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Autore: BaschVR    28/07/2010    4 recensioni
“E’ così strano?” domandò Cissnei, fissandolo a suo volta nei luminosi occhi azzurri. “Difficilmente rivivrò un’esperienza del genere. Me lo sento. Però… non so, ma il sole, il mare, la gente che ride… qui si respira un’altra atmosfera rispetto a quella che c’è alla ShinRa. E poi, il poter stendersi qui, senza preoccupazioni, a guardare il cielo attraversato dalle nuvole, o le stelle, la notte… è tutto diverso. A Midgar non si riescono a vedere nemmeno le stelle. O almeno, non dall’interno della città. Troppe luci, credo”.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri, sorridendo. “Non è strano per niente. Anzi, sai che ti dico? Questo è il luogo dove ritorneremo, insieme, quando le cose alla ShinRa si saranno sistemate!”

[Remake di After Crisis]
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cissnei, Cloud Strife, Scarlet, Tseng
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core
Capitoli:
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Capitolo 4


Osservava, immerso tra i suoi pensieri, il temibile splendore della città martoriata dalla fitta pioggia, attraverso gli spessi vetri dell’Edificio ShinRa. Il suo sguardo si perdeva lungo le vie fiocamente illuminate, osservando la flebile luce dei lampioni lontani che si piegava al volere della tempesta, svanendo nell’oscurità della notte.
Un lampo disegnò la sua esile figura lungo gli aspri contorni di una nube scura, abbattendosi nell’area antistante alla città. Una sottile linea di fumo grigio si elevò fino al cielo, disperdendosi nel grigiore notturno macchiato di nuvole plumbee.
Rifletteva sulla conversazione avuta con Tseng pochi minuti prima, quando l’aveva reso partecipe di quel piano a cui aveva lavorato per tanto tempo e sul quale aveva investito centinaia di risorse, nell’attesa che arrivasse il momento in cui persino lui avesse avuto la possibilità di schierarsi in campo. Aveva mosso la sua prima pedina, azionato il primo ingranaggio, e adesso era pronto a vedere come si sarebbe articolata la vicenda, certo che, dopotutto, ogni cosa sarebbe volta al suo vantaggio, in un modo o nell’altro.
Gocce di pioggia picchiavano violentemente lungo la superficie del vetro: era un rumore lieve eppure invasivo, simile a quello dei crepitii delle fiamme, che lo distolse dai suoi pensieri e che lo spinse, ancora una volta, ad ammirare la maestosità della metropoli che si estendeva aldilà della finestra. Gli angoli della sua bocca s’incresparono in un tiepido ghigno di vittoria.
“Michael?” una voce di donna lo chiamò, incerta, alle sue spalle. Si voltò in silenzio, fissando l’impiegata della ShinRa che aveva pronunciato il suo nome.
“Sì?” chiese lui, lievemente stizzito.
“La direttrice Scarlet ha richiesto la tua presenza nel suo ufficio. Immediatamente.” La voce della donna era seria, professionale, fastidiosamente banale in un ambiente come quello.
“Mphf” sbuffò Michael, annoiato. “ho già detto mille volte a quella vecchiaccia di chiamare qualcun altro, per la manicure. Non è decisamente il mio compito.”
“Dice che è urgente” rispose la donna, seria. “E di non farla attendere per alcuna ragione.”
Sospirò, ringraziando con un cenno la ragazza e percorrendo il lungo corridoio che lo separava dall’ufficio della donna. Osservò il suo volto riflettersi lungo il vetro delle alte finestre dell’edificio, e fu stupito di notare le profonde occhiaie accentuate dalla pallida illuminazione al neon. Probabilmente era più stanco di quanto il suo corpo riuscisse a concepire, tuttavia non aveva alcuna intenzione di perder tempo riposandosi. I suoi rivali, probabilmente, stavano solo aspettando un latente segno di debolezza che lo spingesse a condurre un passo falso.
Poggiò le nocche sulla porta in legno dell’ufficio di Scarlet per tre volte, poi, senza aspettare un invito, spinse la maniglia d’ottone ed entrò, richiudendo la porta alle sua spalle.
“Salute, Michael.” La donna gli dava le spalle, rivolta verso le grandi vetrate che li separavano dalla furia impetuosa della bufera.
“Scarlet. A cosa devo il dispiacere di essere convocato per la seconda volta nella stessa serata?” fece una lunga pausa, ascoltando il rumore dei suoi passi mentre camminava verso la scrivania. “Dovrebbe trovare qualche altro modo per passare il tempo, magari partecipando ad una di quelle gite per anziani di cui si sente parlare così tanto. Chissà quanti coetanei troverebbe!”
Scarlet si voltò verso di lui, mordendosi le labbra per impedirsi di controbattere alle sue frecciatine. “Hai fatto ciò che ti ho chiesto?” si limitò a chiedere, l’espressione seria, guardandolo negli occhi.
“Ovviamente.” L’ombra di un sorriso trionfante si dipinse passeggera sul volto di Michael. “Non è stato così difficile, dopotutto. Tseng è uno stupido di proporzioni immani! Anche se, in verità” e qui fece una pausa, sfoderando il suo solito ghigno compiaciuto, “trovo che in questa compagnia ci sia addirittura gente più inetta e incompetente di lui. Riesce a capire di chi sto parlando?”
