Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    10/10/2009    5 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 3 – Preoccupazioni e pulci nelle orecchie
(Mikan)


Del mio stato di dormiveglia, ricordavo freddo e la voce di Natsume. Solo dopo mi svegliai, accorgendomi che lui non era più insieme a me, ma che, al suo posto, c'era una coperta. Mi sorpresi della sua gentilezza ancora una volta. Già... ma lui dov'era alle – guardai l'ora – tre di notte? Non si sentivano rumori dal bagno, perciò presumetti che davvero non fosse più nella camera. Aprii la porta, per vedere se fosse appena uscito e lo chiamai.
«Natsume?» ma non ricevetti risposta. Richiusi la porta e mi rimisi a letto, convinta che fosse andato in camera sua a prendere un cambio o qualcosa perché aveva freddo e che sarebbe tornato subito. Tuttavia, se tornò, non lo sentii, perché fu la sveglia a svegliarmi, la seconda volta. Scossi la testa, mentre mi riparavo gli occhi dalla fastidiosa luce mattutina. Le cinque e mezzo. Avevo tutto il tempo del mondo per prepararmi. Ma Natsume... dov'era? Mi domandai se, come ogni volta, non mi avesse aspettato per andare a fare colazione. Mi diedi almeno dieci volte dell'idiota perché pensavo che le cose sarebbero cambiate. In dieci minuti mi feci una doccia e mi misi la divisa, mentre sbadigliavo a ogni passo che facevo: non avevo dormito poi molto, come promesso.
Sbuffai, arrossendo mentre guardavo il letto. Pensare alla notte appena trascorsa mi faceva andare a fuoco le guance, e pensavo davvero che Natsume se la fosse svignata per non aiutarmi a cambiare il letto. Con tutta la forza di volontà che possedevo, tirai via le lenzuola e le misi nel cesto della lavanderia, non sapendo che pensare. Nessuno di noi si era mai avventurato nell'argomento, né per i corridoi, né in confidenza, per esempio nelle volte in cui io e le mie amiche andavamo a Central Town. Scesi le scale con lentezza, per evitare di farmele tutte sul fondoschiena, visto che non vedevo assolutamente niente con quel cesto strapieno tra le mani. Conoscendomi, sarebbe stata la migliore delle aspettative. Mentre mettevo il gettone nella lavatrice, mi venne in mente che una volta Sumire aveva detto che quello era un passo importante in una relazione, anche se io non avevo capito bene il discorso che aveva fatto: aveva detto qualcosa sulla prima volta tra due persone, ma in verità non ci avevo prestato molta attenzione. Non avevo idea di come, ciò che era successo quella notte, potesse rendere diversa il nostro rapporto; insomma... non mi aspettavo davvero che Natsume diventasse un ragazzo romantico, non era proprio da lui, anche se non mi avrebbe dato fastidio un po' di romanticismo. Mentre mi concentravo su questi pensieri, la lavatrice emise un suono, avvertendomi che aveva finito il suo lavoro. Era incredibile come le abilità Tecniche avessero velocizzato quelle macchine!

Alle sette ero in sala mensa, impeccabile – tranne che per i capelli: non sapevo dove fosse il secondo nastro, e avevo deciso di lasciarli sciolti, anche per via di ciò che aveva detto Natsume la sera prima –, adosso avevo la mia divisa con la gonna, finalmente marrone. Essere una studentessa delle superiori mi riempiva d'orgoglio: tutti quei bambini delle elementari e delle medie che mi guardavano con ammirazione e mi chiamavano «Senpai» era ciò che avevo sempre desiderato. Sì, insomma, mi faceva sentire meno stupida di quel che diceva Hotaru, ed era una gran cosa dal mio punto di vista.
«Buongiorno, Hotaru!» sorrisi, vedendola arrivare a mensa, mentre lei, senza guardarmi, mi rispondeva con un glaciale «Buongiorno.» rabbrividii.
«Ti è successo qualcosa?» mi chiese, facendomi andare tutti i sensi in iper allerta. Come cavolo faceva a sapere sempre tutto? Peccato che Hotaru fosse un genio e le bastasse un'occhiata del tutto superficiale per leggermi come si fa con un libro aperto.
«Ehm...» dissi, ridendo nervosamente, tanto per non dare nell'occhio. «niente, cosa sarebbe dovuto succedere?» potevo anche correre a nascondermi se avesse disgraziatamente indovinato. Questo era, forse, il momento più imbarazzante di tutta la mia vita.
«Mi sembri strana.» ammise, prestandomi più attenzione di quanto non facesse normalmente. Sotto il suo sguardo indagatore, sentivo la testa trasparente, come se lei potesse vederci dentro tanto chiaramente quanto me, e avevo paura che scoprisse tutto. Non ero ancora pronta per parlarne con le amiche, era troppo difficile! «Forse sono solo i tuoi capelli, non sono abituata a vederli sciolti. Come mai questa novità?»
