, con un movimento deciso del braccio, bloccò la madre.
Poi fissò un breve sguardo sul personale segalino del suo interlocutore e i suoi occhi si fermarono sul badge dell’uomo, a destra del petto, su cui risaltava il nome Oskar Weber.
Mamma, non è il caso. Non si può sprecare il proprio tempo con chi proietta sugli altri la propria stupidità. E il signor Weber non fa onore alla sua professione. ‒ affermò lei, la voce apparentemente calma. Forse, avrebbe potuto essere condannata per diffamazione, ma non le importava.
Nessuno doveva permettersi di mettere in dubbio il loro affetto per Andreas.
L’uomo, colto di sorpresa dalla risposta della ragazza, ansimò, come un pesce spiaggiato.
E ora, scusate, dobbiamo andare. ‒ affermò.
Girò le spalle e, a passo rapido e deciso, si allontanò, presto seguita dai suoi genitori,

Qualche tempo dopo, uscirono dallo stadio e si avviarono verso il parcheggio.
Mamma, qual è la proposta che mi volevi fare? ‒ chiese Hilda.
La donna fece per rispondere, ma un deciso calpestio fece voltare tutti e tre.
Videro Karl ed Hermann avanzare a grandi passi verso di loro, le spalle gravate dai loro borsoni.
I ruoli si sono invertiti, signorina. ‒ ironizzò Hermann.
A quell’affermazione, le labbra della giovane si sollevarono in un sorriso divertito. Era ben felice di avere cambiato idea.
Malgrado le apparenze, quei ragazzi si stavano rivelando intelligenti.
E io rispondo come te: non formalizziamoci su simili idiozie. Anche io sono sportiva. ‒ replicò lei.
Perplessi, Martin e Susanna fissarono Karl e il centravanti scosse la testa in un gesto rassegnato.
Hermann, non è il momento. Signori Schumann, io e il mio compagno siamo qui per ringraziare vostra figlia. E’ una ragazza coraggiosa. ‒ mormorò, il viso velato d’un tenue rossore.
Karl, hai problemi di memoria? Anche i signori meritano il nostro ringraziamento. ‒ affermò Hermann, ironico. La loro presenza era un segno di speranza.
Non dovevano mostrare alcuna chiusura.
Con un gesto deciso il mediano prima strinse la mano di Martin, poi di Susanna.
Come avrete capito, siamo qui perché Hilda ha deciso di aiutarvi. All’inizio, non eravamo d’accordo con la sua scelta, ma abbiamo cambiato idea anche noi. Possiamo aiutarvi in qualche modo? ‒ chiese Martin.
Karl, a stento, frenò un sospiro. Quello sguardo rispettoso riempiva il suo cuore di soddisfazione.
Eppure, non poteva non sentire la mancanza di Genzo.
Karl, sei diventato una statua di sale? ‒ intervenne il difensore, ironico.
A quelle parole, il capitano tedesco si scosse e si passò una mano sulla fronte.
Continuate a combattere per la verità. E, quando potete, venite allo stadio. Niente di più, niente di meno. ‒ spiegò poi.
Susanna scosse la testa e strinse le labbra, quasi non condividesse le loro parole.
Sì, è una proposta di buonsenso, ma non basta. ‒ commentò.
Tutti, perplessi, fissarono su di lei sguardi perplessi.
Io, tra tre mesi, organizzerò una mostra al Museo Internazionale Marittimo di Amburgo. Vorrei invitarvi tutti e tre. Ma, se non sarà possibile, vorrei potergli parlare. Ne sono sicura, Martin lo desidera quanto me. ‒ spiegò lei.
L’uomo, con un deciso cenno della testa, annuì.
Il corpo di Karl si irrigidì, come una sbarra di metallo e, d’istinto, strinse i pugni. L’enormità del suo compito gli aveva procurato una vertigine.
Hermann appoggiò la mano sulla sua spalla e gli rivolse un sorriso incoraggiante.
Le membra del giovane si rilassarono e il giovane campione annuì. No, non poteva lasciarsi frenare da paure insensate.
Guardò prima Hilda, poi Martin e Susanna. La loro offerta era degna dei suoi sforzi.
Farò quello che posso. ‒

1) Ogni promessa è debito. Hilda è venuta allo stadio e ha portato i suoi genitori.
2) Si vede la mia rigidità nei dialoghi? In venti e passa anni di fanwriting, ho scritto pochissime long. (tutta abbozzate) Spero di riuscire a completare questa.












   
 
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