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Autore: Heresiae    13/10/2009    2 recensioni
[Star Trek Voyager] L'ammiraglio Janeway aveva disubbidito alla prima direttiva temporale tornando indietro nel tempo per cambiare il futuro. Lo aveva fatto per amore del suo equipaggio e dei suoi amici. Ma la prima direttiva temporale esiste per un motivo preciso: non si sa mai a cosa può portare lo stravolgere degli eventi. La Voyager è riuscita a tornare a casa in sette anni invece che ventitre, la missione dell'ammiraglio è riuscita. Ma forse non era ancora la sua ora.
A partire dall'ultimo episodio della serie, EndGame. Spoiler su tutta la serie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fights



La luce si accese all’improvviso.
Con tutto il tempo passato nello spazio profondo, nessuno di loro era più abituato a risvegli mattutini o a dormire fino a tardi con il sole che entrava dalle finestre, ignorandolo. Fu come una doccia fredda.
Fece a malapena in tempo a proteggersi gli occhi con le mani, che la porta si aprì. Combattendo contro l’ennesimo shock del suo bulbo oculare, Chakotay si impose di guardare.
Quattro uomini in divisa nera, phaser d’assalto, posa rigida e sguardo impassibile, si erano disposti a lato della porta. Un tizio sempre vestito di nero, ma in atteggiamento più rilassante e non armato, entrò e li guardò benevolo.
- Ispezione. – il tono era quello di uno che osservava il tempo; le conseguenze, altre.
Due delle quattro guardie scattarono e li misero in piedi contro il muro a sinistra, afferrandoli per i baveri, colpendoli con i phaser, prendendoli a calci. Sembrava ci prendessero molto gusto.
- Avete sentito cos’ha detto il comandante? –
- In piedi feccia, ora. –
Chakotay si alzò lentamente tenendo d’occhio i due uomini rimasti sulla porta e si mise contro il muro, ma anche così, non gli fu risparmiato il calcio di un phaser sul mento.
- Che hai da guardare? Sguardo dritto idiota! –
Quando furono tutti allineati e con lo sguardo contro l’altro muro, il comandante cominciò a passarli lentamente in rassegna uno ad uno. Erano in pochi, ma ci mise molto, molto tempo.
- Che brutta cera, non ti farà mica male il fianco? E tu, bella quella cintura, ottima fibbia. Dove l’ha comprata? Interessante scelta di postura, non le faranno mica male i piedi, vero? Forse quelle scarpe sono scomode. Tenente! Dicono che per un pilota le mani siano importanti quanto quelle di un pianista, è vero? –
Ogni volta, uno degli uomini reagiva come se a quella frase fosse stato loro gridato un ordine. Fu così che Ayala venne percosso sul fianco fino a sputare sangue, Gerron frustato con la sua stessa cintura, il suo compagno accanto venne afferrato per le caviglie e tirato giù con violenza, facendogli sbattere la testa contro il muro. Dopo che gli ebbero sfilato gli stivali, cominciarono a picchiarlo sulla pianta dei piedi con un manganello. Per seguire quell’operazione, anche l’uomo di guardia alla porta andò ad aiutarli. Ben presto, i maquis erano a terra contorcendosi dal dolore, cercando di non urlare. Appena ebbero finito con loro, in tre si diressero verso Tom Paris e lo immobilizzarono a terra, tendendogli le braccia. Chakotay capì immediatamente cosa volessero fare. Tentò di scagliarsi contro di loro, ma l’ennesimo colpo di phaser in testa lo convinse a non sfidare ulteriormente la resistenza delle proprie ossa craniche.
- Comandante Chakotay, non deve essere impaziente. Anche lei riceverà la sua parte. –
Mentre il quarto soldato gli assestava un calcio nelle reni, guardò impotente gli altri tre, che spezzavano le ossa delle mani di Tom, una a una.

- Si spieghi meglio Barclay. –
- Io… ho detto tutto ammiraglio. Più o meno. –
Raginald aveva raccontato all’ammiraglio Paris quello che aveva visto e il tutto continuando a guardare fuori dalla finestra per accertarsi di non aver sognato. Ma i rottami delle navette che la Voyager aveva urtato erano ancora lì. Non era un sogno.
- Mi vuol far credere, che lei si è svegliato e ha visto la Voyager - una nave priva di membri dell’equipaggio, ferma da giorni e tenuta sotto stretta sorveglianza - attaccata da diverse navette non identificate, che sono state distrutte dalla Voyager stessa, che ha poi preso il volo diretta verso lo spazio?
- Sì ammiraglio, è esattamente quello che ho detto! –
L’ammiraglio aveva ricevuto in realtà un resoconto confuso e pasticciato fatto di mezze parole, parole non pervenute e scacciate di Neelix dallo schermo, ma era abituato a razionalizzare comunicazioni confuse provenienti dallo spazio profondo e da comunicatori danneggiati, perciò non gli era stato difficile. Il difficile era credergli.
