Nota:
I Tokio Hotel non ci appartengono e
con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non
intendiamo dare una rappresentazione veritiera del carattere di questi
quattro
giovincelli, nè offenderli in alcun modo.
Ciao
a tutti! :)
Bene, detto questo... Ah, possiamo garantirvi che siamo superlegate a
questa
storia e ne siamo superorgogliose *-* È proprio una bimba
per noi, quindi
tratte tela con il dovuto rispetto ù.u
La foto che vedete qui sotto è un po' la "locandina" di
questa FF,
l'abbiamo fatta noi e speriamo vi piaccia :)
Ora non possiamo far altro che augurarvi una buona lettura e sperare
che sia
davvero apprezzata e piacevole, poiché presupponiamo che vi
accompagnerà per
tutta l’estate, se non di più.
Prologo
Aprii lentamente le
palpebre, sentendo il sole battere su
di esse, e mi guardai intorno. Come se tutto fosse un sogno, mi trovai
a
socchiudere le labbra, divertita.
“Provaci!? Tuo
figlio non conoscerà mai suo padre!”,
gridò
Ale contro un Tom che sorrideva malefico, le braccia spalancate, tutto
bagnato:
era appena uscito dall’acqua cristallina.
“Ehi, guarda
che mi serve!”, le gridai, ridacchiando, ma
non parvero sentirmi, tanto erano presi a giocare come due ragazzini,
nonostante non lo fossimo più da un pezzo.
“Dai Ale,
è solo un po’ d’acqua!”,
continuò Tom,
avvicinandosi sempre di più a lei, che invece
indietreggiava, fino a quando non
si voltò e ridendo iniziò a correre a piedi nudi
sulla sabbia.
Sentii un sospiro felice
e mi voltai verso la mia sinistra,
dove vidi Bill che si stava sedendo al mio fianco, un sorriso rilassato
sulle
labbra.
“Sono sempre i
soliti bambini”, ridacchiò.
“Sì,
è vero”, annuii felice. “E quando si
sono baciati, ti
ricordi?”, ridacchiai.
“Sinceramente
non ricordo, io ero impegnato con te.”
“Cavolo se ero
ubriaca quella sera!”
In lontananza
si sentivano i loro schiamazzi, finalmente Tom era riuscito
a prendere Ale fra le braccia e lei stava cercando di liberarsi
perché era
bagnato. Sorrisi a quella scena e poi tornai a guardare Bill:
“Te lo saresti mai immaginato, tutto questo?”
“Ahm”,
corrugò la fronte, guardando l’orizzonte,
l’azzurro del cielo e del
mare che si fondevano. “No.” Mi guardò e
scoppiammo a ridere insieme.
E pensare che,
davvero, tutto era iniziato per gioco… mi metteva i brividi.
Capitolo
1: La festa
Mi passai le mani sui
fianchi, stirandomi il vestitino nero
che indossavo, e mi girai di traverso ammiccando allo specchio: quella
sera
sarebbe stato davvero uno sballo. Erano mesi che aspettavamo quella
festa e
finalmente era arrivata. Mancavano giusto poche ore e poi ci saremmo
divertite
così tanto da dimenticarci pure i nostri nomi.
“Sì
Ary, sei bellissima come al solito, hai finito?”,
mugugnò una voce che non avrei mai confuso nemmeno fra un
milione. Perché era
unica. Perché era la mia.
Mi girai e incrociai le
braccia al petto, guardandola
alzando il sopracciglio.
“Ci vuole tempo per queste cose, Ale! Voglio essere
perfetta.”
“È
tre ore che sei di fronte a quello specchio! Ha la
nausea di te, fra un po’!”
“Beh, allora
mi sa che si sentirà male quando vedrà
te”,
ridacchiai.
“Molto
divertente.”
Ale si alzò
dal letto sul quale si era spaparanzata
aspettandomi e si mise al mio fianco, un sorriso dolce sulle labbra
mentre
iniziava a pettinarmi i capelli biondo cenere che cadevano lisci sulla
schiena.
