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Autore: depy91    23/11/2009    1 recensioni
Ecco gli avvenimenti immediatamente antecedenti alla partecipazione di Sergei Dragunov al quinto torneo. Uno strano ritrovamento cela infiniti misteri...
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella foto si incastonò nella mia mente, ero certo di aver già visto qualcosa di simile, ma non riuscivo a ricordare dove. Il sarcofago recava iscrizioni e bassorilievi dal significato oscuro, eppure mi convincevo sempre di più che sarei stato in grado di decifrarli. Quali orribili nefandezze aveva potuto compiere durante la sua esistenza quel deforme umanoide, per meritare di essere seppellito ad una così notevole profondità nelle fredde terre siberiane? I simboli sulla lastra sommitale apparivano come chiari segni di morte e sventura, forse la SPETSNAZ non aveva tutti i torti a ritenere opportuna un’analisi approfondita del reperto, in modo tale da evitare ogni possibile pericolo. Decisi di prendere parte agli studi, la faccenda aveva risvegliato in me nebbiosi presentimenti e l’unico modo per dare ad essi un senso sarebbe stato quello di partire al più presto alla volta della Russia. Come accordato, alla scadenza del periodo d’attesa pattuito, i due militari ricomparvero a farmi visita. Ebbi a malapena il tempo di confermare la loro proposta, prima di venir scortato in aeroporto, dove ci aspettava un velivolo dai motori già caldi, pronto a decollare. Nel corso del viaggio mi feci consegnare la foto per esaminarla con più attenzione. La qualità dell’immagine non era ottimale, ma si riusciva comunque a scorgere delle singolari protuberanze fuoriuscire dalle scapole del corpo mummificato dal gelo. Ciò che mi sconvolse furono i robusti lacci di cuoio che gli stringevano polsi e caviglie, come se al momento della sepoltura qualcuno potesse temere che un giorno quella creatura avesse potuto interrompere il sonno perpetuo e abbattere i vincoli della morte. Rimasi a fissare intensamente quella fotografia per diverse ore, finché fui destato dalla mia osservazione per avvertirmi che la meta era stata raggiunta. L’aereo era atterrato su una pista semi ghiacciata costruita in chissà quale angolo sperduto della Siberia, attorno a noi solo purissime dune imbiancate da una persistente nevicata. Mi informarono che gli ufficiali mi stavano attendendo in laboratorio, ma durante il tragitto non potei fare a meno di notare il sito ove la tomba era stata rinvenuta. L’intera area era stata messa in quarantena, i soli a frequentare quel luogo di mistero erano guardie armate e studiosi vincolati dall’obbligo del silenzio. Nessuno infatti all’infuori dei suddetti doveva venire a conoscenza dell’anomalo reperto e delle indagini sul suo conto. Entrai nell’edificio indicatomi, all’interno del quale erano in corso gli esami sul cadavere e sul contenitore che l’aveva preservato sino ai giorni nostri. Orde di scienziati in camice s’avvicendavano attorno ad un tavolo su cui era stato adagiato il corpo, coperto da un lenzuolo, sotto lo sguardo vigile di militari in alta uniforme. Al mio ingresso uno di loro si avvicinò a me e mi diede il suo personale benvenuto. Si presentò come il caporale Ivan Zarkovskij, coordinatore delle indagini, un uomo alto e impettito sulla sessantina. Egli continuò a parlare e in parte ascoltai quanto aveva da dirmi, ma per lo più la mia attenzione veniva irresistibilmente attratta dall’ingente serie di macchinari e di tecnici specializzati che il laboratorio ospitava. Chiesi di vedere il sarcofago, avevo bisogno di rilevare ogni possibile indizio sulla sua provenienza. La mia richiesta fu esaudita, dunque fui condotto nella stanza adiacente, in cui giaceva il pesante blocco di pietra cavo. Il lastrone che fungeva da sigillo aveva subito notevoli danni sullo spigolo in basso a sinistra, ma il resto era talmente ben conservato da risultare quasi un’opera di recente fattura. Ogni lato era riccamente istoriato, scene di tormenti e torture scorrevano lungo i fianchi lapidei, ovunque iscrizioni in una lingua arcaica comunicavano un messaggio, che sarebbe stato mio compito cogliere. La lastra era incorniciata da un’inquietante fila di teschi continua e all’esatto centro della macabra composizione figurava un simbolo dal significato oscuro, al di sotto del quale compariva una frase incisa, non meno incomprensibile. Osservando quell’emblema fulminea balzò alla mia mente la sensazione di aver già incontrato qualcosa del genere, ma per il momento non ricordavo dove né quando. Il caporale mi osservava in silenzio come se da un momento all’altro si aspettasse che io annunciassi di aver risolto il caso al primo sguardo, ma se così fosse stato si sbagliava ampiamente, poiché la soluzione mi appariva ancora lontana. All’interno del sarcofago i legacci che costringevano gli arti del defunto erano evidentemente stati mozzati, ma non erano gli unici oggetti presenti in quella porta per l’aldilà. Una sferetta vitrea delle dimensioni di una pallina da golf era stata adagiata nella tomba, ma di certo non era sempre stata quella la sua ubicazione originale, per cui mi rivolsi al caporale Zarkovskij e domandai chiarimenti. Egli mi informò che l’oggetto era stato rinvenuto nella bocca della creatura e quella coppia di minuscole crepe, che ne alteravano la superficie ricurva in due