- Ha bevuto per caso? –
- Ammiraglio! Io sono astemio! –
Non molto incline a credergli, l’ammiraglio gli scoccò un’occhiataccia. Barclay era esasperato.
- Controlli!
L’ammiraglio sembrò soppesare l’informazione, che proveniva sì da una delle mente più geniali e brillanti di tutta la Federazione, ma anche da un uomo che qualche mese prima aveva dovuto subire una disintossicazione forzata da una vita virtuale costruita sulla Voyager e l’equipaggio stesso. La ragione però gli diceva che controllare non avrebbe prodotto nessun danno, se non dare un altro brutto risveglio a Barclay.
Aprì il comunicatore ufficiale e cercò di mettersi in contatto con gli uomini che sorvegliavano la Voyager. L’uomo, un ragazzo giovane che sembrava molto sicuro di se, gli comunicò che la Voyager era stata prelevata da dei tecnici autorizzati e portata ai cantieri navali per essere esaminata, come da ordini. Nulla di strano.
Lo comunicò a Barclay che, preso dal panico, afferrò il comunicatore e lo portò alla finestra.
- Le sembra che non si ci sia nulla di strano su quel campo? –
Paris aguzzò la vista. La camera di un comunicatore non era costruita per le riprese a lunga distanza, ma l’alloggio di Barclay era abbastanza vicino da potergli dare una visione non troppo sfocata. Una nave rimorchio stava sollevano con il raggio traente una navetta nera, dalla forma piuttosto… contorta. A terra, c’erano altri diversi rottami. Della Voyager nemmeno l’ombra.
Reginald rimise il comunicatore sul tavolino e ci si piazzò davanti.
- Ho cercato di chiamare il capitano Janeway, non l’ho trovata. –
- Il comandante Janeway è stata promossa e trasferita all’accademia di Venere giusto ieri, è partita stamattina.
A Barclay cadde la mascella.
- Ma… ma… ma allora non sa nulla della sua nave! Lei non lo avrebbe mai permesso, lei non… –
Paris era perplesso, ma non ancora allarmato.
- E perché diavolo non avrebbe dovuto lasciarglielo fare? –
- C’è il Dottore ancora sulla nave!
- Gli avranno trovato una sistemazione. –
- E non riesco a comunicare con lui. –
- Avranno già iniziato a esaminarla e l’avranno disattivata. Ha provato a chiamare il dottor Zimmerman? –
- Non… non ci ho ancora pensato. No.
- Allora perché non lo fa Barclay, mentre io finisco di vestirmi? –
E lanciò un’occhiata eloquente al pigiama dell’uomo.
- Si… io, farò così. Grazie ammiraglio.
L’ammiraglio spense il comunicatore.
Non sapeva di preciso perché, ma era inquieto. Tecnicamente, non c’era niente che non andasse e il giovane ufficiale con cui aveva parlato non aveva ragione di mentirgli. Ma mesi prima aveva imparato che se Reginald Barclay era sicuro di qualcosa, beh era il caso di dargli ascolto.
Sua moglie entrò nello studio.
- Tutto bene tesoro? –
- Si. Nulla di grave per ora. Stai uscendo? –
La moglie era già vestita di tutto punto e aveva una borsa voluminosa.
- Vado da Tom e B’Elanna, ho trovato alcune vecchie cose di Tom che potrebbero servirgli per i primi tempi. –
- E a istituire un trattato di pace con tua nuora. –
La moglie fece spallucce.
- Sì beh, non c’è niente di male no? –
L’ammiraglio sorrise e finì di allacciarsi la divisa.
- Ma principalmente è perché sono preoccupata. Li ho già chiamati quattro volte e non rispondono? –
L’ammiraglio smise e la guardò. Da qualche parte il suo cervello gli rimando il suono dell’allarme rosso.
- Il che è strano perché Miral li sveglia sempre all’alba. È come un orologio. Io vado, il tuo caffè è sul tavolo. –
Gli diede un bacio sulla guancia e uscì. L’ammiraglio rimase a guardare il comunicatore per pochi secondi prima di richiamare la moglie.
Era solo un sospetto, solo un’ipotesi, solo una doccia fredda, ma la doveva verificare subito. Possibilmente prima che tutta la sua famiglia ci rimettesse. Ci mise pochi minuti a far diventare il sospetto una fondatezza fatta a macigno. E quando Barclay richiese nuovamente la linea, fu come se un macigno gli si fosse posato sulle spalle e sullo stomaco.
