CAPITOLO 1
Quando suonò la campanella il suo quaderno era
ormai tutto scarabocchiato. Che strano, non si era nemmeno resa conto di
aver mosso la penna su quel foglio, prima candido, per così tanto tempo. Era
ancora assorta nei suoi pensieri, il viso appoggiato su una mano, lo sguardo
volto oltre i vetri della finestra, quando una mano le si posò sulla spalla.
- Rumiko, noi andiamo a pranzo. Che fai, vieni?!-,
fu la frase che la ripescò dal suo mondo.
Guardò l'amica, Nanako, poi posò la penna e il
quaderno sotto il banco. - Certo... certo, vi raggiungo subito. -, rispose
pacata, prendendo il suo obento dalla cartella appesa al lato destro del banco.
Seguì le amiche fuori dall'aula. Non ascoltò le loro chiacchiere senza senso,
non ne aveva voglia, né forza. Ormai erano giorni che una pesante apatia
l'avvolgeva, rendendola incapace di provare la minima emozione.
Si sentiva letteralmente schiacciata dalle
persone che la circondavano. Erano felici, loro. Lei sentiva la sua vita
piatta, totalmente. Non aveva uno scopo, non aveva un ragazzo, la sua famiglia
era un disastro. Aveva delle amiche, certo, anche molto care, ma non riuscivano
a darle la carica giusta. E, ovviamente, c'erano loro... I due fratelli
diabolici. Ultimamente si erano divertiti molto a prenderla di mira,
probabilmente vedendola così apatica. Le facevano sempre scherzi cretini e si
divertivano a prenderla in giro, e logicamente lei non reagiva.
Rumiko Matsumoto non era né più, né meno di una
normalissima studentessa medio-borghese. Era presidentessa del consiglio degli
studenti, caposcuola, capoclasse, era tutto ciò che una madre vorrebbe come
figlia. Eppure a lei non bastava. Cosa se ne faceva dei buoni voti, se la sua
vita era talmente noiosa? Scuola casa, casa scuola, era tutto ciò che sapeva.
Rumiko era stanca di quella situazione. Non era particolarmente bella. Né
particolarmente simpatica. Semplicemente era una buona studentessa, e tutti
approfittavano di lei per farsi fare i compiti. Non aveva la forza di dire di
no. Questo é il peggior difetto che un'adolescente come lei potesse mai avere.
Ultimamente, poi, anche i suoi voti calavano. E come poteva concentrarsi nello
studio, con quelle due piaghe dei fratelli Nishikado che le rendevano la vita
impossibile? I genitori di quei due erano potenti, potevano comprare tutto, e
non per nulla avevano tentato persino di farla espellere dall'istituto. Quella
volta se l'era cavata per il rotto della cuffia. Ma ora era giunta al limite di
sopportazione, presto sarebbe crollata.
Fece per raggiungere le amiche nel cortile della
scuola, ma poco prima, fermò i suoi passi e alzo lo sguardo al cielo. Era di un
turchese splendido, anche se macchiato di qualche nuvola bianca. La brezza era
piacevolmente fresca, rinfrescava il clima un po' torrido della giornata. Si
guardò intorno sospirando. Si sentiva cadere in un buco nero, ed era veramente
una situazione sgradevole. Riprese a camminare sotto le urla civettanti di
Nanako e Yuko, raggiungendole in pochi passi.
- E tu Rumiko che ne pensi? So che non sei
particolarmente interessata agli uomini ma... dai...
- ... è veramente un grande figo! -, concluse
Yuko indicando un ragazzo contornato da uno stormo di ragazzine strillanti.
Rumiko guardò il ragazzo e fu presa da uno
spiacevole senso di nausea.
- E' l'essere più disgustoso che io abbia mai
visto!-, rispose algida. Si sedette accanto a Nanako e non aprì neanche il suo
obento. Si limitò a continuare ad osservare il ragazzo. Le sue amiche non
potevano sapere ciò che Daisuke e Daiki Nishikado le avevano combinato, più di
una volta. Non voleva la loro compassione, non voleva la compassione di
nessuno. Ravviò i capelli corvini con una mano, portandoli dietro le spalle.
