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Autore: loryherm    13/11/2009    6 recensioni
Successe tutto molto rapidamente, come nell'immediatezza di un millesimo di secondo si rese conto di aver lasciato i guinzagli dei cani, essersi precipitata lì a pochi metri fino al centro dell'incrocio, afferrato quella giacca di pelle nera lucida, e strattonato l'individuo dal braccio per lanciarlo letteralmente dall'altro lato della strada, mentre la vettura gialla rallentava bruscamente, ma non abbastanza da non prenderla in pieno. Nello stesso istante, in aria si librarono decine di scatole e buste multicolore, firmate Prada e Dolce e Gabbana, e indumenti di varia natura, una crinieria leoncina sferzò il vento per un secondo prima che due gemiti di dolore insieme risuonassero nel silenzio gravido di panico di tutta Fifth Avenue.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I was dying to save you Capitolo 1
I Was Dying To Save You.
                                                                                                                                                                                                                                       
Is there anybody out there, walking alone?
                                                                                                                                                                                                                                       
Is there anybody out there, out in the cold?                                                                                                                                                                                

One hartbeat lost in the crowd. 

"Un altro sorso di quella robaccia insipida e vomito anche le piume della giacca."

Tre facce interrogative accolsero la sua affermazione.

"Le ho ingurgitate quando mi hanno riassestato il polso sinistro." Chiarì, distrattamente. Dinanzi a lui un bancone pieno di zuccheri e caramelle, fiumi di caffè e cappuccino. "Oh, sostanze ingeribili. Ho bisogno di qualcosa di forte. Camomilla, phua." Arricciò il naso liscio, in espressione disgustata.

"Bill, io non credo che sia un'idea saggia. Sei già abbastanza agitato così." Gustav gli poggiò una mano sulla spalla, e si sfrozò di sorridergli, per smorzare la tensione.

"Sto benissimo." Rispose quello, sbrigarivo. Sedette sulla panca libera, in fondo. Due righe di caffè trabboccarono dalla sua tazza Starbucks, per il tremore alle mani che non riusciva a controllare. Batteva i denti per il freddo, ma era ancora spaventato a morte, nonostante fossero trascorse già due ore da quando l'avevano raccolto dall'asfalto della quinta strada.

Non ricordava quasi niente di quel momento. Sapeva soltanto che un secondo prima Ben, Georg, Gustav e suo fratello erano dietro di lui, e quello dopo era stato scaraventato da qualcosa dall'altro lato della strada.

Da qualcuno.

E ora era  lì coi suoi amici, e si sentiva come se un treno l'avesse investito. Gli facevano male i polsi e l'anca destra, ma il resto di lui era rimasto bene o male al proprio posto. Era più che altro la sensazione di non sapere, di non capire cos'era successo, dov'era finita la persona che l'aveva spinto via, probabilmente salvandogli la vita, a renderlo inquieto. Non poteva fare a meno di pensare che mentre la sirena dell'ambulanza si era allontanata con quella persona, lui stava camminando, con le sue gambe, per andare a prendersi qualcosa al bar. Avrebbe dovuto esserci lui, lungo disteso al centro dell'incrocio. Avrebbe dovuto essere lui quello portato all'ospedale. Rabbrividì di nuovo.

"Tu non stai bene un cazzo, invece. Cristo, ci è mancato tanto così che finissi sotto un taxi." 

"Tom." Lo ammonì Georg, sottovoce. Nello sguardo di suo fratello Bill non scorse rabbia, o disappunto, nessuna durezza, nonostante gli stesse muovendo un rimprovero; solo paura.

"No, qualcuno deve dirglielo! Quando ti deciderai a mettere la testa a posto?"

"Ti dico che ho controllato prima di attraversare." Sussurrò per discolparsi. E sapeva che fosse una bugia. Si sentiva in colpa, tremendamente in colpa, per aver fatto prendere quello spavento a Tom.

"Sì, come fai sempre." Sbottò, togliendo gli occhi dai suoi, deluso. Aveva ragione, Bill doveva riconoscerlo. Era cosciente del fatto che sin da quando erano piccoli, lui era sempre stato quello con la testa sulle nuvole, che si cacciava nei guai, che combinava casini, e Tom quello che correva ai ripari. Dicevano spesso di lui che fosse una testa di cazzo, ma Bill sapeva perfettamente che in realtà suo fratello l'aveva sempre protetto e difeso, e fino a quel giorno ci era riuscito anche discretamente.

