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Autore: faithandmisery    02/02/2010    3 recensioni
Io sono Heather.
Non amo parlare, tanto meno non amo parlare di me, trovo che sia una cosa completamente inutile, visto poi gli argomenti che piacciono alla gente.[...]
Genere: Romantico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heather

Nota: Riferimenti a fatti, luoghi o persone realmente esistenti sono puramente casuali. I personaggi sono di mia pura invenzione.


Io Sono Io


Io sono Heather.
Non amo parlare, tanto meno non amo parlare di me, trovo che sia una cosa completamente inutile, visto poi gli argomenti che piacciono alla gente.
Sono una ragazza di quattordici anni, capelli castani, occhi grigi, piuttosto alta e magra. Sono la classica persona che molti definirebbero "asociale".
Sciocchezze, io sono come sono. Nessuno mi può dare una definizione certa.
Non ho ambizioni, né interessi, so soltanto che la vita che faccio è monotona e noiosa. Mai qualcosa di divertente.
Non so chi siano i miei genitori, in quanto sono morti quando avevo circa un anno. Non so nemmeno se ho fratelli, nonni, zii...
Ho vissuto in un orfanotrofio, adesso c'è una famiglia che mi vorrebbe adottare, ma poi, sono sicura che, appena mi conosceranno meglio, se ne andranno tirando fuori le scuse meno credibili. Scema, è questo che credono che sia.
Ma, peccato per loro, io non lo sono. Credo anche di cogliere più particolari e finezze, che nessun altra adolescente della mia età, o forse, anche più grande, possa notare.
Nell'orfanotrofio, e nella scuola, sono famosa perché con una persona non reggo un discorso che duri più di cinque, o dieci minuti. Pettegole le ragazze. Approfittatori i ragazzi. Non c'è motivo per cui io debba sprecare il mio tempo con loro.
Alzo lo sguardo: un albero spoglio, come quelli spesso ritratti nei quadri Romantici, è fuori dalla finestra. Mi piace. Ritrae malinconia, la natura di cui l'uomo ha paura, la morte, a mio parere. L'unica differenza tra noi e gli alberi, è che gli alberi, sembrano morti, negli inverni freddi, nudi, senza una foglia che possa mettere allegria o speranza, ma non lo sono. No, perché la primavera successiva si riempiono di gioia  colore. Gli esseri umani, una volta morti, lo rimangono.
La mia stanza è di un azzurro spento, nessuna foto, nessun quadro, niente. Solo il mio zaino, un letto dalla coperta dello stesso colore del muro, l'armadio con i miei vestiti, e pochi giocattoli.
Prendo la mia borsa di scuola ed estraggo un album da disegno. Prendo anche l'astuccio, per la matita e la gomma. Inizio a tracciare linee confuse.
Alla fine, la mia mano sinistra, chiamata anche "mano del Diavolo", mi ha portata a creare un disegno che ritrae un albero spoglio sotto la pioggia, simile a quello che ho davanti. Solo che qui non piove.
Dimenticavo un dettaglio: nel mio pavimento sono presenti tantissimi fogli, in bianco e nero, con vari paesaggi e soggetti, che ritraggo ogni qual volta ho l'ispirazione. Sono molti. Non do un giudizio, perché so che il mio sarebbe sbagliato. Ma non lo chiederò a nessun altro, perché non m'importa niente.
Qualcuno bussa alla porta. Io non rispondo, e quella si apre.
-La cena è pronta.- dice Billy, uno dei tanti che lavora qui.
Io, silenziosamente, mi alzo, ed esco. Varco il lungo corridoio fino alla porta più grande che c'è di fronte a me. Entro.
Il caos più totale. Questi ragazzini sono indisciplinati.
Mi siedo al tavolino più isolato, il solito, insomma. Carl, un altro lavoratore, mi serve un piatto con della carne arrosto, sembra felice. Forse sa che la carne è il cibo che preferisco, soprattutto quella arrosto.
-Umpf...- borbotto, e lui se ne va, soddisfatto, sa che, interpretata da me, quella sottospecie di parola, ha un enorme significato.
Inizio a mangiare, lentamente. Molti mi guardano, ma ormai ci sono abituata: ti guardano e confabulano tra di loro, ti stanno criticando, come se poi non vedesse.
Tipico.
Finita la cena. Me ne torno in camera. Mi siedo al centro della stanza, e penso. La cosa che amo più al mondo. Rifletto, su tutto quello che mi è accaduto durante la giornata, che poi, è sempre la stessa cosa. A scuola, durante la spiegazione, mi metto a disegnare su dei fogli o sul banco, mentre tengo lo sguardo puntato sul professore, e, se l'argomento non mi sembra più noioso del solito, mi metto anche ad ascoltare.
Ricreazione: il caos più totale, come la mensa, qui all'orfanotrofio, con la differenza che, con solo venti persone, c'è lo stesso chiasso che ne fanno circa ottocento.
Sarebbe il momento ideale per parlare con qualche amico, ma non ho amici. Non condivido le idee di quegli scalmanati senza cervello, che si credono chi sa chi.
Prendo un altro foglio dall'album, e sopra ci disegno il volto di un ragazzo, inventato, ma non mi interessa che somigli a qualcuno, se è così.
Credo che siano le ventidue passate. Lo so perché, ho notato, che una stella particolare brilla nel cielo soltanto dopo le ventidue.
Mi corico nel letto.
Se fossi una ragazza come le altre, volgerei il mio pensiero a quello che potrei sognare. Ma, per quanto mi riguarda, potrei anche sognare il nulla.

Fine capitolo

  
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