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Autore: endif    06/10/2009    6 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAP. 5

BELLA - Ingrid Michaelson -The way I am -
«Amore, sei sicura?» Edward mi guarda di sfuggita. E’ molto nervoso, ma tenta in ogni modo di nascondermelo. Parcheggia l’auto in uno dei posti riservati agli studenti largo giusto la spazio per la Volvo con una scioltezza sbalorditiva. Al nostro fianco due auto basse, lucide fino all’inverosimile, dall’aria costosissima.
 Penso al mio pick-up. Sorrido maligna mentre mi immagino farmi largo con lo Chevy nello stesso spazio dove si è infilato Edward.  Avrei scommesso che il pick-up non si sarebbe fatto nemmeno un graffio …
Mi sento sfiorare un braccio lievemente e mi volto a guardare Edward con ancora il mio sorrisino ebete stampato sul volto.
Mi raddrizzo sul sedile e ricompongo la mia espressione storcendo la bocca in una smorfia per conferire alle mie labbra una parvenza di serietà. «Certo che sono sicura. Sto bene, non sono mica pazza. Se non me la sentissi te lo direi …» gli dico guardando le mie mani fasciate dai guanti neri in pelle.
In realtà mi sento un po’ stanca dopo l’ennesima notte quasi del tutto insonne. Dalla sera del Polar Rink, ho un po’ di difficoltà a mantenere un sonno tranquillo che abbia una durata decente. E’ il dormiveglia che mi dà qualche problema, è come se avessi delle remore ad abbandonarmi completamente al sonno. «Se avessi preso un sonnifero stanotte questa conversazione non starebbe neanche avendo luogo» aggiungo alzando lo sguardo nei suoi occhi scrutatori e vigili.
«Lo sai che non voglio che prendi quelle porcherie, finisci per abituartici e poi non puoi più farne a meno. Niente da fare.» dice scuotendo il capo con un mezzo sorriso sulle labbra. Pare che stia sorridendo per qualcosa di cui sono all’oscuro. Ma è un sorriso triste, amaro.
Lo scruto negli occhi cercandovi una verità che so non arriverà.
 C’è qualcosa che mi sfugge. Nessuno ne ha fatto parola, ovviamente, ma in casa si è respirata un’aria tesa per un po’ di giorni.
Alice è stata stranamente silenziosa per la maggior parte del tempo. Stamane, invece, sembrava allegra e serena come al solito. Mi ha raggiunta in camera mentre cercavo la mia fede nuziale. La mia sbadataggine è patologica e, ancora non del tutto abituata a portarla notte e giorno, ho l’abitudine di sfilarmela quando mi lavo e puntualmente a dimenticare dove la ripongo. La nanetta è entrata baldanzosa e l’ho guardata implorante. Ha capito subito cosa cercavo e, ovviamente, sapeva anche dov’era finita. Tuttavia, mi ero rivolta a lei talmente tante volte che ormai si era stufata e, dall’ultimo ritrovamento aveva deciso che non mi avrebbe più aiutata.
Le ho lanciato uno sguardo da cane bastonato e lei mi ha sorriso scuotendo la testa: «Ti servirà di lezione, Bella …»
E quando ho messo su il broncio, mi ha schioccato un bacio sulla guancia stringendomi forte.
«Jensen oggi?» mi ha chiesto euforica.
Ho annuito perplessa. Il cambiamento di umore rispetto ai giorni passati è lampante anche per una sciroccata come me.
Ho annuito in silenzio. Lei sa che la materia di Jensen è quella che preferisco, che il suo modo di insegnare è per me interessante e coinvolgente. Sa che è solo alle sue lezioni che mi piace assistere. E mi appoggia, mi sostiene silenziosamente, senza dire mai una parola di troppo a riguardo. C’è un tacito accordo tra noi e non ne abbiamo fatto mai menzione in presenza di Edward. Non so perché, ma è come se fossi gelosa di questa parte della mia vita, come se avessi paura di sentirmi giudicata, di incontrare la sua disapprovazione. Non faccio nulla di male, ma non sono ancora pronta per metterlo a conoscenza di tutti i dettagli che riguardano il college.
E poi, mi dico, ognuno ha diritto ai suoi piccoli segreti.
Così, per il compito assegnatomi la settimana prima, quello del quesito –Perché sono qui? - da rispondere in cinque righi, ho impegnato tutto un intero pomeriggio.