"Tom, non è il momento. A casa." Georg parlò quasi severamente, guardandosi intorno per controllare se qualcuno li stesse osservando troppo, e poi lasciò cadere gli occhi sul nasino a scivolo di Bill, puntato verso il pavimento. Sospirò.

"Ormai è successo, non pensiamoci più." Gli diede man forte Gustav, andando con gli occhi scuri e prudenti dall'uno all'altro fratello. "L'importante è che Bill non ci abbia rimesso le penne."

I gemelli si guardarono lungamente, accusandosi e scusandosi vicendevolmente. Sapevano perfettamente di aver scampato un pericolo che sarebbe stato letale non solo per uno dei due, ma per entrambi. Poi Bill si alzò, e disse: "Andiamo a casa, ho sonno." Un sorriso affiorò sulla bocca di Georg, Gustav sbuffò una risatina, Tom scuoteva il capo rassegnato. "Te le brucerei quelle penne." Bofonchiò, mentre lasciava la mancia al cameriere, che li fissava. Le dita di Bill saettarono immediatamente a lisciare la sua preziosa giacca piumata, e allargò gli occhi con fare grave. "Non oseresti." Sibilò.

"Attento a dove la lasci." Gli occhi di Tom lampeggiarono, divertiti.

"Non ci provare!" La sua criniera d'istrice sventolò impudente, mentre gli puntava contro il dito indice laccato d'argento, agitando il collo. Georg, mai come in quei momenti, si rendeva conto di quanto Diva's Dna ci fosse nella catena genetica di Bill Kaulitz.

"Se fossi in te non la perderei di vista." 

"Tom, smettila!" Georg e Gustav ridacchiavano sotto i baffi, Bill frignava come un bambino. Quando furono fuori si resero conto che era passata quasi un'ora da quando avevano telefonato a David e Ben li aveva lasciati liberi di riprendersi. Erano già lì con la scorta, e finalmente Gustav tirò un sospiro di sollievo. Mentre a lui e al bassista bastava qualche astuto accorgimento per passare tranquillamente inosservati, i Kaulitz Brothers attiravano dannatamente l'attenzione, soprattutto quand'erano tanto esagitati. Georg invece pensò di salvare in calcio d'angolo Bill da una 'ramanzina' che sarebbe stata nota ai posteri come lo sterminio della famosa Rock Star nella limo coi vetri oscurati, quando vide i due ragazzoni biondi che gli stavano di fronte, comunemente noti come i boss, che già tamburellavano coi piedi a terra e affilavano gli occhi infiammati, pronti a scatenare sul frontman il loro stress represso. Sveltì il passo, e si fece loro vicino. "Non gli date addosso, è scovolto. Fate finta di niente." Mormorò con aria grave. I due si guardarono, ma non risposero. Quando Bill li raggiunse, come previsto, aveva già l'espressione da cagnolino bastonato scolpita in faccia. David e Ben lo fissarono lungamente, lui li ricambiava con occhi pentiti e preoccupati.

"Allora, tutti a casa. E' stata una giornataccia." Sospirò alla fine David, rassegnandosi. Georg ghignò.

"Mi aspettavo che mi avreste fatto a pezzi." Miagolò Bill, innocentemente.

Che razza di ruffiano. Tom gli lanciò un'occhiataccia in tralice.

"Per questa volta sei graziato." David gli diede una pacca sulla spalla. "Abbiamo ancora bisogno di un cantante."

"E io che contavo su di voi." Si lagnò il chitarrista.

"Veloci, non abbiamo tempo da perdere." Ben lo ignorò bellamente, poi si avvicinò a Bill, e lo prese per le spalle. "Stai bene, questo conta."

Tom roteò gli occhi. In realtà concordava perfettamente con Benjamin, ma era stupefacente come fosse semplice per suo fratello battere le ciglia e piegare il mondo al suo volere. Georg gli strizzò l'occhio, divertito. "Nessuno può resistere a quello sguardo, non ancora lo impari?" Ma Tom scrollò le spalle. "Se lo dici tu." Sputò lì. Entrò in auto con ancora quella smorfia in viso. Era grato e felice che potesse ancora arrabbiarsi con Bill, quella giornata era stata veramente da dimenticare. Bill, invece, avvicinò Georg, nell'auto, e gli sorrise serafico: "Ti ho sentito."

Il bassista abbassò istintivamente gli occhi, lo sguardo intenso dell'amico era difficile da reggere, e invece si fermò ad osservare la linea lunghissima delle sue gambe, senza riuscire a non sorridere anche lui.

"Grazie." Gli sussurrò Bill, prima di sgusciare via dall'auto.