Erano lunghi poco oltre le scapole, liscissimi, quasi spaghetti, e di un nero
lucente, scintillante. I suoi occhi azzurro ghiaccio, un po' nascosti dalla
montatura degli occhiali, si soffermarono ancora un po' sul ragazzo, ma quando
incontrò gli occhi di lui si voltò da un'altra parte, rovesciando il suo obento
che si aprì, lasciando cadere il suo contenuto sull'erba umida. "Che razza
di giornataccia...", pensò mentre ripuliva. Poco male, non aveva nemmeno
fame. Yuko e Nanako si guardarono preoccupate. Erano sicure che Rumiko
nascondesse loro qualcosa.
***
Si fermò ansimante per la sfrenata corsa.
Finalmente era arrivata. Questa volta se l'era svignata da scuola per un
soffio, l'avevano quasi scoperta, ma fortunatamente grazie alle sue tecniche
segrete l'aveva scampata di nuovo. Sistemò meglio la chitarra sulla spalla e
prese a camminare normalmente. Guardò estasiata quel piccolo bar malandato. Era
la loro salvezza, sua e del suo gruppo. L'anziano proprietario concedeva loro
di suonare liberamente negli orari di apertura e, in cambio, qualche serata
intrattenevano il pubblico con qualche concerto. Da giovane, raccontava sempre
Asano, era uno dei capi di uno dei più famosi gruppi punk del momento. Non
erano solo un gruppo nel contesto musicale, ma erano una banda vera e propria
e, per questo, li sosteneva più che volentieri. Si infilò velocemente nei bagni
del locale e levò la divisa per indossare dei vestiti più comodi. Ovviamente lo
stile stava nei pantaloni a vita estremamente bassa e neri, maglia piuttosto
stracciata nera anch'essa. Il tutto contornato da borchie qua e là, come
bracciale o cintura, o anche direttamente sugli abiti.
Sciolse i lunghi capelli azzurri, arricchiti da
meches blu metallizzato, che ormai le arrivavano fino a metà schiena. Aveva
deciso di tingerli per mettere in risalto il suo stile ribelle, facendo anche
una leggera permanente per renderli mossi. Lasciava solo la frangetta scalata
liscia. Calcò incredibilmente la matita nera intorno agli occhi, mettendo in
risalto il colore verde smeraldo dei suoi occhi e colorò le labbra leggermente
con un rossetto marrone. Osservò la quantità incredibile di orecchini che aveva
alle orecchie e sorrise compiaciuta.
Ripose disordinatamente la divisa del suo liceo,
l'istituto superiore Hayabusa, che era una scuola per figli di papà, di norma
inaccessibile a teppistelli quale era lei. Ma Ritsuko non se ne faceva un
problema. Era in quella scuola grazie alle possibilità finanziarie del padre,
ricco imprenditore, e se ne fregava se lui pagava per la sua istruzione. Lei
preferiva svignarsela e correre incontro al suo sogno: diventare una grande musicista.
Il padre era contro questo suo sogno, ma lei ci rideva su, e non rispettava
nemmeno le punizioni che puntualmente le infliggeva. Semplicemente scappava.