La donna fece finta di nulla, nascondendo la sua indignazione dietro un sottile risolino compiaciuto: dopotutto, sapeva che il tagliente sarcasmo dell’uomo era di gran lunga superiore al suo. “La ShinRa potrebbe essere sotto il mio comando già alle prime luci dell’alba” affermò poi, ostentando un’aria soddisfatta. “Mi basterà soltanto liberarmi di quello stupido trincone che chiamiamo presidente. Grazie ad una mossa vincente come quella del recupero dell’antica, il suo posto sarà mio in men che non si dica.”
“Mphf” sbuffò Michael, divertito. “Sono curioso di vedere quante ore resisterà la compagnia, prima del grande tracollo! Due, o magari tre?”
“C’è una cosa che vorrei sapere” esclamò Scarlet, d’un tratto, senza più riuscire a trattenersi, sostituendo il proprio sorriso soddisfatto con una smorfia seria. “Per quale motivo hai scelto di aiutarmi? Non mi sembra tu nutra particolari speranze sulle mie capacità!”
“L’ho sempre detto che la menopausa la rende un po’ tocca” affermò l’uomo, serio. “Ho scelto di aiutarla solo ed esclusivamente per la mia carriera. Nel momento esatto in cui riuscirà a diventare presidente, io otterrò il ruolo che lei occupa adesso.”
“Beh, ma… potrebbe sempre accadere… l’imprevedibile” fece lei, allargando il proprio sorriso in un aperto ghigno di sfida nei confronti dell’altro.
Michael picchiettò con le dita gli angoli del lucido legno della scrivania. “Già, potrebbe… suppongo che sarebbe interessante vedere fin dove può spingersi la ruota del fato, no?”
Nel momento in cui, furtivo, incrociò lo sguardo con i glaciali occhi azzurri della donna, seppe che la sua minaccia velata aveva avuto buon esito. Ne approfittò per contrattaccare con arroganza, lo sguardo altero, conoscendo l’effetto che le sue pungenti parole avevano su Scarlet. “Suvvia, cos’è quella smorfia tirata? Avrei giurato che dopo il sesto lifting i muscoli si intorpidissero.”
La donna continuò a sorridere, mascherando la sua irritazione. “Vedo che sai come rispondere a tono” rispose, stizzita, prima di chiudere la conversazione in fretta. “D’accordo. Dopotutto, l’adempimento del tuo incarico era l’unico argomento su cui desideravo essere informata. Puoi andare, Michael.”
“Con permesso.”
Scarlet prese a consultare alcuni documenti poggiati alla rinfusa sulla scrivania. L’uomo le rivolse un’ultima occhiata di disprezzo, in silenzio, prima di voltarsi e attraversare a lunghi passi la stanza.
Una volta richiusa la porta alle sue spalle, ascoltò l’immane fragore della pioggia abbattersi lungo le strade della città. Se possibile, sembrava che la violenza della tempesta, fuori dall’edificio, fosse addirittura raddoppiata.
La sua espressione seria si dischiuse in un sorriso, mentre, attraverso una finestra, osservava il cielo notturno coperto dalla fitta ragnatela di nubi scure. I suoi pensieri andarono alla conversazione sostenuta con Scarlet appena qualche minuto prima: ancora una volta, la donna era riuscita a dar sfoggio di tutta la sua ingenuità. Avrebbe dovuto capire che non avrebbe mai accettato di lavorare insieme a lei, nonostante desiderasse ardentemente il suo posto; ma, in fin dei conti, era sempre stato questo il suo più grande errore: non tener conto delle possibili mosse dei suoi avversari.
E mentre, soddisfatto, osservava il grave crescendo della pioggia intensa, ripensò alla proposta che aveva fatto ad Hojo qualche tempo prima, quando, nell’oscurità del laboratorio del professore, era riuscito a catturarne l’attenzione con appena poche frasi.
I suoi occhi incontrarono quelli del suo riflesso, trionfanti. Ancora una volta, guidato dalla propria astuzia, era riuscito a modellare i piani di Scarlet a suo favore.








Avanzava a fatica, ansimando, mentre il vento e la pioggia gli sferzavano aspramente il viso. Affondava gli stivali nelle pozzanghere di pioggia senza curarsene, proteggendosi il viso con un braccio ed avanzando con cautela lungo gli sporchi vicoli della grande città.
Midgar era immersa nel vortice pulsante della tempesta ormai da parecchie ore: gocce di pioggia si abbattevano lungo il grigio selciato dei viali della città, radunandosi in pozze d’acqua sudicia di entità sempre maggiore; il vento, ululando, trascinava lungo la strada consunti frammenti di rifiuti che da sempre insozzavano le vie più dimesse della metropoli.
Le gocce di pioggia scorrevano, prepotentemente, lungo il solco profondo di quella ferita non ancora del tutto rimarginata, sul suo viso: ne assecondavano la forma, fastidiose, fino a rigargli le guance e svanire lungo il colletto sgualcito della divisa da Turk che indossava.
Camminava, a tratti correva, affrontando l’indomito impeto del tifone abbattutosi sulla città: e, contemporaneamente, riviveva con il pensiero la conversazione avvenuta pochi minuti prima con Michael, confuso e incapace di prendere la decisione atta a salvaguardare il proprio futuro.
“Devo ammettere che tutto ciò… ha senso.”
Michael aveva sorriso. “E’ naturale che abbia senso, è geniale! E’ esattamente quello che avrei fatto anch’io, dopotutto!”
“Allora tutto ciò che devo fare è nascondere Aerith da qualche parte finché non si sarà calmata la situazione e il Presidente non sarà riuscito a trovare un direttore per il dipartimento dei Turk?” aveva domandato Tseng, cominciando ad intravedere uno sbocco da quella situazione apparentemente senza uscita.