***

"Blanchard?"

"Esattamente."

"Quei Blanchard?"

"Sì."

"Quelli francesi? Ricchi e famosi?"

"Sì."

"Sono io che ho le allucinazioni? Perchè vedo già una montagna di merda." Benjamin Ebel si lasciò cadere all'indietro, con profondo sconforto, preso alla sprovvista dalla pessima notizia. Nella grande sala illuminata, c'erano dei divani eleganti e due larghe scrivanie da lavoro. Era lì che da un paio di settimane, il mangment del pluripremiato gruppo tedesco, di fama internazione, Tokio Hotel, passava gran parte del tempo, tra telefonate secolari e barili di caffè annacquato. Lo studio era situato in un punto alto e stretgico, ma a quell'ora il sole li accecava. David sospirò pesantamente, portando le dita lunghe e nodose agli occhi.

"Che intendi fare?" Gli domandò Ben, scavallando le gambe, e mettendosi ritto. Da quando stavano a New York il lavoro prendeva pieghe sempre più interessanti, quasi strepitose. Ma come tutte le volte, qualcosa doveva andare per il verso sbagliato. Essere il Menager dei Tokio Hotel era una gran faticaccia. Tra aggressioni e pedinamenti, critiche, melodrammi, impegni da gestire, traversate oceaniche, ora investimenti prodigiosamente sventati, e quant'altro, era già un miracolo che fossero ancora tutti in grado di stare in piedi, figurarsi mettere su un album nuovo di zecca, partendo da zero e con un ritardo clamoroso, per non dire imbarazzante.

Ci mancava solo questa.

"Tenere i ragazzi lontani, è tutto ciò che possiamo fare per il momento."

"Non credi che sia il caso di parlarne con la ragazza?" C'era ansia nel tono del collega.

"Assolutamente, no." David aprì gli occhi di scatto, serissimo.

"Sarebbe saggio assicurarsi che non se ne vada in giro a spifferare stronzate." Replicò Benjamin. Quando David lo osservò si rese conto che la sua inquietudine poteva essergli parsa esagerata. 

"Forse non è così grave come pensiamo. Forse non vuole niente. Infondo è lei che si è buttata sotto un taxi. Chi rischierebbe di sbriciolarsi le ossa soltanto per uno scoop?" 

"Forse non lo voleva." Gli occhi chiari di Ben si illuminarono di una scintilla sottile. David fece una smorfia avvilita. "Intendi dire che potrebbe arrivare alla nostra stessa conclusione in futuro?"

"Sei perspicace, Jost."

"E io prego che tu non lo sia."

I due si guardarono dritto negli occhi per una manciata di secondi, ponderando la questione. Poi Ben si alzò sospirando, ormai rassegnato all'idea che l'unico modo di risolvere la faccenda sarebbe stato renderla nota a tutti, e cercare di prevenire un grosso problema. "Urge una rinuione; i ragazzi devono saperlo: Bocca cucita e discrezione massima."

***

L'appartamento che avevano preso per le registrazioni era comodo e centrale, a Gustav piaceva la vista e il calore del sole che entrava dalle grandi vetrate del salone. Faceva attività fisica nella piccola palestra al piano di sopra, e lunghi bagni nella vasca idromassaggio. Sì, se la passavano decisamente bene di recente. Amava lavorare con la sua batteria, e scaricare così le tensioni delle lunghe giornate. I ragazzi stavano lavorando sodo per dare il meglio con il nuovo album, e lo stress si faceva sentire spesso. Quella giornata, poi, era stata particolarmente destibilizzante.

Gustav aveva visto Bill prendere il volo dinanzi ai suoi occhi, in un attimo terrificante i contorni del suo amico erano spariti dalla sua vista. Aveva sentito il suo gemito di dolore, e quel taxi frenare, con uno stidìo che gli aveva risucchiato completamente l'aria dai polmoni. Al solo ripensarci un sussulto lo scosse. Gustav non era mai stato apprensivo o particolarmente ansioso, ma non pensava che assistere a un incidente del genere lo avrebbe sconvolto così tanto. Continuava a fissare Bill mentre giocava con Georg, e non riusciva a non pensare che avrebbe potuto perderlo, se quella ragazza non avesse deciso che valeva la pena di salvargli la vita. Si sentì un terribile egoista per quei pensieri, perchè era sollevato che al suo posto non ci fosse Bill. Ma era la verità.

