You Must Be An
Angel
(E non è
tutto…)
“Sei
sicura di volerglielo dire proprio
ora?”
“E
quando, sennò? Se continuo a rimandare, non glielo
dirò più!”
“Ma
se ne accorgerà comunque, Katie! In fondo, la pancia deve pur crescerti tra qualche
mese…”
“Non
parlarmi della pancia, altrimenti
mi sento male! Come farò a scuola, in giro per la
città, a casa mia…”
“In
questo momento la pancia è il problema minore: si tratta
solo di far conoscente tua madre della tua gravidanza! So che non la prenderà
bene…”
“Si
darà la colpa per la mia imprudenza, e cadrà
nella depressione…”
“Non
dire così,
tua madre non ne sarebbe capace!”
“Tenterà
di suicidarsi,
Sandy!”
“Ma
chi te lo dice?”
“Lo
dico io, cazzo! Tu non conosci mia madre: si dispererà
inutilmente quando verrà a sapere che sono incinta, e non mi
farà più uscir di casa per il resto dei miei
giorni! Sai che è terribilmente protettiva, non si
darà pace finché non avrà capito perché è successo
quel che è successo”
“E
se invece la prende bene?”
“Non
la prenderà bene,
maledizione!”
“C’è
sempre una possibilità, Katie! Ora
tu ritorni a casa, e le dici chiaro e tondo che sei incinta!”
“Non
mettermi ansia, so perfettamente quello che devo fare!”
“Ed
allora fallo”
“Aspetta
un secondo”
“Cosa
c’è?”
“Come
glielo dico?”
“Potresti
prenderla da una parte, e cominciare immediatamente, senza tanti
preamboli. Però, mi raccomando, guardala in faccia mentre le
stai parlando: capirà che ti fidi di lei, e che non aspetti
altro che ti dia qualche consiglio su come affrontare la tua situazione
nel migliore dei modi. Dopotutto lei ci è passata prima di
te, e saprà rassicurarti alla perfezione”
“Okay.
Però
c’è un altro problema, Sandy…”
“E
cioè?”
“Vorrà
sapere… Insomma… Chi
è stato…”
“E
tu glielo dirai. Non
c’è nulla di più semplice!”
“Sì,
ma…”
“Fidati
di me, Katie. Scommetto che non farà commenti poco ortodossi
su Joe. Tua madre non è il
tipo per queste cose”
“Lo
so… Bene, allora vado…”
“Vai,
con forza e coraggio!”
“Lo
spero!”
Possibile
che il 31 di ottobre facesse un caldo tremendo?
Okay,
abito a Los Angeles, una delle città più assolate
di tutto il mondo, ma mi pare abbastanza esagerato tenere le finestre
aperte e gironzolare per casa a piedi nudi, sventolandomi con Rolling
Stones e sorseggiando the freddo al limone.
Ah
sì, stavo cominciando a sudare come un bufalo.
E
tutto questo per colpa di Michael e della sua stupida sorpresa!
Ma
quando cavolo si volevano presentare entrambi?
Ho
ricontrollato trentasette volte la data sul calendario appeso in cucina
e se ancora la vista mi regge segna il giorno venerdì 31
ottobre 1986, ovvero il giorno in cui la sorpresa di quel benedetto
ragazzo dovrebbe presentarsi a casa mia.
È
da mezzanotte che aspetto ma ancora non ho visto nulla!
Oh,
che strazio!
Decisi
di sedermi sul divano ed aspettare la sorpresa comodamente seduta: se
disgraziatamente fossi svenuta per l’emozione la mia testa
non si sarebbe sfracellata al suolo, bensì sui morbidi
cuscini del divano.
Mi
stavo appisolando quando sentii sbattere violentemente il portone
d’ingresso, tanto che il divano vibrò sotto di me:
non avevo dubbi su chi fosse appena entrato.
Mi
sporsi un poco per osservare Katie che si toglieva il cappotto e lo
appendeva nel vestibolo: dalla lentezza dei suoi gesti sembrava molto
stanca, e decisi di non infastidirla ulteriormente con le mie
chiacchiere insensate, anche perché se avessi osato
avvicinarla in simili frangenti non sarei uscita viva od almeno con
tutte le parti del corpo al loro posto.
Infatti mi
stupì molto vedermela davanti agli occhi dopo qualche
momento, le mani dietro la schiena e gli occhi bassi.
Il mio
istinto materno non mentiva mai, e compresi che c’era
qualcosa che non andava: non la vedevo così preoccupata da
quando aveva cinque anni ed aveva paura di cadere dalla biciclettina
senza ruote.
