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Autore: mise_keith    12/10/2005    6 recensioni
FanFiction ispirata alla leggenda di Danae, fanciulla greca murata viva dal padre e fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, secondo molti divenuta simbolo della volubilità e voluttà della donna. Cosa succederebbe se sogni ed illusioni dovessero scontrarsi con la dura realtà? Racconto di una battaglia per la vita e per la comprensione, senza bene, male, giusto o sbagliato, ma solo l’ineluttabilità delle proprie scelte.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VI – Heroes for ghosts

 

Tremava.

Tremava ancora, da quella mattina, quando si era svegliata, e aveva trovato il letto vuoto, sempre tiepido, le pieghe fra le lenzuola, ad indicare che qualcuno era stato lì. Qualcuno che non c’era.

Era tardi. I soldi sul comò, non sarebbe dovuta passare in cucina, il mantello, le scarpe, le scale, la porta d’ingresso.

C’era il sole fuori, quel giorno, un sole quasi caldo, senza dubbio luminoso, vivace, incoraggiante.

Ma lei tremava.

Tremava al suo tavolo al Paiolo Magico, tremava la sua tazza di the sollevata con le mani a coppa, che continuarono a tremare anche quando questa cadde, inavvertitamente o forse no, il liquido caldo ambrato riversato sul pavimento, foglie di the e polvere, microcosmi ed universi differenti venuti a contatto con la rottura. La porcellana in frammenti era finita sotto al tavolo e alla sedia, una scheggia era scivolata fin sotto alla finestra, accanto al muro.

I soliti due zellini, il solito tintinnare della campanella alla porta, di nuovo la strada. Sempre la stessa. Sempre più tortuosa e meno invitante, eppure non si poteva fare a meno di andare avanti, pensò. A che pro fermarsi? Non v’era neanche un senso o una meta, ma questo non importava.

Ripensandoci, forse sì. Forse importava.

Ripensandoci, ripensandoci bene...

Svoltò a sinistra, non considerando realmente ciò che stava facendo, o addirittura troppo assuefatta da quello a cui non avrebbe proprio dovuto stare pensando, per accorgersi che stava agendo davvero.

Lì c’era sempre penombra. Forse vi era qualche incantesimo che schermasse il sole, per rendere il posto automaticamente poco piacevole e malfamato, o forse era proprio il sole che si teneva lontano da un luogo del genere, raduno di reietti, di perduti, di gente che aveva preso per la mano quel destino con un marchio sull’avambraccio, e una maschera sul volto, verso un orizzonte più nero della pece. Ma probabilmente neanche a loro era stato concesso di guardare al proprio orizzonte.

Chissà.

Si fermò non appena si accorse che la strada iniziava a scendere, a svolgersi sempre più in basso come le spire di un serpente.

Riconobbe quella curva, quel locale incassato fra le case piccole e strette, una porta scura e sottile, forse una volta era stata verde. Verde speranza.

La fissò, e si ritrovò a chiedersi se erano stati i suoi piedi a ripercorrere inconsciamente i suoi passi di qualche giorno prima, spinti da una mano invisibile, o se l’avesse voluto davvero lei stessa.

Non si rispose, ma si diresse verso l’uscio, lo spinse, per rientrare in quel locale buio, forse sporco, di certo trasandato. Il mondo scorreva fuori dalla vetrina opaca. No, adesso era fermo.

Come il suo cuore.

Il tavolo di quel giorno era già occupato. Da mani candide, sottili, che stringevano un boccale semivuoto, miele liquido su labbra fini, labbra pallide, chiare, appena rosee. E un’aureola d’oro niveo.

Lampi d’acciaio.

Lei rimase immobile sulla soglia. Mentre le sue mani tremavano. Le sue dita si rincorrevano e stringevano e annodavano come serpenti impazziti.

Serpenti.

Vide sollevarsi gli angoli delle sue labbra. Abbassò gli occhi.

-         Vieni, Weasley. Siediti. Cosa aspetti? – il sordo trascinare di una sedia spostata, la curva invitante e spigolosa dei suoi zigomi tesi.

Fece qualche passo avanti, si abbandonò sulla sedia senza parlare, senza alzare gli occhi. Vagavano sulla superficie scrostata del tavolo, sui tre boccali già vuoti, sulle mani di lui, rilassate, indolenti come pallidi e severi ragni. Sulle proprie, intrecciate, vibranti.

Lui fece un segno verso il bancone, uno schiocco sonoro con le dita, uno zampillo nel torbido silenzio.