Pochi minuti prima, la moglie di un ammiraglio, madre di uno dei migliori piloti della flotta, da poco diventata nonna e impaziente di riavere finalmente una famiglia felice sotto al suo tetto, stava andando a godersi una nipotina e un figlio che non vedeva da troppo tempo. Ora, molto velocemente e silenziosamente, infilava lo stretto necessario nella borsa che avrebbe dovuto portare a Tom e B’Elanna, con la glaciale sensazione che il suo desiderio non si sarebbe mai avverato.
Seguendo un protocollo concordato anni prima con il marito, non si diedero l’addio quando lei uscì di casa, verso una meta di cui lui non sarebbe stato a conoscenza, sapendo che una volta uscita da quella porta, probabilmente non si sarebbero parlati mai più.

- Allora cos’abbiamo qui? –
- Capitano! Volevo dire, Comandante! –
- Si rilassi Dottore e mi dia la situazione. –
- Scudi al cinquantasei per cento, tutte le armi funzionanti e nessun membro dell’equipaggio ferito. Siamo solo… completamente circondati. –
Janeway gli scoccò una delle sue occhiate sarcastiche prima di mettersi proprio davanti alla posizione del pilota. Non vedeva traccia della sua navetta, il guardiamarina aveva eseguito gli ordini. La consolle delle comunicazioni lanciò un fischio. Il Dottore ci si precipitò.
- È la Torpedo comandante. Vogliono parlare. –
Janeway si acquattò velocemente dietro la postazione di Tom.
- Risponda! –
- Ma… comandante! –
- Per il momento credono che io sia di nuovo diretta su Venere. Continui a farglielo credere! –
- Agli ordini. –
Il Dottore tornò al centro del ponte di comando e si schiarì la voce sistemandosi la giacca.
- Computer, aprire il canale. –
Janeway sbuffò. Il capitano Jansten apparve sullo schermo e squadrò il Dottore, vestito da ufficiale in comando.
- Allora Dottore, vogliamo piantarla con… i capricci? Consegni la nave, ora.
- Mi dispiace, ma sono costretto a dirle di no, almeno finché non mi saranno garantite delle… quisquilie come il mio diritto a rimanere integro e padrone di me. –
Jansten rise.
- Lei è il medico olografico della Voyager, che appartiene alla Federazione. Di conseguenza lei appartiene alla Federazione, che può disporre della sua… integrità come meglio crede. E se questo comporta smontarla in tanti piccoli algoritmi e numeri, allora sia. Consegni la nave.
- Non so come la pensa lei a riguardo capitano, ma la prospettiva di finire smembrato non mi aggrada. E credo non aggrada nemmeno il mio comandante. –
- Il comandante Janeway se ne è andata con le pive nel sacco dottore, non la verrà a tirare fuori da guai. È solo. E ha due minuti per decidere, da adesso. – e chiuse la comunicazione.
Janeway venne fuori da sotto la postazione del pilota.
- Quella dei due minuti è una fissazione. –
- E adesso che si fa? Non possiamo batterci contro tutte quelle navi! –
Janeway squadrò a sua volta la divisa rossa del dottore e sospirò.
Il punto di non ritorno lo aveva oltrepassato salendo a bordo della Voyager, violando gli ordini e rendendosi complice di una ribellione. Qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe stata retrocessa, punita e, nelle migliori delle ipotesi, congedata con disonore. Il pensiero balenò di nuovo a Sette e Icheb.
No, il suo punto di non ritorno lo aveva oltrepassato molto tempo fa, prima di ordinare a Tuvok di raggiungerla, prima di accettare la proposta dell’ammiraglio Janeway di cambiare il corso del tempo per salvare Sette, prima di prendersi la responsabilità di ri-umanizzare un borg, prima ancora. Lo aveva passato quando aveva preso su di se la responsabilità di tutti quegli uomini e donne dispersi nello spazio e di fare dei maquis il suo equipaggio. Sapeva di non avere scelta. Forse non l’aveva mai avuta.
- Attivi le armi Dottore, dichiariamo guerra alla Federazione. -
Forse fu solo un’impressione, ma il Dottore sbiancò.
- Lei… è sicura? –
Ovviamente no.
- I due minuti stanno scadendo Dottore. –
Andò alla postazione di Paris e si sedette.
- Ma lei è un comandante ora, un’ufficiale di alto grado, un simbolo, un esempio. Non può farlo! –
Janeway lo guardò.
- Preferisce essere ridotto a delle cifre binarie, Dottore? –
- No! Io… cioè… Non intendevo questo, no, io—
- E allora vada alla postazione tattica, non voglio perdere altri scudi. E metta i phaser al massimo. –
- Si capitano! Ammiraglio. Comandante. –
- Dottore! –
- Subito comandante. –
E si fiondò ai comandi.
Janeway guardò torva le navi di fronte a se.