Stava seduto sul divano, lì di fronte a lui, e si rendeva conto di quanto ancora desiderasse conoscerlo. Dopo otto anni credeva che la sua dose di Bill fosse sufficiente per sopravvivere anche lunghi mesi senza stare a sentirlo starnazzare dall'alba al tramonto, loro due erano persone immensamente diverse: Bill era irruento, invadente e rumoroso, a lui piacevano il silenzio e la riflessione. Ma stava scoprendo di voler passare ancora tanto tempo con lui e gli altri. Non credeva che fosse vicino il momento in cui le loro strade, anche se solo professionalmente, si sarebbero divise. Comunque aveva imparato, da quell'esperienza, quanto fosse importante averli vicini tutti i giorni. A non darlo per scontato.

"Sono adorabili, vero?" Tom irruppe maleducatamente tra i suoi pensieri.

"Chi?"

"Quei due. Li guardavi con occhi trasognati." Il chitarrista lo guardava beffardamente. Gustav mise veramente a fuoco le due figure degli amici, e scosse il capo. "Adorabili non direi, più che altro rumorosi."

"Mhh, sembra che non sia più di tanto scosso. Mi aspettavo che frignasse tutto il giorno." Tom osservò il suo gemello mentre spingeva via Georg, e si rotolava dalle risate.

"Georg è bravo a distrarlo." Osservò Gustav, sorridendo di sbieco.

"Prima o poi mi chiederà di accompagnarlo in ospedale." Gustav annuì solo, guardando negli occhi inquieti di Tom. Sembrava che l'idea non gli piacesse. Sapevano entrambi che Bill si sentiva in colpa, era nella sua natura. Magari in quel momento non sembrava, ma nella sua testolina d'istrice già si andava plasmando l'idea che fosse stato un suo sbaglio a causare dolore a quella ragazza. 

"Ragazzi?" La voce di Ben fece calare il silenzio nella stanza. Sembrava troppo serio. Quasi preoccupato.

"No, cazzo. Non dirmi che è già uscita la notizia sui giornali." Bill si rizzò dal pavimento, con sguardo seccato. Il manager, dagli occhi chiari e i capelli biondi, restò in silenzio per una manciata di secondi, scorrendo con lo sguardo da uno all'altro componente del gruppo. Bill e Georg sul tappeto, Tom in piedi vicino al batterista. I loro occhi erano attenti e impazienti, seri, come il suo.

"Dobbiamo parlare." Disse. Sedette sul bracciolo del divano, al fianco di Gustav, che gli domandò rapido: "E' grave?" 

"Potrebbe esserlo." 

"Cioè?" Fece Tom.

"Quello che sto per darvi è un consiglio, e non un ordine tassativo, perchè siete maggiorenni e sapete bene di poter fare liberamente ciò che meglio credete. Ma per il bene del gruppo, vi chiediamo di non gironzolare troppo intorno alla ragazza che stamattina ha spinto via Bill dalla strada."

"Che mi ha salvato, vuoi dire." Gli occhi nocciola del cantante si strinsero. Stava pensando che Ben non volesse ammetterlo. Che ci fosse una ragione?

"Perchè?" Domandò Georg, sulla sua stessa lunghezza d'onda. Benjamin restò ancora un poco in silenzio indeciso se riferire ogni cosa ai ragazzi, o solo una parte di verità. In realtà non era affatto convinto che la ragazza avesse qualche pretesa di conoscerli meglio, e se per qualche motivo ne volesse trarre guadagni.

"Potrebbe essere pericoloso per la vostra privacy." Si limitò a dire.

"E' una giornalista?" Gustav lo guardò con aria piuttosto sicura, era sempre il più sottile dei quattro. Il manager allargò gli occhi, colpito. "Non esattamente." Disse, comunque.

"E allora?" Tom sbottò. Stava per perdere la pazienza, detestava stare allo scuro delle cose. "Cos'è tutto questo mistero?" 

Qualcuno tossicchiò rumorosamente, proprio mentre Ben si preparava a rispondere, e la band si voltò per inquadrare David, sullo stipite della porta, con in volto un espressione tesa. "Benjamin, potresti raggiungermi nell'ufficio? E' veramente urgente." Il collega restò confuso da quella richiesta. Sospirò scocciato, per l'interruzione, ma infine i due manager uscirono insieme dalla stanza.

I quattro restarono fermi a fissarsi per un istante, seriamente perplessi, poi Tom esordì: "Chi di voi ci ha capito qualcosa?" Gli amici scuotevano il capo. Nei loro volti c'era solo confusione. "Niente, però non mi piace." Rispose Georg, per primo.

"Che significa: non è esattamente una giornalista?" Si domandò il batterista.

