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Autore: Marselyn    02/08/2010    2 recensioni
"Erano dunque arrivati a quel punto.
Non si spiegava perché, ma il pensiero di dover rompere i rapporti con Elyn lo rattristava. C’erano poi molte altre cose che non si spiegava: il come era stato possibile creare quella sintonia, averla cercata e non aver capito che era, forse, importante per tutti loro. Non si spiegava come nessuno di loro, fino ad allora, si fosse mai chiesto quanto quei pomeriggi passati insieme, tra persone che dovevano spontaneamente odiarsi, fossero strani e illogici nel loro scorrere veloci e così vivi. Non riusciva a spiegarsi come fossero arrivati al punto di cercarsi, di trovarsi e consumare ore intere insieme, come fossero arrivati anche solo al punto di parlarsi senza urlare, senza mai rendersi conto di quanto solo tutto questo fosse già pazzesco e contro ogni loro coerenza. Tutto indicava quanto irragionevole fosse stata quella vicinanza e Sirius proprio non si spiegava come fossero arrivati a quel punto senza mai domandarsi come mai tutto stesse andando in modo così strano, così trasparente, così autonomo, vivo e senza controllo." [cap. 17]
Dall'autrice: Con ogni probabilità, potreste avere l'impressione che i primi e gli ultimi capitoli siano stati scritti da persone totalmente diverse.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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1. Rancore bicolore

«Bene» disse James, che sembrava furibondo. «Bene...»
Saettò un altro lampo di luce, e ancora una volta Severus si ritrovò a mezz’aria, a testa in giù.
«Allora... chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?»