Era una vita che scappava. Aveva avuto piccoli problemini con la legge, ma suo
padre aveva messo tutto a tacere sganciando enormi somme di denaro. A scuola
andava piuttosto bene, nonostante non aprisse mai i libri... si riteneva una
persona decisamente intelligente! Ma a lei della scuola non gliene importava un
tubo. La musica era tutto ciò che contava nella sua vita. E le andava bene così, non voleva cambiare. Uscì dal bagno
raggiungendo il localino sul retro del bar, dove di consueto provavano. Salutò
con un cenno della mano il batterista del suo gruppo, l'unico già presente. Era
un ragazzo piuttosto semplice, anche lui amante del nero. Aveva degli stupendi
occhi nocciola con il tipico taglio orientale, ma più grandi. I capelli erano
tenuti medio-lunghi in un taglio scalato ed erano logicamente tinti o, per
meglio dire, ossigenati. Era l'unica ragazza nel gruppo, ma ciò non la faceva
sentire a disagio, anzi. Si sentiva meglio con gli esseri maschili che con
quelli femminili, troppe chiacchiere al vento e troppe pugnalate alle spalle,
pensava lei. Subito dopo di lei entrò Nobu, il secondo chitarrista. Si alzò di
scatto saltandogli letteralmente in braccio, ottima scusa per rubargli ogni
volta la lattina di birra dalle mani. Nobu ormai ci aveva fatto l'abitudine e
ogni volta si rassegnava a portarsi il doppio della sua normale razione di
alcool. Ecco, se vogliamo trovare un
altro difetto in Ritsuko, nominata affettuosamente Roxy dagli altri membri del gruppo, era la bionda. Ne beveva a fiumi,
letteralmente. Non era mai stata male per la birra, questo no, ma non si
limitava di certo al mezzo a serata.
Dopo qualche minuto arrivò Akito, affettuosamente
rinominato Akki da Ritsuko. Akki era il leader indiscusso della band. Alto,
capelli ed occhi dello stesso colore della pece e un sorriso da urlo. Lui aveva
un successo incredibile tra le ragazze che frequentavano il locale, cosa che
faceva irritare non poco il povero Nobu, un ragazzo dolce e ingenuo, troppo
sempliciotto per farsi le ragazze, ma troppo poco per non desiderare di
farsele. I due ragazzi erano agli antipodi, ma Roxy non ci badava. Lei li
considerava come fratelli, voleva loro un bene immenso, e suo padre poteva dire
ciò che voleva sul loro conto, per lei erano la sua VERA famiglia.
Con loro rideva, scherzava, condivideva dei
sogni... quando aveva bisogno, insomma, loro c'erano sempre. Stava bene quando
era con loro, punto. In fin dei conti come poteva considerare reale la sua
famiglia di sangue? Era figlia unica, suo padre, ricco uomo d'affari, passava
praticamente la vita in ufficio e, se lo sentiva, era solamente tramite la
segretaria o qualche colpo di telefono quando faceva qualche marachella più
grave. Sua madre... beh, lei ormai non c'era più. Era morta, anche se non
fisicamente, ma morta per lei. Quando aveva tre anni aveva deciso di andarsene
di casa, senza avere nemmeno più la decenza di chiamarla una sola volta. Non
sapeva dov'era e nemmeno le interessava. Bella madre, vero? Stupenda, proprio
quella che tutti desiderano, per non parlare del padre. La sua vita escludendo
il gruppo, insomma, era una vera piaga.
***
La pioggia continuava a cadere incessantemente, ma
Rumiko non si degnò nemmeno di aprire l'ombrello, era troppo, troppo stanca per
mantenerlo. Continuò a camminare tenendo il volto puntato in alto, gli occhi al
cielo. Dei lampi attraversarono il grigio delle nuvole, seguiti da un
fragoroso, assordante rimbombo. Non sussultò nemmeno. Era troppo presa dai suoi
pensieri. Pensava che appena arrivata a casa avrebbe preparato la cena, cenato
da sola perché la madre lavorava fino a tardi per portare a casa quei quattro
soldi per mantenerla in un istituto esclusivo come l'Hayabusa, poi avrebbe studiato fino a mezzanotte passata e poi sarebbe
andata a dormire. E le giornate si ripetevano. Tutte
con lo stesso ritmo. Tutte con le stesse sfumature... sfumature cupe, sfumature
grigiastre, sfumature tristi della vita di una ragazzina cresciuta troppo in
fretta, il cui sogno di diventare avvocato era
offuscato ogni giorno di più dal desiderio impellente che provava da ormai
molti mesi. Il desiderio di scomparire dalla faccia della terra.