Io la guardai attraverso lo specchio, soffermandomi sui suoi occhi
castani che
in confronto ai miei, nonostante fossero identici, erano qualcosa di
completamente affascinante.
Guardare lei era come
guardare me, eravamo l’una lo
specchio dell’altra e ogni volta che ci pensavo mi si
riempiva il cuore di
gioia, perché solo Dio sapeva quanto mi aveva resa felice
facendomi nascere
esattamente cinque minuti dopo di lei.
Non potevo nemmeno immaginare una vita senza di lei, la mia gemella,
non era
proprio possibile. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta, era
parte di me e
togliermela sarebbe stato come strapparmi il cuore dal petto.
“Hai sentito
Andy, alla fine?”, mi chiese distraendomi dai
miei pensieri.
“Sì,
ha detto che ci saranno anche Bill e Tom”, sogghignai
passandomi la lingua sul labbro inferiore.
“Non fare
quella faccia, pervertita!”, scoppiò a ridere,
contagiandomi. “Tanto non si accorgeranno mai di noi,
dai… Loro sono delle star
internazionali ormai!”
“E dunque?
È solo per divertirci Ale, nulla di serio! Ma ti
pare?!”
“Come sempre.
Tu ti vuoi divertire e basta. Quando metterai
la testa a posto?”
“Ah, ti prego,
non fare come mamma!”
“Non sto
facendo come mamma… sono solo preoccupata per te!”
Mi girai e la guardai
negli occhi, prendendole le spalle
fra le mani:
“Preoccupata di cosa?”, sorrisi.
“Non lo
so… Prima o poi succederà che ti incastrerai in
qualche legame senza volerlo e potresti anche
soffrirne…”
“Oh Ale, stai
tranquilla! Non succederà mai. Ora aiutami a
scegliere le scarpe, siamo in ritardo!”
Ale scosse la testa e mi
guardò saltellare a piedi nudi
verso la scarpiera, un sorriso da bambina sul viso.
“Non vorrai davvero mettere le All Star, vero?”,
chiese ridacchiando; io mi
bloccai con la mano su quelle scarpe, colta in flagrante.
“Non si intonano per
niente con il vestito.”
“Ok, ho
capito”, sospirai prendendo degli stivaletti di pelle
nera con il tacco.
Me li infilai e dopo un ultimissimo veloce controllo al trucco nero
intorno
agli occhi, scesimo di sotto, dove trovammo Davide svaccato sul divano
a
guardare svogliatamente la tv.
Il nostro fratellone.
Era più grande di noi di quattro
anni: lui ne aveva ventidue e noi ne avevamo appena compiuti diciotto.
Finalmente maggiorenni! Quello per noi sarebbe stato l’ultimo
anno di liceo e
poi ce ne saremmo andate da qualche parte in America, forse a Chicago,
o ancora
meglio a New York. Sempre se tutto sarebbe andato secondo i piani.
“Non esci
stasera, Dave?”, chiesi mentre Ale mi passava il
cappotto: eravamo davvero in ritardo!
“No, Marika ha
la febbre.”
“Oh, capito.
Allora possiamo prendere la tua macchina?”
“Sì,
ma voglio che torni intatta, chiaro?”
“Cristallino
come la rugiada all’alba!”, alzai i pollici
sorridendo.
“State attente
bambine, divertitevi!”
“Sì,
mamma”, cantilenò Ale, prima di trascinarmi alla
porta
e di uscire nel buio della sera.
“Guido
io!” Mi catapultai al posto del guidatore ed
emozionata misi le mani sul volante.
“Ricordi
quello che ha detto Dave? La rivuole intatta. E
l’ultima volta che ti ho lasciato guidare siamo finite
addosso ad un palo della
luce dopo nemmeno quattro metri!”
“Dai Ale, non
l’avevo visto!”, sfarfallai le ciglia
tendendo la mano verso di lei, che si arrese e mi diede le chiavi.