«Ehm... ecco... ecco... Volevo cambiare un po'... sì, ecco: volevo proprio cambiare un po'!» mentii, ma non fui sicura di non essere stata molto convincente, ma lei alzò le spalle, incurante. Ringraziai mentalmente quel particolare di lei che mi aveva sempre dato fastidio. Lei andò a sedersi, riprendendo a ignorarmi, come ogni mattina. Al contrario del solito, mi guardai intorno, in cerca di Natsume, dato che, ancora, non si era fatto vivo, ma di lui non c'era neanche l'ombra. Infatti, Ruka era da solo dove, di solito, si sedevano insieme. Mi diressi verso di lui, sperando, in qualche modo, di poter rimediare qualche informazione utile. «Buongiorno, Ruka-pyon!»
Lui alzò lo sguardo dal coniglietto che teneva in braccio e mi fece un sorriso a trentadue denti. «Buongiorno, Mikan-chan.» rispose, mentre gli servivano la colazione e ne passava un po' al suo piccolo amico. «Tutto bene?»
«Beh... bene.» mi corressi, mordendomi la lingua. Avrei voluto chiedergli subito se sapeva dov'era Natsume, ma mi trattenni. Non volevo sembrare il tipo che si preoccupa dopo i primi cinque minuti d'assenza, anche se... in effetti neanche alle tre l'avevo visto. Feci un respiro profondo, con l'intenzione di calmarmi. «E tu?»
«Oh, bene, ti ringrazio.» mi disse, invitandomi a sedermi accanto a lui con un gesto del braccio. Accettai, e dopo un po' si unii a noi You-chan: aveva quasi dieci anni, ed era il bambino più adorabile che avessi mai conosciuto. «Buongiorno, Youichi.» gli sorrisi. Lui ci fece un cenno con la testa.
«Buongiorno, Ruka onii-chan, Mikan onee-chan.» rispose lui, sedendosi, portandosi dietro anche Bear, che aveva cominciato a prenderlo, sorprendentemente, in simpatia. Kaname-senpai passava ancora molto tempo in ospedale e adesso, oltre che a Tsubasa-senpai, Bear era diventato molto attaccato anche a Youichi. A me metteva sempre ancora un po' di paura, e non gli avevo mai dato troppa confidenza; in fondo, la promessa a Kaname-senpai era stata mantenuta e Bear adesso aveva qualcuno di cui era amico. Mi tenni a debita distanza, date le mie precedenti esperienze poco piacevoli. Era grazioso quanto doloroso. Nessuno dei due nominò Natsume per tutta la durata del pasto, parlammo d'altro, come per esempio la vicinanza degli esami di fine semestre, la qual cosa mi terrorizzava, soprattutto adesso che il mio libro di matematica, la materia in cui ero più carente, aveva preso fuoco. Quando lo raccontai, sia Ruka che Youichi scoppiarono a ridere.
«È sempre il solito.» fu il commento di Ruka. Mi domandai come la cosa potesse divertirlo, dato che, almeno per il momento, non ci trovavo niente da ridere. Anzi, lo trovavo un problema spaventosamente grande e non sapevo se Hotaru sarebbe stata disposta a prestarmi il suo, dato che, anche lei, doveva studiare. Insomma, in parole povere, ero spacciata. Tuttavia, senza capirne il motivo, non riuscivo ad avercela a morte con Natsume.
«A proposito...» buttai lì con nochalance, per non far intendere che mi interessasse troppo, ma io non ero mai stata brava a cambiare discorso con naturalezza. Anche se. adesso che avevamo parlato di lui, era tutto più facile. «dov'è quel disgraziato? Devo ancora fargliela pagare.»
«Puoi stare tranquilla con noi, Mikan.» disse Youichi, più attento al coniglio di Ruka che a me, mentre lo imboccava. «Lo sappiamo.» raggelai all'istante. Che cosa sapevano?
«Scusami?» domandai, in preda al panico. Poi mi rilassai un secondo: se erano loro a saperlo, doveva essere stato Natsume a dirglielo. Mi costrinsi a dimostrarmi tranquilla.
«Di te e di lui.» spiegò Ruka, con uno sguardo eloquente, della serie: ''Non farmelo dire proprio qui a mensa''. Io arrossii. Lui poteva dirlo agli amici, Hotaru e Iinchou però non potevano saperlo. Sbuffai, chiedendomi perché tanta segretezza. Si vergognava forse di me?
«Ve l'ha detto lui?» chiesi, tanto per avere una conferma. Loro scossero la testa, entrambi. E subito tornai a sentire il sangue freddo come ghiaccio nelle vene. «Co... come?» provai a pensare a come avevano potuto scoprirlo, dato che Natsume aveva fatto letteralmente di tutto per evitare che qualcuno sospettasse qualcosa o ci vedesse insieme. Chi avrebbe mai potuto prevederlo? E, soprattutto, mi domandai come l'avrebbe presa.