Arrivò davanti al suo condominio, fece un
distratto segno di saluto all'anziana, bisbetica portiera, e salì le scale,
fino al sesto piano dove c'era il monolocale in cui vivevano lei e sua madre,
da sole, da ormai un anno. Sua madre aveva perso il lavoro di segretaria di un
noto industriale, e tiravano avanti con i rari lavoretti part-time che riusciva a trovare. Inserì la chiave nella serratura e
spalancò la porta. Entrò e non si degnò nemmeno di richiuderla. Semplicemente
si lasciò cadere sulla poltrona all'ingresso, senza preoccuparsi minimamente
della porta ancora aperta. "Tanto...", pensò, "... qui non c'è
niente da rubare... che entrino pure...". Una
lacrima le rigò il volto prima di infrangersi sul
pavimento.
***
- Roxy che hai???-,
sbraitò Nobu. - Stai sbagliando tutto. Che ti prende?
- Mh? Ma cosaaaaaaaaaaa? Stavo solamente
provando un nuovo pezzo! Non senti che sto cantando parole differenti?
Yamato, il batterista, si schiaffò una mano in fronte.
OK, era ubriaca fradicia, iniziavano bene. Nemmeno trenta
minuti che provavano e Roxy era già completamente fuori. Akito posò il
basso e guardò attentamente la ragazza.
- No, non dire nulla! -, cantilenò lei, -
Scherzavo, scherzavo sono sobria! Non vado fuori per
così poco ma, non so, oggi ho una strana sensazione addosso, non riesco a
concentrarmi!
- Si... presentimenti... magari é la tua gemella
segreta che sta per morire e tu senti che devi fare qualcosa per salvarla,
anche se non sai nemmeno che lei esiste!-, ridacchiò Nobu, beccandosi in risposta un microfono in testa da parte della ragazza.
- Taci, é meglio... -, lo riprese Yamato,
glaciale. Akki scosse il capo, rassegnato. Forse era meglio rinunciare alle
prove.
- Roxy... -, decise di cambiare discorso, -...
stavo pensando che forse dovremmo cambiare orari delle prove... ok per Nobu,
lui è un analfabeta e non prenderà mai il diploma... ("CHE COSA?!?!",
urlò Nobu)... ma non credo che a te faccia bene... tutte queste assenze... tuo
padre poi se scopre che hai ripreso a marinare le lezioni...
Yamato e Nobu si guardarono. Forse Akito aveva
ragione. Tuttavia aveva scelto il momento sbagliato
per parlarne. Ritsuko era già incavolata per i fatti suoi ,
parlare del padre in quel momento era come rigirare il coltello nella piaga,
ancora, ancora e ancora, fino allo sfinimento.
- No, vanno benissimo questi. - rispose lei
gelida riprendendosi il microfono e cominciando a canticchiare una canzoncina
che intonava sempre per calmare i bollenti spiriti.
Akito e Nobu si guardarono preoccupati, ricevendo
un segno di consenso anche da Yamato che si alzò dal suo sgabello e, infilate
le bacchette in una delle tasche posteriori dei Jeans,
salutò Nobu e Akki con una pacca sulla spalla e Roxy, che per poco non lanciò
il microfono in testa pure a lui, con un bacio sulla guancia. Fece appena in
tempo a chiudere la porta che un tonfo sordo rimbombò per la stanza.
- YAMATO SEI UN CRETINO! -, urlò la ragazza
tremando di rabbia.
Recuperò la chitarra e iniziò a suonare un
qualche assolo estremamente veloce. Beh, pensarono gli
altri due, almeno quella volta aveva deciso di usare
la chitarra per sfogarsi e non il loro povero corpo.
- Hai proprio deciso di farti bocciare?-, chiese
Akito, tenendosi pronto per scappare.
- E tu hai proprio deciso
di farti ammazzare da lei?-, lo guardò accigliato Nobu, scuotendo la testa.