Chiusa in camera. Lontana da tutti.
E quando mio marito ha minacciato di scardinare la porta se non aprivo, preoccupato fino all’esasperazione, mi sono alzata e senza degnarlo di uno sguardo mi sono chiusa in bagno per altre due ore.
Tanto non sarebbe servito a nessuno.
E tanto, non era l’unico bagno della casa.
Oggi doveva esserci la discussione delle nostre risposte ai quesiti, che avevo scoperto essere due: uno era quello capitato a me –Perché sono qui?- l’altro era –Mi descrivo-. Non potevo mancare, ero curiosa di sapere a cosa sarebbero serviti in un corso universitario di Economia gestionale delle industrie.
«A che pensi?» farmi questa domanda gli costa, lo so. Ma, in fondo, sono contenta di avere questo piccolo vantaggio su di lui rispetto agli altri: i miei pensieri rimangono solo miei.
Decido di optare per la verità.
«A quello che succederà oggi a lezione.» Troppo sibillina?
«Qualcosa di interessante?» cerca di essere discreto, ma è curioso lo sento.
«Non lo so, probabile.» Rispondo sorridendo e facendo per scendere dall’auto, ma la sua mano gelida si posa sulla mia. Ne sento il freddo nonostante i guanti. Mi giro ed incontro i suoi occhi attenti, un po’ infastiditi. Le mie risposte evasive lo turbano. Mi sento una bimba dispettosa nel fornirgliele, ma mi danno sicurezza, mi pongono un gradino più in su del normale. E poi, oggi ho un conticino in sospeso con lui …
Non sono sempre prevedibile, sciocca e goffa vero Edward? Rimurgino tra me e me contenta che questi pensieri rimangano nella mia mente e basta.
Sostengo il suo sguardo per un po’, poi mi avvicino al suo viso e strofino la mia guancia contro la sua. Sento che inspira profondamente. Gli sussurro all’orecchio a voce bassa: «Sta tranquillo, non mi succederà ancora.»
Mi riferisco alla crisi di panico di qualche sera fa. Alice mi ha detto che lui era fuori di sé dalla preoccupazione, che Jasper ha dovuto usare il suo potere su di me. Non ricordo molto, ma l’effetto di Jasper è difficile da dimenticare.
E’ come andare in coma. La volontà ti abbandona e tutto si offusca. Non sempre è una sensazione piacevole.
«Bella, tu sei la mia dannazione. Saperti lontana da me, pensare che possa capitarti qualcosa e che non posso impedirlo … è una tortura, te lo giuro.» fa questa ammissione con difficoltà, è difficile per se stesso in primis.
D’altronde lo capisco. Anche io non riesco a stargli lontana. Eppure a volte lo tengo a distanza …
Inspiro il suo odore immergendo il naso nei suoi capelli. Magari oggi posso evitare il college … Mi scosto quel tanto che basta a poggiare il capo sulla sua spalla.
Lo sento sospirare.
«Credo che sia ora, ma prometti di chiamarmi se ti senti strana. Prometti che non minimizzerai nessuna sensazione fuori dall’ordinario.» mi dice rassegnato.
Lo guardo con un po’ di indecisione negli occhi. I suoi sono diventati freddi, decisi. Vuole che vada. Anche il suo corpo si è irrigidito, nonostante mi tenga ancora fra le braccia. Si è arrabbiato? Stringo un po’ gli occhi nel tentativo di decifrare il suo comportamento.
Mi bacia rapidamente sulla fronte e si raddrizza sul sedile.
Scendo dall’auto e lo guardo fare manovra prima di allontanarsi. Ha deciso di non accompagnarmi in aula. Eppure non mi sembrava offeso …
Oggi lui ed Alice non hanno lezione. Jasper verrà alla prossima ora.
In quest’ora sono sola.
Per la prima volta da quando frequento il college. La cosa mi inebria.
Respiro l’aria fredda del mattino, mi aggiusto la tracolla con i notes sulla spalla e mi avvio verso l’aula magna.


EDWARD - Ingrid Michaelson - Maybe -
Esco dal bosco con noncuranza, come se tornassi da una breve scampagnata e non da una corsa alla velocità della luce di ventiquattro chilometri. Dopo aver depositato la Volvo a casa mi sono fiondato tra gli alberi alla volta del college, prima di essere sommerso dai rimproveri mentali di mia sorella.
