Ciao a tutti amici di Efp,
innanzitutto buon anno nuovo!!! Speriamo che questo 2010 sia un pochino più sereno per tutti!
E' da un pò che non posto, spero mi perdoniate, ma diciamo che non avevo molta voglia...
Il periodo delle vacanze è ormai agli sgoccioli e tra poco mi toccherà ripartire per Macerata e non sono per niente contenta :D
E voi? Come avete trascorto questo periodo di festa?
Prima di passare alle recensioni, voglio ringraziare winnie poohina che s'è letta tutti i capitoli postati e ha commentato, son contenta che ci sia anche tu ora a seguirmi ^^
Un saluto speciale e un ringraziamento di cuore va a Jenny...ti sono vicina sempre, lo sai? Quindi forza e coraggio e non importa nulla della storia, io ci provo anche per te e spero di non deluderti, Ti voglio bene!!!
winnie poohina: è triste, me ne rendo conto. Ho reso la storia bella pesante mi sai, gli argomenti che tratterò sono "forti" me ne rendo conto, ma come dicevo ieri con la mia amica, è nata così nella mia testa, si è tessuta da sola, filo dopo filo. Probabilmente le recensioni e le letture diminuiranno, ma non mollo, amo questa storia, so quanto ci ho messo e ci sto mettendo e continuerò :). Bacio cara, spero che il capitolo ti piaccia.
Dod: tesoro mio, ma che bello leggere la tua recensione! Non hai bisogno di essere perdonata, amica mia, l'importante è che ci sei, anche quando non leggi o commenti. So che mi sostieni e questo per me è fondamentale! Ti è piaciuto il capitolo? Davvero è il più bello che tu abbia mai letto? Oh sono emozionata e commossa, come al solito dopo aver letto quello che mi scrivi. Ti adoro!!!
Bene, questo è il capitolo dal punto di vista di Marghe, affronto un primo argomento complesso, purtroppo presente nella nostra società, ma ignorato. La canzone che ho usato come ispirazione e di cui trovereste il testo nel capitolo è questa
Marghe
I mesi passavano
velocemente, la gravidanza procedeva bene, ormai la pancia era cresciuta e ancora
incredula, ero giunta al terzo mese. Mi ero immersa nel lavoro, andando contro
il volere dei miei amici e familiari, i quali volevano che riposassi, ma io
nutrivo l’esigenza di tenermi occupata, avrei evitato di pensare troppo. La
lontananza da Rob mi pesava ogni giorno di più, forse era dovuto anche alla
condizione che vivevo; sentivo la necessità, anzi il bisogno di averlo vicino.
Ormai le sole telefonate non mi bastavano più; ogni mattina mi alzavo sperando
di arrivare presto alla sera per poter ricevere sue notizie e questo non mi
faceva bene. Stavo diventando profondamente egoista e me ne rendevo conto, ma
non riuscivo a fare diversamente.
Al centro di
accoglienza, mi ero sempre più legata alla ragazza arrivata da poco, Anne, italo-inglese,
poco più di 23 anni, bulimica da quattro. Ricordavo perfettamente il suo primo
giorno al centro, non era destinata ad un’area di mia competenza, ma appena i
nostri occhi si erano incrociati, percepii una strana scossa, un filo sottile e
invisibile mi legava a lei; non sapevo come, non sapevo perché, ma era così.
Parlando col mio superiore, mi diede il permesso di poter lavorare anche con
alcune ragazze sofferenti di disturbi alimentari. Quando Anne mi vide nella sua
stanza insieme allo psicologo, mi incenerì con lo sguardo, facendomi male;
giorno dopo giorno la sua indifferenza, la sua non voglia di reagire, mi demoralizzarono,
ma io non ero tipo da mollare. Era così sola, se ne stava sempre con un
computer portatile sulle gambe e scriveva a più non posso, spesso fino a tarda
notte; troppe volte lo avevo sorpresa rannicchiata nel letto, con gli occhi
puntati sulla finestra, troppo spesso avevo letto nel suo sguardo, la tristezza
di sentirsi sola, “diversa”, ma non l’avrebbe ammesso mai né a se stessa né al
mondo intero.
