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Autore: Mue    30/12/2009    3 recensioni
Quando uno dei concorrenti di una gara clandestina di auto volanti si schianta e finisce al San Mungo senza una gamba, la sua comparsa davanti al Wizengamot sembra inevitabile.
Ma grazie a un celebre avvocato, viene invece spedito a un Magazzino di Disincantamento e Smaltimento Magico per fare otto mesi di lavori socialmente utili.
E qui, in mezzo alle brughiere solitarie di Ilkley Moor, troverà l'occasione per riscattare i suoi peccati e forse, finalmente, perdonare se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Policromia' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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E siamo finalmente al terzultimo capitolo.
Sto tirando un sospiro di sollievo perché pubblicare un nuovo capitolo per me è un'avventura: tutte le volte che sono alle prese con l'impaginazione arriva puntualmente qualcuno o qualcosa a interrompermi e perdo il filo di quello che stavo facendo. Capita anche a voi? Dev'essere una qualche legge fisica non ancora scoperta.
E ora che vi ho intrattenuti con le mie solite vane chiacchiere, vi ringrazio -sto perdendo il conto di quante volte dico "grazie", però non posso farne a meno- e vi saluto.
Buona lettura!
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Capitolo XII




Da qualche parte, 16 ottobre

«Cos’è quella faccia?»
Marietta Edgecombe altrimenti detta “Cub” alzò il viso verso di lui e non rispose.
Ruben Armstrong sospirò e si sedette sul divano accanto a lei. Erano in una stanza di un motel babbano in Francia, fuori dalla giurisdizione magica britannica.
«Hai fatto tutto di nascosto…» mormorò lei dopo qualche attimo di silenzio.
Lui scrollò le spalle in tutta risposta.
Era fatto così, Ruben: non parlava più di quanto non fosse necessario, e non dava risposte se non gli venivano fatte domande.
Era robusto, nerboruto e il suo volto era perennemente corrucciato in un’espressione rabbiosa. Eppure non ne aveva mai avuto paura. Mai, nemmeno la prima volta, quando s’era svegliata nella casa di lui, allora un perfetto sconosciuto. Anche se, dopotutto, all’epoca aveva ben poca ragione di aver paura di qualcosa: era il tempo in cui era sprofondata nel baratro più nero della sua vita.
La Seconda Guerra Magica era finita, Colui-che-non-deve-essere-nominato era stato sconfitto e sua madre, come la maggior parte dei funzionari ministeriali che erano stati mantenuti durante la dittatura dei Mangiamorte, era stata licenziata. Non era riuscita a trovare nessun altro lavoro. Né l’aveva trovato Marietta.
La madre non aveva mai accusato apertamente lei e la scritta “spia” che le deturpava la faccia di essere la causa delle loro sventure. Ma in ogni suo gesto, in ogni sua parola e in ogni sua rinuncia per tirare avanti Marietta leggeva a chiare lettera la propria colpa.
E la leggeva anche negli occhi di tutti coloro che scorgevano il suo volto o venivano a conoscenza del suo nome. Ci leggeva il disprezzo e il disgusto.
Aveva cominciato a sprofondare senza accorgersene.
Non riusciva più a guardarsi allo specchio, perché anche quando le pustole erano scomparse, erano rimaste le cicatrici: bianche, nitide, visibili.
 E quando sua madre era scappata via di casa per fuggire da sua figlia e dalla sua vergogna e non si era più fatta sentire, era arrivata a credere che fosse tutta colpa di quel nome impresso su di lei.
Curioso come una parola di quattro lettere possa distruggere la vita di una persona.
Aveva cercato un modo per cancellarla, per eliminarla una volta e per sempre da sé. Per eliminare il passato e ricominciare.
Niente aveva funzionato.
Poi aveva letto di quel fuoco che distruggeva qualsiasi tipo di incantesimo. Quando era impazzita al punto da tentare un gesto così estremo, non lo ricordava: sapeva solo che era riuscita a infiltrarsi in un Magazzino abbastanza isolato da non attirare l’attenzione e a raggiungere il Mastomantice e la caldaia. Ricordava di aver aperto lo sportello, poi niente.
Si era svegliata a casa di Ruben, il responsabile di quel Magazzino. Lui non le aveva chiesto niente: l’aveva ospitata finché il volto non aveva smesso di bruciare e aveva potuto togliersi le bende.
E quando Marietta si era guardata allo specchio e aveva visto che l’ustione le aveva finalmente cancellato il marchio di spia, era scoppiata a piangere dalla felicità e gli aveva raccontato la sua storia.
E lui l’aveva ascoltata senza condannarla e senza compatirla.
«Non hai un posto dove andare?» le aveva chiesto alla fine.
Marietta aveva scosso il capo.
«Allora lavora qui. A me non interessa che faccia abbiano le persone, purché si diano da fare.»
Ruben era stato la sua salvezza. Una mano che si tendeva ad afferrarla nell’oscurità. A lungo l’aveva creduto il suo eroe. Ma ora…
«Ti sei venduto ai mercanti di oggetti oscuri» lo accusò debolmente, la lacrime agli occhi.
Era esausta, ormai.
Da quasi due giorni fuggivano insieme, da quando, la notte in cui lui l’aveva sorpresa alle spalle, lei aveva scoperto tutto: che lo scorbutico, scontroso e solido Ruben non era quell’eroe così onesto che pensava.