Cammino con lentezza verso il retro dell’edificio principale e passo in rassegna i pensieri di quelli che incrocio nel passaggio. Tutto tranquillo.
Mi fermo nel giardino retrostante l’aula magna, abbastanza vicino da poter ascoltare anche le voci oltre ai pensieri, eppure ragionevolmente distante per evitare di essere visto.
La piccola discussione avuta con mia sorella durante la notte mi ha portato a raggiungere un compromesso con me stesso questa mattina.
“-Ti ho detto che non le succederà nulla!- aveva pensato Alice –lasciala andare, Edward. Si tratta solo di un’ora.-
L’avevo guardata scettico. Lei mi aveva guardato offesa.
«Ti credo, Alice, ti credo …» ma non ero pronto ad accettarlo. La visione della sera del Polar Rink aleggiava ancora nella mia mente. Interpretarla non era stato complicato, almeno per me. C’era un’unica cosa che poteva determinare la mia morte: la morte di Bella. Alice non si era più pronunciata a riguardo, ma sapevo che si manteneva all’erta, pronta a captare qualunque segnale giungesse dal futuro. L’operazione “Bella’s freedom”, però, rischiava di risentirne in maniera irrimediabile, per cui Alice si era prodigata per convincermi a darle un po’ di spazio almeno quando era certa che non sarebbe successo nulla. Ed io avevo in fine acconsentito.
Ho trascorso tutta la notte ad osservare Bella agitarsi nel letto. A nulla sono servite le mie ninna-nanne, le mie carezze. Bella ha dormito poco più di due ore. In mattinata, dopo un’estenuante lotta con me stesso, mi ero rassegnato a lasciare mia moglie sola al college per un’ora. Fino all’arrivo di Jasper per le dieci.
Ma dal suo risveglio fino a poco prima in auto, mi sono occorsi in tutto cinque secondi per capire che non sarei riuscito a lasciarla neanche un istante, figuriamoci per un’ora intera.
Uno, quando ha aperto gli occhi stamattina e vi ho letto dentro la felicità di vedermi disteso al suo fianco.
Uno, quando l’ho sentita canticchiare sotto la doccia e mi sono detto di non poterla raggiungere perché aveva trascorso quasi tutta la notte insonne e doveva essere distrutta.
Quasi altri tre, quando si aggirava per camera scalza con solo indosso un asciugamano ridottissimo: lì ho rischiato grosso.
Ma la certezza l’ho avuta quando in pochi millesimi di secondo ho registrato ogni dettaglio del suo abbigliamento allorchè è scesa in cucina per fare colazione: pantalone di pelle nero, maglietta bianca aderente, chiodo nero appoggiato su un braccio, stivali neri.
Bella voleva prendere la moto.
Aveva imparato a guidarla nel periodo in cui Jacob frequentava la sua casa ed io ero lontano, ed era gelosissima del suo trabiccolo, un XT 125 rimesso a nuovo proprio dal cane … Tuttavia non aveva mostrato più alcun desiderio di usarlo da quando eravamo in Virginia.
Fino ad oggi.
Mi era occorso tutto il mio fascino vampiro per convincerla, senza che se ne avvedesse, a farsi accompagnare da me, invece che andare da sola.
«Tesoro, sei pronta?» le avevo chiesto.
«Mmm, mmm» di spalle, aveva annuito con il capo, mentre masticava un pancake e reggeva con la mano un bicchiere di succo d’arancia.
Non si era resa conto che avevo preso le chiavi dell’Aston e che l’aspettavo sulla porta, appoggiato allo stipite con aria indolente, ma in posizione strategica per mettere in evidenza i pettorali e gli addominali fasciati in una maglietta nera aderente. Avevo messo su uno sguardo malizioso e mi ero preparato a ridurla KO.
Dovetti trattenere un sorriso quando si era girata ed aveva spalancato la bocca mezza piena e mezzo imbambolata. Quando avevo passato la punta della lingua tra le labbra, l’avevo vista quasi strozzarsi con il boccone che stava deglutendo. Mi ero avvicinato lentamente, mettendoci tutta la grazia possibile e l’avevo osservata sbarrare gli occhi, quando una mia lieve carezza studiata era finita nell’avvolgere la sua mano. A quel punto avrei potuto portarla ovunque avessi voluto.