“Beh…” aveva cominciato l’altro, sorridendo trionfale. “Io avrei un’idea sicuramente migliore.”
Tseng non aveva risposto, pensieroso: si era limitato ad osservarlo attentamente, nell’attesa che gli illustrasse la sua trovata. In verità, era un po’ restio ad accettare consigli da parte di quell’uomo: tuttavia, gli ordini di Scarlet erano riusciti a metterlo con le spalle al muro.
Michael, a quel punto, aveva incrociato le braccia, ghignando apertamente. “Il fulcro del piano di Scarlet coinvolge l’Antica, no?” aveva cominciato, beffardamente. “Tutto quello che dobbiamo fare, dunque, è riuscire ad impedire che la vecchia megera riesca ad appropriarsene. Dobbiamo eliminare ogni traccia della ragazza da questa città.”
“E come pensi di fare?” aveva ribadito lui, serio, ascoltandolo con attenzione.
Il sorriso soddisfatto agli angoli della bocca dell’uomo s’era fatto ancora più largo. “Ho già pensato a tutto, Tseng.” Ricordava come il suo tono di voce tradisse un leggero fremito d’entusiasmo appena velato. “Ho degli alleati, qui alla ShinRa, che possono fornirti tutto il supporto necessario per la missione di recupero. Se, una volta recuperato l’obiettivo, ti affiderai a noi, ti garantisco che Scarlet non riuscirà mai a scoprire la posizione dell’Antica.”
L’uomo s’era fatto silenzioso, aspettando quella risposta che, presto o tardi, sapeva sarebbe riuscito a ricevere. Quando, infine, Tseng aveva acconsentito, il lampo trionfante della vittoria s’era dipinto nei suoi occhi, glaciale e soddisfatto.
Adesso, mentre la pioggia s’abbatteva fragorosamente sul lurido selciato, si chiedeva se fosse stata davvero la cosa giusta da fare. Conosceva Michael da parecchi anni, nonostante lavorassero in reparti differenti: s’erano arruolati tra le file della ShinRa durante lo stesso anno, nell’autunno inoltrato di parecchio tempo prima; tuttavia, non avevano mai intrattenuto un vero e proprio rapporto d’amicizia, a causa dei caratteri diametralmente opposti che da sempre li avevano contraddistinti: Tseng passava le sue giornate da solo, nella tetra oscurità del dormitorio, evitando quanto più possibile il contatto con i compagni al di fuori delle lezioni d’addestramento; Michael, al contrario, era circondato da una massa di spocchiosi mocciosi arroganti tali e quali a lui, a cui non faceva altro che delegare compiti assegnatigli dai suoi superiori. Le poche volte in cui si erano parlati, nel corso di quei quindici anni, avevano portato a conversazioni brevi, fredde, aride e forzate; il tono con cui discutevano s’era fatto sempre più pungente, e ben presto, tra i due, si era accesa una rivalità mai confessata che li aveva spinti a gareggiare tacitamente numerose volte, cercando di dimostrare la propria superiorità sull’altro.
Tuttavia, mentre le gocce di pioggia rigavano la superficie dei vetri della ShinRa ininterrottamente, Michael aveva sepolto l’ascia di guerra proponendogli di unire le forze contro Scarlet, al fine di evitare che mettesse le proprie mani su Aerith. Non riusciva a credere alle sue parole, sapeva che c’era qualcosa sotto: sicuramente, Michael avrebbe ottenuto un qualche tipo di vantaggio dalle sue azioni, qualcosa che gli aveva volontariamente taciuto al fine di spingerlo ad assecondare le sue richieste.
Non avrebbe dovuto fidarsi di lui. Probabilmente, avrebbe dovuto cercare un’altra soluzione.
Magari, sarebbe anche riuscito a trovarla.
Tuttavia, nella confusione che in quel momento regnava incontrastata all’interno della sua mente, il suo unico pensiero era quello di salvaguardare la salute di Aerith. Non importava in che modo, o a quali conseguenze. Se Michael aveva detto il vero, la ragazza non sarebbe caduta nelle mani della donna.
Sospirò profondamente, quando raggiunse la tiepida tranquillità dei bassifondi. Il vento soffiava vigoroso anche per i vicoli bui, tuttavia gran parte della pioggia veniva arginata dalla presenza del piatto. Camminava, titubante, attraverso la grande strada fangosa che collegava gran parte delle vie dei bassifondi, indirizzandosi verso il Settore 5. Già da quel punto, oltre le migliaia di basse costruzioni che costituivano uno dei quartieri più poveri di Midgar, riusciva ad intravedere le alte guglie gotiche della sua destinazione.








Sentiva lo stesso debole soffio di vento che solleticava le fronde degli alberi sfiorarle delicatamente il viso. La fredda oscurità del sottobosco era andata sempre ad aumentare, nel corso di quelle ultime ore, al punto tale che, in quel momento, solo sporadici raggi di luna illuminavano debolmente brandelli sparsi  di nodose radici. Immersa nella tiepida penombra della notte, riusciva soltanto ad intravedere lo sguardo serio e preoccupato di Cloud, di fronte a lei, che osservava sorpreso un punto al di sopra delle sue spalle.
D’un tratto, sentì nuovamente il contatto con la fredda canna della pistola, questa volta sulla sua schiena. La mano libera dell’uomo che la teneva in ostaggio salì lungo la superficie del suo braccio fino a fermarsi sulla spalla sinistra, stringendola delicatamente.
