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Autore: Less_    19/06/2010    1 recensioni
Una ragazza brillante, ma solitaria e senza amici, che vive in un piccolo paese che non ama con la sua famiglia, e un ragazzo particolare con una famiglia che cerca la tranquillità di un borgo di montagna, hanno un destino comune, troppo più grande di loro.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualche giorno più tardi, Alessia andò a trovare sua zia. Abitava nella “casa gialla” in mezzo al bivio oltre la chiesetta. Quando fu il momento di tornare a casa a piedi, Alessia si armò di tutto il proprio coraggio. Non che avesse paura di qualcuno dei contaminanti, semplicemente temeva di incontrarne uno e fingere di voler essere educata e gentile.

La possibilità che accadesse la riempiva di rimpianto per non essere rimasta a casa.

Poi però cambiò idea. Tutto sommato era stata un bella giornata con la zia, e non era detto che avrebbe incontrato uno dei contaminanti.

Scese le scale e imbocco la strada, talmente inutilizzata da non essere dotata nemmeno di segnaletica orizzontale. Alessia sbuffò.

Oltrepassò in fretta la chiesetta, felice di non essersi imbattuta nei contaminanti, quando si sentì chiamare. Accidenti! Proprio adesso che stava per passarla liscia!...

Ma chi l'aveva chiamata non era una voce conosciuta.

Alessia aggrottò leggermente le sopracciglia, alla vista del ragazzo che le si stava avvicinando.

«Ciao!» disse di nuovo il tipo.

«Ciao» rispose lei con la sua migliore voce “ho fretta e non voglio parlare”.

Il ragazzo sembrò stupito del suo tono, e dentro di sé Alessia sogghignò. Aveva riconosciuto il ragazzo. Era quello del sedile posteriore, quello che traslocava. Se era già un contaminante, Alessia col suo tono lo aveva freddato subito.

«Scusa, sai dirmi l'ora?» chiese il ragazzo dopo una piccola pausa di silenzio, con voce appena incerta.

«Sono le quattro meno dieci» rispose lei, e fece per andarsene.

Il ragazzo le prese il braccio, fermandola, ma a lei non piaceva essere toccata dagli sconosciuti. Si voltò e incenerì con gli occhi la mano del ragazzo.

«Scusa» rispose lui notandolo.

Era attento. Non era cosa che si potesse dire di chiunque.

Lasciò il suo braccio.

«Che c'è?» domandò Alessia seccata.

Il ragazzo esitò.

Di nuovo lei fece per andarsene, ma lui la fermò, stavolta chiamandola.

Alessia si limitò a fissarlo, interrogativa. «Volevo solo ringraziarti» disse il ragazzo.

«Per l'ora?» si stranì lei.

«No, no, non hai capito... mi riferivo all'altro giorno... grazie a te abbiamo trovato la coppia che ci ha venduto la casa» precisò lui.

«Be', prego. Per così poco» fece Alessia. Voleva davvero andarsene – stare lì, così a portata dei contaminanti, in piena area contaminata, le metteva una gran fretta addosso.

«Mi chiamo Federico» si presentò il ragazzo, e tese la mano.

«Tanto piacere. Adesso devo andare» rispose lapidaria Alessia, ignorando la mano.

Si incamminò in fretta, felice di starsi liberando di quel ragazzo.

Strano però, non assomigliava ai contaminanti. Non l'aveva guardata in modo strano – almeno non nel solito modo strano.

I contaminanti le riservavano uno speciale sguardo: un mix di insofferenza, pietà, incomprensione. Non era lo stesso sguardo del ragazzo, di Federico, che tuttavia non era comunque uno sguardo normale, almeno secondo lei.

Immersa in questi pensieri, non si accorse di essere seguita. Poi il ragazzo incespicò, non aveva tenuto il suo passo veloce, e Alessia si accorse di lui.

«Che fai?» chiese guardandolo come si guarda un cane troppo appiccicoso.

«Passeggio» rispose lui facendo spallucce.

«Mi stai seguendo» fece notare lei.

«Non mi hai ancora detto il tuo nome».

«Ma tu mi stai seguendo. Smettila».

Federico si spostò dall'altra parte della strada, e continuò a camminare.

Alessia era sempre più seccata.

«Insomma, che vuoi?» quasi gridò.