- Sta' zitto, cretino. Rispondi Ritsuko!!! Perché vuoi farti bocciare? E'
l'ultimo anno di liceo, dopodiché sarai libera... fai un minimo sforzo,
per la miseria. Nobu non si diploma perché è un caso disperato... ma io sto per
laurearmi e Yamato lo é da un pezzo, ma come vedi riusciamo a dedicarci comunque alla musica. Dovresti impegnarti un po' di più. Hai
diciannove anni suonati, ma ti comporti come una bimba delle elementari...
- Senti, evita di scassarmi le palle, mi sono
proprio rotta. -, rispose scocciata la ragazza iniziando a raccogliere le sue
cose, tentando di mandare giù il nodo in gola. - Sono cavoli miei quello che
faccio, non ti deve riguardare.
Akito fece per mollarle un ceffone, ma fu fermato
in tempo da Nobu. Roxy, i cui occhi erano ridotti a due fessure per la rabbia,
lo guardò con disgusto ed uscì di corsa dal locale.
- Bella mossa boss... ma che cavolo ti è preso?
Non ti è mai saltato per la mente di alzare le mani su di lei! Datti una
calmata per la miseria! Capisco che sei preoccupato per il suo avvenire, ma
stai esagerando!
Akito si divincolò facilmente dalla presa di Nobu,
facendolo cadere all'indietro, e uscì velocemente dalla sala, raggiungendola e
bloccandola. Nobu li raggiunse.
- Bene. Vorrà dire che finché la signorina non
andrà a scuola almeno un mese tutto di fila, potrà scordarsi di rimanere
vocalist ufficiale della band, siamo intesi?
Roxy sentì le lacrime pungerle gli occhi. No, quello
non poteva farlo. Era stata lei a mettere su il gruppo e se non poteva né
cantare né suonare la sua vita non aveva alcun senso.
- Sei proprio uno stronzo... -, disse in un
soffio.
***
Il contenuto della padella era
ormai cotto al punto giusto, così Rumiko spense il fuoco e prese due
piatti. Si sentiva debole e una bella fetta di carne era
proprio quello che ci voleva. Da quant'era che non mangiava carne? Non
lo ricordava precisamente, ma era molto. Lei e sua madre, Azuki Kashiwagi, non
potevano permettersi granché, così preferivano andare avanti a riso e zuppe. Ma
qualche giorno prima sua madre aveva avuto una piccola gratifica, con 3.000yen di aumento sullo stipendio del suo ultimo lavoro, quello di
commessa, così avevano deciso di permettersi questo piccolo lusso.
La tavola era apparecchiata, tutto già pronto,
quando squillò il telefono.
- Pronto?-, rispose la ragazza.
"Rumiko, tesoro, sono la mamma."
- Mamma, é successo qualcosa?-, sapeva che era
successo qualcosa, non sapeva cosa, ma era ovvio che la madre l'aveva chiamata
per avvisarla che sarebbe tornata tardi, di non aspettarla per cenare.
"Mi dispiace Rumi, ma il lavoro è tanto, sai
gli sconti di stagione... mi tratterrò in negozio ancora un po'... per cui non aspettarmi per cena, ok?". Rumiko annuì.
"Hai già preparato la cena tesoro?" -
Rumiko scosse la testa, dimenticandosi di rispondere a parole, -
"Oh, scusami tanto, avrei dovuto avvertirti prima, che sciocca
che sono... scusami... Tienimela in caldo, la mangerò quando torno! Grazie
mille!"
Salutò la figlia e pose fine
alla conversazione. Rumiko rimase lì ferma qualche minuto
con la cornetta in mano, non era riuscita nemmeno a spiaccicare una misera
parola. Ripose il telefono sulla base e si diresse in camera sua, lasciandosi
sprofondare nel materasso. Era stanca, non aveva
nemmeno fame. Ultimamente l'unica cosa che faceva volentieri era dormire, sì
dormire, perché era l'unico momento in cui non viveva. Si sentiva come morta ed
era ciò che voleva, piuttosto che continuare la sua vita apatica.