“Devo
parlarti,
mamma…”
Oh
fantastico. Ora sì che mi sento meglio!
“Siediti
accanto a me, tesoro, e dimmi tutto. Non
aver paura”
“No,
non fa niente, mamma! Rimango in piedi, non preoccuparti”
“Okay…
Allora, cosa c’è?”
“Non
è facile spiegarlo… Non so neanche da dove
cominciare… Insomma…”
Il
nervosismo nella voce e nei gesti di Katie cominciò a
rendere nervosa anche me: quando mai mia figlia era stata
così ansiosa?
Bene,
quasi mai in tutta la sua breve vita.
Deglutii
e la rassicurai, dicendole di fare un bel respiro e di dire
ciò che doveva dirmi nel modo più semplice ed
immediato.
Dopo
qualche minuto di tentativi le gambe di Katie smisero di tremare
così come la sua voce.
Ne
rimasi molto sollevata, anche se avvertii un presentimento che
svolazzava felice attorno al mio naso, e di solito i miei presentimenti
non si sbagliano mai, per la gioia dei diretti interessati.
“Allora…”
Quella
parolina così piccola ed insignificante mi fece aggrappare
alla fodera del divano, stringendola a tal punto che temevo di
strapparla.
Ma in
fondo succedevano cose peggiori!
“Il
punto è che…”
Mi
sporsi verso Katie, in preda all’angoscia
dell’attesa, e sicuramente la mia faccia era mostruosamente
deformata perché arricciò il naso ed
arretrò di un passo.
“Sono
incinta!”
Bene.
“Mamma?”
Okay,
Fiordaliso.
“Mamma?”
Abbiamo
proprio svoltato!
“Mamma,
mi senti?”
E come
faccio a sentirti se sono svenuta?
“Ma
cosa diavolo hai combinato per ridurla così,
Katie?”
“Niente,
le ho solo detto una cosa”
“E
di che cosa si tratta?”
“Beh…
È una storia lunga”
“…Che
tu mi dirai non appena tua madre si sarà ripresa!”
“Perché
mai dovrei dirtelo,
impiccione di un maggiordomo?”
“Perché
è mio diritto saperlo, ragazzina!”
“Ma
come ti permetti? Questa è violazione
della privacy altrui!”
“Ehi,
voi due, smettetela! Si sta risvegliando! Ehi Fiorellino, mi senti? Tutto okay?”
Insomma,
non che mi sentissi molto bene.
Dopotutto
mia figlia di quattordici anni mi aveva appena detto che era incinta, o
sbaglio?
Eppure
al solo udire quella voce le mie membra si ammorbidirono ed i miei
occhi lentamente si riaprirono alla luce: all’inizio riuscii
a scorgere soltanto delle ombre sfocate dalla lampada del soggiorno e
dalla mia indisposizione ma dopo un po’ mi riabituai al mondo
dei non-svenuti e potei mettermi a sedere sul divano.
A
fissarmi con aria confusa c’erano mia figlia, Fernando e
Michael…
Ecco
di chi era la voce che mi aveva risvegliato! E di chi, sennò?
Riuscirei
a distinguerla anche in un nugolo di persone vocianti.
“Michael…
Ma tu che ci fai qui?”
“Mi
hanno chiamato Katie e Fernando, no? Volevano un supporto per farti rinvenire,
perciò ho lasciato tutto il mio bel lavoro a metà
e sono venuto da te” mi rispose, sorridendomi.
“Oh,
ma perché l’hai fatto? Non
ce n’era bisogno, Michael!”
“Per
te questo ed altro”
Si
sistemò accanto a me, circondandomi i fianchi con un
braccio, e lì mi sentii svenire di nuovo, se non mi avesse
sussurrato all’orecchio una frase che sviava tutte le sue
potenziali azioni pericolose: mi fidavo di Michael, ma più
passava il tempo e più mi accorgevo che il suo atteggiamento
nei miei confronti stava cambiando, e non sapevo dire con esattezza se
in meglio o in peggio.
Veniva
spesso a trovarmi, ed era molto protettivo: delle volte trascurava il
suo lavoro per stare con me, e tutto ciò mi rendeva
abbastanza nervosa.
Chiedeva
spesso di Katie, ed io gli rispondevo che era sempre impegnata con i
suoi amici, con la scuola, con i suoi imprevedibili sbalzi
d’umore, e lui ci rimaneva molto male: erano sempre stati
buoi amici, ma un così tale attaccamento non
l’avevo mai visto.