Quella mattina
era successo di nuovo, ma questa volta non potei reprimere i miei sentimenti,
ormai ero troppo coinvolta e, sbagliato o giusto che fosse, dovevo fare
qualcosa per lei. Entrai piano nella stanza, mi accomodai sul letto, Anne
sobbalzò, ma non sciolse la sua posizione, io le accarezzai il braccio, lei si
ritrasse, lasciando a mezz’aria la mia mano, sapevo bene che non era abituata
al contatto fisico, ne era contraria. “Anne” bisbigliai “Vattene” disse
tagliente cercando di nascondere le lacrime, il cuore mi si piegò in due,
inspirai profondamente chiudendo gli occhi. “Io resto qui…non ti lascio sola…”
risposi decisa, non riconoscendomi affatto in quella sicurezza; probabilmente
funzionò, perché Anne alzò la testa e mi fisso con i suoi occhioni scuri…quello
sguardo mi fece tremare, quanto dolore avevano visto, quanto male avevano
subito? Ci scrutammo per un po’, poi lei riabbassò lo sguardo imbarazzata
“Perché non vuoi rispondere alle terapie?” non rispose “Io sto qui, non mi
muovo fin quando non mi dici qualcosa. Mandami anche a quel paese, prendimi a
calci, ma io non me ne andrò!” Anne sussultò, stringendo coi pugni il lenzuolo,
alzò il capo e mi gridò contro “Che vuoi che ti dica? Che la vita fa schifo?
Che non trovo alcun senso in quello che faccio? Non ho voglia di reagire, per
cosa? Per chi? Per me? E a che serve, spiegamelo? Maledizione! Qua tutti volete
insegnarmi a vivere, ma qualcuno sa davvero cosa ho? Qualcuno si è mai chiesto
perché sono bulimica?” fece per alzarsi dal letto, ma la fermai afferrandola
per un braccio “Io” dissi seria “Io mi sono chiesta perché quando la prima
volta che sei entrata qui, i tuoi occhi mi chiamassero così insistentemente. Mi
sono domandata perché sentivo verso di te sentimenti così forti, e quando ti
vedevo immune e indifferente alle terapie, ho cercato di capire perché mi
sentivo tanto inutile nel non saperti aiutare. I tuoi occhi gridano
costantemente aiuto, perché non lo vuoi ammettere? Perché ti chiudi ed escludi
il mondo intero? Perché non permetti a me di aiutarti? A me non interessa
niente del resto, io voglio che tu reagisci, che lotti. La vita fa schifo, non
c’è dubbio! Ma siamo noi gli artefici del nostro destino, se vogliamo possiamo
cambiarlo, sai? E se non lotti, vuol dire che non te ne frega niente di vivere,
del dono meraviglioso che Dio ti ha fatto! Possibile che non hai sogni? Non hai
obiettivi, non hai persone che ami da cui tornare?” le dissi fuori di me, lei
mi guardò sconvolta, il suo labbro inferiore cominciò a tremare e subito dopo
il suo volto fu immerso dalle lacrime. Allora la tirai a me e la strinsi forte,
quanto più potevo e cominciai a canticchiarle una canzone italiana che
conosceva fin troppo bene
“Anna non so
se tu vuoi sentirmi
ma non ti lascerò
e se nessuno può
davvero capirti
io non rinuncerò
se dubiti di vivere
raccoglierò le tue incertezze
se piangi impari a ridere
se ridi piangerò
Anna ci sarò fino a quando tu
forza non avrai
per cercare un giorno in più
Anna io lo so
che vivere è così
e se tu non ce la fai tu sai che sono qui
Anna dimmi sì
E volerò
alta come i gabbiani
e poi mi tufferò
nel mare dei tuoi no
dei tuoi occhi lontani
non ti abbandonerò mai
se dubiti, di vincere
io ti darò le mie certezze
se mangi impari a vivere se puoi non
dirmi no
Anna ci sarò
fino a quando tu
non avrai la forza
per cercare un giorno in più
Anna io non so se vuoi che sia così
ma non mi arrenderò
per questo dimmi sì
Anna ci sarò
credici anche tu
lotta dentro te e prova a amarti un pò di più
Anna dimmi sì
che sai vivere anche tu
per trovare un giorno in più
se vuoi che sia così
Anna dimmi sì.”