La folla esplose in un miscuglio di risate e lunghi "oooh" di stupore, qualcuno di indignazione.
Peter fremeva eccitato sperando che qualcuno degli studenti incitasse James a proseguire con i suoi piani, troppo vigliacco per farlo personalmente; Remus alzò nervosamente lo sguardo dal suo libro.
Sirius soffocò una risata, cercando di mantenere la serietà pertinente che la sua posizione di potere adesso richiedeva.
In realtà, sapeva benissimo che Severus Piton - nonostante lui stesso non conoscesse anima viva capace di urtare di più l’amico - non correva alcun rischio di venire denudato in pubblico: James, pur furibondo com’era, non l’avrebbe mai fatto.
Ma di una cosa Sirius era certo: che per almeno altri quindici minuti, James, fingendo di star lì a pensarci su, l’avrebbe lasciato ciondolare all’aria a tormentarsi nel dubbio. E lui, da migliore amico quale era, non l’avrebbe lasciato solo in quella tremenda messa in scena.
«Allora?» continuò James. «O vuoi cominciare da sopra, Mocciosus? Hai voglia di abbronzarti un po’ il petto? E’ bianco come tutto il resto, non è vero? C’è un bel sole oggi, dovresti approfittarne!» proseguì, condensando sull’ultima parola tutto il disgusto e la rabbia che gli ribollivano dentro, dando vita a qualcosa di molto simile a un ringhio.
Ancora una volta la folla sbottò in voraci risate.
Sirius finse un’espressione preoccupata e miagolò in tono premuroso: «Oh, non dirmi che ti vergogni, Mocciosus».
«Non ho niente d...» sibilò Severus in tono talmente velenoso che la frase risultò per metà incomprensibile.
«... niente di cui vergognarti?» concluse Sirius al suo posto. «Davvero?»
«Non c’è problema» disse James, mostrando un sorriso gelido. «A questo provvederemo noi».
James si guardò intorno, squadrando le facce di tutti i presenti che ormai si erano radunati chiudendo lui, Sirius e Severus in un largo cerchio: era facile leggere in molte delle loro facce il divertimento, l’ammirazione e il rispetto. Poi ritornò lentamente a guardare la sua preda.
«Allora, chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?» ripeté, in tono accattivante.
Sirius gettò distrattamente un’occhiata veloce al di là della folla. Qualcuno era rimasto lontano: chi leggendo per nulla infastidito o incuriosito, chi chiacchierando normalmente col proprio gruppo di amici, e qualcuno fissando indignato la scena da lontano.
Tra questi ultimi una ragazza, il volto pallido e rigido in un’espressione disgustata e densa di rabbia, i brillanti occhi sbarrati. Stringeva un libro in una mano, le nocche erano bianche dallo sforzo, e con l’altra racchiudeva il niente, ma stringendo altrettanto forte il pugno. Gli occhi chiari brillarono di una scintilla furente quando incrociarono quelli di Sirius, e subito dopo mostrarono un’espressione ancora più nauseata.
Sirius, turbato, distolse lo sguardo in fretta, mentre una stretta gli fermava lo stomaco. Che diavolo...
Intanto altre risate accompagnate da qualche applauso fugace volarono ancora, dopo che James aveva detto qualcosa.
Sirius rabbrividì al solo pensiero che una semplice ragazzetta lo avesse disorientato tanto. Chi diavolo era per fare sentire lui in quel modo?
Improvvisamente si sentì una scomoda agitazione in corpo, qualcosa gli si mosse dentro. Qualcosa chiedeva ardentemente di uscire.
«Basta James» disse. Le parole uscirono come una liberazione. Il peso divenne improvvisamente più leggero.
«Che?» chiese piano James, spiazzato.
«Hai sentito... basta» mormorò Sirius, mentre cominciava a vergognarsi del suo stesso vigliacco comportamento.
James lo guardò sbalordito, un poco preoccupato, come se stesse accorgendosi che l’amico si trovava in pessime condizioni di salute, poi, improvvisamente il volto gli si radiò di nuovo e gli lanciò un gran sorriso.
«Aaah» fece illuminato. «Ho capito... vuoi far finta di lasciarlo andare per poi riacchiapparlo di nuovo all’ultimo secondo, eh? Ah, Felpato, non finisci mai di sorprendermi» bisbigliò compiaciuto, mentre tornava a fissare Severus che si agitava appeso all’aria.
«Dico sul serio, mettilo giù...» insistette, in tono adesso più fermo. «Voglio dire...» continuò ansioso, e per un secondo pensò ad una scusa plausibile. «Comincio a seccarmi» buttò lì, fingendo noia.
James lo fissò perplesso, ma siccome era Sirius che glielo chiedeva non fece storie.
«Va bene» mormorò controvoglia, mentre con un gesto della bacchetta liberò Severus dall’aggancio invisibile che lo teneva sospeso in aria; il Serpeverde cadde appesantito sul prato. Si mosse leggermente stordito in cerca della sua bacchetta, e la trovò.
«Non ti conviene usarla» lo anticipò James acido, puntandogli la sua, prima che potesse fare altrettanto. «Sparisci» sibilò.
Severus si mise barcollando in piedi, lo guardò disgustato, mormorò qualcosa e si voltò, camminando a grandi passi verso il castello, oltrepassando davanti a lui il varco che la folla gli aveva creato.
«Andiamo» mormorò James con un velo di irritazione, dirigendosi di nuovo verso il faggio da dove Peter li guardava supplichevole, deluso dalla conclusione troppo precoce della vicenda, e Remus sembrava essersi di nuovo immerso nella lettura del libro.
Sirius fece per seguirlo, ed istintivamente voltò lo sguardo in direzione del punto in cui poco prima si reggeva la ragazza: era sparita.
Deglutì, soffocando l’irritazione.
Fino a pochi minuti prima era sempre stato convinto di essere completamente indifferente agli esami, alla scuola e a tutte le pressioni che turbano ogni comune adolescente, adesso cominciava a dubitare della sua stessa inattaccabilità. Forse in fondo l’esame aveva agitato anche lui e solo adesso stava cominciando a dare segni di debolezza... o forse stava semplicemente, inesorabilmente, completamente impazzendo.


Cambio prospettiva.