Cominciai
a preoccuparmi per noi due: Michael era una persona misteriosa ed il
suo comportamento era difficile da prevedere, ne aveva già
dato prova molto tempo prima.
Tuttavia
riuscivo a scorgere nei suoi occhi un bagliore di sincerità,
anche se piuttosto timoroso: chissà cosa avesse in serbo per
me.
Me lo
chiedevo da più di un anno.
“Non
preoccuparti, Katie mi ha
raccontato tutto”
Sussultai
sotto il suo candido tocco.
“Capisco
quanto possa essere difficile, ma tieni duro. Saprai consigliarla a
dovere, lei non aspetta altro”
Al
suono di quelle parole gli occhi scuri di Michael furono sostituiti da
due pupille dorate molto famigliari: dove avevo già visto
quegli occhi?
“Ha
un grande compito da assolvere…”
Un
momento…
“Proteggila…”
Ma non
può essere…
“Stalle
accanto…”
“Ma
come facevi a sapere…”
Le mie
labbra si bloccarono impedendomi di finire la frase, così
come gli occhi erano fissi su Michael: era come se avessi trovato la
soluzione ad un enigma infinito, sciogliendo i nodi che mi tenevano
lontana dalla verità.
Finalmente
ogni cosa combaciava al proprio posto: come cavolo non avevo fatto ad
accorgermene prima?
“Ti
senti bene,
mamma?”
I
mormorii di Katie mi riportarono a galla dai miei infallibili
presentimenti, e dopo averla rassicurata sulla
mia salute decisi che in quel modo non si poteva
più continuare: o la verità o niente!
Perciò
cacciai dal soggiorno sia mia figlia che Fernando, che se ne andarono
via mogi come due cani bastonati: li avrei fatti rimanere se solo non
avessero dovuto sentire ciò di cui dovevamo discutere io e
Michael.
Per
quanto volessi bene ad entrambi la situazione era troppo delicata: prima avrei preteso la verità,
poi mi sarei occupata
d’altro.
Quell’altro
era Katie: mi sentivo una scatola di fagioli vuota dimenticata sul
marciapiede per averla buttata fuori in quel modo, fregandomene
completamente della sua condizione e del suo stato d’animo,
ma i miei presentimenti, non sbagliando mai, pensavano che se prima
avessi risolto un problema più grande, come quello di
Michael, dopo sarei riuscita a dedicare più tempo a mia
figlia.
Dopotutto
la sorpresa era un problema, no?
A
quanto pare anche dei ricconi come Michael non andavano molto
d’accordo con i servizi postali.
A
proposito di Michael, perché era così impaurito?
Di
solito sfoggia quella irresistibile faccetta da schiaffi con la quale
è impossibile insultarlo senza cadere nei sensi di colpa, ed
invece ora devo sorbirmi questa nuova particolare espressione con la
quale Michael non si divertirà più a regalarmi
sorprese.
“Innanzitutto
devo porti due basilari domande, Michael”
Bene,
si comincia!
“Okay,
dimmi” rispose Michael visibilmente preoccupato.
“Prima
basilare domanda: come facevi a sapere che mia figlia era incinta prima
che lo venissi a sapere io? Te
l’ha detto lei, per caso?”
“No,
non mi ha detto nulla…”
“Centra
qualcosa una certa indigena con un nome che ora non mi
ricordo?”
Michael
mi fissò interdetto, cercando di afferrare il concetto della
mia affermazione.
“Stai
parlando di Elizabeth?”
“Di
chi?”
“Di
Elizabeth. Occhi Che Vedono Nel Buio
è il suo nome indiano, non lo usa molto spesso. Anzi, ora
che ci penso, non lo usa mai! Come
fai a conoscerla?”
“Come
fai a conoscerla tu!”
“È…
Una mia vecchia amica”
“Quanto
vecchia?”
“Ha
più o meno la tua età. Ci frequentiamo da
parecchio, ma non siamo mai andati oltre… Siamo solo buoni
amici”
“Lo
immagino”
“Dove
l’hai conosciuta?”
“Non
importa! Ciò che mi ha sconvolto è quanto mi ha
detto su Katie, praticamente le stesse cose che mi hai detto tu! Cioè, ci ha azzeccato!”
“Per
forza, è una veggente”
“Davvero?”
“Sì.
Sapeva di lei ancor prima che Katie conoscesse il padre di sua figlia”
“Sua
figlia?”