Non se n'era accorta, ma era spaventata. Era un maniaco quel ragazzo? Eppure non sembrava. Non sembrava affatto quegli stupratori che affascinavano le ignare ragazze nelle grandi città, e poi le aggredivano. Tanto più che era così gracile da non lasciar trasparire la minima forza. Probabilmente Alessia avrebbe potuto scappare facilmente.

Il ragazzo sorrise soddisfatto, e si avvicinò. Aveva già imparato come si comportava la ragazza.

«Sapere il tuo nome. E basta» rispose.

«Mi chiamo Lucilla. Adesso vattene» disse Alessia.

Riprese a camminare, e fu con leggera sorpresa che, voltandosi, vide Federico andarsene soddisfatto con le mani in tasca.

«Alessia» gli gridò dietro.

«Alessia, non Lucilla» precisò, e tornò a casa.

 

Si incontrarono di nuovo qualche giorno più tardi, ai bidoni della spazzatura.

Federico era fermo dietro al bidone giallo della plastica. Spuntò fuori all'improvviso, spaventandola.

«Ciao Ale!» la salutò ridendo come un buffone della sua faccia irritata.

Alessia si pentì di avergli detto il suo nome.

«Ciao, Fede!» lo scimmiottò, e aggiunse una risatina derisoria.

Finì di buttare le bottiglie di plastica.

«Che ci fai qui?» sputò la ragazza.

«Butto la spazzatura» rispose lui, estraendo una bottiglia di birra dalla busta che Alessia aveva in mano e gettandola nel contenitore verde.

«Che ci fai qui?» ripeté lei, ottenendo un'identica risposta, accompagnata dal tonfo di un paio di bottiglie contro il fondo del bidone del vetro.

«Seriamente, ci sono altri cassonetti, più vicini a casa tua» fece notare lei.

«Davvero?» domandò sorpreso lui. Ma non era un bravo attore. Si vedeva che lo sapeva già, e che non gli importava.

«Non hai nessun contaminante con cui bighellonare?» domandò Alessia.

«Cosa?» chiese Federico di rimando.

«Uno di quei ragazzi che abitano vicino casa tua, insomma» si spiegò lei.

«Perché li chiami così?» chiese Federico.

«Contaminanti? È quello che sono. Veramente non se lo meritano, poverini, ma io non li sopporto» osservò Alessia.

Finito di smistare i rifiuti, si mise le mani sui fianchi.

«Non hai nessuno con cui divertirti... altrove?» riformulò la domanda lei.

«Non proprio. E tu? Non hai nessuno?».

«Esatto. Non qui, almeno» rispose Alessia.

Federico si avvicinò.

«Perché?» chiese.

«Te l'ho detto, non sopporto i miei coetanei in questo paese. Sono così superficiali, hanno gruppi già formati in cui non voglio entrare... patetici, banali... forse mi sbaglio, ma io sono così. Sono diversa» spiegò.

Federico inclinò la testa.

«Non ti hanno ancora contaminato? Tu dovresti farti qualche amico, ce la puoi fare, sei nuovo. Ti accoglieranno e sarai subito dei loro» commentò Alessia.

«Non li voglio come amici» considerò lui.

«Non dovresti... va be', che importa? Fai come ti pare...».

«Non dovrei che cosa?» chiese Federico.

«Non dovresti ascoltarmi. Sono un'emarginata, una scema... diversa, asociale. Chiamami come ti pare. Fatti un'opinione tua. Conoscili. Potrebbero piacerti» sbottò lei.

Federico fece spallucce. «Forse. Come mai non ti ho visto in giro? A parte l'altro ieri, intendo. Ho controllato casa tua, ma non ti ho mai vista... sei come i vampiri, non torni a casa? E perché vieni qui a buttare la spazzatura?» chiese Federico.

Alessia sospirò.

«Numero uno, perché hai controllato “casa mia”? Numero due, non è casa mia. È casa di mia zia. Numero tre, non ho capito cosa c'entrino i vampiri. E numero quattro, vengo qui a buttare la spazzatura perché ovviamente è più vicino a casa mia...» enumerò.

Federico non rispose alla prima domanda.

«Dov'è casa tua, allora?» chiese.

«Mamma mia, ma non hai niente da fare?».

«No. Te l'ho detto, non voglio quelli come amici. Come te. Anche io sono diverso... sì, volendo potremmo anche metterla così» rispose Federico.