"Forse è una tirocinante." Buttò lì Tom, scrollando le spalle. Non gli sembrava un'ipotesi brillante, ma quantomeno pluasibile.

"O l'assistente di un giornalista."

"O magari una spia!"

"Dì un po'; ti diverti a sparare simili stronzate?" I gemelli si guardarono male per un momento, Bill incrociò le braccia con una smorfia. Poi Georg disse: "Sembrava piuttosto grave. Secondo me dovremmo..."

"Io voglio andare a trovarla." Lo interruppe il frontman, serio e determinato. Li guardava come se li stesse avvertendo che lo avrebbe fatto, più che esprimendo a parole la sua volontà.

"Bill, senti, finchè non ne sappiamo di più è meglio lasciar perdere." Gli rispose subito il fratello, con sguardo severo.

"Voglio almeno ringraziarla." Il cantante rilassò lievemente lo sguardo, ma era evidente che non volesse arrendersi.

Sempre il solito masochista.

"Non credo che sia una buona idea. Non sappiamo chi è, e se Ben e David sono così preoccupati, sono sicuro che c'è un motivo più che valido." Osservò Georg, pacatamente.

"Neanche se le mandassi soltanto un biglietto? Oppure, che so io, un mazzo di fiori, o una scatola di cioccolatini?"

"Ora non fare gli occhioni cucciolosi, tanto non attacca." Rispose il gemello, repentinamente. "Finchè non scopriamo che c'è dietro questa storia, non fare niente. Non resterà delusa; quelli famosi sono tutti degli stronzi senza cuore. E' risaputo."

"Ora sei tu che spari cazzate."

"Bill, senti, non posso darti ordini nemmeno io. Ma ti supplico: non combinare casini."

Il cantante accolse in silenzio quella preghiera. Forse Tom e gli altri avevano ragione; infondo non sapevano nemmeno chi fosse quella ragazza. Ma era stata così buona a salvarlo! Non poteva sicuramente trattarsi di una persona orribile. Che fosse un'ammiratrice che vedendolo in pericolo aveva deciso di proteggerlo?

Possono esserci fan disposte anche a questo per me?

Non seppe perchè, ma immediatamente un profondo senso di sconforto e colpevolezza lo assalì. Non poteva controllare la mente delle ragazze che li seguivano. Ma non voleva che le sue fan pensassero che la sua vita valesse più della loro. Non era giusto, non era sano, ma soprattutto non poteva restare impassibile di fronte ad un atto del genere.

***

Un ordore forte di candeggina e vecchio si faceva spazio tra i suoi sensi. Cosa che le fece storcere subito il naso. Vedeva solo nero, ma sapeva che presto avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe trovata in un luogo sconosciuto. Poi, potente e vivida l'immagine dell'incidente le riempì la testa col suo fischio penetrante. Sentì in un antro della testa il bisogno di coprire il viso con le mani, scoprendo di non avere la forza di farlo. Si rendeva conto che non aveva motivo, nè modo, di proteggersi da un ricordo. Non sentiva dolore. Perchè non sentiva dolore?

Non sono morta per salvarlo, vero?

"Ehi, ragazza del suicidio."

Voleva sorridere, ma ancora una volta si rese conto di non esserne capace.

Era viva, invece. Era viva e la sua migliore amica era lì affianco a lei. Sospirò di sollievo mentalmente. Pensava di aprire gli occhi ma era impossibile anche quello. La luce era fortissima anche al buio. Gigi le stringeva la mano, adesso con più forza. "I riflessi sono un po' lenti per via dell'anestesia." La voce che parlò, Lenys non la riconobbe. Probabilmente si trattava di un medico, e quasi certamente la morbidezza che sentiva lontana dietro la sua nuca era quella di un cuscino.

Sono finita in ospedale. La sua coscienza fece una smorfia. Splendido.

"Non sarà in grado di comunicare ancora per molto? Perchè voglio che quando le piomberà addosso la mia ira, sia in grado almeno di supplicare il mio silenzio." Gigi era sarcastica, come sempre. Forse non era poi così mal ridotta. Il dottore rise, osservandola. "Temo di sì, per la sfuriata dovrà attendere ancora un po'."

Ehi, guardate che sono perfettamente cosciente! Lenys avrebbe voluto parlare ma la sua voce non pareva volesse assecondarla. Le dava fastidio che non potesse farsi partecipe di una discussione di cui era l'oggetto.

"Quando si riprenderà totalmente?" L'inflessione di Gigi le sembrò più seria di quanto si aspettasse.