Indietreggiai
terrorizzata e rischiai quasi di cadere per colpa del maledetto
tavolinetto del soggiorno che si era appostato dietro di me, ma
fortunatamente mi ci ritrovai seduta sopra, fissando Michael come se
fosse stato un cervo a tre teste che stava bevendo Coca Cola con le
orecchie.
Quel
ragazzo mi è sempre apparso diverso dagli altri, ed ora
avevo la prova che lo era: non sapevo
cosa in realtà fosse, se non che non era umano.
A meno
che non fosse anche lui un veggente, come aveva fatto a sapere che
Katie aspettava una bambina?
Il
sesso del neonato è uno dei problemi minori di una mamma:
l’importante è che suo figlio sia sano e cresca
bene, perciò, conoscendo Katie, pensai che non gliene
interessasse nulla.
Inoltre
prima di qualche mese non si nota neanche, e Katie presentava ancora la
sua solita pancia da adolescente seria e magra.
Conosceva
anche il padre della piccola!
No no,
non può essere umano…
“T-tu
come cavolo fai a… A sapere…”
“Calmati,
Fiordaliso, non è successo niente…”
“I-io
sono calmissima, Michael… Vorrei solo capire in che guaio mi
sono cacciata… E come mai tu sai di mio, anzi, di mia nipote…”
“Ti
spiegherò tutto, ma stai calma, per favore!”
Michael
riuscì a bloccare le mie braccia che stavano per strozzarlo
e con esse si bloccarono anche le mie labbra, non
tanto perché stavo per ricevere la
verità tanto agognata, quanto per la tranquillità
interiore che mi trasmetteva il tocco di Michael.
Ancora
un altro inspiegabile fenomeno che a distanza di anni non ho ancora
compreso…
“Allora,
Fiordaliso…So così tante cose sul conto di tua
figlia perché…”
“Perché?”
“Perché…Oh,
così è troppo difficile da spiegare!”
“Ed
allora spiegati diversamente!”
“Okay,
allora… Hai presente la tua sorpresa?”
“Ho
presente, purtroppo”
“Bene,
allora devi sapere che…”
Michael
trattenne il respiro per un tempo che mi sembrò infinito. O
forse è la mia fervida immaginazione che mi fa allungare il
tempo?
“La
sorpresa che avresti dovuto ricevere oggi…”
Stavolta
ero io a trattenere il respiro: la situazione mi ricordava tanto quei
concorsi alla TV nei quali il conduttore ti lascia addirittura il tempo
di depilarti entrambi le gambe prima di designare il nome del vincitore.
Odio i
concorsi televisivi.
“È
tua nipote”
Bene,
questa ci voleva proprio!
“Sei
svenuta un’altra volta?”
“Oh
figuriamoci, con tutto quello che mi è successo oggi
è un miracolo che sia partita per
poco tempo!”
“Scusami”
Per la
seconda volta Michael mi aiutò ad alzarmi, stavolta dal
pavimento, e mi fece accomodare sul povero divano, che in meno di
mezz’ora ne aveva passate di tutti i colori.
Dopo
che mi fui ripresa mi chiese se poteva continuare la sua spiegazione ed
io, curiosa e senza alcuna preoccupazione sulla mia
emotività vacillante, accettai.
Non mi
preoccupavo di perdere i sensi se c’era Michael a soccorrermi.
“Innanzitutto
devi sapere che io non sono un vero e proprio essere umano…
Bensì un angelo”
“Questo
me l’ero immaginato”
“Perché
ora non ti stupisci… E non svieni?” mi chiese
Michael confuso dal mio tono di voce pacato.
“Per
far contento te? Ormai non mi emoziono più per
così poco, al mondo succedono cose peggiori. E poi me lo
aspettavo: una persona meravigliosa come Michael Jackson non
può certo venire da questo mondo”
“Grazie
per avermi fatto notare il fatto che io sia un
extraterrestre” rispose ironicamente, facendomi ridacchiare
soddisfatta.
“Anche
se non sono un extraterreste:
sono un angelo”
“Questo
l’avevo capito. Ma cosa
centra con la mia sorpresa?”
Michael
sospirò e mi guardò stancamente.
“È
una storia troppo complicata: non posso iniziare da metà
racconto e poi terminare al suo inizio. Perciò ti
farò conoscere la nostra storia,
e poi arriverò alla tua sorpresa”
“Okay,
ma sbrigati, sono impaziente!”
Michael
sospirò ancora.