punti lievemente affondati, erano stati prodotti dalla pressione esercitata dai canini appuntiti della salma. La cosa mi stupì, poiché non riuscivo a comprendere che cosa quell’essere avesse potuto commettere di tanto grave da richiedere un trattamento talmente singolare e crudele. Per il momento non ero in grado di trovare una sola risposta alle mie mille domande, pertanto era assolutamente necessario esaminare accuratamente il corpo. Intuendo le mie intensioni, Zarkovskij mi fece strada verso l’area destinata all’autopsia del cadavere. Dopo aver indossato camice e mascherina sterili, il caporale mi presentò l’equipe scientifica, infine ordinò di scostare il lenzuolo. Lo spettacolo che mi si parò dinanzi agli occhi fu talmente inaspettato, che al primo impatto le mie carni vibrarono di brividi profondi. Davanti a me era distesa la salma di un essere abominevole, dalla pelle di un’innaturale tonalità violacea molto scura e dotato di un’incredibile coda da rettile. Il suo fisico muscoloso presentava numerosi spuntoni ossei simmetricamente disposti su spalle, petto, gomiti e ginocchia, due lunghe corna si arrotolavano attorno alle tempie, le sue labbra nere come la pece nascondevano una dentatura da predatore e artigli aguzzi e robusti rendevano mani e piedi armi micidiali. Un insolito groviglio di segni lineari simili ad astratti tatuaggi correva lungo tutto il suo corpo ed in particolare sulla fronte, dove sembravano sottolineare quello che a prima vista appariva come un terzo occhio spalancato, dall’aspetto cristallino e dalla colorazione rossastra. Nonostante quanto appena descritto fosse sufficiente per lasciarmi senza fiato, fu un altro il particolare che maggiormente mi sconvolse. Sebbene la foto me ne avesse già offerto un assaggio, dal vivo le protuberanze collegate alla schiena della creatura  risultavano ancora più sorprendenti. Uno degli scienziati interruppe il mio sconcerto per elencare alcuni dei risultati a cui erano pervenute le analisi. Il ghiaccio siberiano aveva ibernato quell’essere per più di nove secoli, preservandone ogni parte. Straordinariamente nulla infatti era stato scalfito dal trascorrere del tempo, ma ancora di più mi colpì l’apprendere che chiunque avesse seppellito quel corpo, si era preoccupato di scavare per l’occasione una sorta di cripta sotterranea, rinforzandone pareti e soffitto con pesanti rivestimenti in pietra. Non si era mai visto nulla del genere in una terra impervia come la Siberia, ma soprattutto non  era possibile dedurre un’utilità per una così complessa struttura funeraria, a meno che i suoi costruttori non avessero voluto proteggere la tomba e il suo particolare contenuto da eventuali profanatori, oppure, ancora più sconvolgente, fossero stati pervasi dal timore che la creatura potesse un giorno risvegliarsi dalla morte e abbandonare la sua estrema dimora sotterranea. Lo scienziato aggiunse che i brandelli di carne e ossa, sporgenti dalle scapole del soggetto, costituissero in origine la base di due ampie ali, che a quanto pareva, erano state mozzate di netto, forse per la stessa ragione per cui l’essere era stato fissato al fondo del sarcofago con i nastri di cuoio. Come se il quadro non fosse abbastanza confuso, mi misero al corrente dello strano episodio che, al momento del ritrovamento durante gli scavi geologici, aveva causato il decesso istantaneo di decine di operai. Ancora una volta percepivo il pungente sentore di non essere nuovo ad avvenimenti così trascendenti, eppure non riuscivo proprio a decriptare questi impulsi inviatimi dalla mia memoria, qualcosa di importante mi sfuggiva, ma ero certo che dedicandomi alla decifrazione delle iscrizioni funebri del sarcofago sarei venuto a capo di tutta la faccenda. Per tale ragione mi misi subito all’opera, recandomi nuovamente nell’ala del laboratorio dove veniva conservato l’involucro mortuario, per concentrarmi maggiormente su ogni singolo dettaglio. Riportai su di un pezzo di carta i simboli da tradurre, prestando attenzione al contesto scultoreo in cui erano stati inseriti. Chiesi il permesso di ritirarmi nello stabilimento prefabbricato che mi era stato affidato come dimora, affinché potessi studiare con più tranquillità quei rilievi. Il caporale Zarkovskij acconsentì e mi guidò alla mia stanza, infine si congedò ricordandomi che il successo delle indagini dipendeva in gran parte da me. Mentre chiudeva la porta alle sue spalle, un soffio di vento gelido entrò ululando nella piccola abitazione. Fuori la neve continuava a cadere senza sosta e il silenzio vigeva dovunque. Era l’atmosfera perfetta per mettermi a lavoro. Trascorsi tutta la notte a consultare i miei gli antichi libri che avevo deciso di portare con me in viaggio, ritenendoli potenzialmente utili. Speravo di scovare in uno di essi la chiave di lettura delle secolari iscrizioni. La mia esperienza nel settore mi suggeriva che quell’idioma doveva appartenere con ottima probabilità ad una delle storiche popolazioni nomadi che abitavano la Siberia circa un millennio fa. Se così fosse stato avrei ottenuto un punto di partenza per proseguire nelle ricerche. Quella notte tuttavia non fu fruttuosa come augurato, ma ne seguirono numerose altre, finché durante la lettura di uno dei volumi non mi imbattei in un capitolo davvero interessante.
  
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