Mi stinse facendomi male, la mia maglia era
arrotolata nelle sue mani e il mio viso tra i suoi capelli. Si staccò da me
piano, guardandomi negli occhi, piangevamo entrambe, io non avrei dovuto e lo
sapevo, ma ero fatta così, non me ne importava delle conseguenze, volevo che
stesse bene e avrei fatto di tutto per aiutarla. “Grazie” disse d’un tratto, la
scrutai alzando il sopracciglio, mi sorrise, era la prima volta che la vedevo
sorridere e ciò mi rese felice “Sei la prima che mi prende così di petto. Di
solito la gente vede che non reagisco e dopo poco molla, ma tu…” si fermò,
volgendo i suoi occhi verso l’entrata “Tu hai qualcosa in più…” disse in un
soffio “Io non ho nulla in più degli altri. Ho solo un amore immenso da donare
a chi ne ha bisogno…”.
Parlammo a lungo quel giorno, ero riuscita
a farla aprire, anche se poco, ma lo consideravo un gran traguardo. Quando
stavo per andarmene, mi bloccò alla porta, dicendomi “Anche io ho letto nei
tuoi occhi qualcosa quando ci siamo viste la prima volta” mi irrigidii, mi
voltai lentamente “Non lo so perché…ma sento un legame con te…” sospirò, poi
tornò a fissare la finestra “Ecco l’ho detto” sbuffò, probabilmente parlava con
se stessa. Sorrisi e uscii fuori, percorrendo il corridoio con una certezza in
più: insieme potevamo farcela.
Tornai a casa, feci una rapida doccia…quel
giorno avevo ignorato il mio egoismo, dimenticandomi per un attimo di essere
incinta e di avere un marito lontano, ma una telefonata di Rob, mi fece
ritornare alla realtà:
“Amore, siediti!” a quelle parole tremai,
realizzando che qualcosa non andava. Mi accomodai sul divano in salotto
e
attesi trepidante ciò che doveva dirmi
“Fatto…” non riuscii a dire altro “Oggi
abbiamo terminato le riprese…” stavo per mettermi ad
urlare dalla gioia, ma Rob
fu più veloce di me “Ma…il regista vuole che
andiamo in Vietnam a girare delle
scene per rendere più realistico il film. Parole
sue…” un gemito mi uscì dalla
bocca, incapace di proferire parola, sentii le lacrime farsi spazio tra
le mie
ciglia. Il silenzio divenne pesante, opprimente, lui aspettava che
dicessi
qualcosa, ma ero talmente triste che non avevo la capacità di
pensare
“Marghe…dì qualcosa per favore.” Silenzio
“Mi stai facendo preoccupare” Ancora
silenzio “Signora Pattinson!!!” gridò “Non
credere che a me faccia piacere
andare in quel posto. Sono stanco, me ne stanno succedendo di tutti i
colori.
Ho le scatole piene della gente, degli ordini, delle riprese. Vorrei
stare a
casa mia, con la mia famiglia e godermi quello che di bello la vita mi
ha dato!
Ma tu sembri non volerlo capire, pensi solo a te!” stava per
riagganciare “Nooooo!”
urlai, alzandomi all’in piedi, lo sentii sospirare “Ti
prego non attaccare…non
lasciarmi da sola al telefono” mormorai tra le lacrime
“Io…” deglutii chiudendo
gli occhi “Io ho paura…mi sento così…sola in
questo periodo. Lo so, c’è la tua
famiglia, i nostri amici, ma avverto la mancanza delle tue carezze,
della tua
ironia british…ho voglia di te, Rob! E il figlio che porto in
grembo non mi
aiuta…scusa” dissi ansimando, avevo trattenuto
l’aria per proferire di corsa
quelle parole “Marghe…sarà solo per qualche
settimana, poi tornerò a casa”
addolcì la voce ed io immaginai il suo volto, i suoi
meravigliosi occhi luccicare
per me, solo per me…”Prova a resistere ancora un
po’, te ne prego. Poi prometto
che per un po’ starò a casa, voglio godermi la tua
gravidanza” “Ok…ci proverò…”
“No!” disse con voce seria “Non devi provarci, devi
riuscirci!” non ammetteva
repliche “Rob, mi chiedi tanto…ma farò come mi hai
detto” rise “Perfetto”. Ma
subito dopo aver attaccato, mi raggomitolai a terra al divano e piansi
a
lungo…uno strano senso d’angoscia la fece da padrona,
l’inquietudine cresceva
minuto dopo minuto sempre di più e non riuscivo a muovermi.