“E
va bene! Innanzitutto devi sapere che gli angeli si dividono in varie
categorie, ma ce ne sono due estremamente importanti…”
“Okay…”
“La
prima è rappresentata dagli
essere umani che morendo si trasformano in angeli custodi,
(di solito proteggono le persone che più hanno amato nella
loro vita terrena) ma naturalmente non sanno che, arrivati in Paradiso,
diventeranno messaggeri del Signore.
La
seconda categoria, cui appartengo io, contiene degli angeli molto
particolari, che nascono con il potere di trasmettere messaggi al mondo
ed all’umanità attraverso il loro talento divino:
sono gli artisti. Pittori, musicisti, scrittori, cantanti, ballerini,
disegnatori, e quant’altro sono i messaggeri del Signore per
eccellenza: attraverso la loro arte il messaggio divino arriva diretto
al cuore di ogni persona, e fa sì che si trasmetta
più velocemente, da individuo a individuo.
“Sospettavo
anche questo”
“Mi
fa piacere, vuol dire che hai recepito il messaggio!”
“Certamente!
Ma la mia sorpresa?”
E qui
Michael sospirò per la terza volta.
“Ci
sto arrivando!”
“Okay”
“Bene!
Dicevo, noi artisti siamo consapevoli sin da subito
dell’influenza divina in noi, e questo non può far
altro che accentuare le nostre capacità.
Naturalmente
abbiamo caratteristiche diverse dai nostri colleghi terrestri: possiamo
calmare gli animi affannati semplicemente stando accanto ai diretti
interessati. L’effetto, di solito, è immediato.
Poi,
ogniqualvolta ci troviamo in pubblico, ogni attenzione è
concentrata su di noi, e non possiamo assolutamente evitarlo: purtroppo
ne so qualcosa…”
“Già!”
“E,
cosa più importante, possiamo proteggere un umano mentre
siamo ancora in vita.
Ma non
siamo noi a sceglierlo”
“Perché?”
“Siamo
angeli particolari, e non possiamo
privilegiare una persona, ben sapendo che ce ne sono altre che hanno
più bisogno del nostro aiuto. Perciò ci
accontentiamo di quello che ci viene dato”
“Ma
non è giusto! Magari vi capita un cretino che odia la vostra
arte, e voi ve lo dovete portare appresso finché non muore!”
“Col
tempo si diventa amici, tranquilla. Esistono
problemi peggiori”
“Anche
questo è vero. Ma la mia
sorpresa?”
Michael
non ne poteva più di sospirarmi in faccia, perciò
si limitò a guardarmi esausto.
“Ora
ci arrivo.
Stavo parlando dei nostri protetti, che quasi sempre sono semplici
esseri umani. Dico quasi sempre
perché può capitare che ci vengano dati angeli
custodi come noi.
È
un fenomeno rarissimo, che si ripete ogni secolo: in questi cento anni
a quattro angeli custodi molto influenti viene affidato un bambino, che
può nascere in qualsiasi anno ed in qualsiasi luogo, ma solo
il suo protettore può sapere ciò.
Prima
della loro nascita noi incontriamo i loro parenti, ai quali diamo tutte
le informazioni necessarie per crescere e tenere al sicuro il piccolo
prima che venga affidato a noi. Lì diventiamo amici dei
bambini, facendogli conoscere la loro vera natura, e non ci separeremo
finché loro moriranno. In certi casi siamo noi a morire, ma
non lasciamo mai solo il nostro protetto: il rapporto che ci lega
è così forte che neanche la morte può
spezzarlo”
“Perciò
tu vuoi dire che…”
“Sì,
la bambina che sta aspettando Katie è la mia protetta. Ed è un angelo custode…
Come me”
“Forte!”
dissi dopo parecchi minuti di silenzio.
Veramente
non sapevo cos’altro dire: la notizia era sconvolgente.
Troppo
sconvolgente.
“Sorpresa?”
“Molto.
Però mi aspettavo di
peggio”
“Davvero?”
ridacchiò Michael.
“Sì.
Pensavo che fossi un extraterrestre, e che volessi regalarmi una nipote
extraterrestre. Ma fortunatamente non è andata
così.
Mia
nipote è un angelo”
Sorrisi
a quel maledetto ragazzo che mi aveva cambiato la vita in meno di dieci
minuti, con una piccola frase.
Ne
avrei viste di peggiori, ora che mi toccava allevare una creatura molto
particolare e delicata, ma sapevo che con il suo aiuto sarei riuscita
in qualunque impresa.
Ma
c’era ancora qualcosa che volevo sapere.
“Ed
il ciondolo?”
“Cosa?”