In garage si era bloccata solo un attimo esitante vicino alla sua moto. Poi mi aveva guardato e aveva proseguito dicendo rassegnata: «Almeno prendiamo la Volvo …»”
Mi appoggio al tronco di un albero a beneficio di qualche studente che passa trafelato nel vialetto alberato e mi lancia qualche occhiata distratta.
Il compromesso sta nel fatto che Bella non deve sapere che la tengo d’occhio, ma deve credere di essere sola. Così non faccio danno a nessuno.
Mi preparo all’ascolto.
Il Prof. ha già cominciato la lezione. Lo osservo attraverso gli occhi infatuati delle studentesse che si sbracciano per farsi notare da lui. E’ deprimente. La maggior parte di queste non ascolta minimamente il significato delle sue parole, ma fa voli pindarici con la fantasia … isole deserte, spiagge sconfinate, passeggiate mano con la mano …
Scuoto la testa e le labbra si incurvano in un mezzo sorriso quando intercetto Bella nei pensieri della sua amica Helèna.
Caspita quanti appunti che ha preso Bella … devo sbrigarmi, non voglio fare la figura della debosciata e chiederle di passarmeli, non sarebbe giusto nei suoi confronti …
Approvo mentalmente. La ragazza è onesta.
Ma come fa ad essere così veloce? Helèna si sta demoralizzando. Per fortuna che non ha visto noi mentre prendiamo appunti a lezione …
L’ora scorre lenta. Bella è una studentessa attenta, seria e concentrata. Non si distrae quasi mai. L’intera platea sembra essere ipnotizzata dal giovane professore. Devo ammettere che ha un certo carisma.
«Bene. Direi che per oggi possa bastare. In merito alle vostre risposte per il compito della scorsa settimana …» la voce del tale Eric Jensen cattura la mia attenzione, il brusio della sala si spegne. Finalmente, voglio proprio capire che metodo di insegnamento usa il nostro Rodolfo Valentino. Bella mi aveva fatto impazzire scervellandosi su un foglio per un intero pomeriggio e pretendendo di essere lasciata sola. Dalla camera da letto era passata al bagno con un’aria sfuggente e stringendosi un notes al petto con fare stizzito.
Non c’è modo più incisivo per stuzzicare la mia curiosità del farmi capire di non impicciarmi. Una mezza occhiata al notes incustodito della durata di non più di otto centesimi di secondo mi era bastata per leggere quattro righe e mezzo di scritto alla domanda –Perché sono qui?- Questa la risposta di mia moglie:

Il motivo del perché sia qui non mi è molto chiaro. Credo che le cose giuste da dire siano cose come “amore per la cultura”, “costruirmi un avvenire solido” o “ seguire le orme di famiglia”. Penso che i miei colleghi scriveranno questo. Io spero solo di dimostrare a me stessa che avevo tutte le carte in regola per farcela.

«Vorrei ringraziare tutti voi per l’impegno in cui vi siete profusi, mi servirà per effettuare una valutazione più completa del vostro operato in questo corso. Tengo a dirvi che, tuttavia, ciò non influenzerà in alcun modo il risultato dell’esame. Bene è tutto.» la voce del Prof. si interrompe un attimo. Le sue labbra si increspano in un sorriso che nasconde abbassando il capo su un foglio.
Sorrido anche io vedendo nei suoi pensieri certe frasi di alcuni scritti. E’ assurdo quanto sia stata sfacciata la metà degli studenti :
… Mi chiamo Henry Wintaker, figlio di Lu Wintaker magnate dell’industria del cuoio …
… Sono qui per diventare qualcuno a tutti i COSTI
… Il mio nome è Julia Miller, il mio numero di cell. è 321
Come questi finiscono anche moltissimi altri scritti. A parte i palesi tentativi di corruzione, devo ammettere che il Prof. riscuote un certo successo.
Sospiro pensando che queste schifezze ci sono in ogni tempo e in ogni luogo e mi compiaccio una volta di più per la perla rara che ho trovato e che ho sposato.
«Prima di salutarci, vorrei che questi studenti che nominerò mi raggiungano dopo nel mio studio:
Francisco Sanchez, Mia Torres, Charles Hill, Victor Banner, Helèna Roberts e … Isabella Swan.
Grazie per l’attenzione ragazzi. Ci vediamo alla prossima lezione.» termina cominciando a raccogliere i fogli sparsi sulla cattedra.
I miei occhi diventano due fessure mentre mi concentro sulla mente di Jensen. Non riesco più a sintonizzarmi sui suoi pensieri perché improvvisamente viene accerchiato da un nugolo di ragazze e allampanati che sgomitano tra loro per guadagnarsi la sua attenzione.