«È un po' di tempo che è strano.» spiegò Ruka, a bassa voce, in modo che potessimo sentire solo noi tre. «E poi, al suo compleanno, anche che io e You-chan eravamo andati a prendere il regalo, quando siamo tornati, ecco, eravate in atteggiamenti un po'... ecco... intimi.» era un po' a disagio, e pensai a quell'occasione.
Spalancai la bocca per lo stupore e arrossii per la vergogna. Quella sera stavamo per farlo sul divano della camera di Natsume, e sperai che non fosse proprio quella scena che avevano visto, soprattutto per You-chan. Ricordavo che, quella sera, avevo cercato di ricordargli che, prima o poi, Ruka e Youichi sarebbero tornati e lui si era convinto. Dopo circa due minuti, erano sbucati dalla porta. Sospirai, chiedendomi cos'altro avrebbero potuto vedere. «Non ti preoccupare.» per la prima volta, quella mattina, Youichi si girò a guardarmi coi suoi bellissimi e inquietanti occhi grigi. «Non lo diremo a nessuno. E neanche Bear, dato che non sa parlare. Su, prometti Bear.» l'orso annuì, guardandomi in modo strano, mentre mi domandavo se stesse per tirare fuori i guantoni da boxe e mettermi al tappeto con un colpo solo. La sola idea mi mise i brividi, così mi alzai, li salutai e mi diressi alla velocità della luce fuori dalla mensa. Perlomeno, avevo ancora il naso intero. Questa poteva già essere considerata una conquista.

Quando entrai in classe, nessun altro sembrava aver fatto caso all'assenza di Natsume, probabilmente era perché di rado partecipava alle lezioni. Mi sedetti accanto a Hotaru, che alzò lo sguardo su di me. Per un attimo sperai che volesse consolarmi; ma come poteva, se neanche sapeva il mio grossissimo problema? Aprì la bocca per dire qualcosa, e aspettai con ansia le sue parole. Dopotutto era un genio, ci stava benissimo che avesse capito tutto e che adesso volesse darmi conforto.
«Quello è il posto di Iinchou.» mi fece notare, e la mia depressione aumentò. Come poteva essere così fredda, quando avevo così bisogno del suo sostegno? Sospirai, sconsolata, finché non arrivò Yuu.
«Non ti preoccupare, Mikan-chan.» mi disse, col suo sorriso che metteva allegria. «Resta pure lì, se vuoi.» andò a sedersi una fila dietro di noi. Adoravo Iinchou, era sempre così gentile e disponibile! Tutto il contrario della mia migliore amica.
«Grazie mille, Iinchou!» dissi, rincuorata. Era la seconda persona che si rivolgeva a me con gentilezza da che avevo fatto colazione. Ne avevo proprio bisogno.
«Puoi restare,» mi disse Hotaru, tornando a prestare attenzione al suo cervello di granchio. Era così disgustoso che mi chiedevo come facesse a mangiarlo, mi veniva da vomitare al solo pensiero. «basta che non mi distrai durante la lezione. Altrimenti userò la mia arma anti-idiota. Chiaro?»
Annuii, velocemente. Hotaru e le sue armi erano più terrificanti di qualunque altra cosa. «Chiarissimo.» lei mostrò un'espressione non diversa dal solito, ma chissà perché mi diede l'impressione che non mi avesse creduto.
Non le parlai per il resto delle lezioni; anzi, a dire il vero, non ascoltai una sola parola di tutte quelle che i professori dicevano, e le gomitate di Hotaru mi salvarono in corner qualche volta.
Quando stavamo per andare a mensa per il pranzo, Hotaru si affiancò a me. «Che succede?» mi chiese, senza preamboli; alla fine, l'aveva capito che non erano i capelli la cosa che non andava. Non risposi subito, perché non sapevo bene da dove cominciare. Decisi di parlargliene, semplicemente perché avevo bisogno di farlo.
«Hotaru...» dissi, praticamente lasciandomi cadere sulla sedia. «sono depressa.»
«Mikan, tralascia le cose ovvie.» mi rispose, prendendo posto accanto a me, mentre si lasciava servire il pranzo. A volte, avrei voluto essere fredda come lei, se non altro avrei evitato un sacco di problemi e preoccupazioni. Io annuii.
«C'è una cosa che non ti ho mai detto.» bisbigliai; lei parve stupita, per quanto la sua espressione potesse mostrare stupore. «Sto con Natsume.» okay, avevo sganciato la bomba, dovevo solo sperare che non si sarebbe messa a gridare, il che sarebbe stato incredibile, soprattutto se si parla di Hotaru. Non l'avevo mai vista neanche alzare un po' la voce.
Lei cominciò a mangiare il riso, con una calma innaturale che mi mise l'angoscia. Mi sembrava quasi che mi avesse ignorata. «Mikan,» disse, poi, guardandomi annoiata. «Ti ho già detto di tralasciare le cose ovvie.»
