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Autore: depy91    24/10/2009    1 recensioni
Le origini di KingI, le ragioni della rivalita con Armour King: il mistero che si cela dietro la maschera. "Un rivolo di sangue scorreva lungo il suo labbro inferiore, estese macchie ematiche gli incorniciavano l’occhio sinistro: gli ultimi segni dell’ennesimo colpo infertogli dalla sorte e da pugni ben assestati. Vivere nelle zone più malfamate dei bassifondi di Città del Messico, popolati da criminali e disadattati di ogni sorta, è dura per tutti, figuriamoci per un orfano, che ha perso i genitori in un triste giorno ben più lontano di quanto la sua memoria potesse conservare in ricordo."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: King
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ruggito del Giaguaro'
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Era di ritorno da una delle sue innumerevoli missioni benefiche, a bordo di un biplano d’epoca a due posti, appartenente ad un suo vecchio amico, il capitano O’Brian, un ricco settantenne inglese, da sempre interessato alla giusta causa di Padre Gory. Quest’ ultimo era stato informato che il suo amato mentore aveva subito un malore ed era stato ricoverato d’urgenza in ospedale, pertanto aveva immediatamente stabilito di raggiungerlo, sebbene nel luogo in cui si trovava non erano presenti aeroporti. Gli venne appunto in mente l’insolita passione per le macchine volanti d’altri tempi di O’Brian, che proprio lì aveva acquistato un terreno nel quale aveva deciso di trascorrere la sua vecchiaia. Lo convinse ad accompagnarlo, nonostante l’anziano Britannico lo avesse avvisato che i suoi aerei erano rimasti a terra troppo allungo e con molta probabilità non avrebbero sostenuto le numerose ore di volo necessarie per giungere in Messico. Ad ogni modo Gory era riuscito nel suo intento e assieme al suo amico erano partiti alla volta del Sudamerica. Stavano sorvolando l’Amazzonia e l’altitudine offriva ai due viaggiatori uno spettacolo impareggiabile, sconfinate lande dalla vegetazione lussureggiante si estendevano a perdita d’occhio per quella regione incontaminata. L’imprevisto era però dietro l’angolo: sbuffi di nero fumo fuoriuscivano da uno dei motori del mezzo, accompagnati da sinistri rumori, che in breve tempo divennero insistenti. Il vecchio pilota affidandosi alla sua esperienza intuì che il biplano non avrebbe impiegato molto a manifestare problemi irreparabili e, preso dal panico, allarmò il suo passeggero che a bordo disponevano di un unico paracadute. L’impavido Gory non tardò ad offrirlo al compagno, chiedendo perdono per averlo coinvolto in una simile situazione. O’Brian fissò per qualche istante, con occhi gonfi di lacrime, il coraggioso amico, poi, senza indugiare oltre, indossò il paracadute e urlando: “Dio te la mandi buona, ragazzo!”, si lanciò nel vuoto. L’aereo perdeva quota progressivamente e le fronde dei secolari alberi amazzonici si avvicinavano sempre di più. Gory restò in silenzio, il frastuono del motore in pezzi sormontava persino la voce dei suoi pensieri, mentre il mezzo continuava a precipitare. Ancora qualche istante… poi null’altro.

 

Un sottile sibilo stuzzicò l’udito del sacerdote, ancora tramortito dall’impatto. Egli aprì gli occhi, trovandosi davanti quelli di un viscido serpente tropicale, che scovato il nuovo ospite della grande foresta, aveva avvolto il suo collo con le sue pericolose spire. Gory sussultò e con una mano si divincolò dalla stretta del rettile, scagliandolo poi lontano. Fu allora che realizzò quanto era successo, che miracolosamente lo aveva lasciato illeso, salvo escoriazioni diffuse di modesta entità. La carcassa del biplano dondolava rumorosamente, sorretta dai robusti rami di un baobab. Praticamente ogni sua parte era ridotta in frantumi e al giovane sopravvissuto non restava che scendere a terra e perlustrare la zona. Ovunque gigantesche piante dalla folta chioma ospitavano la fauna più disparata, in lontananza echeggiavano i versi di chissà quale primate, l’atmosfera era indescrivibile. Gory camminò allungo, prima di raggiungere le sponde di un piccolo lago. Si dissetò, e evidentemente spossato dall’ultima esperienza oltre che dal lungo tragitto, si sedette poggiando la schiena contro quella che sembrava essere una montagnola ricoperta di liane e muschi. Il prete ruotò il capo e casualmente notò al di sotto dello strato vegetale la superficie decorata di un mattone d’argilla. Incuriosito iniziò a spogliare la parete dal suo manto naturale, svelando così il tesoro che nascondeva. Dalla prigione di piante rampicanti emerse l’imponente alzato di un antico tempio azteco dai fianchi istoriati. Scene di guerre combattute in epoche lontane e effigi di accigliate divinità si alternavano sulle mura dello storico edificio. In particolare Gory riconobbe in una delle figure, quella del temibile dio della lotta, riconoscibile per il suo alto copricapo, lo scudo di piccole dimensioni e gli spaventosi occhi inespressivi. La sua intuizione fu confermata dalla successiva scoperta di una splendida statue replicante il nume, contornato da due enormi serpenti, animali a lui sacri. Quello sguardo di pietra finì con l’incutere nel suo ritrovatore un senso di inquietudine, da cui tuttavia dovette presto liberarsi. Urla femminili provenivano infatti dal cuore della foresta. Gory non poté ignorare le richieste d’aiuto e partì in cerca della loro fonte. Ad un tratto scorse delle persone in movimento e si nascose dietro un albero per osservare. A pochi metri di distanza due uomini, vestiti alla maniera azteca e armati di lancia, stavano facendo la guardia attorno ad una bellissima donna dall’abbigliamento tribale, i cui polsi e caviglie erano stati legati con robuste funi. Di fronte a lei uno strano tipo dalla veneranda età recitava delle formule in una lingua sconosciuta, reggendo nella destra il manico intarsiato di un grosso pugnale. La giovane donna era vistosamente terrorizzata e non appena l’anziano figuro sollevò la lama, preparandosi ad infliggere l’affondo fatale, ella gettò un urlo assordante. Gory non poté attendere oltre e, acceso da un ardore che non provava ormai da tempo, abbandonò la sua postazione. “Il Re” era tornato e in un lampo disarmò il vecchio, colpendolo con un calcio laterale. Le guardie si aggiunsero in sua difesa, ma con una scarica di tecniche micidiali, l’eroe anticipò gli attacchi armati degli avversari, infine, approfittando del momento di confusione, si impossessò del pugnale e mozzò le funi che costringevano la fanciulla. Senza dare o chiedere spiegazioni, Gory afferrò la mano della donna e la condusse con sé nel profondo della foresta, in modo da disperdere le loro tracce.   

Corsero per diversi minuti con la speranza di non essere inseguiti, finché, sfiniti, fecero una sosta. Il salvatore provò a ricavare qualche informazione sull’identità della compagna di fuga e sulle ragioni della sua prigionia, ma ella si esprimeva in un linguaggio incomprensibile almeno quanto quello del suo aguzzino. Avvalendosi della comunicazione gestuale, però, la donna lasciò intendere di chiamarsi Cocoa. Nella tranquillità del momento, Gory ebbe modo di ammirare l’avvenenza della fanciulla, così singolarmente acconciata. Egli capì di essersi immischiato in una faccenda davvero particolare, ma non poteva certo immaginare quanto stava per accadere.
  
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