Portarono un altro boccale, che spinse verso di lei, calmo, elegante.

Quel sorriso appena accennato, come una lama che le trapassava la fronte. Dolore lancinante.

-         Brindiamo.

Sollevò lo sguardo quel tanto che le permettesse di scrutare la sua espressione. Serafica causticità fra le pieghe attorno ai suoi occhi.

-         A cosa? – le scappò un sussurro dalla bocca, incerto, ma un momento dopo seppe di essersene pentita.

-         Alla sicurezza economica. Alla certezza di un presente. Al potere di scegliere. – fece un pausa per sottolineare e controllare l’effetto delle sue parole. Lo sguardo di Ginny rimase basso.

-         A Ginevra Weasley. – voce ferma, una luce vaga in fondo ai suoi occhi, derisione, forse, l’ennesima.

-         I-io... – esordì Ginny, ma si bloccò. La mano a mezz’aria fra il suo viso e l’oscurità intorno. La bocca in una piega sempre più stretta.

-         Con chi stai cercando di giustificarti, piccola Ginny? Con l’ineluttabilità del caso?

Un alito pungente, gelido, un bagliore di denti, un’espressione quasi feroce. Un fuggevole baleno di disprezzo.

Fuggevole.

Strinse i pugni, prossima alle lacrime; forse.

Piccola Ginny.

Si fermò, allargando i palmi delle mani, stendendoli davanti a sé, iniziando a strofinarli fra di loro con un gesto automatico. Le labbra socchiuse. L’espressione vacante.

-         Io non ho scelto. – mormorò risoluta, alzando finalmente di nuovo lo sguardo, fermo su quegli occhi grigi, pozze di pioggia, immobili – Non ho scelto. Non ancora. O forse non lo farò mai. Credo solo... – indugiò, lasciandosi sfuggire un sospiro – che la sicurezza non mi basti. Non questa sicurezza, non un sicuro vuoto.

L’uomo davanti a lei abbassò per un attimo le palpebre e si lasciò sfuggire qualcosa a metà fra uno sbuffo e una risata.

-         Il tuo idealismo è radicato nel sangue, ragazza. Generazioni di presunzione Grifondoro, già. Già. – un mormorio sempre più basso e pensieroso.

-         Beh, generazioni di superbia Serpeverde, e il tuo dov’è? – una traccia d’irritazione più per abitudine che altro. Una certa rassegnazione.

Tentò di sembrare determinata mentre i suoi occhi intensi e dolorosi la trapassavano da parte a parte, quasi curiosi, quasi sinceri, eppure.

-         Gli ideali vanno bene per le esistenze agiate.

-         E non si ama in tempo di guerra. – replicò lei con voce piatta – Giusto?

-         Altro, Weasley? – la voce piegata e contratta un sibilo tagliente. Ginny aggrottò le sopracciglia – Hai intenzione di continuare a giudicare dall’alto delle tue non-scelte? O sei venuta qui per qualcos’altro?

Ginny si strinse nelle spalle, sperduta. Non sapeva dirsi da dove era uscita tutta la sua sicurezza. Non sapeva dove fosse finita, adesso.

-         E tu cosa vuoi da me, Malfoy? – un tono nervoso, vacillante. Le parole che in qualche angolo della sua mente maceravano da giorni.

Si stupirono entrambi del silenzio che cadde. Lei abbassò gli occhi, involontariamente, sul suo grembo vuoto.

-         Forse mi fa rabbia la facilità con cui tu abbia deciso di non schierarti, con cui sei fuggita. Perché sei fuggita, vero? – Ginny vide il suo viso tingersi improvvisamente di chiazze rosse – La piccola Ginny Weasley che abbandona la sua famiglia per pensare a se stessa, e che poi viene lacerata da un terribile conflitto interiore, perché ha rinnegato tutto, eppure non vi è neanche completamente riuscita. Perché, piccola Ginny, non sei in grado di prenderti le responsabilità delle tue scelte. Non sei in grado proprio di fare delle scelte. Ma chi l’ha fatto è un perduto e un dannato. Giusto? Proprio come me. Perduto. Dannato. Per sempre. E tu, - si era alzato in piedi, a puntarle contro un dito bianco ed affilato, gli occhi che lanciavano lampi nel buio – tu invece ti limiti a biasimare, forzi le vite degli altri e reciti la tua particella imparata a memoria con l’autorità di un Inquisitore Supremo. Ma non hai ancora visto cosa c’è sotto al tuo piedistallo. – abbassò la voce, non appena i suoi occhi catturarono una lacrima scintillare sul viso di lei, cadere dalle palpebre adornate dalle ciglia color rame, scivolare oltre le guance. Lui fece un profondo respiro, chiuse gli occhi. Il viso di Ginny era ancora chinato, il capo una cascata di sangue. – Ma tu non hai ancora ribattuto ad una sola mia parola, Weasley.