Per la prima volta da quando si erano incontrati, Alessia lo guardò come se non fosse stato contaminato. Come se fosse davvero “diverso”.

Lei si definiva diversa. Non le piaceva la compagnia dei suoi coetanei, era matura, intelligente, solitaria. Aveva pochi amici, nessuno che abitasse nel suo paese. Amava leggere e scrivere. Per questo si definiva diversa.

Ma credeva di essere sola nel suo genere. Cioè, non che credesse di essere l'unica secchiona emarginata del mondo... ma era sola qui. In questo paese.

«Perché ti definisci diverso?» chiese lei.

«Perché non sono a mio agio quando sto con gli altri. Non mi piace. Mi sento impacciato, fuori dalle loro chiacchiere. Dove abitavo prima ero emarginato, come te adesso. Ero quello strano, che preferiva passare il tempo a farsi una cultura piuttosto che fingere di essere figo e fare il teppista. Ti capisco, non è bello, ma è sempre meglio che essere come loro» disse Federico. Era serio, incredibilmente serio.

Alessia lo guardò di nuovo.

Era un bel ragazzo, aveva i capelli scuri e lunghi che gli ricadevano sul viso in ciocche disordinate. I suoi occhi marrone scuro erano profondi, si vedeva che nascondevano un animo particolare. I suoi tratti erano già aspri e marcati. Era abbastanza alto e magro, non particolarmente muscoloso.

Aveva un che di particolare. Magnetico.

Anche Federico guardava Alessia come se la vedesse per la prima volta.

Lei era bassina, gracile ma non esattamente magra. Aveva dei lunghi capelli marroni leggermente mossi che teneva raccolti in una coda, occhi grandi e profondi, tratti ancora morbidi, da bambina, le labbra piene e il piglio imbronciato che stonava con l'immagine d'insieme.

Alessia si sciolse i capelli, il vento fresco la faceva rabbrividire.

Iniziò a piovere.

Si voltò verso una casa bianca poco lontano.

«Andiamo» suggerì.

Federico la seguì senza esitazioni, ed entrò in casa dopo di lei.

«I miei non ci sono» disse lei quando Federico si guardò intorno.

«Così adesso so dove abiti» commentò lui.

«L'avresti scoperto, chiedendo in giro» disse lei. «Chissà, forse ti avrebbero detto che questa casa è infestata di spiriti e che uno mi ha posseduta...» sorrise Alessia, con un inconsueto buonumore.

Federico rimase in un insolito silenzio. Quando Alessia si girò, vide che era arrossito.

«Non proprio...» azzardò lui.

«Che c'è?» chiese Alessia.

Mentre parlava lo condusse in cucina e gli versò un bicchiere di tè freddo.

«Niente».

«Sei arrossito».

«No».

«Rispondi» ordinò perentoriamente Alessia.

Lui esitò. «La sera che siamo arrivati sono uscito un po', e ho incontrato i contaminanti... e mi hanno detto qualcosa su di te» disse.

Alessia lo incitò a continuare.

«Loro credono che tu... tu sia una strega... che rapisce i bambini... raccontano questa storia ai più piccoli per non farli uscire la sera... “non uscite o la strega vi rapirà”... e pensano che tu ti droghi e... e che li voglia uccidere tutti... quando ti vedono, i piccolini hanno paura» sputò Federico.

C'era dell'altro (che Alessia era una psicopatica maniaca e schizofrenica), ma Federico non ne parlò. Voleva vedere la sua reazione.

Per un attimo Alessia riuscì a controllarsi, ma poi non ce la fece più, e scoppiò in una risata esilarata. Si teneva la pancia, e non riusciva quasi più a respirare.

Federico fu inizialmente stupito, poi prese a ridere con lei.

«Ma te lo immagini? Una drogata ladra di bambini!» esclamò, continuando a ridere.

Già, pensandoci Federico si mise a ridere ancora di più della fervida fantasia dei contaminanti. Alessia, quella ragazza fragile, innocua, che oltre al disagio per i contaminanti non nascondeva niente... non poteva nascondere niente.

Federico l'aveva capito quando lei aveva confessato di sentirsi diversa. Era in sintonia con lui, era impossibile che avesse qualcosa da nascondere.

Però del resto anche lui aveva un segreto.

Fu in quel momento che il fulmine si abbatté sul giardino oltre la porta sul retro.

   
 
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