Che vorrà adesso da questi sei studenti, ivi compresa anche Bella?
Decisamente questo Jensen è un tipo non convenzionale. Poco male, dovrò seguirlo nel suo studio per saperlo.
Faccio spallucce e mi raddrizzo, ma non riesco a muovere nemmeno un passo che un’ombra mi si fionda davanti. Pochi centesimi di secondo mi servono per registrare il suo odore, prima ancora di vederlo.
Jasper.
Mi guarda sornione con le mani sui fianchi.
«Ma non dovresti andare a lezione tu?» gli chiedo infastidito cercando di aggirarlo.
Fermo dove sei … pensa continuando a guardarmi come se la sapesse lunga. Fa, intanto, un passo nella stessa direzione in cui l’ho fatto io.
Inclino la testa di lato e lo guardo inarcando un sopracciglio.
«Vuoi forse metterti sulla mia strada Jasper?» gli chiedo un po’ sorpreso e un po’ seccato.
Vedo il suo viso schiarirsi in un ampio sorriso.
Decisamente sì, se ho cara la vita. Alice mi regalerà la cicatrice più grande che il mio corpo possa contenere se ti faccio andare su con loro. Pensa veloce, cerca di spiegarsi rapidamente. Suvvia Edward, ragiona: è in compagnia di altri cinque studenti, si sta recando in uno studio di un professore, cosa vuoi che le succeda?!
Ci fissiamo negli occhi per un istante lunghissimo.
Ha ragione. Sono paranoico e maniacale.
Sente che sto cedendo. Vai a casa, io rimango a portata d’orecchio. Promesso. Sa quello che deve dirmi, sa come lo deve dire. E’ un oratore nato.
Mi volto per dirigermi verso la boscaglia.
E solo ora mi accorgo che il senso di fastidio che provo non è scemato neanche un po’. Mentre volo in mezzo agli alberi, con il vento che mi accarezza il viso, ripercorro rapido le informazioni che ho avuto nella mia mattinata alla James Bond.
Non mi dà fastidio che Bella abbia degli interessi che non includano me, neanche che frequenti altre persone oltre a me. No, sarò un maniaco paranoico, ma sono obiettivo.
Raggiungo casa e varco il cancello d’entrata.
Mi fermo come fulminato da una rivelazione.
Rapidamente faccio tre passi indietro e osservo inebetito la cassetta delle lettere posizionata proprio di fianco al cancello.
Osservo le lettere impresse in rilievo sul metallo: Cullen
“Swan. Isabella Swan.”
Ecco cosa mi ha turbato.
Bella ha dato il suo nome da nubile.

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari eccoci a noi …
L’abbigliamento di Bella che ha “illuminato” Edward …
La moto di Bella in versione rossa o blu, scegliete la vostra preferita!
Ci tengo a rispondere ai commenti:
Keska: Ciao piccola, è un vero piacere ricevere il tuo commento! Sono contenta che i cambiamenti di stile ti piacciano, sono ancora in un terreno minato, ma ci sto lavorando… La storia si sta complicando, ingarbugliarla troppo non sarà facile, ma mi impegnerò giuro! Ti prego fammi notare se dovessi essere troppo criptica, ci conto!!!! Kiss
Cloe cullen: non posso sbottonarmi riguardo il futuro, ma ci saranno momenti difficilotti per entrambi. Grazie per i commenti, so che sei una fedelissima e i tuoi li leggo sempre con piacere. Thanks and kiss
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra preferiti/seguiti e a coloro che lo stanno facendo anche con la mia prima fic “My new moon”. Recensioni sono sempre gradite, in bene e in male, anche “postume”. Grazie anche a chi legge e basta, preferendo rimanere nell’ombra.
Per il prossimo aggiornamento potrebbero esserci dei ritardi, oggi porto il pc in riparazione, SIGH!!! Ma non temete, scriverò lo stesso anche se dovessi farlo sui fogli...
Vi ho annoiato abbastanza … ci si vede!!!

Bye
M.Luisa


CREDITS:Vorrei ringraziare sentitamente una ragazza che ritengo essere una scrittrice di enorme talento, Stupid Lamb. Grazie a lei ho scoperto l'artista dei link musicali e ho avuto modo di apprezzare un nuovo stile di scrittura.
   
 
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