Elyn intercettò Severus appena prima che sparisse dalla vista. Sapeva dove fosse diretto.
Si lanciò a grandi passi su per il prato, diretta in quel luogo.
Era successo di nuovo. Quegli idioti di Potter e Black lo avevano umiliato ancora e, come se non bastasse, adesso Severus si era guadagnato anche l’odio di Lily. Lily, l’unica persona che teneva veramente a lui. L'unica persona che lui era disposto ad amare.
Elyn sentì un forte senso di colpa oscurargli ogni altro sentimento, rabbia e odio compresi. Forse se fosse intervenuta lei prima di Lily una parte di tutto quel disastro non sarebbe accaduta. Ed esattamente la parte più terribile per Severus, di questo ne era sicura.
Rallentò evitando i tanti studenti che cominciarono a disperdersi nuovamente in mezzo al prato, diretti alle loro postazioni ordinarie, all’ombra dei grandi alberi o sulla riva del lago. Naturale, per loro lo spettacolo era finito: si erano già rimpinzati con la cara dose di divertimento giornaliera a spese di un povero ragazzo.
Immediatamente sentì il cuore gonfiarsi di odio. Odio verso tutti, nessuno escluso.
Beati, inconsapevoli dei problemi della vita. Nessuno puntava loro una bacchetta in volto ogni dieci giorni, nessuno si prendeva sporcamente gioco di loro, a nessuno di loro capitava di doversi improvvisamente difendere in un duello sleale, contro un nemico in superiorità numerica.
E già, Potter, Black e gli altri si muovevano sempre in branco. E tali erano. Un vero branco di animali.

Scansò per un pelo una ragazza in divisa corvonero che sfrecciava come una saetta verso un ragazzo della stessa casata. Subito dopo fu fuori dal prato.
Entrò nel castello e si mosse nella strada verso la sua meta, sistematicamente: non ricordava neanche più quante volte si era ritrovata a dovercisi incamminare e quante volte era poi ritornata sui suoi passi, spesso dopo essere stata cacciata di malo modo.
Si costrinse a non pensarci e sperò che quella volta Severus apprezzasse un po’ più la sua presenza.
Finalmente giunse alla torre ovest e salì le scale che conducevano alla Guferia: la porta era aperta, entrò.
Come si aspettava, Severus se ne stava seduto a terra, in mezzo alle schifezze, tra la paglia e le cacche di gufo, la schiena appoggiata alle mura della torre, le gambe piegate sul petto.
Teneva entrambe le mani strette in un pugno e fissava i gufi mezzi addormentati davanti a sé, lo sguardo incollerito.
«Vattene» abbaiò, senza neanche voltarsi.
Continuava a stringere le nocche e a sfregarsi le mani nervosamente.
«Lo faccio» replicò Elyn annuendo. «Ma, ti prego, non startene lì a crogiolarti il fegato» la voce uscì stranamente autorevole. Sapeva che era una cosa stupida da dire e che non poteva pretenderlo. Sapeva anche che, probabilmente, nelle sue condizioni, si sarebbe comportata esattamente allo stesso modo, ma non le venne in mente nient’altro di migliore da dire.
«E che cosa dovrei fare?» urlò Severus indovinando i suoi pensieri, portandosi le mani in volto. «Quello... schifoso... non lei... non lei» biascicò fra sé. «Si è preso anche lei... ANCHE LEI!» tuonò d’un tratto, sferrando un pugno sul muro.
Fece una smorfia di dolore e la mano cominciò a sanguinare. Elyn scattò in avanti raggiungendolo, si chinò e gliela prese.
«Si sistemerà tutto, Severus, te lo giuro. Lily capirà e...»
«No, che non capirà!» ruggì, strattonandola e riprendendosi la sua mano. «Non lo farà e... non vorrà farlo...» mormorò fra sé, guardandosi sporco di sangue e cominciando a gettare occhiate sulla ferita, febbrilmente.
Elyn si sentì agghiacciare: quel comportamento ai limiti della schizofrenia non era da Severus. O, almeno, non del Severus che conosceva. Si rimboccò le maniche e si armò di pazienza. Non poteva lasciarlo così, non lui. Non Severus.
«Forse riesco a fasciarla con qualcosa, aspetta...» disse, mentre fiondò le braccia fino al gomito dentro la sua tracolla.
«Lasciami stare» protestò flebile Severus, improvvisamente stremato.
«Ma Sev...»
«Lasciami stare» sbottò, più spietato. Gli occhi neri la guardarono un secondo e poi presero a fissare gelidi il vuoto davanti a sè.
Elyn gli lanciò ancora un’occhiata supplichevole, ma lui non se ne accorse neanche.
«Quando capirai che c’è anche qualcun altro che ti vuole bene sarà forse troppo tardi...»
Così dicendo, Elyn si tirò su e ritornò sui suoi passi, mettendo a tacere la speranza, che poco prima le formicolava nel cuore, e che le diceva che quella volta sarebbe stato diverso.
   
 
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