Quella notte lui le aveva spiegato tutto in poche, secche parole. Poi era arrivato un Patronus argentato di una forma che Marietta, nello stupore del momento, non aveva riconosciuto, e aveva avvisato Ruben che stavano arrivando.
Lui non aveva esitato: l’aveva afferrata per un polso e l’aveva trascinata con lui, Smaterializzandosi prima in casa sua, a raccogliere le sue cose, poi in quella di lei e dopo ancora su una strada babbana molto trafficata.
Avevano passato la notte in un motel, senza parlarsi, lei rannicchiata su una poltrona e lui a sorvegliarla dal letto. Forse temeva che sarebbe fuggita per raccontare tutto al Ministero, ma Marietta non riusciva a capire come potesse credere che ne sarebbe stata capace: per quanto disonesto, lui le aveva salvato la vita, un tempo, e il debito non era ancora saldato.
Il giorno dopo l’aveva di nuovo Smaterializzata con sé in un altro motel, e lì erano rimasti fino a quel momento.
«Perché mi hai portata con te?»
Ruben alzò le spalle. «Perché ti avrebbero accusata di essere mia complice.»
Silenzio.
«Perché sei entrato nel commercio clandestino?»
Ruben, invece che rispondere, la fissò negli occhi, il viso distorto in una maschera impassibile. «Perché hai fatto l’amore con Davies?»
Quello era un colpo che lei non si aspettava. Aprì la bocca per rispondere ma non riuscì a dire nulla.
Lui distolse lo sguardo e lo fissò in un punto vuoto davanti a sé. «Se t’interessa saperlo, a quest’ora gli Auror l’avranno arrestato.»
Lei saltò in piedi. «Cosa?»
Ruben la guardò, freddo. «Prima o poi doveva pagare per le sue colpe, no? Vorrà dire che lo farà stavolta, scontando al loro posto un crimine che non ha commesso.»
Marietta si irrigidì. «Perché?» chiese con voce tremante. «Perché hai fatto tutto questo? Sapevi che l’avrebbero preso al posto tuo e non provi nessun rimorso…»
«Perché t’interessi tanto di lui?» chiese lui di rimando, alzandosi in piedi a sua volta.
Marietta non rispose.
Non era in grado di spiegare l’irrazionalità di quei momenti in cui lo aveva sentito così vicino, in cui aveva visto riflesse in lui le proprie colpe, il proprio passato. O forse sì, ma la sua mente si rifiutava di farlo. Di riconoscere che aveva cercato così meschinamente in Roger un modo per sentirsi meno sola, meno colpevole…
«Sono entrato nel commercio clandestino tre anni fa, dopo che sei arrivata qui» disse Ruben a mezza voce, sorprendendola: stava rispondendo alla sua domanda, il viso rivolto al muro bianco, come se ci fosse qualcosa che solo lui poteva vedere. Un ricordo. «Ero solo un responsabile di magazzino, e non avevo il potere o i soldi per cambiare il mondo o costruire un futuro diverso. Mi ero sempre accontentato di ciò che avevo, fino ad allora.»
Marietta lo ascoltava, incantata. Non aveva mai sentito Ruben dire tante parole di fila.
«Ma poi non ho voluto più accontentarmi. Volevo qualcosa di migliore, anche se l’unico modo per cui avrei potuto avere abbastanza denaro da assicurarmelo era illegale. Volevo un futuro che nessun passato sarebbe stato in grado di annientare.»
«Cosa vuoi dire?» chiese lei debolmente. «Tu non hai un passato di colpe contro cui combattere.»
Ruben volse il viso dall’altra parte, sottraendo dallo sguardo di lei il proprio profilo. Marietta non poteva far altro che fissare le sue spalle, larghe, robuste, solide come le certezze che non aveva mai avuto.
«Ma tu sì. Quel futuro lo volevo insieme a te.»
Marietta vacillò.
Fu come se improvvisamente un colpo di vento avesse spalancato tutte le imposte della stanza buia dov’era vissuta tutto quel tempo e lei scoprisse che non era una cella oscura e fredda, ma un salone caldo e dorato. Un palazzo costruito attorno a lei senza che se ne accorgesse; costruito da Ruben.
Realizzò ciò che legava lui a lei da tutti quegli anni, realizzò che aveva passato tutto quel tempo cercando di costruire qualcosa di meglio per lei, e che non se n’era mai accorta. O non aveva mai voluto guardare con attenzione.
E si sentì male, perché un sentimento così fedele, incondizionato, un sentimento così bello da parte di un uomo così discreto e generoso non poteva essere rivolto a lei. Era sbagliato. Era terribile.
Ruben non poteva amare una creatura cieca e macchiata dalla vergogna quale lei era. Non lo meritava. Lui non meritava lei, ma qualcosa di immensamente maggiore.
Una donna senza colpe irredente, una donna senza occhi ciechi, che non cercava di appigliarsi a un altro solo per disperazione e solitudine.
Una che non era lei.
Stordita, si rese conto solo allora di una figura argentata apparsa nella stanza. Un cigno, messaggero dell’ultimo canto delle vecchie certezze di Marietta che morivano.
«Hanno preso Roger Davies» disse la familiare voce di Cho Chang, la sua migliore amica. «Spero che tu abbia portato Marietta al sicuro. Non te l’avrei mai affidata se non fossi stata sicura che te ne saresti preso cura meglio di me, Armstrong. Tienila lontana dai Magazzini di Smistamento, d’ora in avanti, o non ti perdonerò mai.»
Poi il cigno si dissolse, e la stanza calò in un silenzio interrotto solo dai singulti violenti del pianto di Marietta.



   
 
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