Ci rimasi di sasso. Non sapevo che la cosa fosse così palese. Già tre persone, oltre me e Natsume, sapevano che stavamo insieme, e noi pretendevamo che la cosa fosse segreta? «Comunque sia, è questo il mio problema!» cercai di spiegarle, scacciando via il problema della segretezza della nostra relazione. Non le raccontai di quello che era successo recentemente. «Non riesco più a trovarlo da nessuna parte. Mi chiedo dove possa essere andato.»
«Da quanto non lo vedi?» mi domandò lei. Mi sembrava che fosse più interessata al suo pranzo che al mio atroce problema. Ma Hotaru raramente dimostrava interesse per qualcosa che non fossero le sue invenzioni, o qualcosa che le avrebbe fatto guadagnare soldi; comunque, ci pensai su.
«Da ieri sera.» dissi, poi mi affrettai a rettificare: «Da ieri sera a cena.» lei mi guardò, indecisa. Mi chiesi se avesse capito che non le avevo detto proprio tutta la verità, il che era molto più che possibile.
«Salta quasi sempre le lezioni, di che ti preoccupi?» mi disse indifferente, alzando le spalle. Sospirai. Davvero non poteva capire, se non le raccontavo tutta la storia?
«Ho un brutto presentimento.» le confessai, e lei alzò gli occhi al cielo. Aspettai con trepidazione che mi dicesse qualunque cosa.
«Ti ha trattata in modo diverso, negli ultimi tempi?» io annuii: era stato fin troppo gentile. Lei parve pensarci un po'. «Descrivimi il suo comportamento. Proverò a darti una mano.» sembrava quasi rassegnata ad ascoltare le mie chiacchiere.
«Beh, ecco... è stato un po' troppo più gentile del solito.» Hotaru mi guardò come se le avessi appena detto che avevo ucciso qualcuno. «Lo sai come si comporta di solito, no? Si comportava così anche con me. Non si può cambiare comportamento nello spazio di dieci minuti!»
«Beh, magari si è stancato di te e si sente un po' in colpa per averti illusa per...» sembrò contare mentalmente «...otto mesi.» raggelai. Sapeva anche da quanto stavamo insieme? Eravamo stati così idioti da pensare che fosse tutto segreto, e poi, magari, tutta l'Accademia sapeva di noi, forse addirittura prima che ci mettessimo insieme? Subito dopo aver pensato questo, elaborai anche il resto della frase.
«Che hai detto?» per poco non lo gridai. Non poteva essere la verità, vero? Natsume non mi avrebbe mai fatto questo, no?
«Beh, devi ammettere che è plausibile.» mi fece notare, pulendosi la bocca con il tovagliolino di carta. La guardai terrorizzata: se voleva consolarmi, aveva ottenuto quello che si chiama “effetto contrario” perché adesso la mia depressione era quadruplicata. «Pensaci. Lui è un genio, e tu no. Un genio ha bisogno di parecchi stimoli per la propria intelligenza.» si alzò e si diresse verso l'uscita della mensa, lasciandomi seduta a pensare che la causa della sua scomparsa potesse essere la mia stupidità. Mi accorsi di non averci mai pensato e, soprattutto, non avevo mai pensato al fatto che fosse una spiegazione abbastanza convincente.
«Hotaru, mi stai dicendo una bugia, non è vero?» lei mi fece la linguaccia, lasciandomi ancora più perplessa e confusa. Mi chiesi se mi avesse presa in giro per tutta la durata della discussione che avevamo avuto. «Hotaru!» gridai, ma lei non si fermò.

Lo aspettai al solito albero per tutto il pomeriggio e poco prima di cena. Non arrivò nessuno e, depressa, mi avviai verso la mensa dove non mangiai quasi niente e non rivolsi la parola a nessuno. Probabilmente, il mio malumore si poteva percepire a chilometri di distanza, neanche Ruka-pyon venne a sedersi vicino a me. Inoltre, quella notte non riuscii a dormire, e il giorno dopo, fu anche peggiore da affrontare, senza neanche un'ora di sonno. Sospirai di nuovo, tristemente, mentre mi guardavo allo specchio, maledicendomi per essere così maledettamente apprensiva. Peggio ancora, non riuscivo in nessun modo a trovare uno dei miei nastri per capelli. Avevo cercato in ogni più piccolo spazio della mia camera, e non voleva saltare assolutamente fuori.
Per peggiorare la situazione ulteriormente, proprio perché, come si dice, al peggio non c'è mai fine, Natsume non si fece vivo in nessuno modo neanche il giorno successivo. Ero anche andata a cercarlo in camera sua, ma non mi aveva risposto nessuno e la porta era chiusa a chiave. Come potevo non preoccuparmi? Non riuscivo a stare ferma in uno stesso posto per più di trenta secondi, e non avevo neanche aperto libro, non che mi importasse poi più di tanto. Volevo solo sapere dov'era andato quel disgraziato, sapere se stava bene, e se stava bene, picchiarlo talmente forte da fargli ricordare, per la volta in cui sarebbe successo di nuovo, di avvertire quando aveva intenzione di scomparire per più di mezz'ora dalla mia esistenza.