Cissnei sospirò profondamente, cercando ci calmare i battiti del proprio cuore. Aveva riconosciuto il timbro di voce dell’uomo alle sue spalle fin dal primo istante, quando le aveva intimato di non muoversi, dicendole che non le sarebbe accaduto nulla: era bastato un lampo, un assoluto momento di comprensione, per capire che colui che la stava tenendo in ostaggio era Reno. A quel punto, aveva cominciato ad elaborare una strategia, accumulando pensieri su pensieri nella speranza di trovare una via d’uscita da quell’intricata situazione. Sapeva per quale motivo il Turk era stato mandato lì, sulle sue tracce: il suo compito era di riportarla alla ShinRa, costringerla a ragionare, riuscire a reinserirla tra le file dell’organizzazione per la quale aveva lavorato per così tanto tempo, in passato. Un sorriso amaro le attraversò il viso, mentre ripensava alle lunghe giornate trascorse in compagnia di Reno, di Tseng, di tutti gli altri suoi colleghi alla ShinRa: probabilmente, nonostante non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe provato per sempre nostalgia di quei momenti che erano stati la sua infanzia. Tuttavia, nel momento in cui aveva deciso di disertare, aveva fatto una scelta: e non sarebbero riusciti tanto facilmente a farle cambiare idea, ne era certa.
“Reno.” La sua voce era calma e pacata, nonostante il turbine di pensieri che scorreva impetuoso dentro di lei.
Sentì la stretta sulla sua spalla farsi più serrata.
“Reno, ascoltami” ripeté nuovamente, seria, cercando di far ragionare il ragazzo alle sue spalle.
Vide Cloud avanzare di alcuni passi, lentamente, portando le mani lungo l’elsa della sua Buster Sword. In un momento, la pistola di Reno era puntata contro di lui.
“Chi sei?” gli domandò il ragazzo, tenendolo sottotiro. “Mani dietro la schiena, subito!”
L’altro fu costretto ad obbedire. Lentamente, lasciò scivolare le mani lungo l’elsa della spada per incrociarle dietro la testa, lontane dalla propria arma. “Cloud Strife” disse poi, serio, rispondendo alla precedente domanda rivoltagli.
Reno continuò a tenere la sua pistola puntata contro di lui, pensieroso. “Sembri di Soldier” decretò infine, notando i suoi vestiti.
“S-sì” rispose Cloud, insicuro, come se fosse un po’ incerto sulla risposta da dare.
“Mphf” sbuffò Reno, mentre un sorriso canzonatorio si dipingeva sul suo viso. “Potresti scegliere con più attenzione i compagni di fuga, Cissnei. Insomma, un Soldier?!”
“Reno” ripeté lei, ignorando le sue ultime parole. “Sul serio, stammi a sentire.”
Il suo tono secco e autoritario fece ammutolire il ragazzo alle sue spalle. Impiegò parecchi secondi per trovare le parole adatte, prima di rivolgerglisi nuovamente. “Devi aiutarmi, Reno, ti prego. Non ho lasciato la ShinRa solamente a causa della morte di Zack, nonostante possa sembrare questa, la ragione. La verità è che credo che qualcuno, all’interno del palazzo, stia ordendo una grande macchinazione ai danni della compagnia stessa. Hai idea di chi stia parlando?”
“Non m’importa un fico secco di quello che accade nei piani alti della ShinRa!” esclamò lui, scrollando le spalle. “Eseguo solo gli ordini che mi hanno dato.”
“Suppongo che questi ordini siano venuti dalla nuova direttrice del reparto Turk, giusto?” domandò Cissnei, mettendo particolare enfasi sulla frase.
“Aspetta…” cominciò Reno, cercando di capire dove volesse arrivare. “Tu stai dicendo che la direttrice Scarlet…?”
La ragazza sospirò di sollievo. Forse poteva riuscire a volgere la situazione a suo vantaggio. A pochi metri di distanza, Cloud ascoltava con interesse le sue parole.
“Esattamente. Scarlet ha preso il controllo di un altro reparto, e probabilmente punta al controllo di numerose altre giurisdizioni all’interno della compagnia. Non mi stupirei se in effetti il suo obiettivo finale fosse impadronirsi dell’intera ShinRa.”
Udì il sospiro di Reno, mentre si costringeva a riflettere sulla possibile autenticità delle sue parole. Poi, il suo silenzio, improvvisamente, si trasformo in un’acerba risata di scherno.
“Sono ipotesi alquanto ridicole, in realtà!” esclamò, divertito. “credi sul serio che Scarlet riuscirebbe persino a compromettere la posizione del Presidente ShinRa? Certo che ce ne vuole di fantasia, per concepire una simile assurdità.”
“Perché non riesci a capire che tutto questo probabilmente accadrà sul serio? Suvvia, sai come ragiona quella donna. Ha ottenuto il comando della sezione Turk e ben presto cercherà di appropriarsi anche di quella dei Soldier, se non deciderà di puntare direttamente al vertice della compagnia!” Il tono di voce di Cissnei era molto più accesso e motivato di quanto non fosse in precedenza. “Dobbiamo tornare a Midgar e scoprire che cosa abbia in mente, e se tu decidessi di venire con noi, magari…”
“Ma ti rendi conto di che cosa mi stai chiedendo?!” la interruppe il Turk, infuriandosi. Cissnei non l’aveva mai visto perdere la calma in questo modo, durante tutti gli anni in cui avevano lavorato insieme. “Mi stai chiedendo di unirmi alla tua patetica banda ed espugnare gli edifici della ShinRa?”
“Non ho mai detto questo!” esclamò Cissnei, rispondendogli a tono.
