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Autore: mamma Kellina    09/11/2009    7 recensioni
Che ne sarà stato di Massimo e Chiara e dell’amore travolgente che hanno scoperto di provare l’uno per l’altra nella mia storia precedente? Avevo deciso di lasciarli andare per la loro strada ad affrontare il futuro, sicura di aver detto già tutto di loro e che la loro vita, fatta per l’appunto di piccole cose quotidiane, fosse divenuta oramai priva di interesse. Poi però non ho resistito alla tentazione di immaginare quello che sarebbe potuto accadere nel frattempo e ricominciare a raccontarvi almeno una settimana vissuta dai miei protagonisti qualche anno dopo, una settimana molto importante nel loro rapporto di coppia.
Questa piccola e semplice fiction è dedicata alle care lettrici che mi hanno chiesto un epilogo di “Un'estate per conoscersi”. L’ho pensata e scritta seguendo i loro preziosi consigli e spero vivamente di non deluderle. Naturalmente potrà essere apprezzata di più da chi ha letto anche l’altra storia perché già conosce i personaggi e gli antefatti ma, essendo completa in sé, potrebbe riuscire gradita anche a chi non l’avesse fatto. È inutile dire poi che nel caso qualcuno volesse leggerle entrambe e magari commentarle pure, io non potrei fare altro che salti di gioia…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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16 Dicembre – lunedì

- Chiaaaraaaaa! Vuoi far scendere Ilaria o no? Ho la macchina fuori posto, accidenti!
Massimo le aveva parlato al citofono, ma forse non ce ne sarebbe stato bisogno: aveva urlato tanto che probabilmente la sua voce le sarebbe arrivata anche senza, nonostante fossero all’ultimo piano.
La giovane donna afferrò il piumino  della figlia e si affrettò a correre in salotto dove la bambina stava parlando con Giovanni.
- Presto, presto – le disse tutta agitata facendole indossare il cappottino  – Papà sta giù e sta perdendo la pazienza.
La piccola fece appena in tempo a dare un bacino all’amico che si trovò trascinata per la mano dalla mamma. Insieme si allontanarono per andare a prendere l’ascensore.
Rimasto solo, Giovanni si guardò intorno con sguardo professionale. Era stato lui, affermato architetto,  a curare la ristrutturazione della casa degli amici quando l’avevano acquistata per intero ed ancora adesso, a sette anni di distanza, si sentiva soddisfatto del lavoro compiuto. Il soggiorno, dal quale era stata tolta la cucina,  era venuto proprio bene. Era contento di aver insistito per lasciarlo lì perché la stanza che dava sul magnifico terrazzo continuava ad essere il cuore di quello splendido appartamento. Con un sorriso osservò che però la casa non aveva più l’aspetto di una volta, di quando cioè, da perfetta single, Chiara la teneva in un ordine quasi maniacale. Ora in un angolo c’era un triciclo, più in là delle costruzioni ed una bambola e sul termosifone, messi ad asciugare, parecchi calzini piegati.
L’amica rientrò e si scusò con un sorriso.
- Abbi pazienza, Ilaria a quest’ora va a lezione di danza ed è da un po’ che Massimo l’accompagna lui. Per me questo è un orario terribile. Oggi Matteo sta dormendo perciò è tutto così calmo, ma di solito a quest’ora è una battaglia.
- Magari posso tornare in un altro momento – suggerì Giovanni un po’ mortificato.
Chiara arrossì. Aveva parlato senza rendersi conto che l’amico potesse sentirsi in imbarazzo e così si affrettò a dirgli:
- Neanche per sogno! Era più di un anno che non ti facevi vedere e adesso vuoi scappare già via? E poi per me non c’è mai un momento buono. Con un marito, due bambini, la casa ed il lavoro, non ho proprio la possibilità di fermarmi mai.
- D’accordo – convenne l’altro – però se vuoi che rimanga vieni a  sederti un attimo anche tu.
Giovanni le voleva molto bene e la riteneva la sua amica più cara. Si erano conosciuti a quindici anni ed erano diventati inseparabili. Con tutto l’entusiasmo dei loro giovani anni, avevano condiviso i divertimenti e lo studio, le gioie e i dolori, le emozioni e i turbamenti. Tra loro era nato un sentimento autentico  ma poi lui aveva dovuto prendere atto,  non senza un’enorme sofferenza, che benché il loro legame fosse molto forte, non era amore. Con sgomento si era reso conto che questo sentimento, fatto di adorazione, attrazione fisica, pura follia, era invece ciò che provava per il compagno più amato da tutte le ragazze della scuola, un certo Fabrizio, un quasi diciottenne che appena se ne era accorto aveva cominciato a sparlare di lui e a deriderlo. Quelle voci presto erano arrivate anche ai suoi genitori ed il padre, un militare tutto di un pezzo, aveva preso davvero male la sua omosessualità  anche se non ancora manifesta. Tutto questo l’avrebbe distrutto se non avesse avuto accanto a sé a Chiara.