***
Eravamo arrivate alla
festa in perfetto orario, ero stata
brava a guidare quella volta: il cofano non si era schiantato contro
nessun
palo della luce. Ero orgogliosa di me.
Avevamo fatto gli auguri ad Andreas, il festeggiato, che conoscevamo da
qualche
anno a quella parte ormai, e poi ci eravamo guardate intorno cercando
le nostre
due prede, ma di loro ancora nessuna traccia.
“Arriveranno, non vi preoccupate!”, ci aveva detto
lui ridendo, e io ero
davvero impaziente.
Ora, fra suoni, luci,
colori, avevo perso di vista mia
sorella. Anzi, avevo perso prima la vista che lei: vedevo doppio. Forse
avevo
sbagliato a prendere tutti quei cocktail di fila nell’attesa.
Lei me l’aveva
detto… Ma io, cocciuta, non l’avevo ascoltata.
Volevo divertirmi senza essere rimproverata né controllata
da nessuno,
tantomeno da lei. La mia metà avrebbe dovuto capirmi!
Mi girai di scatto,
travolta da un ragazzo alto e dai
capelli corvini che gli sparavano sulla testa in una cresta di almeno
quaranta
centimetri.
“Ehi, stai attento, maleducato!”, strepitai
sentendo delle forti fitte alla
testa: quella sbornia non sarebbe passata tanto in fretta.
“Scusa, non ti
ho vista”, disse il ragazzo, voltandosi
verso di me.
Vedevo due volte il suo
bel viso androgino, erano
addirittura quattro i suoi occhi nocciola contornati da ombretto e
matita neri.
Sembrava un alieno!
Mi trovai a ridacchiare a quel pensiero: in effetti gli mancavano solo
le
antennine verdi e sarebbe stato perfetto!
Qualcosa mi diceva però che non veniva da Marte, e dopo
averci pensato un po’
su mi resi conto che quello era proprio Bill Kaulitz. Era tutta la sera
che
cercavo con Ale i due gemelli Kaulitz, senza successo, e quando per un
momento
avevamo lasciato perdere la nostra caccia il minore si presentava di
fronte a
me? A saperlo prima!
“Tu sei bella
ubriaca, eh?”, ridacchiò.
“Ma
va’, che dici?!”
Qualcun altro mi
passò accanto e io traballai
pericolosamente, ma Bill fece in tempo a sorreggermi per un braccio,
aiutandomi
a non fare una figuraccia. Ero pure sui tacchi! Colpa di mia sorella.
“Magari un
po’ d’aria fresca ti farebbe bene”,
ridacchiò di
nuovo, portandomi fuori con sé. Che ci trovava di tanto
divertente? Mi ero
persa forse qualcosa?
Uscimmo fuori dal locale
e all’arietta fredda della sera
venni percossa da un brivido che mi riportò almeno in parte
alla lucidità.
“Conosci
Andreas?”, mi chiese appoggiandosi alla parete
dietro di sé, le mani in tasca.
“Sì!
Dalle superiori! Cioè, quando noi eravamo in prima lo
conoscevamo di vista, nei corridoi, al bar… robe
così… Poi, a metà della
seconda, un suo amico ci ha presentati, in un pub, e siamo diventati
amici
amici! È stato anche il mio ragazzo per tre…
quattro… forse cinque giorni… Quel
biondino così carino… Ma eravamo troppo
diversi… Impossibile che durasse! E
così ci siamo lasciati… Era troppo
possessivo… Ma ora siamo ottimi amici! Non
vi ha mai parlato di noi? Strano!” Parlavo sempre tanto, ma
quando ero ubriaca
diventavo proprio logorroica!
“Di voi chi,
scusa? Mi sa che ho perso un pezzo.”
“Di me e di
mia sorella!”
“Aspetta…
Non mi dire che tu e tua sorella siete le gemelle
pazze di cui ci parla sempre!”
Corrugai la fronte, poi
annuii scoppiando a ridere. “Siamo
noi!”, gridai alzando le braccia al cielo. “Ahia,
mi gira la testa…”, mugugnai
subito dopo e conclusi in bellezza cadendo fra le sue braccia, che per
fortuna
mi sorressero.