Il ragazzo spinse la canna della pistola nuovamente contro la sua schiena.
“Ehi, non provare a toccarla!” si intromise Cloud, sfoderando la Buster Sword e avvicinandosi.
“Tu resta fermo lì dove sei!” urlò Reno, puntandogli l’arma contro. Cloud si arrestò improvvisamente, fissandolo con odio.
“Cloud, non sono affari che ti riguardano” decretò lei, improvvisamente, ostentando un espressione seria e preoccupata. “Vai via.”
“Io non me ne vado finché il rosso non si toglie di torno!” rispose lui, scocciato, tenendo ben salda la spada tra le mani.
“Non provare ad avvicinarti!” esclamò Reno, livido, mentre si arrovellava per cercare di trovare una via d’uscita da quella situazione.
Improvvisamente, Cissnei si decise ad agire. Nel momento in cui si rese conto di non essere più nella traiettoria di tiro del ragazzo, si divincolò dalla sua presa e gli assestò una potente gomitata tra le costole. Nello stesso istante, Cloud prese a correre verso di loro, pronto ad immobilizzarlo.
“Prendigli la pistola!” urlò Cloud alla ragazza, mentre Reno era ancora piegato a metà per il dolore. Annuendo, si avvicinò prudentemente al ragazzo, pronta a sfilargli l’arma da fuoco dalle mani. Tuttavia, nel momento in cui allungò il braccio verso la pistola, lui l’aveva già nuovamente afferrata con forza, strattonandola poderosamente.
“Non muovere un altro passo o sparo!” esclamò Reno, puntando nuovamente l’arma contro il ragazzo che, per tutta risposta, accelerò il passo.
“Cloud, no!” esclamò Cissnei, in tono deciso, cercando di dissuaderlo; ma, a quel punto, era già troppo tardi.
La sacralità notturna del silenzio del bosco venne spezzata da un sonoro schiocco, il cui eco risuonò tra gli affusolati fusti degli alberi fino ad espandersi per l’intera superficie della foresta. Numerosi corvi gracchiarono levandosi in volo dalle fronde dei molteplici arbusti antistanti la radura.
Quando Cloud, improvvisamente, fu attraversato dalla consapevolezza di essere stato colpito, era già disteso a terra, tra le foglie secche ed avvizzite tipiche della stagione autunnale. Il suo sguardo, confuso e appannato, andò verso Cissnei, accanto a lui, che cercava di individuare il foro d’entrata della pallottola all’interno della sua carne.
“Allontanati da lui!” esclamò Reno, d’un tratto, utilizzando nuovamente la pistola per dar voce ai suoi ordini. Cissnei non si mosse, continuando ad esaminare frettolosamente la ferita di Cloud.
“Non sembra gravissima, credo di poter riuscire a curarl…”
Il suono della sua voce venne coperto da quello di un altro sparo, secco e crudele quanto il primo. In un terribile attimo di comprensione, capì che il ragazzo aveva nuovamente sparato a Cloud, questa volta ad una gamba.
“Fermati!” esclamò Cissnei, il volto rigato dalle lacrime, rimettendosi in piedi e sfidandolo apertamente, guardandolo negli occhi.
“Allontanati da lui, o il prossimo colpo sarà al cuore.”
Piena di rancore, fu costretta ad allontanarsi lentamente dal corpo del ragazzo. Distrattamente osservò come le sue mani fossero macchiate del più denso sangue scarlatto. Si disse che doveva fare qualcosa, e in fretta.
“Bene” esclamò l’altro, sollevato dalla reazione di Cissnei. “E ora…” continuò poi, puntando nuovamente la pistola contro il corpo immobile di Cloud. “Suppongo sia il momento di fare un po’ di pulizia.”
Premette il grilletto un’ultima volta, scuro in volto. Ancor prima che la ragazza riuscisse a fare qualcosa, anche quell’ultimo colpo aveva centrato macabramente il bersaglio.
Fu in quel momento che la attraversò la consapevolezza che non c’era più niente da fare. Cloud era morto, e lei non aveva nessuna possibilità di sfuggire all’attacco a sorpresa che Reno aveva sferrato a tradimento. Probabilmente non aveva altra scelta se non quella di tornare a Midgar insieme a lui, in arresto, pronta ad essere sottoposta a giudizio per diserzione. Lacrime amare le rigarono il volto, mentre si lasciava andare in ginocchio, affranta, ai piedi del carnefice di tutte le sue speranze. Probabilmente avrebbe dovuto sapere fin da subito che sarebbe finita così, dopotutto.
“Mi dispiace. Non c’era altro modo per…” cominciò Reno, cercando di scusarsi, ma in risposta ottenne solo uno sguardo di profondo disprezzo. No, non sarebbe tornata a Midgar senza almeno cercare di combattere per la propria libertà. Cercò con lo sguardo il suo shuriken rosso, ma era fin troppo lontano per cercare di recuperarlo senza dare nell’occhio.
“Avvicinati lentamente.” Le parole di Reno erano lente e calibrate, ed interruppero il complesso nodo dei suoi pensieri.
Doveva agire.
Senza nessun preavviso, cominciò a correre verso la sua arma, conficcata nel terreno ad appena pochi passi di distanza. Evitò un proiettile che Reno aveva indirizzato contro la sua caviglia, poi un altro all’altezza della sua gamba destra. E mentre il Turk, imprecando, infilava altri proiettili nel caricatore, le sue mani strinsero trionfalmente la fredda superficie dello shuriken.