Era tardo pomeriggio quando decisi di andare a passeggiare nel cortile, scoraggiata più che mai. Insomma, neanche Ruka-pyon sembrava sapere dove fosse. Poi ci si metteva anche Hotaru a mettermi le pulci nelle orecchie, accidenti a lei. Non aveva smesso un minuto, dopo che le avevo raccontato della nostra storia, di trovare tutti i possibili motivi per cui poteva essersene andato. Aveva anche ipotizzato che fosse fuggito dall'Accademia lasciandomi indietro. Ero convinta che quest'ultima ipotesi fosse la meno plausibile, ma perché diavolo non tornava?
«Mikan-chan.» mi sentii chiamare. Mi girai e vidi Narumi-sensei. Fu come se avessi rivisto un vecchio amico dopo tanto tempo e gli corsi incontro. «Cosa fai qui?» era sempre stato come un padre per me e quando lo abbracciai mi sentii come quando abbracciavo il nonno, come se fossi con qualcuno di famiglia. Lui mi guardò come se non mi vedesse, e mi chiesi a che stesse pensando.
«Tutto bene?» domandai, preoccupata. Che avesse anche lui qualche problema? Sperai che non fosse la settimana nera dell'anno, anche perché era appena cominciata ed ero già abbastanza giù di morale per poterla sopportare fino alla fine. «Narumi-sensei?»
Lui sembrò tornare alla realtà, mentre mi guardava con un espressione nostalgica. «Mi ricordi molto una persona con cui andavo a scuola, con i capelli così. Tutto qui.»
Cercai di sorridergli. «Ricordavi i vecchi tempi, Otou-san?» volli sapere. Lui si mise a ridere, ma non ebbi lo stimolo di ridere con lui. Era dal giorno prima che non sentivo il bisogno irrefrenabile di sorridere, come succedeva di solito.
«Mi fai sentire vecchio, così, Mikan-chan.» protestò. Era un po' che non ci vedevamo, dopotutto lui era nella sezione elementari e incontrarsi era veramente arduo. «Sei cresciuta molto dall'ultima volta che ci siamo visti.»
«Davvero?» domandai. Io non mi accorgevo di questi cambiamenti che tutti notavano in me; anche il nonno, l'ultima volta che gli avevo mandato una foto, mi aveva chiesto se quella era davvero la sua adorata nipotina cresciuta lontano da lui. Non credo che abbia mai superato questo fatto, e anche a me, quando ripensavo alla mia infanzia, mancava da morire.
Narumi-sensei annuì, orgoglioso come se davvero fossi stata figlia sua. Forse anche lui si sentiva come se fosse stato il mio vero padre. «Tutto bene con gli insegnanti e la scuola?» mi chiese, mentre ci sedevamo su una panchina sotto un albero completamente spoglio a causa del freddo. Mi strinsi nel cappotto, cercando di riscaldarmi, mentre le mani, benché coperte dai guanti, rischiavano di congelarsi.
«Mi terrorizzano gli esami.» confessai, sospirando, ricacciando indietro i brutti pensieri. Lui mi guardò incredulo. Effettivamente, dopo tutti gli esami di fine semestre che avevo sopportato, non era normale averne il terrore, ma io quest'anno volevo vedere il nonno! Ed era anche vero che mancava più di un mese, dato che ci doveva ancora essere la festa di Natale. «E non ho più il libro di matematica: Natsume me l'ha bruciato!» lui mi guardò come se non ci credesse. Il solo nominare Natsume fece nascere sulle mie labbra un sorriso triste.
«Sei ancora la sua partner? Dopo tutto questo tempo?» scoppiò a ridere e io mi sentii, non so perché, offesa. Dopo che ebbe finito di ridere, continuò a scuotere la testa, incredulo. «Andate più d'accordo, ora, oppure litigate come prima?» l'unica volta in cui non gli avevo urlato contro, era stato quella sera, quella prima che scomparisse. A pensarci, la paura, per poco, non mi soffocò. Dopo tutta la fatica che avevo fatto per reprimerla, mi schiacciò con tutta la sua forza. Le pensai davvero tutte: che fosse stato diverso dal solito perché sapeva che non mi avrebbe più rivista? Avevo notato che era stato strano, ma quando aveva detto che era tutto a posto gli avevo creduto senza riserve. Mi chiesi come avevo potuto essere così sciocca e superficiale. Le lacrime mi bruciarono gli occhi, e mi alzai in piedi, troppo agitata per rimanere ferma. Ma cosa potevo fare io, imprigionata dentro quelle mura a prova di Alice?