“Il
ciondolo a forma di coroncina che mi avevi regalato…
È per lei, vero?”
“Sì.
Le servirà per farsi riconoscere dai suoi tre simili, e
dovrai donarglielo tu, visto che sei la prima alla quale il suo
protettore ha parlato”
“Ho
capito. Perciò ora lo
dirai anche a Katie?”
“Ed
anche a Fernando”
“Quel
capoccione non ti crederà mai!”
“Dovrà,
per forza. Anche lui fa parte della
tua famiglia”
“Già.
Allora… Glielo diciamo
subito?”
“Come
vuoi”
“Okay,
vado a chiamarli!”
Mi
alzai velocemente dal divano e corsi verso la porta, ansiosa di
raccontare alla mia famiglia ciò che avevo scoperto:
certamente ci sarebbero rimasti di stucco come me, ma mi sentivo in
dovere di farlo.
Michael
si fidava di me, non potevo deluderlo.
Mi
resi conto solo allora della luce misteriosa che aleggiava per tutta la
nostra casa: la dolce luce di un angelo in arrivo.
Come
avevo previsto, al ricevimento della notiziona, Katie si
immobilizzò come un palo del telefono e non si mosse fin
quando Michael non la rassicurò dolcemente, e Fernando
cominciò ad urlare insulti e scongiuri
all’indirizzo mio e di Michael, tantoché dovemmo
inondarlo di camomilla e carezze.
Tutto
sommato, però, mi aspettavo una reazione peggiore da
entrambi: dopo lo sconvolgimento iniziale si ammorbidirono e promisero
di mantenere il segreto fin quando la piccola nel grembo di mia figlia
non fosse stata abbastanza autosufficiente e matura da cavarsela da
sola nel temibile mondo in cui sarebbe nata.
Nel
frattempo noi quattro l’avremmo educata e protetta, a partire
dalla madre, che sarebbe stata la sua prima amica.
Negli
otto mesi che seguirono quel meraviglioso Halloween la gravidanza di
Katie procedette a meraviglia, con qualche disturbo tipico del periodo
e continui sbalzi di umore della diretta interessata, che tuttavia non
si preoccupava minimamente della sua condizione, come invece molte
ragazze della sua età facevano: ciò mi rese
decisamente più tranquilla, e meno apprensiva, anche se
l’ansia di diventare nonna così giovane (avevo pur
sempre trentacinque anni!) non diminuiva col passare del tempo.
Fernando
e Michael, gli uomini della situazione, furono molto interessati a
ciò che succedeva a mia figlia, visto che le volevano
entrambi molto bene, ma poterono stare poco tempo con lei: Fernando
doveva tener pulita la casa e sbrigare tutte le sue mansioni da brava
governante, mentre Michael era impegnato a perseguire la sua brillante
carriera, rimanendo ore e ore rinchiuso negli studi di registrazione
assieme ai suoi fidati collaboratori.
Il
panico si scatenò il giorno del parto: era un caldo giorno
estivo, e Katie aveva da poco finito la scuola quando
avvertì degli strani dolori provenire dal suo pancione, che
durarono per molte ore, diventando via via più intensi, e
costringendola a sdraiarsi sul divano.
Io e
Fernando la spingevamo a correre in ospedale ma lei, che odiava
qualsiasi medico e qualsiasi nosocomio esistente sulla faccia della
Terra, preferiva sopportare i dolori del travaglio nella sua
accogliente casetta; anzi, si era ripromessa che sua figlia sarebbe
nata nel soggiorno di casa sua.
Le sue
previsioni si avverarono, il giorno 18 giugno 1987, alle prime luci del
mattino, dopo una notte intera passata nel dolore e
nell’ansia.
Dopo
qualche ora di tentativi, mia nipote venne alla luce, infagottata nel
liquido amniotico e nel sangue, ma bellissima, così bella
che mi era impossibile smettere di guardarla.
Michael
mi aveva avvertito riguardo ciò: loro angeli sono attraenti,
anzi, magnetici, ma naturalmente
innocui.
Mi
aveva anche detto che, nonostante il piccolo angelo custode somigli
molto ai suoi genitori, sia fisicamente che caratterialmente, chiunque
lo conoscerà non potrà far a meno di dire che gli
ricorda moltissimo una persona: nel caso di mia nipote,
perciò, Michael Jackson.