Sollevai il viso verso il suo e sorrisi prima di baciarlo sulle labbra
fresche
e carnose, prendendolo alla sprovvista.
Bill mugugnò
e si allontanò un po’: “Ma che fai?! Non
so
nemmeno come ti chiami!”
“Arianna.
Sì, Arianna”, ridacchiai lasciandogli tanti
bacetti asciutti sulla bocca.
“E sei
ubriaca!”, continuò prendendomi per le braccia.
“E
quindi?”
“E quindi
domani non ti ricorderai assolutamente nulla!”
Sogghignai.
“Nah… come posso dimenticarmi il tuo bel
visino? E poi che ti importa? Non ci pensare ora…”
Chiusi gli occhi al contatto
con le sue labbra e Bill quella volta ricambiò, forse
convinto dalle mie
parole, forse notando che era pur sempre un’occasione per
divertirsi un po’
senza troppi pensieri.
Portò le mani
calde e sulla mia schiena e sorrisi, in un
attimo di lucidità, pensando che alla fine ce
l’avevo fatta a raggiungere il
mio scopo: divertirmi fino a dimenticare il mio nome. Avevo seri dubbi
sulla
mia identità con tutto quell’alcool nel sangue.
“Ho trovato
tua sorella!”, sghignazzò qualcuno
all’entrata
dal locale, poco distante da noi.
Bill si
staccò velocemente e girò il viso verso destra,
aprendo e chiudendo la bocca come un pesce fuor d’acqua,
shoccato.
“Ah, eccoti
qua!”, tuonò una voce che invece riconobbi
all’istante: Ale. Ora capivo il perché dello shock
di Bill: si era trovato la
mia gemella davanti, senza ricevere prima nessun avvertimento.
Mi girai e la guardai,
una nana in confronto al ragazzo che
aveva accanto, che una volta messo a fuoco lo identificai come Tom
Kaulitz, il
fratello del mio divertimento.
“Oh, hai trovato il tuo Kaulitz!”, ridacchiai
aggrappandomi di più a Bill per
non perdere l’equilibrio.
Ale si
irrigidì e mi guardò male arrossendo lievemente
sulle guance, mentre il ragazzo al suo fianco tratteneva a stento le
risate.
“La festa è finita, sorellina”, disse
severa strappandomi dalle braccia di
Bill, a cui rivolse un sorriso imbarazzato.
“Ma io mi
stavo divertendo!”, piagnucolai mentre mi portava
con la forza alla macchina.
Prima che riuscisse a
farmi sedere sul sedile del
passeggero, ad allacciarmi la cintura e a chiudere la portiera, salutai
Tom con
la mano, un sorriso malizioso sulle labbra. Poi rivolsi la mia
attenzione a
Bill, al quale feci segno di chiamarmi portandomi la mano
all’orecchio.
Ale scosse la testa e accennò un saluto ai ragazzi,
aprì la portiera e senza
nemmeno rendersene conto la fece schiantare contro quella della
macchina
accanto, lasciandole una riga di vernice blu sulla carrozzeria grigio
metallizzato.
“Merda”,
sbuffò innervosita, poi si mise al mio fianco e
sbattè la portiera con un rumore sordo che
infastidì i miei timpani in quel
momento molto più sensibili del solito.
“Che
c’è Ale, non ti sei divertita?”, chiesi
con un
sorrisetto ebete. Lei borbottò qualcosa infastidita e
sgommò via.
***
Tom si
avvicinò al fratello e guardò assieme a lui la
macchina delle gemelle allontanarsi e voltare l’angolo
scomparendo alla sua
vista. Bill, le mani nelle tasche, scosse la testa e
ridacchiò.
“Perché
ridi?”, gli chiese il maggiore.
“Perché
non mi ha dato il suo numero, come faccio a
chiamarla?”
Si guardarono negli
occhi e scoppiarono a ridere.