"Basteranno un paio d'ore, non si preoccupi."

E comincerò a sentire dolore.

"I suoi genitori arriveranno presto. Sono molto ansiosi; vederla così potrebbe farli andare fuori di testa." Rise nervosamente. Qualcosa nell'incoscienza di Lenys cominciò a vorticare furiosamente. Un brutto dolore non fisico le bloccò i pensieri e la sua mente si svuotò completamente. I suoi genitori stavano arrivando. Non poteva immaginare niente di peggiore. Insomma se ne stava sdraiata su quel lettino scomodo, non poteva muoversi, non riusciva a parlare, probabilmente in quel momento i cani della signora Mary erano stati dati per dispersi. Quelle povere bestioline vagano sole per New York City, e come se tutto ciò non fosse sufficiente, lei sarebbe stata martoriata (martoriata se fosse stata fortunata, sterminata nel caso peggiore) dai rimproveri dei suoi, e della nonna, e di tutta la sacra famiglia. E perchè? Per chi? Come le era venuta la malsana idea di aiutare quell'idiota?

Ancora una volta si trovò a dare ragione al suo infallibile istinto. Quel maledetto infallibile istinto. Sapeva che qualcosa sarebbe andato storto quella mattina, ed era esattamente ciò che era succsesso. Sorrise amaramente dentro di sè: Storto, non è che un pesante eufemismo nella situazione attuale. E siamo sicuri che sia ancora quella mattina?

Lenys non era certa.

"Cerchermo di non mandarli fuori di testa." Le sembrò quasi di vedere il dottore ghignare. Sembrava simpatico, ma stava flirtando con la sua amica, e la cosa non le andava molto a genio, con lei presente, almeno. Non parlava e non vedeva, ma ci sentiva ancora, anche se le voci le parevano allontanarsi sempre più col passare dei secondi. Che stesse di nuovo perdendo coscienza? Questo la spaventò. Non voleva tornare a dormire, voleva essere pronta per affrontare i suoi genitori faccia a faccia, e dire loro a chiare lettere che non voleva il loro aiuto. Per l'ennesima volta.

Qualcuno bussò alla porta in quell'esatto momento, decretando la fine dei suoi pensieri, e l'inizio del suo battito accellerato. Lo sentì nel 'bit' di quell'aggeggio che aveva accanto al letto. Il dottore disse: "Oh, oh. La signorina sembra agitata."

"E' la strizza." Sbottò Gigi, proprio mentre qualcuno sussurrava; "E' permesso?" Una voce dolce, eppure squillante, vibrava nella stanza come la corda di un violino. Lenys fu invasa da una strana calma, quasi un'estraneazione, al sentire di quel tono dimesso e timoroso, eppure qualcosa nel suo stomaco le suggerì che fosse tremendamente in imbarazzo. Forse era l'effetto dell'anestesia, ma si sentiva confusa e ritardata.

"Si accomodi. Lei è...?"

"Ehm...Bill Kaulitz. Buongiorno."

Chi? Che cosa? Come? Perchè?

"Lui è quello che doveva stare al posto della mia amica." Soffiò bruta Gigi. Lenys immaginò la sua espressione. Aveva alzato gli occhi al cielo, come se stesse dicendo qualcosa di ovvio, ma nel suo modo barbaro aveva inarcato il sopracciglio e agitato il collo fin quasi a farlo scardinare dall'asse. Poi si era fissata le unghia, e aveva schioccato la lingua.

"Sì, esattamente." Dalla voce dolce trapelò una scinitlla d'astio.

"Mi perdoni, ma lei ha un viso noto..." 

"Sì, è il cantante dei Tokio Hotel. Uhh, che emozione."

Oh, Dio, fa che sembri invisibile, rendimi invisibile, cancellami.

"Sono venuto a salutare Lenys." Bill cercò di mantenere la calma. La ragazza era incazzata per la sua amica. Pensava che se qualcuno avesse spedito Georg o Gustav a dormire in un lettino d'ospedale con alte probabilità anche lui avrebbe vomitato insulti.

"Oh, sai anche il suo nome? Allora a voi divinità olimpiche non interessano solo le giacche Prada! A proposito i tuoi vestitini sono nell'armadio in fondo."

No, Dio, rettifico: rendi lei invisibile, ti supplico! E se magari anche qualche santo vuole collaborare e cucirle la bocca, smetto di mangiare la cioccolata e vado a messa tutte le domeniche.

Bill sospirò lievemente, ma saggiamente decise di ignorarla. "Ho portato dei cioccolatini." Dalla voce sembrava terribilmente amareggiato. Lenys si sentì osservata. Non doveva avere una bella cera.