Ebbi
la conferma di questa bizzarra affermazione lavandola ed asciugandola
con cura nel lavandino del bagno: il colore della sua pelle era
leggermente più scuro di quello di Katie, gli occhi scuri
come i miei, ma molto più grandi, dotati di ciglia lunghe e
ricurve, strane per una neonata, ed i capelli neri le avvolgevano la
testolina in un nugolo di riccioli incredibile.
In
effetti, seppur fosse appena nata, mi ricordava terribilmente sia Katie
che Michael.
Aveva
qualcosa anche del padre, ma non sapevo distinguere cosa: forse non
aveva preso molto da lui, dopotutto i caratteri dominanti appartenevano
alla madre, ma aveva qualcosa di
lui.
Mi
sembrava impossibile, ma stavo ammirando una meraviglia della natura, e
non lo dicevo solo perché la bimba in questione era mia
nipote, poiché chiunque si sarebbe accorto della sua
particolarità: la piccola era così bella da non
sembrare addirittura umana.
Anche
sua madre si stupì, la prima volta che la prese in braccio:
nonostante gli avvertimenti di Michael il risultato era assolutamente
inimmaginabile, poiché nel suo dolce visino ci vedeva tre
persone completamente diverse.
Fu sua
l’idea di donare un nome speciale a quella creatura
traboccante di magia, e tutti, compreso quello scettico di Fernando,
furono d’accordo.
Aspettammo
il ritorno di Michael dai suoi impegni, che negli ultimi tempi si erano
infittiti, e ci sedemmo con calma sul famoso divano del soggiorno: i
primi a parlare furono io e Michael, poiché Katie voleva che
il primo nome di sua figlia fosse scelto dal suo padrino e da sua
nonna, dopodiché sarebbe arrivato il suo, e poi quello di
Fernando.
Sia io
che Michael eravamo molto indecisi sull’argomento: in fondo
non era una cosetta da poco!
Dopo
vari ripensamenti, però, arrivammo alla soluzione: Michael
era il nome giusto per la bambina, e l’avrebbe portata fiera
come una medaglia.
Dapprima
Katie e Fernando ci fissarono torvi, poiché erano
dell’opinione che Michael fosse un nome maschile, poco adatto
allo splendore che riposava tranquillo tra le braccia della mamma e su
cui erano puntati i miei occhi da molto.
Giustificai
la nostra scelta dicendo che conoscevo molte ragazze che si chiamavano
Michael, e che nessuna si era mai lamentata.
In
realtà non conoscevo nessuno, ma sempre meglio fare un
po’ di scena per far valere le proprie idee.
Fatto
sta che i due testardi accettarono la mia richiesta, e Katie si accinse
a rivelare il secondo nome per la figlia.
L’aveva
deciso da parecchio, perciò non dovette pensarci su: fu
così che a Michael si aggiunse Diana, sotto
l’appoggio di tutti.
Rimaneva
Fernando, che in quanto a nomi aveva gusti molto discutibili: sin dalla
nascita della sua famiglia i bambini si erano dovuti sorbire i nomi dei
propri nonni, ed in un’epoca del tutto superata per questa
tipologia di rituale, lui si presentò con Maria Teresa, la
sua dolce nonnina andata ormai da anni.
Naturalmente
nessuno si trovò d’accordo con lui: a Katie non
piaceva, io lo ritenevo troppo antiquato e Michael disse che era troppo
lungo.
Continuammo
così fin quando Fernando propose il nome della sua bis-bis
nonna, Josefina, una tipa tosta, nonché ottima cuoca.
Aspettò
il nostro responso con un grande sorrisone stampato in faccia, fin
quando Michael alzò il suo viso pensieroso dalla
contemplazione del pavimento e disse:
“Mi
piace”
Io non
sapevo cosa dire, poiché Josefina mi ricordava terribilmente
Joseph… Ma pensandoci
bene, il padre della bambina si chiamava Joseph, perciò non
c’era rischio di viscidi fraintendimenti.
Piacque
anche a mia figlia, ribadendo che un omaggio a Joseph Johnson era
d’obbligo, anche se non sapeva ancora come avrebbe spiegato a
sua figlia dove cavolo si era cacciato suo padre.
Ma
questo, per lei, era uno dei problemi minori, come la giovinezza
storpiata: infatti, se qualche mese prima si era disperata per la sua
gravidanza, sbattendo la testa addosso al muro fino a far vibrare le
tegole del tetto, ripetendosi ad alta voce insulti e piangendo come
un’isterica, ora era la ragazza più felice del
mondo.
Perché,
nonostante dovesse badare da sola ad una bambina, senza un padre
né la maturità di un adulto, pensava che tutto
sarebbe andato per il meglio, senza intoppi.