“Fermo!” gli intimò rabbiosamente, mentre già si preparava a puntare di nuovo. “Prova soltanto a sparare un’altra volta e ti mozzo la testa di netto.”
“Puah!” commentò Reno, sorridendo. “Complimenti, sarebbe una morte orribile almeno quanto quella di quel tuo fidanzato biondo laggiù. A proposito, si dimenticano in fretta i Soldier scomparsi, vero?”
“Smettila!” esclamò Cissnei, passandosi distrattamente una mano sul volto per asciugare le lacrime.
Reno si disse che la sua frecciatina aveva avuto buon esito. Nell’unico momento in cui la riconobbe più vulnerabile, decise di mirare alla gamba destra e sparare.
Il colpo secco che udì mentre la carne della donna si lacerava fu il peggiore in tutta la sua carriera. Osservò quella figura, ora simile ad una ragazzina spaurita, che cedeva sotto il peso del suo stesso corpo, rovinando sgraziatamente a terra.
Le si avvicinò, lentamente; ad ogni passo, decine di foglie rinsecchite si laceravano in più punti, crepitando rumorosamente. Osservò il volto sconfitto e amareggiato di Cissnei, umiliata dalla sconfitta ricevuta; e, levando in alto la pistola, la colpì duramente con l’impugnatura, tramortendola. Il viaggio di ritorno, in questo modo, sarebbe sicuramente stato più semplice.








Immerso nell’intricata natura dei suoi pensieri, quasi non si era reso conto di essere giunto presso l’entrata in legno di quercia della diroccata chiesa del settore 5. Sfiorò con una mano la maniglia di ottone, leggermente, ponendovi una leggera pressione: il portone scivolò lentamente sui  suoi cardini, con un sinistro cigolio che risuonò lungo le alte pareti di pietra dell’edificio. Nonostante all’esterno l’atmosfera fosse parecchio buia, una flebile e sottile scia di luce si disegnò sul polveroso e consunto parquet in legno. Immerso nel silenzio e nell’oscurità dell’androne, richiuse la porta alle sue spalle, con un leggero tonfo che ancora una volta riecheggiò per i quattro angoli della costruzione.
Udì il suono indistinto della pioggia che scivolava lungo le logore travi del parquet, imputridendo il legno che, marcio, crepitava incessantemente sotto i suoi passi misurati. Non curandosene, avanzò lungo la navata centrale fino a giungere nei pressi dell’altare, là dove il parquet aveva ceduto creando un leggero dislivello occupato da numerosi e variopinti fiori.
Mentre si chinava verso di essi, lo sguardo serio, immerso nell’inconfondibile aroma della terra bagnata dalla pioggia, notò che lei era lì, come aveva immaginato. Il suo volto era rischiarato dalla tiepida luce di una lanterna, poggiata sul parquet alla sua destra, che gettava lunghe ombre sulle pareti antistanti. Non dormiva, poiché riusciva a vedere il bagliore dei suoi occhi nella velata oscurità dell’edificio: lo fissava, seria, senza dire una parola, aspettando che lui si accorgesse della sua presenza.
Sospirando, le si avvicinò, lentamente, in silenzio, la mente ricolma di tutti quei pensieri che l’avevano accompagnato lungo quel tragitto che gli era parso infinito, sotto la pioggia scrosciante della bufera sopra il piatto. Si rese conto di quale fosse la sua missione, e al tempo stesso ripensò alla proposta che Michael gli aveva fatto, di come quella potesse essere l’unica speranza di mantenere la sua posizione e di salvaguardare l’incolumità di Aerith. Sospirando, si decise a parlare.
“Sei ancora qui?” le chiese, utilizzando il suo solito tono di voce serio e inespressivo.
Lei gli accennò un mezzo sorriso, inconsapevole, immaginando che la sua presenza lì, in quella burrascosa nottata di pioggia, non fosse altro che l’ennesimo incarico di sorveglianza assegnatogli. “Ho preferito non avventurarmi fuori, con questo temporale. Ho chiamato mia madre, e ha detto che posso restare qui, per stanotte.”
“La tempesta potrebbe durare molto di più di una semplice nottata. E’ raro vedere fenomeni atmosferici di questo genere, a Midgar.”
“Beh” osservò Aerith, alzandosi in piedi e rassettando le pieghe del proprio vestito. “Se domani dovesse piovere, suppongo che sarò costretta ad uscire comunque. Non posso restare chiusa qui dentro per sempre, no?”
Tseng sorrise amaramente per la calzante ironia delle sue parole. Era vero, non sarebbe potuta rimanere all’interno di quella chiesa per sempre: era un argomento al quale lui non aveva pensato spesso, ma che talvolta, nelle lunghe nottate passate in sua compagnia, s’era intromesso a forza nei suoi pensieri, costringendolo a considerare l’eventualità che un giorno ciò che temeva potesse accadere sul serio. “Sembra quasi del tutto rimarginata.”
Tseng alzò lo sguardo, sorpreso. “Che cosa?”
“La ferita!” rispose Aerith, sfiorandogli il volto con un dito. “Si è quasi rimarginata. Non pensavo fosse un taglio così superficiale! Probabilmente non rimarrà nemmeno la cicatrice.”
Quasi involontariamente, portò una mano lungo il solco della ferita di qualche giorno prima. La superficie del taglio era ruvida e piuttosto fragile, ma sembrava davvero che fosse sulla via della guarigione: se non altro, non pulsava più da almeno qualche giorno. “Già” tagliò corto lui, disinteressato, mentre la sua mente volgeva già verso altri pensieri.