Aveva sentito delle voci alla festa, pezzi di discorso, allusioni… E aveva visto sguardi, sguardi di sottecchi, nessuno dei quali le era piaciuto. Forse non doveva lasciarsi distrarre dalla sua famiglia. Forse doveva dar retta al suo istinto paranoico.
Forse doveva dare retta a Tuvok. Come sempre.
I due minuti erano scaduti.
- Dottore, fuoco. –

B’Elanna atterrò uno dei soldati e si scagliò contro un altro. Sorpresi, gli altri due puntarono i phaser mentre il comandante la osservava tra il sorpreso e il compiaciuto. Prima che i soldati potessero fare fuoco, le altre tre maquis gli furono addosso e li atterrarono, impossessandosi dei phaser. B’Elanna afferrò la testa dell’uomo e la fece cozzare violentemente contro il pavimento. L’uomo non si mosse più.
Si rialzò velocemente per affrontare il prossimo, ma le sue compagne avevano in mano la situazione. Il comandante applaudì.
- Bene, molto bene. Un’ottima dimostrazione di forza klingon. Un vero peccato che lei non sia di discendenza pura, avrebbe fatto carriera tra la sua specie. –
B’Elanna ringhiò. Ignorando le sue compagne si avventò contro l’uomo che non smetteva di sorriderlo e lo inchiodò al muro.
- Voglio sapere dov’è mia figlia, bastardo. –
- Sa, si dice che le madri klingon triplichino la loro forza in vista di un pericolo per i cuccioli. –
B’Elanna fece pressione sulla cassa toracica dell’uomo, che cominciò a diventare paonazzo.
- Se non mi dici subito dov’è Miral, ne avrai una prova in diretta. –
L’uomo sollevò leggermente la testa e la guardò beffardo.
- Perché… non… la vai a cercare… stupida bestia. –
B’Elanna allontanò leggermente il braccio e colpì forte. Alcuni schiocchi secchi e molto ravvicinati, indicarono la rottura delle costole del comandante, che cadde a terra esalando rumorosamente aria.
- Ti consiglio trovare una posizione più consona, la stupida bestia potrebbe averti rotto tutte le costole e tu sai quanto possono essere taglienti le ossa rotte, vero? –
Afferrò uno dei Phaser che le porgevano e con il calcio rese incoscienti i due ancora svegli. Nessuna di loro lo giudicò un comportamento violento. Mariah si reggeva a malapena in piedi, era stata la prima a ricevere il trattamento “calcio di phaser” quando entrarono. Egrea era la seconda, l’avevano messa contro il muro e denudata, tenendola ferma. Il soldato aveva appena fatto in tempo a slacciarsi i pantaloni mentre il comandante sorrideva a B’Elanna, osservandola come un allevatore giudica le proprie bestie, che lei aveva già sibilato: - Non ti azzardare a toccarmi. –
Lui aveva fatto una smorfia, allungando velocemente una mano per afferrargli i capelli, ma evidentemente non aveva mai lottato con una klingon prima. B’Elanna lo aveva calciato via così velocemente che non se ne era nemmeno reso conto. Aveva dato un colpo di taglio alla trachea dell’aspirante macho man della base immobilizzandolo e, con un abile mossa che tradiva più di un’esperienza, gli aveva afferrato i genitali provocandogli una dolorosa torsione testicolare. Il soldato si era afflosciato come una bambola di pezza. Si era poi occupata del più vicino, mentre le altre ragazze afferravano i due ancora illesi.
Era stato un grave errore sottovalutarle in quanto donne e poche.
B’Elanna controllò il corridoio, mentre Madeline aiutava Mariah a tamponarsi il naso ed Egrea si rivestiva. Nell’operazione, urtava accidentalmente l’inguine dell’uomo afflosciato ai suoi piedi, con un’espressione di dolore terrificante in faccia.
- È libero, ci siete? –
Per tutta risposta, le ragazze settarono i phaser sulla massima potenza.
- Andiamo a cercare gli uomini. –

Tuvok aveva radunato velocemente le proprie cose mentre rifletteva.
Era perfettamente cosciente di quel che andava incontro. Non era semplice disobbedienza, era ribellione. Aveva pochi dati in suo possesso e anche dopo averli presi in esame non riusciva a trovare la soluzione. Sapeva solo che erano abbastanza allarmanti da convincerlo a rischiare di ricevere almeno un ammonimento.
Al rapporto di Icheb aveva aggiunto l’irreperibilità dello stesso, di Sette e molti membri dell’equipaggio che avevano una sola cosa in comune: erano maquis.
Mentre cercava ancora di far combaciare i pezzi del puzzle di fronte a una moglie perplessa quanto lui, l’ammiraglio Paris lo chiamò. Gli comunicò i recenti avvenimenti riguardo alla Voyager, al Dottore e all’assenza di suo figlio e sua nuora da casa. Tuvok lo informò che il comandante Janeway in quel momento si trovava a bordo della Voyager.