«Un po' entrambe le cose.» confessai, mentre sembrava che la preoccupazione per Natsume avrebbe dovuto squarciarmi il petto. Aprii la bocca per sfogarmi ma mi fermai, interrotta dalle parole di Narumi.
«Succede, in amore.» lo guardai, fingendo che non ci fosse nessun problema, e mi chiesi come avesse fatto a capirlo prima di me. Non mi vedeva da un anno, almeno – e noi stavamo insieme da otto mesi, ormai. Non ci eravamo neanche mai incontrati per sbaglio al festival culturale... come diamine faceva a sapere che eravamo innamorati?
«Narumi-sen..» cominciai, poi si voltò verso di me, con l'espressione di chi ha capito tutto della vita. Avrei tanto voluto capire quanto lui, in quel momento. Sentivo che le lacrime stavano per scendere, ma non volevo che mi vedesse piangere: troppe persone si stavano preoccupando per me, in quei giorni. C'erano già Hotaru, Iinchou, Ruka-pyon e forse anche Youichi.
«Non vorrai chiedermi come lo so, spero.» disse, mentre mi giravo dall'altra parte per non mostrargli le mie lacrime. «Si vedeva anche quando eravate alle elementari che tra voi c'era quel tipo di affinità. L'ho notato prima di...» non lo sentii più parlare, ma non volli voltarmi. «cosa c'è che non va?» era incredibile, l'aveva notato anche lui: tutti mi conoscevano troppo bene.
«Non c'è niente che non va, stai tranquillo, Narumi-sensei.» la mia voce diceva tutto il contrario di quello che pretendevo di spacciare per la verità. Scoppiai a piangere. Ormai non cercavo neanche più di nascondere i singhiozzi, volevo solo sapere se Natsume stava bene, non mi interessava neanche se mi aveva lasciata indietro, sempre ammesso che quella fosse la verità. Narumi mi abbracciò, e mi sentii un po' ingrata verso di lui, perché volevo che fosse qualcun altro a farlo.
«Dai, dimmi che succede.» non risposi, mi strinsi semplicemente di più a lui, senza fare altro che singhiozzare. Era l'unico modo per sfogare la preoccupazione e l'oppressione che sentivo. «Se non mi dici che succede, non posso aiutarti.» forse furono quelle parole a convincermi a parlare, o forse il fatto che Narumi-sensei aveva sempre fatto di tutto per aiutarmi e che, in qualche modo, c'era sempre riuscito. Ma forse, semplicemente, non riuscivo più a tenermelo dentro.
«Non ho idea di dove sia.» dissi, ma non seppi mai come fece a capire, dato che ebbi difficoltà a interpretare le mie parole io stessa: avevo la bocca impastata per via delle lacrime e la voce roca. «Sono più di due giorni che non so niente.»
Non ebbe bisogno di chiedermi di chi stavo parlando. «Sai, Mikan,» mi disse, stringendomi di più a sé. «sono più di due giorni che neanche Persona, Ibaragi e Andou si vedono in giro. Probabilmente sono nel bel mezzo di una missione.»
Alzai la testa per guardarlo in faccia, sentendomi improvvisamente un'idiota per non averci pensato da sola. Continuavo a piangere, e dopo qualche secondo, cominciai anche a tremare: io sapevo che le missioni della classe delle Abilità Pericolose erano peggiori di quanto si dicesse in giro. Gli alunni che venivano scelti, difficilmente ritornavano a scuola indenni. Mi rifiutai categoricamente di pensare al peggio. «Che... che genere di missione?» biascicai, sperando ardentemente che non fosse tanto pericolosa da far rischiare la vita a qualcuno di loro. Non avrei potuto sopportarlo: il solo pensiero mi faceva cedere le ginocchia.
Ma Narumi-sensei scosse la testa, dispiaciuto. «Questo, mi dispiace,» mi rispose, accarezzandomi la testa, in modo affettuoso, cercando di calmarmi. «non lo so neanch'io.»
Se lui non mi avesse trattenuto saldamente, probabilmente sarei caduta a terra. Avevo perso le forze per via della preoccupazione, del pianto disperato e della stanchezza di due giorni senza sufficienti ore di sonno. Ero talmente distrutta che non mi accorgevo neanche più di stare piangendo. «T... torneranno, vero?» chiesi, avvertendo sempre più lontana la sensazione delle sue braccia che mi stringevano. Anche la mia voce arrivò alle mie orecchie come un suono ovattato. «Torneranno sani e salvi, vero?» Non rispose, sospirò e basta. Probabilmente, non voleva darmi false speranze, ma era l'unica cosa di cui, in quel momento, avevo realmente bisogno.
Una voce mi riportò alla realtà, tanto repentinamente che rimasi, per qualche attimo, molto confusa. «Non dovresti prenderti tutte queste libertà, Naru.» fu quello che sentii. «Soprattutto con una ragazza fidanzata. Il suo ragazzo potrebbe essere geloso.»