Stava ormai tra le braccia di Morfeo, quando un
tonfo sordo contro la porta d'ingresso la svegliò. Si
alzò e uscì dalia sua stanza. Perché non avevano usato
il campanello? Forse era guasto di nuovo...
- Si, chi é?-, chiese tenendo una mano sulla
piccola catena sopra la maniglia. Non
ricevendo risposta aprì di qualche centimetro la porta, senza però togliere il
fermo.
- Nishi... Nishikado... cosa ci fai
qui?-, con orrore indietreggiò di qualche passo, senza nemmeno chiudere la
porta, permettendo ad una mano del ragazzo di togliere la catena ed aprire la
porta.
- Esci subito di qui. Nishikado!
Era Daiki Nishikado, il maggiore dei fratelli
diabolici. Ma come aveva fatto a sapere il suo
indirizzo? Tra l'altro era anche quello che la tartassava di meno, dato che
frequentava l'università, sempre all'istituto Hayabusa, ma nell'edificio
affianco, così che non lo vedeva spesso. Forse era venuto per fargliela pagare
del loro ultimo incontro, quando lei era riuscita a scappargli dandogli un
calcio ben assestato dove non batte il sole. Rumiko inorridì quando, allungando
il collo, vide anche il fratello Daisuke, appoggiato alla ringhiera delle
scale.
Il ragazzo si avvicinò a lei, sorridendo
malizioso.
- Oh, sei tutta sola? Noi siamo
venuti a trovarti, non è vero Daiki? Eravamo ansiosi di rivederti!
La ragazza indietreggiò ancora, finché il muro le
fece da ostacolo. Si fece piccola, piccola e pregò in cuor suo perché qualcuno
l'aiutasse.
- Ragazzi... vi prego...
non vi ho fatto niente... e comunque... potrei denunciarvi per violazione di
domicilio!-, tentò di sembrare il più calma possibile.
Daiki sorrise. - Oh, ma noi non abbiamo fatto
niente di male... siamo passati per un salutino. Vedi... ci
stai dando così tanti problemi. Tu e il tuo dannato consiglio
d'istituto. Se non fosse stato per nostro padre, Daisuke sarebbe già stato
bocciato... e a noi questo non piace, dato che Daisuke
é stato bocciato già l'anno scorso, a causa della qui presente signorina.-,
spiegò pacato, avanzando verso la ragazza.
La ragazza deglutì. Non era stata solamente sua
la colpa della bocciatura di Daisuke, se lui era un asino lei che poteva farci?
Il consiglio d'istituto aveva deciso così, con il consenso di tutti i membri,
lei aveva solamente dato l'annuncio, non ne era la
diretta colpevole.
- Sai tesoro... -, cominciò Daisuke, - Non mi
piace ripetere l'anno solo perché una sciaquetta come te
ha deciso di rovinarmi la vita!
Si avvicinò alla ragazza e le alzò il viso,
prendendola per il mento.
- Sei pure brutta
conciata così, ma non hai un minimo orgoglio personale? -, le tolse gli
occhiali, mentre la ragazza tremava come una foglia, - Ah ecco, ora va decisamente meglio non trovi? Oh, hai gli occhi azzurri,
sono belli sai? È peccato nasconderli dietro a quei
fondi di bottiglia!
Daiki richiamò il fratello. Possibile che dovesse
fare il cascamorto con tutte le ragazze? E poi perché
proprio con Rumiko Matsumoto? Poi d'un tratto un
pensiero gli balenò per la mente. Ma certo! Suo
fratello era un genio, stava proprio colpendo il punto
debole della ragazza. I sentimenti. Soprattutto le attenzioni ricevute da un
ragazzo, visto che era conosciuta anche come la
santarellina di turno. Daisuke, infatti, fece scivolare una mano lungo la
schiena della ragazza, provocandole un brivido.
