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Autore: Alebluerose91    21/05/2010    9 recensioni
Akito si è trasferito definitivamente in America e Sana ha sviluppato un'altra malattia: per proteggersi dal dolore della loro separazione, il suo cervello ha rimosso qualunque cosa riguardasse il ragazzo, finchè...
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci al terzo capitolo! Non mi piace granchè, davvero, l'ispirazione era poca... giudicate voi!! Non ho molto tempo per rispondere alle recensioni, ma ringrazio davvero tantissimo tutti quelli che leggono questa fan fiction e che soprattutto la recensiscono! Vi lascio al capitolo! Un bacio al prossimo.


3

 

 

 

«Sana.» ripeté la figura davanti a me.

E chissà come e chissà perché, il mio cuore cominciò a sanguinare. Ogni battito mi costava una goccia di sangue, era una ferita che non si era mai chiusa completamente.

Ero spaventata.

Perché all’improvviso il cuore mi batteva così velocemente e sentivo un grosso peso nel petto?

Sembrava quasi che volesse impedirmi di respirare.

«Chi sei?» mormorai, a fatica.

Il ragazzo fece qualche passo in avanti, in modo che la luce del lampione gli piovesse addosso, creando un chiaroscuro affascinante.

E il mio cuore si fermò, per un piccolo, singolo istante.

Poi riprese a battere, ripercorrendo la sua veloce corsa verso il vuoto, interrotta per qualche scherzo del destino.

Lo conoscevo. Era molto alto, i capelli chiari, di un biondo quasi cenere, ora macchiato dall’oscurità della notte, gli rendevano il viso, dai lineamenti decisi, forte e bello. I suoi occhi erano profondi, molto profondi, di uno stupendo color miele.

I suoi occhi... paralizzavano.

Ed era davvero così: non riuscivo a spostarmi da quella panchina in legno.

«Non mi riconosci?» sulla sua voce, che mi era familiare, notai una nota di sorpresa.

Scossi il capo, mi stavo sentendo male. Il dolore era quasi fisico, mi faceva male la visione di questo strano ragazzo.

«No. Non ti conosco, vattene.» riuscii finalmente ad alzarmi dalla panchina e ad arretrare di qualche passo.

Mi tremavano le gambe, sarei voluta scappare via da lì. Non sapevo perché, ma non era lui a farmi paura, quanto piuttosto le reazioni di dolore, smarrimento e confusione che la sua vista mi procurava.

Gli lanciai un’ultima occhiata, prima di voltarmi e iniziare a correre. Sentivo che mi seguiva, e in meno di un secondo mi afferrò per il polso, costringendomi a voltarmi verso di lui.

Cercai di liberarmi da quella stretta: cosa voleva quel dannato sconosciuto? La testa cominciò a farmi male, pulsava terribilmente.

«Lasciami andare!» esclamai, cercando di liberarmi con uno strattone. Ma non ce la feci, la sua presa era molto forte.

Adesso ero davvero spaventata. Sentivo le forze abbandonarmi, e gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime, che pungevano per venire allo scoperto.

«Sana... sono Akito. Sono... Hayama.» il tono di voce del ragazzo ora quasi disperato. Lo guardai negli occhi e mi ci persi.

Erano un abisso di ambra, ora scura a causa della notte. Sembrò che tutto volesse fermarsi attorno a noi.

A quelle parole seguì un pesante silenzio. Non riuscivo più nemmeno a sentire il rumore delle auto sulla strada, era come se al mondo esistessimo solo noi due.

Hayama.

«No!» strillai, stringendo gli occhi. Le lacrime cominciarono a sgorgare e con uno strattone deciso mi liberai dalla sua stretta, barcollando all’indietro.

Fece per aiutarmi, ma digrignai i denti, dandogli uno schiaffo alla mano.

«Stammi...» ansimai, fuori di me, al suono di quel nome il dolore alla testa e al petto si era acuito, «Stammi lontano.» Era poco più di un sussurro, mai fu certa che l’ebbe udito.

Non mi rispose, ma lessi nei suoi stupendi occhi qualcosa come dolore.

Lo stesso che mi sconquassava il petto in quell’istante?

 E all’improvviso, mentre i nostri occhi si sfioravano con uno sguardo profondissimo, che mi parve durare un’eternità, la mia mente si appropriò di ricordi che non riconoscevo.

 

Spinsi il mio compagno ed afferrai la pistola ad acqua che era stata riempita d’inchiostro colorato. Ennesima trovata dei ragazzi per disturbare le lezioni.

Ero davvero furibonda.

Gliel’avrei fatta pagare.