Ricordava ancora quel pomeriggio di un inverno di tanti anni prima quando aveva trovato finalmente il coraggio di affrontare con lei l’argomento. Aveva avuto una paura folle della sua reazione perché forse la sua ragazza si sarebbe sentita tradita in quel tenero affetto a cui si era abbandonata con tanta fiducia. Invece Chiara lo aveva ascoltato in silenzio, i grandi occhi neri che lo fissavano seri. Protetto dalla riservatezza della saletta del caffè dove l’aveva portata per confidarsi, le aveva raccontato tutte le prese in giro subite e le cose brutte che gli toccava sorbirsi in continuazione.  Ad un certo punto,  disperato, aveva addirittura  pianto,  vergognandosene moltissimo.  Ma lei si era sporta verso di lui sul tavolino e gli aveva carezzato una guancia.
- Tu sei una persona, Giovanni, e soprattutto sei una persona meravigliosa – gli aveva detto – Ti prego, non lasciare che nessuno mai ti convinca del contrario!
Quella mano sulla propria gota gli era parsa più dolce e calda della cioccolata che stavano bevendo e quelle parole non le avrebbe dimenticate mai più.    
Mentre si era abbandonato ai ricordi, la donna aveva raccattato da terra alcune palline dell’albero di Natale con le quali aveva giocato fino a poco prima il figlio più piccolo poi, con un sospiro ed un sorriso, si era accomodata sul divano accanto a lui.
- Allora, mi dici come va? Ti trovo un po’ sciupata, ti senti bene? – le chiese.
- Sì certo, sono solo un po’ stanca.
 - Da quanto tempo non vai dal parrucchiere?
Lei si portò istintivamente una mano sui capelli lunghi e ricci che ormai portava il più delle volte legati in una semplice coda sulle spalle.
- Sto così male? – gli chiese incerta.
- Sei sempre molto carina ma hai l’aria un po’ trascurata. Anche questi chiletti in più che hai preso dopo la gravidanza di Matteo ad esempio …
- Ehi! – gli fece – ma sei venuto per criticare? Non finire di avvilirmi, lo so che sono grassa da fare schifo!
- Non è certo mia intenzione, anzi, non mi sognerei mai di invogliarti a ricominciare a non mangiare. Quello che volevo dirti è che dovresti curare di più il tuo aspetto fisico, non lasciarti andare. Sei troppo giovane per farlo. E poi non dimenticare che solo perché  ora sei una moglie non hai il diritto di apparire sciatta e trasandata.
- Insisti? – lo rimproverò un po’ piccata.
- Io parlo per il tuo bene, lo sai. Massimo è ancora un uomo giovane e piacente ed anche se ti vuole bene pure così, sono certo che non gli dispiacerebbe vederti qualche volta un po’ più seducente. E poi non devi fare chissà che cosa! Sei così bellina che ti basterà andare dal parrucchiere più spesso, ricominciare a truccarti come facevi una volta e magari rivolgerti ad un buon dietologo per smaltire questi cinque o sei chili di troppo.
- Vuoi scherzare? Con un marito come il mio è quasi impossibile pensare ad una dieta. Dovrei cucinare a parte per me perché quel golosone non la smette di chiedermi pranzetti succulenti. Comunque anche lui  sta mettendo su una bella pancetta, cosa credi, senza contare che il novanta per cento del tempo che sta in casa lo trascorre in pantofole e pigiama! – scherzò.
Parlando del marito le era apparsa negli occhi una luce di tenerezza tale  che Giovanni se ne sentì intenerito.  L’aver visto la sua Chiara, dopo tutti i dolori che aveva patito, finalmente felice accanto a Massimo, era stato per lui il regalo più bello.
- A proposito, come sta quella bella testa di cavolo? – gli chiese con un sorriso.
Chiara abbassò gli occhi senza riuscire a nascondere una certa preoccupazione.
- Non lo so, sinceramente non lo so. A volte mi sembra sereno, a volte molto agitato. È diventato assai irascibile e si arrabbia molto spesso. Non hai notato poco fa?
- Già, ho notato.
- Però è un papà meraviglioso e sa essere anche molto dolce con me ed i bambini. Sai, a volte penso di averlo forzato a rimanere qui. Napoli è una città difficile e lui non ci  era abituato così  come siamo noi. Senza contare che la vita d’ufficio non gli piace. La trova frustrante e monotona e non fa che lamentarsene.
- Ma dai, fammi il piacere! Anche tu hai dovuto accettare tanti compromessi e non mi pare che ne faccia un dramma.