L’ammiraglio diede un solo commento poco sorpreso.
- Tipico. -
Nelle somme, cosa veniva fuori?
Tutti i maquis erano scomparsi, assieme ai borg.
Avevano tentato di sequestrare la nave.
L’equipaggio era stato disperso ai quattro venti.
Tuvok non vedeva ancora il disegno di insieme. L’ammiraglio sì, privilegio di chi non era stato disperso nello spazio negli ultimi sette anni, solo non poteva parlarne su una linea non criptata.
- Se riesce a non farsi mettere nei guai assieme al suo comandante, si metta in contatto con Barclay, sarò con lui. –
- Mi dica solo una cosa ammiraglio. – il tono di Tuvok era grave. – Sto per andare incontro a punizioni molto severe, devo sapere almeno indicativamente in che gioco stiamo entrando. –
L’ammiraglio soppesò molto attentamente le sue parole prima di parlare.
- Non lo so esattamente. Sono solo voci, sospetti, operazioni segrete, file che spariscono, ombre… ma le dico una cosa, se decide di giocare Tuvok, non si può tornare indietro. Faccia quello che può per il suo comandante, ma se si rende conto che per lei e per la sua famiglia non vale la pena, si ritiri. Poi decida il da farsi. –
Tuvok ringraziò e chiuse la comunicazione.
- Che cosa farai? –
Guardò T’Pel e prese il phaser dal tavolo, dove l’aveva lasciato dopo che la sicurezza aveva portato via l’intruso.
- Andrò sulla Terra. Indagherò. E se scoprirò che ci sono intenti criminali dietro a tutto questo, sarà mio dovere fermarli. –
- E se così non fosse? –
- Consiglierò al comandante Janeway di costituirsi. –

Janeway non seppe mai come fu possibile. Negli anni il Dottore avrebbe mitizzato la scena rendendola l’idolo assoluto di Paris, ma lei non seppe mai dare spiegazioni sull'accaduto.
Non aveva mai realmente guidato la Voyager e non aveva mai affrontato una flotta di navi federali mentre tentava la fuga verso… beh niente.
Eppure, come mise le mani sui comandi seppe improvvisamente cosa fare. La Torpedo era la nave più lontana, si teneva fuori tiro lasciando a tutte le sottoposte il compito di fiaccare la loro resistenza. Di conseguenza, lo schieramento era più fitto di fronte a loro. Non che le avessero lasciato molto spazio sui fianchi e nel retro, ma quelle che aveva davanti erano pesanti incrociatori da battaglia, grossi e poco agili. La Voyager no. Era una nave esploratrice, piccola e agile, studiata per riuscire a cavarsela dentro nebulose e tempeste. Non per questo difettava in difesa. Quei comandanti avrebbero dovuto ricordarsi che, anni prima, fu la Voyager a essere mandata dentro una tempesta di plasma a inseguire una nave maquis, non un incrociatore. Inoltre, credevano che a bordo ci fosse solo un medico olografico, non due capitani, di cui una con una consolidata esperienza a sfuggire a ogni essere ostile dell'universo. Per non parlare dei borg. Chiaramente, la quantità di fuoco era stata schierata solo a causa della loro nuova corazza.
- Dottore, tenga preparati tutti i phaser e i siluri fotonici. Voglio che che al mio segnali concentri il fuoco dei phaser sulla Torpedo. -
- Sì comandante. -
Se era perplesso sugli ordini appena ricevuti non lo diede a vedere e fu meglio così, perchè i due minuti erano scaduti.
Sulla Torpedo, il comandante Jansten osservava la piccola nave esploratrice circondata da tutti i suoi incrociatori. La spessa corazza futuristica la ricopriva completamente e sapeva che era solo merito di quella se scudi vecchi di sette anni, non avevano ancora ceduto alle loro armi più recenti.
Il dottore olografico stava facendo più resistenza di quel che si aspettava. Conosceva bene il programma, era stato costretto ad averci a che fare anni prima, quando condusse il suo equipaggio in una battaglia contro una nave ribelle Klingon. Aveva perso metà degli uomini, nonchè tutto il personale medico solo al primo attacco e stavano arrivando i rinforzi. Per loro.