Gigi stava per aprire la bocca e rispondere, ma (Lenys ringraziò Dio per questo, e si rassegnò a dire addio ai suoi spuntini di mezzanotte, pane, burro e cioccolata) il dottore di cui ancora le era ignoto il nome, tossicchiò e disse: "Non credo che potrà mangiarne." come leggendole nel pensiero. "Per il momento è ancora incosciente, ma glieli terremo da parte per quando si sveglierà. Comunque non prima di un paio d'ore, quindi se vuole ripassare più tardi..."

Sembrava un invito implicito a levare le tende. Il ragazzo sospirò di nuovo, questa volta rassegnandosi. "Lei sta bene?" Domandò, muovendo due lunghi passi verso la porta. Era come se avesse paura di guardarla, o che si vergognasse di stare così bene, mentre lei era incosciente per causa sua e della sua inguaribile stupidità.

"Sarà libera tra un paio di giorni."

Lenys sbuffò. Favoloso; davvero favoloso.

"Potete darle questo da parte mia? Cercherò di tornare il prima possibile."

Questo? Questo, cosa? Tornare? Perchè?

Sentiva le voci sempre più remote e indefinite. Ma aveva capito che Bill sarebbe ritornato, poi cadde nel sonno, e non seppe più nulla.

***

"Che singifica che sei andato a trovarla?" Le labbra di Tom si chiusero ermeticamente dopo aver pronunciato quella domanda soltanto, probabilmente onde evitare che la sequela di parolacce che stavano attraversando la sua testa non venissero pronunciate. Tom non era noto per le due sue doti di pazienza e misericordia, ma volle lasciare che suo fratello si spiegasse prima di mandarlo a quel paese.

"Che il mio cervello ha mandato indicazioni precise al mio corpo perchè mi portasse nel posto in cui avrei potuto trovare un essere umano di genere femminile che rispondesse al nome di Lenys, e che per la precisione è la stessa persona che stamattina mi ha giusto salvato la vita!" Bill mise una mano sui fianchi mentre l'altra gesticolava troppo come al solito.

La mascella di Tom vibrò, mentre chiudeva le palpebre. Nella sua mente altre imprecazioni, ma la sua voce buttò lì un semplice. "Spiritoso."

"Ebete."

"Io, eh? Almeno ti rendi conto della cazzata immane che hai fatto, mi auguro."

"Sono andato a ringraziare la persona a cui dobbiamo la mia attuale permanenza su questo pianeta. Dimmi che cosa c'è di male!" Sbuffò il cantante, con sguardo candido e ostinato insieme. Suo fratello pensò che volesse fregarlo. "Sai benissimo a che cosa mi riferisco, Bill. Non fare il demente." Replicò, spicciolo.

"No, veramente non lo so."

"Bill, santo dio, pensavo che quella misera briciola di buonsenso che naufraga da parte a parte nel tuo cervello avesse decriptificato la frase: non credo che sia una buona idea, e l'avesse collegata al concetto: non commettere questa gigantesca stronzata. Invece sono pronto a scommettere che il bambino che è in te abbia preso ancora una volta il sopravvento, e tu le abbia lasciato qualche bigliettino suicida!"

"Non le ho scritto l'indirizzo."

"Ma vaffanculo, Bill." Sputò finalmente via, Tom. Suo fratello non si lasciò toccare minimamente dall'invito e scrollò le spalle con disinteresse. "Senti, ormai è fatta."

Tom sospirò forte, e guardò l'altro con serietà. "Io non voglio stare qui a farti le paternali, non sono nemmeno bravo a farle. Ma se ci hai messo nella merda non ti aspettare che io ti spalleggi, stavolta."

Bill finalmente alzò gli occhi nocciola, e li lasciò entrare direttamente dentro i suoi, penetranti e disarmanti. "Lo fai sempre." Soffiò, solo.

"Perchè sono un coglione."

"Sei il mio gemello." Un tremolante sorriso tirò su le labbra di Bill, mentre si avvicinava a suo fratello, e gli si sedeva in grembo. Tom non mosse un muscolo, si sforzava solo di sembrare impassibile mentre un sorriso scavalcava bellamente la sua volontà. "L'hai detto."

"Tanto lo so che vuoi abbracciarmi, dirmi che mi ami e che sei grato a gesù bambino che io sia ancora vivo e vegeto, e che puoi ancora mandarmi a fanculo." 