La puntai verso il ragazzino biondo dallo sguardo truce che distava pochi metri da me. Premetti il grilletto e dell’inchiostro blu macchiò la fronte del ragazzo.

«Se ora avessi in mano una pistola vera... anche io avrei già ucciso una persona. Cerca di non esagerare tu!» gli inveii contro.

 

E poi... il mio sguardo si posò sul gazebo.

Un altro ricordo. Mi pulsava la testa.

 

 

Io e quello stesso ragazzo eravamo seduti nella panchina, coperti da un gazebo.

La sua testa era poggiata sulle mie gambe, e io fingevo di essere sua madre, recitando le parole dello sceneggiato al quale avevo partecipato. Volevo fare da mamma a quel ragazzo, per fargli provare almeno una volta cosa significasse sentirsi amato. Qualcosa che molto probabilmente lui non conosceva, non avendo la madre.

Gli carezzavo i capelli con dolcezza.

«Acchan, la tua mamma si è impegnata con tutta se stessa. Perché lei ti ama, Acchan. Quindi... anche per la tua mamma, impegnati con tutto te stesso per vivere.»

 

Sgranai gli occhi, portandomi la mano al petto.

 

 

«Se ti viene voglia di piangere... puoi venire da me.» me lo disse con una mano dietro la testa, evitando accuratamente il mio sguardo. Quelle parole mi resero immensamente felice...

Sapevo che mi avrebbero dato sostegno.

 

 

Hayama.

 

 

«Hayama! Tieni, questa è...» inciampai e il bicchiere di limonata che avevo in mano si rovesciò sulla testa del ragazzo, lasciando che il liquido gli bagnasse i capelli e il viso.

Ero mortificata, avevo paura che si arrabbiasse. «Ecco... potresti ascoltarmi senza arrabbiarti, per favore?» farfugliai, mentre lui, senza una parola, si toglieva il bicchiere dal capo.

«Non avevo cattive intenzioni, mi hanno detto che bevendo un succo freddo ci si sente meglio... speravo di darti un po’ di sollievo...» cercai di spiegarmi, mentre gli ripulivo il viso con un fazzoletto.

«Mi è entrato negli occhi...» mormorò, strofinandosi gli occhi.

«Scusami non volevo... Hayama, forse è meglio se vaia lavarti la faccia, non puoi rimanere così ti resterà tutto appiccicoso... Dai, andiamo.» gli dissi, mentre lo ripulivo.

Fu un secondo. I nostri nasi erano così vicini da potersi sfiorare, e lui avvicinò ancora il suo viso, sfiorando le mie labbra con le proprie.

 

 

Ricordi...ancora ricordi.

Dolore, tanto dolore nel mio cuore infranto...

 

 

Era la vigilia di Natale, il nostro “compleanno di mezzo.”

Se n’erano andati già tutti, ma lui era rimasto fuori, mentre nevicava. Afferrando il giubbotto uscii anche io, curiosa di sapere cosa gli passava per la testa.

«Hayama? Che stai facendo? Ti prenderai un raffreddore!» esclamai. Lui si voltò e io intravidi un buffo pupazzo di neve.

Ridacchiai. «Cos’è?»

«Beh, non lo so neanche io. È per te.» replicò, pulendosi la testa dalla neve che gli era caduta addosso.

«Per me? Ah! Questo sarebbe il mio regalo? Grazie!» esclamai, entusiasta.

«Hayama, ti sei divertito oggi?» gli sorrisi.

«Così così.» rispose, alzandosi in piedi.

«Davvero? Meno male!» ormai lo conoscevo e sapevo che era il suo modo per dirmi che si era divertito molto. Pian piano riuscivo a capirlo...

«Sai Hayama, spero che festeggeremo il compleanno di mezzo anche l’anno prossimo!» era stata una bella serata, e mi ero divertita molto.

Lui non rispose, ad un tratto divenne serio. «Kurata.» mi chiamò.

Gli sorrisi. «Mh?»

«Io...» Si coprì il viso, ma dopo un istante ritirò la mano, fulminandomi con lo sguardo.

Gli occhi di Hayama... Ogni tanto paralizzano.

Non so come fece, ma mi afferrò le spalle, avvicinandomi a sé. Le nostre labbra si fusero in un dolce, indimenticabile bacio...

 

 

Il dolore alla testa mi impedì di ricordare altro. Caddi in ginocchio, accanto al ragazzo, così simile al ragazzino di quegli strani ricordi che non credevo di possedere.

Tremai un poco, poi, come in preda ad una trance, mi alzai in piedi. Lui non distoglieva lo sguardo dai miei occhi, come per cercare una risposta ad un quesito.

«Hayama...» mormorai.

  
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