Se non fosse stato costretto in infermeria, era sicuro che quel dannato essere irritante lo avrebbe inseguito per tutta la nave per impedirgli di andarsene in giro con un braccio scorticato e l'occhio contuso. I medici della Federazione gli dissero che avrebbe dovuto dargli ascolto, a quell'ora non avrebbe un braccio bionico e il suo occhio vedrebbe perfettamente. I suoi superiori invece, gli avrebbero detto che cancellare il programma era stato uno degli errori più stupidi della sua intera carriera. Dovettero scortarlo fuori dall'edificio per impedire alla folla dei parenti dei caduti di linciarlo. Solo l'influenza di cui godeva la sua famiglia e presso alcune frange della Federazione impedì ai suoi superiori di congedarlo con disonore, ma fu molto difficile trovare uomini disposti a seguirlo in missione. Quando si resero conto che buona parte delle defezioni erano merito suo, cominciarono ad affidargli solo i cadetti più problematici. Poi la Voyager scomparve e questo cambiò molte cose. In meglio.
Quei sette anni, se li era proprio goduti e sapeva che poteva solo migliorare, ma poi il capitano Janeway era riemersa dallo spazio, con quella stupida nave e il suo disgustoso equipaggio, a minare equilibri che si stavano consolidando. Da quando se n'era andata, per lui era cominciato un periodo favorevole, fatto di missioni importanti ed equipaggi svegli e preparati. Non sapeva perchè e non gli importava, voleva solo che rimanesse tale. E non sarrebbe stato uno stupido MOE a rovinargli la festa.
- I due minuti sono trascorsi capitano. -
- Fuoco. -

La ragazze trovarono la cella degli uomini relativamente presto: gli bastò seguire le tracce di sangue. Incontrarono solo due guardie lungo il cammino ma ci pensò B'Elannaa loro: la leggenda sulla forza di una madre klingon era assolutamente fondata.
La porta a cui si fermarono aveva davanti diverse impronte di stivali insanguinati in uscita. Con la sua solita delicatezza, B'Elanna scardinò con il calcio del phaser il pannello di controllo del portello e collegò due fili, facendolo aprire all'istante. Dentro la luce era accesa e Mariah soffocò un urlo, ma tutte sapevano cosa aspettarsi.
Gli uomini erano tutti stesi a terra, in condizioni pietose, sul fianco per lo più.
B'Elanna riconobbe Tom e gli si precipitò accanto, sollevandolo con delicatezza, mentre le altre si occupavano dei compagni. Tom aveva il volto pesto, ma niente in confronto alle mani. Sfiorandole delicatamente, B'Elanna si rese conto che gli avevano spezzato tutte le ossa. Sibilò diversi insulti klingon rimpiangendo di non aver picchiato più forte quel bastardo.
- E' meno peggio di quello che sembra. - la voce di Tom era roca e sorrideva ironico. - Niente che il Dottore non possa rimettere in sesto. -
B'Elanna lo aiutò ad alzarsi: a parte le mani, era quello messo meglio. Chakotay era steso su un fianco e non si muoveva, così come Ayala. Gerron era steso a terra, la camicia della completamente strappata; i profondi solchi sanguinanti erano talmente tanti da formare un'unica piaga. Chell era in grado di camminare sostenuto dalle due maquis, ma dalla sua espressione non sarebbe durato molto. Mentre le sue compagne si affaccendavano nella cella, a controllare chi potesse muoversi e chi no, B'Elanna sospirò: non sarebbero mai riusciti ad andarsene via di lì velocemente, e la loro fuga sarebbe stata scoperta presto.
Tom sembrò leggerle nel pensiero.
- Che ne avete fatto dei soldati? - Egrea lo guardo con un sorriso amaro.
- Nel mondo dei sogni, i fortunati. -
Tom annuì, in quella situazione era un bene che i maquis non fossero di primo pelo.
- Andate e prendete le divise. -
- Siete troppo malconci per passare inosservati - commentò Soraya.
- Sono per voi, potete muovervi velocemente e passare inosservate. Ci servono altre armi e delle lettighe. Alla fuga pensiamo poi. -
Soraya ed Egrea guardarono dubbiose B'Elanna, che però annuì. Uscirono veloci e decise, come se non avessero mai smesso di combattere da quando avevano lasciato il quadrante Alfa. Tom si rimise giù mentre Mariah montava di guardia alla porta.
- Così sei tu il capo. -
- Chi picchia più forte prende le decisioni. -
- Regola maquis? -
- Delle emergenze. -
Giusto.
- Hai trovato Miral? -
B'Elanna deglutì. Tom ricacciò indietro a sua volta la preoccupazione, lasciarle prendere piede equivaleva a una condanna.

Alla USS Mirage, arrivò una comunicazione urgente che Harry sul momento non comprese. Meglio, non ci credeva. La comunicazione portava l'ordine immediato di inseguire la Voyager, attualmente in fuga, comandata dall'MOE. Ad ogni modo, doveva riportarla.