Dopo un attimo di silenzio, due risate argentine riempirono all'unisono la stanza, e i corpi di entrambi vibrarono insieme. Il tono squillante, e quello basso e roco, uniti, davano vita a uno dei suoni più piacevoli che entrmbi riconoscevano.

"Ecco, vai a quel paese, scemo. Levati dalle scatole."

Bill si alzò e gli strizzò l'occhio. "Non c'è bisogno nemmeno che te lo dica, vero?"

"Starò zitto, e adesso vattene!"

Suo fratello ridacchiava tranquillo, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Un giorno crescerà. Ma spero che quel giorno sia ancora lontano. Tom sorrise.

***

La porta si aprì mentre Gigi stava sbadigliando sonoramente. Nessuno aveva bussato, e si voltò curiosamente. Allargò lievemente gli occhi, alla vista di coloro che stavano facendo il loro ingresso parlottando sommesamente l'uno sull'altro, nella stanza di Lenys. Una robusta signora anziana, e due eleganti individui di sua più che vecchia conoscenza. Gigi era preparata a quell'incontro. Portò una mano alla bocca per schiarire la voce, si stampò un sorriso dei suoi sulla faccia, e con assoluta nonchalance, disse: "Buongiorno anche a voi."

La donna che aveva dinanzi semplicemente si limitò a lanciarle un'occhiata glaciale. La soprassò, e restò ferma dinanzi a ciò che le stava di fronte. Sua figlia, di diciannove anni appena, stava bianca e addormentata sul letto di un ospedale qualunque, nella città infernale dove aveva avuto la pessima idea di lasciarla andare. L'omino che le stava dietro invece era il signor Blanchard, il padre, con in viso la sua espressione delusa, quella volta quasi preoccupata. Gigi già voleva cacciarli via. Lenys l'avrebbe ringraziata di sicuro. Svegliarsi con loro affianco sarebbe stato come guardare negli occhi l'uomo nero.

"Ci risparmi la sceneggiata." La donna non si voltò nemmeno per parlarle. Restava voltata di spalle. Quasi sempre si rivolgeva alla gente come se si trattasse di umili spettatori. Come se fossero le comparse del suo monologo.

"Curioso, stavo proprio per dirlo io a lei."

Anche il marito, a passi lenti e tediati, la scavalcò, voltandosi appena per parlarle. "Ci lasci soli, prego." Disse.

Senza troppi complimenti, eh.

"Non mi dia del lei, prego, sta parlando con una ragazza di Brooklyn. Siamo gente umile e modesta." Gigi si sforzava di tenere a freno il ringhio che le ribolliva in gola mentre si rivolgeva a loro. Cosa che non avrebbe fatto con qualunque altra persona l'avesse trattata in quel modo. Ma si convinceva sempre più che leccare il culo a quella gente non serviva a niente. Erano troppo presi da sè stessi per vedere i tentativi di chi stava loro intorno di ingraziarseli. Non che lei avesse mai voluto farlo. Solo non voleva peggiorare le cose con loro. 

"Anche molto insolente, direi."

"Oh, a noi poveri è concesso di essere incivili."

La signora Blanchard si voltò finalmente e di nuovo la guardò dall'alto in basso. "Avevo detto niente sceneggiate." Soffiò, come una gatta.

"Chiedo umilmente perdono." Gigi sorrise mellifluamente, poi indicò col capo la sua migliore amica, e lo sguardo le si fece affilato, quasi minaccioso. "Se si sveglia e grida all'aggressione sono qui fuori."

"Se non grida con un topo in casa, non si spaventerà per una visita di cortesia." Un sorriso arrogante stirò le labbra scarlatte della donna.

"Certi topi sono più civili di altri. Con permesso." Fece un inchino, e ghignò beffarda. Non l'avrebbero mai perdonata, ma avere Lenys con lei era importante. Molto di più che ottenere la stima di quella gente. Sì, non si pentiva di averla portata via da loro. L'aveva salvata.

Note dell'autrice: Come sempre ringrazio i quattro dell'apocalisse per avermi ispirato, e fatto passare tante ore morte in loro immaginaria compagnia.
Ringraziamenti anche a vavy94 e a selina89 per le recensioni, è sempre bello avere nuove lettrici! E un ennesimo grazie speciale anche alle mie tre scrittrici preferite, che hanno recensito, e Principessa in particolare che mi ha pazientemente sopportato quando le chiedevo consigli. :)
Spero che questo capitolo vi abbia intrigato abbastanza, e che continuerete a leggere e a raccontarmi che cosa ne pensate di questa storia. Baci, Loryherm ^^
  
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