Alzai lo sguardo per incontrare quello che desideravo rivedere da giorni. I suoi occhi, di quello stranissimo e brillante rosso fuoco mi fissarono. Mi scostai da Narumi non so con quale forza, dato che prima sentivo di non averne e, automaticamente, senza che io neanche pensassi di farlo, le mie gambe corsero verso di lui. «Natsume!» gridai, senza smettere di piangere, con l'unica differenza che, stavolta, erano lacrime di gioia. Mi gettai tra le sue braccia, senza troppi complimenti. Lui mi afferrò all'istante, stringendomi in un abbraccio soffocante che non vedevo l'ora di ricevere. Era lì, in carne e ossa. Non mi importò di nient'altro, né della testa che mi girava come una trottola, né della stanchezza. Sarebbe potuto esplodere tutto, non me ne sarei neanche accorta.
Feci appena in tempo ad alzare la testa che sentii le sue labbra sulle mie. La mia mente era troppo vuota per via del sollievo per pensare a qualcos'altro. Fu quando ci separammo che il mio cervello fu di nuovo in grado di formulare un pensiero coerente e di fare un ragionamento. «Sono tornato.» fu tutto quello che disse. Lo guardai, incredula, lui mi restituì lo sguardo e avrei voluto che durasse per sempre. Mi sorrise; sembrava così stanco. «Sono tornato.» sentirglielo ripetere non fece altro che renderlo più reale.
Mi asciugai le lacrime con la manica del cappotto, e non sapevo cosa dire. La contentezza era così tanta che non potevo fare nient'altro che guardarlo, per essere sicura che fosse davvero lui e che fosse davvero lì. «Non farlo più.» pregai, mentre il mio viso era nascosto nel suo maglione. Non aveva una giacca addosso e mi chiesi come stava sopravvivendo a quel freddo polare. Alzai la testa per guardarlo e vidi che un consistente pubblico si era formato nel cortile, intorno a noi. Arrossii e abbassai lo sguardo, un po' infastidita e intimidita da tutti quegli studenti che ci guardavano curiosi. «Ehm... ci stanno guardando tutti...» osservai, poi, in imbarazzo, mentre cercavo il più possibile di sottrarmi a tutti quegli sguardi sbalorditi.
«Ignorali.» bisbigliò, sollevandomi il viso, così che potessi guardarlo negli occhi. Mi sorpresero le sue parole, perché facevano crollare tutte le teorie che avevo messo in piedi per spiegare il fatto che non volesse dire di noi a nessuno. Mi chiesi perché avesse cambiato idea, ma non ebbe più importanza nell'istante in cui mi baciò di nuovo: c'eravamo solo io e lui; in fondo era questo l'importante. Senza preavviso, mi prese in braccio e cominciò a dirigersi verso l'entrata del dormitorio dei ragazzi. Quasi mi misi a gridare per la sorpresa. Gli sguardi dei ragazzi che ci vedevano passare ci seguirono finché non scomparimmo dietro la porta della camera di Natsume, facendomi solo immaginare i pettegolezzi che già stavano facendo il giro di tutta l'Accademia. Che girassero pure tutte le chiacchiere del mondo: se lui era lì con me, tutti gli studenti potevano anche dire ciò che volevano.
Mi posò delicatamente sul letto e si stese accanto a me, ma non gli diedi il tempo di dire un'altra sola parola: gli gettai le braccia al collo, stringendo più forte che potevo; non avrebbe mai più dovuto andarsene, non avrebbe mai più dovuto lasciarmi sola senza dire una parola. Allentai la presa quando lo sentii tossire. Appoggiai la testa sulla sua spalla, con gli occhi chiusi. Il solo averlo visto lì, nel cortile, sano e salvo, mi aveva tranquillizzata al punto che non riuscivo più a muovere un solo muscolo volontariamente. Il suo braccio che mi stringeva non aveva la solita forza, e mi domandai da quanto tempo non dormisse. Lui mi guardò, facendomi avvertire una fitta allo stomaco. Distolsi lo sguardo, mentre la domanda che mi aveva tormentata per giorni mi premeva sulle labbra. «Perché non mi hai detto che andavi in missione?» lo rimproverai, senza particolare risentimento: ero solo triste. Mi ero così spaventata che, al solo pensiero dei giorni appena trascorsi, mi tremavano le gambe.
«Perché ti saresti preoccupata.» rispose, sospirando stancamente. Mi sorpresi per la spiegazione, per me, completamente priva di senso; probabilmente pensava che fosse stato tutto rosa e fiori. Beh, non era così.
«Perché, secondo te, non mi sono preoccupata?» gli domandai, stringendomi le gambe al petto. «Non sapevo cosa pensare.» ed era vero: non stavo dicendo che mi sarei preoccupata di meno se avessi saputo che stava rischiando la vita per l'Accademia, ma me l'ero visto scomparire da un momento all'altro senza una spiegazione, ed era stato micidiale. Per me, poteva essergli successo di tutto.