“Aerith” pronunciò infine, sospirando profondamente. Aveva abbandonato il solito tono lento e apatico in favore di una parlata più pratica e concreta. Cercò le parole giuste per proseguire sulla scia di un discorso che, ne era certo, avrebbe compromesso per sempre i loro rapporti. “C’è una cosa che devo dirti, riguardo alla mia presenza qui. E per favore, ti prego di ascoltarmi fino alla fine, prima di interrompermi.”
Vide il sorriso di Aerith scivolare come cera sul suo viso. Probabilmente aveva intuito che c’era qualcosa che non andava.
“Questa notte, sono stato richiamato presso gli uffici del mio superiore. In parole povere, il mio compito, qui, in questo momento, è quello di scortarti fino alla tua nuova casa.”
“Che sarebbe…?”
Tseng sospirò un’altra volta. “La sede della ShinRa.”
L’espressione grave sul volto di Aerith non mutò nemmeno di una virgola. “Continua” sussurrò poi, in tono serio.
“Ma io non sono d’accordo. Ho ricevuto una proposta da parte di un mio collega, subito dopo essere stato messo al corrente dell’incarico. Quest’uomo e i suoi dipendenti possono nasconderti in un luogo sicuro per un po’, evitando che la ShinRa riesca a catturarti. Tutto quello che dovrai fare è seguirmi, finché non…”
“No.” La risposta della ragazza fu secca e improvvisa. Il suono delle sue parole riecheggiò per parecchi istanti per tutta la chiesa.
“Come?”
“Ho detto di no. Ti ho già detto numerose volte che quando sarebbe arrivato questo momento, le nostre strade si sarebbero separate. Non mi fido della ShinRa, e non ho intenzione di cadere nelle loro mani” rispose Aerith, seria.
“Ma non saresti nelle mani della ShinRa, anzi. Probabilmente, saresti al sicuro dai piani che la compagnia progetta contro di te.”
“Hai detto che questa proposta ti è stata fatta da un collega. Mi sembra comunque un tizio della ShinRa, no? Come mai ti fidi tanto di lui?”
“Perché non c’è altra possibilità!” urlò Tseng, d’un tratto, mentre sentiva la rabbia montare dentro di lui. “Non c’è altro tempo da perdere! Probabilmente il mio superiore ha già mandato qualcuno in ricognizione da queste parti, per controllare che io svolga il mio incarico senza alcun ripensamento.”
Aerith non si mosse di un passo. Lo guardava seria e al tempo stesso implorante, gli chiedeva tacitamente di non forzarla, di lasciarla vivere come aveva sempre fatto, lì, all’ombra di quella chiesa, nell’attesa del ritorno di Zack. Probabilmente, che Tseng riuscisse o meno a crederci, era quella la vita che Aerith voleva per sé.
“Non costringermi ad usare la violenza” sibilò in tono ostile, frugando nella tasca interna della sua giacca e lasciando che le sue dita aderissero al calcio della pistola. La ragazza si voltò di scatto, cercando di nascondere il suo volto che si rigava lentamente di lacrime. Non poteva credere che Tseng le stesse facendo questo, che tradisse così apertamente la sua fiducia nonostante tutti gli anni in cui le era stato accanto in passato. Non avrebbe mai acconsentito alle sue richieste: non aveva mai provato particolare simpatia per i tipi della ShinRa, nemmeno per quelli che, da bambina, le facevano credere che tutto ciò che le stessero facendo fosse per il suo bene, dimostrandosi cordiali e bendisposti nei suoi riguardi. Li aveva sempre avvertiti come orridi falsi manipolatori, lontani da quella gente della vita tranquilla che viveva nei bassifondi, e non avrebbe permesso loro di rovinare tutto ciò che in quegli anni aveva creato così duramente.
Quando si accorse che Tseng aveva estratto la pistola, continuò a sostenere il suo sguardo, decisa, nonostante la vena di paura che, lo sentiva, si faceva spazio dentro di lei.
“Dannazione, Aerith!” esclamò lui, irato. “Non capisci che sto facendo tutto questo per la tua incolumità? Le truppe della direttrice Scarlet arriveranno a momenti, me lo sento, ed allora sì che non avrai altra scelta se non quella di essere portata alla ShinRa!”
“Vuoi forse dirmi che il tuo collega non ha intenzione di portarmi alla sede della compagnia, allora?!” esclamò Aerith, singhiozzando sonoramente. “La verità è che ho sbagliato a fidarmi di te! Lo sapevo che eri solo uno sporco mezzo manovrato dalla ShinRa per cercare di arrivare fino a me, l’ho sempre saputo! Sono stata una stupida!”
Si voltò, incurante dell’arma che l’uomo teneva nella mano destra, e, a grandi passi, percorse la navata della chiesa verso il grande portone.
“Fermati o sparo!” esclamò Tseng, ormai fuori controllo a causa della rabbia.
In quel momento, Aerith si voltò nuovamente verso di lui, pronta a fissarlo con crescente rancore attraverso le lacrime di disperazione. E fu in quel preciso istante che, vinto dalla situazione e dall’ira nei confronti della ragazza, premette quasi con glaciale indifferenza il grilletto.
Prima ancora che potesse rendersi conto di ciò che era accaduto, un rivolo scuro di sangue denso, in appena pochi secondi, si allungò attraverso il parquet. Nel momento in cui venne attraversato dall’orrenda consapevolezza del suo gesto, un brivido freddo gli percorse la schiena fino alla base, lasciandolo completamente senza fiato.