Mia
figlia sognava, e non era l’unica: anche io mi lasciavo
andare alla convinzione che nulla avrebbe intaccato la nostra
felicità.
In
fondo, bastava crederci.
Nulla
è reale, tutto è possibile.
Al
termine della nostra riunione Michael se ne ritornò nella
sua accogliente casetta di Encino, salutando la sua omonima baciandola
dolcemente sulla fronte, e lei, avvertendo il tocco del suo padrino, si
sbracciò per ringraziarlo, parlandogli in una lingua
sconosciuta a noi esseri umani.
Compresi,
quindi, che mia nipote non solo
era bellissima ma anche intelligentissima, forse più
intelligente di un bambino di due anni, lei, che aveva neanche due
giorni.
A
molti avrebbe spaventato tenere un angioletto in casa, oltretutto se si
trattava di un angelo speciale come la
piccola Michael: gli angeli sono così sensibili
che si ha sempre paura di parlargli o di toccarli, facendo
sì che loro si scostino da noi e ritornino nel loro mondo
incantato, popolato da esseri simili a loro, in cui la
realtà viene del tutto cancellata.
Le
esperienze passate mi avevano aiutata ad affrontare la
realtà, non a fuggirla, seppur con fatica: sono sempre stata
una sognatrice, e mi era difficile dimenticare il passato per pensare
meglio al presente.
L’avventura
che stavo cominciando con mia nipote, però, rappresentava
una brillante scusa per rianimare la non-realtà, tutto
ciò che supera i limiti convenzionali della ragione, e certe
volte anche della fantasia.
L’unico
modo per proteggerla era viaggiare sulle vette
dell’immaginazione.
E
sicuramente né io né lei mancavamo di
immaginazione.
Sì,
sarà una meravigliosa avventura.
The
End
Buonasera a
tutti, gentili signori.
Chi vi parla
è la vostra amata Looney, ovvero l’autrice di
questa pregevole opera ù___ù
Ebbene, siamo
arrivati alla fine, e ciò mi dispiace parecchio (spero che
dispiaccia anche a voi!XD)
Comunque ora
non voglio dilungarmi tanto, poiché sicuramente siete
stanchi di sorbirvi i miei capitoli chilometrici, e le mie innumerevoli
“cosette”: vi dirò soltanto qualcosina
riguardo la seconda
parte della storia, e poi passerò ai ringraziamenti.
Innanzitutto
la seconda parte di Will You Be There arriverà verso la fine
dell’estate, poiché voglio prima scrivere un
considerevole numero di capitoli prima di pubblicarla, così
non mi ammazzerò come ho fatto
quest’anno… Non ne parliamo .___.
Poi non
sarà più raccontata da Fiordaliso,
bensì dalla sua nipotina Michael, che io chiamo Mike per
comodità, ma voi potete chiamarla come vi pare XD state tranquilli,
perché Fiorellino non se ne andrà! Le piace
essere al centro dell’attenzione, in qualsiasi momento, e la
dovrete sopportare ancora per molto XD
Poi,
poi… E poi cosa c’è da dire?
°__°
Aaaaaah,
ecco….!*___*
Ehi, ma
perché devo dirvelo? <___<
Se lo faccio,
vi rovinerete tutta la sorpresa, ed è l’ultima
cosa che voglio fare!ù__ù
Perciò,
passiamo subito ai ringraziamenti, così tolgo immediatamente
il disturbo, ed inizio a scrivere la seconda parte!*__*
Vorrei
ringraziare, prima di tutti:
·
Le persone
meravigliose che in questo anno mi sono state vicine, e mi hanno
aiutato, anche semplicemente con la loro presenza, ad alleviare la
fatica e la stanchezza del duro mestiere di scrittore. Ma anche del
duro mestiere di ragazza di sedici anni;
·
Tutto
ciò che mi circonda, a partire da tutto ciò che
non è come sembra, e da tutto ciò che
è ma non esiste, ovvero la non-realtà;
·
La mia
inafferrabile cultura, ed il mio egocentrismo senza pari (appunto
ù__ù);
E per ultimo,
ma non meno importante, Michael Jackson: perché senza di lui
questa storia non sarebbe mai esistita.
Ti ringrazio
dal profondo dell’anima, Michael, angelo custode di tutti
coloro che ti hanno amato e continueranno a farlo per sempre, come me.
Ti voglio
bene, ricordati di me passeggiando tra le nuvole con i tuoi simili.
E dopo questa, passo e chiudo!
A presto
**Looney**