Lui mi guardò: vidi risentimento nella sua espressione. Mi chiesi che cavolo avesse capito. «Pensavi davvero che avrei potuto abbandonarti?» il suo tono era colmo di sdegno. Per un attimo ebbi paura di averlo fatto arrabbiare; non volevo che finissimo subito ai ferri corti ora che era finalmente tornato. Però, sembrava che avesse qualcosa che non andava già da quando era tornato. «Rispondimi.» mi parve un ordine al quale era impossibile non ubbidire.
«No, scemo!» ribattei, stupita che avesse anche solo potuto pensare una cosa simile. «Chissà che pensavo ti fosse successo! Ero terrorizzata dal fatto che avrei potuto non rivederti.» distolsi lo sguardo, e lo fece anche lui. Restammo in silenzio, un silenzio maledettamente imbarazzante. Non avevamo ancora parlato di quello che era successo l'altra notte, e io non credevo di volerlo fare. Voelvo soltanto che lui restasse lì con me, anche in silenzio. La sua sola presenza sembrava capace di rendermi felice.
«Prendi.» disse, tirando qualcosa fuori dalla tasca: era il nastro che avevo cercato fino alla pazzia per tutti questi giorni. Non riuscivo davvero a capire come facesse lui ad averlo. «L'avevo preso l'altra mattina...» alzai lo sguardo per fissarlo, ma lui evitava di guardarmi. Un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra.
«Oh, Natsume!» sospirai, impressionata. Mi brillavano gli occhi. Che gesto sentimentale: non me lo sarei mai aspettato da lui! «Grazie. Ho buttato all'aria ogni cosa per cercarlo.» quando il suo sguardo incontrò di nuovo il mio, restammo immbili a fissarci, senza dire nient'altro. Mi sentivo così stupida, dato che lui era appena tornato e l'unica cosa che sapevo fare era la faccia da pesce lesso, ma ero felice che fosse lì. Quella sensazione che avevo provato quando lui non c'era era completamente sparita.
Lui sbuffò. «Ci stiamo comportando da idioti.» disse, e mi sorpresi per il fatto che l'avevo appena pensato anch'io. «Non mi pento della scelta che ho fatto.» Inclinai la testa: a che cosa si stava riferendo? Il mio sguardo doveva sembrargli particolarmente smarrito, perché sospirò, quasi rassegnato. «Parlo di noi due.»
Improvvisamente capii: «Oh. Veramente è una scelta che abbiamo fatto insieme.» lo corressi. In fondo, quella è una di quelle cose che si fanno in due.
«Quindi, è tutto a posto, no?» riprese lui, stendendosi di nuovo. «Non c'è bisogno di parlarne.» ridacchiai, e lui mi guardò come se fossi impazzita. «I tuoi sbalzi d'umore mi stupiscono sempre di più.» sembrava infastidito per qualcosa, ma non feci domande. Era quasi sempre così quando tornava dalle missioni: non mi raccontava mai niente, e pensavo che fosse perché non voleva farmi sapere che cosa succedeva quando non era in Accademia. In quel momento, vedendolo così turbato, ringraziai mentalmente che non mi mettesse a parte di quelle cose.
«Okay,» dissi, cercando di calmarmi. Mi consolai almeno un po': a quanto pare non ero l'unica che non voleva parlare di quell'argomento. «tutto a posto.»
«Mah...» fu tutto quello che disse. Allora mi stesi lì accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Avevamo completamente saltato la cena e, anche volendo, ormai era troppo tardi per pensare di rimediare qualcosa, ma non avevo fame. Mi sembrava così irreale che lui fosse lì, come se fosse stato un bel sogno. Adesso che la preoccupazione era del tutto scomparsa, era arrivato il sonno arretrato di giorni. Chiusi gli occhi e sentii quasi subito la mia testa liberarsi di tutti i pensieri.
«Buonanotte.» borbottai, sbadigliando. Presumetti che lui già dormisse, dato che non mi rispose.

*****

Risposte alle recensioni:

mikamey: c'è stato abbastanza tenero? Ho fatto i capitoli di questa lunghezza perché pensavo che, troppo lunghi, avrebbero annoiato i lettori. Lo so per esperienza XD.
marrion: hai visto perché Naru era abbracciato a Mikan? XD La spiegazione ha soddisfatto la tua curiosità? Alla prossima.
Mikuri Uchiha: grazie per i complimenti, spero che questo capitolo sia all'altezza degli altri. Fammi sapere XD.
smivanetto: beh, in italiano so che su internet siamo arrivati al terzo capitolo (in inglese sono al 121), ma non so se posso postare qui il link, quindi, se vuoi, puoi contattarmi dal mio profilo. E per il mio, che ne pensi? XD.
marzy93: Battibecchi? XD Ancora non hai visto niente! Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, forse (XD). A presto!

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto

In particolare, la new entry:

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E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
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E in particolare le new entry:

3.naruhina 7
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