- Certo, da quando ho preso il part-time poi sono stata pure spostata d’ufficio e non immagini nemmeno quanto mi sia dispiaciuto lasciare Federica e Rossana dopo tanti anni. Più che colleghe di stanza, loro due per me erano come sorelle, mi hanno sempre aiutata e sostenuta, anche nei momenti peggiori. Comunque per me il lavoro è stato sempre un ripiego, qualcosa che facevo per lo stipendio e non per passione. Massimo invece si sentiva realizzato a fare l’ispettore o almeno il direttore di succursale come faceva prima a Bologna.
- Non pensi che possa essere questo il motivo principale del suo malessere? Perché non provate a trasferirvi lì? Con i prezzi di mercato che ci sono a Napoli, se vendete questa casa,  con il ricavato in Emilia potreste addirittura comprarvi una villetta.
- Non dimenticarti che stiamo ancora pagando il mutuo e che non sarebbe facile ottenere ben due trasferimenti dalla nostra ditta…
- E tu non dimenticarti che Massimo a Bologna ha tutta la famiglia…
- Non credo sia questo a pesargli. In realtà ci vediamo molto spesso. Appena possiamo, scappiamo da loro ed altrettanto fanno i suoi con noi. Anzi, lunedì  prossimo arriveranno i genitori per passare qui il Natale. A proposito, tu che farai a Natale?
Giovanni sospirò con tristezza.
- Starò con mio padre.
- Ma … Francesco?
- È dovuto andare a Londra. Gli hanno offerto la regia di un lavoro teatrale e non poteva farsi scappare un’occasione simile. Lo seguirò a Capodanno, ma oramai sono qui e devo restarci. Lo avevo promesso a papà e non posso più tirarmi indietro.
- Strano, tuo padre avrebbe accettato il tuo compagno?
- Nemmeno per sogno! -  sghignazzò Giovanni – Lo sai com’è fatto il vecchio, ma oramai, alla sua età, non credo possa più cambiare. Comunque da lui avevo pensato di trascorrere il solo giorno di Natale, il resto dei giorni avevo organizzato per passarli al Monte Faito. Te la ricordi la villetta di zia Elena?
Il viso di Chiara si illuminò al ricordo. Quante volte, da ragazza, era stata ospite di Giovanni insieme ad altri amici ed amiche del liceo in quella casetta deliziosa!
- Ce l’ha ancora? – gli domandò, stupita.
- Quando zia Elena è morta l’ha lasciata a me in eredità. Purtroppo ci vado molto poco. Avevo pensato che il prossimo Natale fosse l’occasione giusta per godermela un po’. Avevo incaricato il custode di pulirla da cima a fondo e rifornirla di legna per il caminetto. Ieri sono stato a controllare che tutto fosse a posto ed ho portato anche provviste per qualche giorno. Ero così contento quando ho ricevuto la telefonata di Francesco!
Il giovane sembrava davvero addolorato e Chiara gli sorrise con dolcezza.
- Dai, non fare così, purtroppo la vita è questa e non possiamo farci nulla. Al Faito, magari, ci andrete a Pasqua ed in primavera sarà ancora più bello.
- Giusto. Però mi è dispiaciuto lo stesso. Ti ricordi che posto carino è? A due passi da Napoli poi. Ma ora che ci penso … perché non ci vai tu, almeno per il prossimo week-end? Certo dovresti portare qualcosa da mangiare di più adatto ai bambini. Sai – aggiunse ammiccando – avevo previsto solo pranzetti e cenette romantiche per cui  non credo che caviale, aragoste e champagne siano adatti a loro. Ma fai sempre in tempo a caricare l’auto di formaggini e semolino. Tra l’altro mi faresti anche un piacere: c’è anche roba che non si conserva e che bisogna buttare. Sarei costretto a tornare per farlo io o dovrei pagare il custode e non mi va.
La ragazza scoppiò in una risata.
- Altro che formaggini e semolino, mio caro. Qui, quando ci spostiamo noi quattro, ci vuole un tir per le cose che dobbiamo portarci dietro! Non è proprio il caso per due giorni solo. Grazie comunque.
- Ma dai, pensaci!
- No, per carità. Devo ancora finire di comprare i regali di Natale, fare la spesa al supermercato, andare a fare gli auguri alle maestre di Ilaria, pulire da cima a fondo questa casa per le prossime feste e preparare i dolci. E poi l’antivigilia di Natale arrivano anche i miei suoceri, te l’ho detto.
- Solo sabato e domenica … - insistette l’altro.
- No, Giovanni, grazie. Ho troppo da fare in questo momento.
- Stai attenta però, Chiaretta, a volte ci si lascia prendere troppo dai problemi quotidiani. Staccare la spina ogni tanto fa bene. Non sei d’accordo?
L’altra lo guardò alzando le sopracciglia con aria perplessa. Anche se non gli disse nulla, tra di sé pensò  che faceva presto lui a darle un simile consiglio! Che problemi aveva Giovanni a staccare la spina? Il suo caso era ben diverso!

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