- Sai, forse potremmo
anche diventare amici, un giorno... ovviamente, però, dovrai evitare di
mettermi i bastoni tra le ruote, intesi? -, si piegò leggermente sfiorando le
sue labbra con quelle di Rumiko, che ancora non aveva spiaccicato una parola, -
Considerarlo come un gesto per assicurare che il nostro patto non venga spezzato... Noi ti lasceremo in pace e tu eviterai di
farmi perdere l'anno. Ok? Bene, siamo d'accordo!
Alcune lacrime bagnarono il volto della ragazza,
che tremava come una foglia. Non poteva dargliela vinta, ma dopotutto lei non
era nessuno per poterli contrastare. L'avrebbero perseguitata
sempre, lo sapeva bene. Patto o meno, non l'avrebbero lasciata in pace comunque.
Si udì un rumore fuori dalla
porta, qualcuno stava salendo le scale velocemente. Una ragazza dai lunghi
capelli azzurri passò davanti alla porta senza fermarsi, ma poi tornò indietro
e guardò la scena, chiedendo cosa stesse succedendo.
Rumiko lanciò uno sguardo d'aiuto verso l'ultima arrivata. Era Ritsuko
Matsumoto, la sua vicina di casa, una ragazza estroversa e un po' teppista,
figlia del famoso imprenditore Seiya Matsumoto. Abitava da qualche settimana
nel monolocale accanto al suo, e da quel che si diceva in giro era scappata di
casa perché il padre non voleva farla suonare. Beh, a Rumiko non interessava
chi fosse o cosa cavolo facesse. In quel momento
sperava solo che l'aiutasse.
- Oh... Daisuke... ma questa
tizia con i capelli turchesi non é mica una tua compagna di classe?-, chiese
Daiki, curioso.
- Sì, purtroppo questa tizia è in classe con me...
-, rispose Daisuke con una smorfia.
La ragazza si avvicinò ai due con fare minaccioso
e un'espressione imbronciata dipinta sul volto.
- Questa tizia avrebbe anche un nome... -, fece
notare Ritsuko ai due, ormai irritata. Lanciò uno sguardo al campanello
dell'abitazione.
"Ah, giusto, si chiama Rumiko... che memoria
del cavolo che mi ritrovo."
- Non credo che Rumiko vi abbia gentilmente
invitato da lei o sbaglio? Levate le tende da qui, io vorrei andare a dormire,
non ho nessuna intenzione di sentire i vostri grugniti
fino nel mio appartamento!
- Sta' zitta e non impicciarti, piccola idiota...
questi non sono affari tuoi.
La ragazza dagli occhi verdi strinse i pugni.
- Ohhh... guarda
Daisuke, la signorina si sta incavolando... ora chiamerà il suo papino... beh,
peccato che nostro padre sia anche più importante del
suo e non ci possa fare niente.
Rumiko strinse gli occhi per non assistere alla
scena: Ritsuko si era avventata su Daiki e gli aveva rotto il naso con un
pugno, ora grondante di sangue.
- MA SEI PAZZA?!
"Mai mettersi contro una ragazza che ha
praticato arti marziali...", pensò Rumiko, ricordandosi di non andare mai
contro Ritsuko Matsumoto. "Che buffo... anche io mi chiamo
Matsumoto... mio padre si chiamava così.”
Si ritrovò malinconicamente a
pensare a suo padre, le dispiaceva essere rimasta solo con la mamma.
Ritsuko fulminò Daiki con lo sguardo, per poi
passare a Daisuke.
- Cambiate aria o preferisci trovarti con qualche
arto in meno anche tu?
Daisuke scosse il capo. Quella ragazzina si
credeva forte. Bene, avrebbe avuto pane per i suoi denti. Porse una mano al
fratello, aiutandolo a rialzarsi e se ne andarono,
senza dire nulla. Rumiko si lasciò scivolare lungo il muro, inginocchiandosi a
terra.
- G... grazie Matsumoto... grazie... -, disse
solo, prima di scoppiare in un pianto liberatorio.
… continua…