La conversazione che aveva avuto con i suoi compagni rimasti a guardia dell’elicottero, al limitare della foresta, era stata breve ed incisiva. Reno aveva più volte strabuzzato gli occhi, alle parole che il collega gli aveva rivolto: a quanto pare, la missione di cui erano stati incaricati non era ancora del tutto finita.
Adesso rifletteva, tenendo la testa tra le mani, su come adempire alle ultime richieste giunte dal quartier generale della ShinRa: eliminare le tracce di cattiva condotta. Freddare Cissnei con un colpo di pistola, ucciderla, mettere la parola fine ad un capitolo che era stato solamente motivo di noie per la compagnia.
Aveva sempre pensato che quella fosse solamente una stupida missione di salvataggio: avrebbe recuperato Cissnei, l’avrebbe riportata a Midgar, tra le gotiche strade della sua infanzia, pronto ad aiutarla in qualunque modo al fine di farle dimenticare il dolore causato dalla perdita di Zack. Ma adesso, le speranze riguardo al futuro che aveva immaginato nel corso di quel suo lungo viaggio s’erano infrante, all’ombra dei secolari alberi di quella radura boscosa. Imprecando, assestò un calcio violento e rabbioso sugli stinchi del Soldier a cui aveva sparato poco prima: la punta dei suoi stivali si macchiò del sangue delle ferite del ragazzo.
Pensieroso, si mise ad osservare il liquido scarlatto che insozzava gran parte della superficie di quell’area del bosco.
D’un tratto, ebbe un’idea che lo folgorò all’istante.
Poteva lasciare tutto com’era. Evitare indirettamente gli ordini che gli erano stati dati. Probabilmente, una missione fallita non avrebbe avuto nessuna conseguenza all’interno del suo Curriculum.
I suoi occhi percorsero velocemente l’area antistante al luogo dove aveva trovato i due. Quando trovò l’oggetto che stava cercando, semisepolto dalle foglie, vicino al corpo incosciente di Cissnei, la sua espressione si dischiuse in un sorriso liberatorio. Fece brillare il grande Shuriken rosso alla luce della luna crescente, inspirando coraggio.
Poi, con un gesto brusco e un mezzo singhiozzo soffocato, conficcò una delle punte dell’arma contro il suo stomaco, fino in fondo.



Fine Capitolo 4



Uff, che faticaccia delineare la trama di quest’ultimo capitolo! Da qui in poi le cose si fanno complicate, eh? Scarlet continua a scalare le vette della compagnia, Michael fa il doppiogiochista (lavorerà davvero con Hojo?), Tseng e Reno sono completamente andati... bah, ho concentrato così tanta azione in questo capitolo che non so più cosa mettere nei prossimi (no, non è vero, ho già tutto pronto, ma faceva figo dirlo XD). Come al solito, non è che io sia granché soddisfatto della stesura, ma stavolta ho posto particolare attenzione sulla trama, e dunque, nel complesso, spero che il risultato non sia troppo malvagio.
Dedico questo strano obbrobr… ehm, capitolo a Bankotsu, che oggi compie gli anni. Auguri, Bank!
Vi ringrazio di cuore per le tutte le letture e le recensioni :D Grazie, grazie, grazie!

Zackneifan: Ammazza, che recensione mastodontica ò__o sono interdetto! Grazie davvero per tutti i complimenti che mi hai fatto, e complimenti anche per l’analisi dettagliata del capitolo. Hai formulato parecchie ipotesi nel corso della tua lunga recensione: beh, posso dire con certezza che non ne hai azzeccato quasi nessuna, mi dispiace XD ma comunque, non ti resta che seguire la storia per sapere come andrà a finire, giusto?

shining leviathan: Bene, adesso che so che hai letto la prima stesura ti farò divertire alquanto nel vedere come gran parte delle cose cambieranno sensibilmente xD spero solo che lo spirito della fic rimanga inalterato, perché dopotutto sono affezionato all’originale. Spero di aver risposto almeno in minima parte a qualcuna delle tue domande con questo capitolo (specie a quelle su Michael). Purtroppo, ho deciso di eliminare Sephiroth per ragioni di spazio e di trama. Nella prima stesura non aveva poi questo gran ruolo, e sebbene inizialmente lo avessi incluso anche qui, ho provveduto a toglierlo a causa di sviluppi che ho aggiunto successivamente e che rendevano la sua presenza inutile. Ti ringrazio moltissimo per i complimenti, spero che anche questo capitolo ti piaccia!

the one winged angel: Grazie anche a te per la valanga di complimenti XD Mi fa piacere che il flashback su Aerith e Zack ti sia piaciuto e anche che Cissnei ti abbia trasmesso quella sorta di malinconia che ho voluto imprimerle, perché, dopotutto, la reputo il personaggio chiave di tutto il racconto (è dalla sua fuga, infatti, che si dipanano la maggior parte delle vicende).
In quanto a Scarlet, beh… sì, è il mio personaggio preferito. Ma comunque, ti svelo un segreto: più mi piacciono i personaggi e più li maltratto, spingendoli al limite della follia. Bel passatempo, no? XD
Per il resto, credo che tu ormai abbia capito chi fosse il misterioso tizio alle spalle di Cissnei, giusto?
Grazie anche a te per la bellissima recensione, mi ha fatto piacere sapere cosa ne pensavi xD

Il prossimo capitolo arriverà… boh, non lo so. Suppongo intorno alla metà di Agosto, ma non posso esserne del tutto sicuro. Speriamo solo che l’attesa non si prolunghi troppo, eh? XD
Ciao a tutti, e grazie ^^




   
 
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