- Capitano, c'è una comunicazione dal comando ma... non può essere esatta. -
- Cosa dice? -
- Ci ordina di... di partire all'inseguimento della Voyager signore. La Voyager è in fuga e ci ordinano di fermarla e di arrestare... l'MOE ribelle signore. -
Il capitano Turkinton era inespressivo, lo rimase quando contattò direttamente il comando di flotta che confermò gli ordini ricevuti e quando diede l'ordine di massima curvatura in codice rosso. Harry invece, ne era sicuro, aveva un'espressione assolutamente confusa e non riusciva a ricomporsi. Quando usciti dalla curvatura, incrociarono una Voyager che ci entrava, in fuga da una dozzina di incrociatori di cui alcuni mal ridotti, la confusione si mutò in sconcerto. Anche perchè aveva capito che il Dottore, da solo, non ce l'avrebbe potuta fare.

Sette di Nove aprì gli occhi.
Immediatamente provò a muoversi, con il terrore di scoprire di essere di nuovo paralizzata. Non riuscì a sedersi. Precipitò velocemente nel panico prima di rendersi conto che i suoi muscoli rispondevano: erano le giunture a essere bloccate.
Sbattè un paio di volte le palpebre e tentò di sollevare la testa, che era libera. Era sempre nella stanza in cui si era risvegliata prima, ma braccia, gambe e busto erano saldamente fissate al lettino. Accanto a lei Icheb la stava guardando.
- Sono felice che ti sei svegliata. Ti senti bene? -
Sette provò a ruotare il collo e a fare diversi profondi respiri. Sì, stava bene.
- Tu come ti senti? -
- Confuso. Devono avermi drogato. Ma va già meglio di qualche minuto fa.
Sette di Nove annuì. I corpi borg non erano immuni alle droghe, ma le smaltivano più velocemente. Dovevano aver calcolato male la dose.
- Sei riuscita a capire perchè siamo qui? -
- Non del tutto. Ho visto solo un dottore e alcuni suoi assistenti, ma non hanno spiegato niente. -
- Qualche idea su come evadere? -
Sette guardò Icheb, immobilizzato quanto lei. Sicuramente aveva già provato a fare forza sulle cinghie, che erano evidentemente molto robuste.
- A meno che non giungano aiuti dall'esterno, temo dovremo adattarci a questa situazione. -
Icheb sospirò. Era sicuro che il comandante Tuvok lo avrebbe cercato appena ricevuto il suo file e che, non trovandolo, si sarebbe messo sulle sue tracce. Ma avrebbe potuto essere difficile localizzarlo.
La porta si aprì.
Entrambi osservarono il nuovo arrivato. Sette lo conosceva, era uno degli assistenti che aveva visto al suo risveglio. Dietro di lui c'erano altri due soldati donna. Sette battè le palpebre, Icheb le guardò perplesso.
Soraya puntò il phaser verso l'assistente e fece fuoco, mandandolo a terra. Senza tradire alcuna emozione, Egrea corse verso di loro, liberandoli, mentre Soraya perlustrava il laboratorio.
- Stiamo cercando medicinali e armi per evadere da qui. Qualche idea di dove siamo? -
Sette prese il phaser che gli porgeva Egrea.
- Nessuna. -
- Beh, - sospirò Soraya, - ora che ci siete voi, forse avremo più probabilità di successo. -
Senza fare altre domande perlustrarono tutto il laboratorio, trovando quel che gli serviva e anche un paio di lettighe. Tornarono di corsa alla cella degli uomini, che vennero rappezzati alla meglio. Fortunatamente, quasi tutti erano almeno in grado di camminare o erano coscienti, tranne Chakotay, che continuava a rimanere privo di sensi.
Nessuno fece commenti, mentre attraverso i lunghi e ampi corridoi incontravano cadaveri o ne aggiungevano altri. La furia maquis e l'efficienza borg collaboravano egregiamente senza alcuna pietà. I primi si erano adattati velocemente alla situazione, tornando a una situazione pre-Voyager, ricordando tutto quello che avevano fatto prima che il capitano Janeway li integrasse in una comunità pacifica e collaborativa. I secondi, ragionavano secondo i classici principi di sopravvivenza. Non c'era scampo per nessuno.
Sfondarono tutte le porte che incontravano, nella speranza di trovare Miral, ma quando alla fine arrivarono a un hangar navette in cui dovettero ingaggiare una pesante battaglia, B'Elanna urlò per lo sconforto.
Mentre i maquis si trinceravano dietro a casse e navette, combattendo contro i soldati che ora affluivano numerosi grazie all'allarmeche risuonava nella base, Icheb riuscì a salire su una delle navette più grandi e ad attivarla. Trascinandosi dietro i riluttanti coniugi Paris, i maquis riuscirono a salire tutti a bordo e a sfondare il portello dell'hangar. Purtroppo, quello che trovarono fuori, era ben lontano dall'essere la libertà.

L'Ammiraglio Paris aveva indossato la sua uniforme e controllato con più cura del solito che fosse in ordine. Aveva guardato la sua casa che, nonostante fosse stata lasciata dalla moglie solo pochi minuti prima, sembrava già disabitata. Si era diretto verso la sua navetta ed era andato verso il comando centrale, ma all'ultimo aveva fatto una deviazione.
In un piccolo parco, poco frequentato, si era incontrato con Barclay. L'ammiraglio aveva sorriso, ricordando che Tom avrebbe ricondotto la situazione a qualche film o romanzo del ventesimo secolo. Purtroppo, nonostante i secoli di evoluzione sociale e politica, a quanto pare non stavano riuscendo a fare di meglio dei loro antenati.
Barclay indossava la sua uniforme, ma era sgualcita e non sembrava essersi pettinato. Sembrava pericolosamente vicino a una crisi d'astinenza da ponte olografico.
- Non ce n'è nemmeno uno ammiraglio, nessuno reperibile! E quelli che non sono reperibili sono su navi, stazioni o pianeti ad anni luce da qui. -
Senza nemmeno salutare, Reginal si mise di fronte all'ammiraglio, in attesa che gli dicesse qualcosa. Ad esempio, che sarebbe andato tutto bene, che c'era un errore e che non erano già arrivati al punto di non ritorno.
L'ammiraglio avrebbe voluto dirgli esattamente quelle cose, più di quanto lui non desiderasse sentirle, ma sapevano entrambi che era impossibile. Dopo aver parlato con Tuvok aveva riflettuto e aveva capito una cosa: li avevano sottovalutati.
Il piano, era sicuramente far sparire silenziosamente mezzo equipaggio della Voyager, senza che nessuno se ne accorgesse, in primis Janeway. Ma già da quel punto di vista avevano fallito. Il secondo punto su cui avevano fallito, era il tenere lui all'oscuro di tutto. Purtroppo per loro, il giorno stesso della messa in atto del piano lui aveva potuto mettersi già in azione e aveva idea che, il suodi piano, avrebbe funzionato meglio.
- Non c'è mai stato un punto di non ritorno Barclay, o è dentro o è fuori e lei mi sembra troppo coinvolto emotivamente per starne fuori, o mi sbaglio? -
Barclay non rispose ma incrociò le braccia, incoraggiando l'ammiraglio a proseguire.
- Abbiamo un nemico forte da combattere, con mezzi e risorse per distruggerci e purtroppo... purtroppo questa volta, non avremo il conforto di vedere che indossano divise diverse dalle nostre. - ignorò il suo tentativo di parlare e andò avanti. - Quello che voglio che faccia ora, è andare al suo laboratorio, continuare ciò che stava facendo e aprire bene le orecchie. La Voyager è partita lasciandosi dietro uno scia non indifferente di rottami, al punto che sono stati costretti a chiamare altre navi per inseguirla. Ormai sarà sulla bocca di tutti e lei, che è una delle persone che è più vicina all'equipaggio, sarà interrogato. Sa quello che deve rispondere alle domande, vero? -
Barclay lo sapeva.
- Quando ci aggiorniamo? -
- Stasera, a meno che non senta qualcosa di realmente importante. Il comandante Tuvok sta arrivando da Vulcano e dovremo aggiornare anche lui. Fino ad allora, spero di non dover essere chiamato a identificare il cadavere di nessuno. - Barclay ricacciò indietro l'impulso di chiedergli della famiglia.
Prima che si separassero però, gli pose un'altra domanda: - Cosa faccio con l'equipaggio ancora raggiungibile? -
L'ammiraglio pensò alle espressioni che aveva visto la sera della festa e si chiese se valeva la pena di distruggere la felicità di quelli che l'avevano appena recuperata. Avrebbero dovuto decidere loro.
- Gli metta la pulce nell'orecchio. Se diventano sospettosi, li mandi da me. -
Quella sera Tuvok arrivò puntuale all'incontro con l'ammiraglio. Era ironico, pensò, che anche in quel frangente sarebbe stato un Vulcaniano il primo a sapere della nuova evoluzione che stava per compiere la società terrestre.
- Ammiraglio. -
- Tuvok. -
- Allora, cos'è che non poteva spiegarmi al comunicatore. -
L'ammiraglio trasse un profondo respiro.
- Siamo in guerra Tuvok. Una guerra civile. -



Beh, il tempo e la concentrazione non sono mai magnanimi con me, ma sto andando avanti pianino pianino. Il prossimo capitolo ci saranno le tanto sospirate rivelazioni (giurin giuretta), spero vi piaceranno ^^.
Ho sicuramente scritto delle cavolate pazzesche nella parte della battaglia tra la Voyager e la Flotta, non me ne vogliate, accetto critiche e modifico con giuoia XD.
H.

  
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