Si abbassò, le prese il mento con una mano e lo sollevò, in modo da poter catturare il suo sguardo. Qualcun altro aveva fatto quel gesto la sera prima. Ma questa mano era ferma, e fermi e magnetici gli occhi metallici. Avevano una sfumatura azzurra, le sembrò di notare, e c’era ancora qualche chiazza rossa intorno al naso, ma ora il viso era impassibile.

Una mano bianca si avvicinò al suo volto, lenta. Un pollice le disegnò delle ombre sotto agli occhi, terse via le lacrime. Il suo viso era vicino. Molto vicino. Sentiva il suo fiato sul mento, adesso.

-         E non parlerai. – gli occhi grigi si abbassarono, sfiorandole le cosce, scendendo fino al pavimento.

-         Io... non so... – sembrò voler cominciare a dire qualcosa, ma poi si rese conto che non aveva proprio niente da replicare, piccola Ginny. Qualcosa le pulsava a metà della gola. – Non so...

-         No. – si rialzò, lentamente si risedette. Prese un altro sorso dal boccale ormai vuoto. – No. Non sai.

Non disse altro quando lei, ad occhi bassi, si sollevò e lasciò a grandi passi il locale.

 

 

 

Ho aspettato di lasciarmi alle spalle il miscuglio pressante che da giorni si agitava nel mio stomaco, e con un compito di greco in meno sulla mia coscienza invio finalmente il sesto capitolo. Dubito fortemente di essere mancata a qualcuno ma, cari miei (anzi, care mie, considerata la schiacciante maggioranza), non è finita qui. E ci mancherebbe!, aggiungerebbe probabilmente qualcuno dei pochi che segue questa storia sempre più visionaria. Ah, a proposito! Vabbè che è facile facile, ma una caramella a chi mi contestualizza la citazione del titolo (che è citazione si dovrebbe capire dal corsivo... No, Chiara, abbassa quella mano, per te non vale!), convertibile in soddisfazioni realizzabili dall’autrice. Fra le eventuali conversioni non è prevista la scrittura di fanfiction Harry/Hermione, Draco/Hermione, Ron/Ginny (Ehi! questa è interessante, non ci avevo pensato!), Remus/Tonks, Draco/Pansy, Dumbledore/McGonagall, Dumbledore/Snape, James/Sirius (ecc. ecc. ecc.) ed altre coppie altamente odiose quanto inverosimili (e chi mi viene a dire che la Remus/Tonks non lo è, può ufficialmente considerarsi precluso l’ingresso alla setta di eletti Pullmaniani in procinto di essere fondata da me e Thilwen), la traduzione di versioni di latino o greco (specialmente di quest’ultimo), una pronuncia polita e diffusibile sul personaggio di Harry Potter, nonché su Dante Alighieri, Agostino e Tommaso, Ratzinger o l’attuale maggioranza di governo.

Credo di aver concluso lo sproloquio. Dulcis in fundo, spazio ai ringraziamenti ad personam:

Helen Lance: De hi hi ho ho... ebbene sì, cose cattive oscure e malvagie, anche se non per chi si pensa davvero... Chi vivrà vedrà, soprattutto il prossimo capitolo, che è per me fonte di grande soddisfazione (perché di soddisfazioni me ne sono tolte...). Grazie grazie! Contentissima che la storia ti stia piacendo, ma i complimenti sono esagerati. Ce n’è di gente decisamente più meritevole in giro... Ma mi fa davvero piacere, grazie!

Briseide: I soliti ringraziamenti, anche questi non di rito ma sentitissimi (anche qui non sta decisamente bene, ma io sono iperbolica insitamente...). Mi fa davvero piacere che ti piaccia il mio Draco, ma probabilmente è la situazione che tira fuori il meglio (che è il peggio) dei personaggi. Sia lui che Ginny hanno sviluppato una certa abitudine alla lucidità, e, a mio parere, è ciò che dà loro la coscienza di scegliere almeno ciò che possono concedersi. Il pianto a mio parere, seppur caratteristica banale, è una connotazione quasi essenziale in un personaggio spesso debole (in tutti i sensi) come Ginny, se la si vuol rendere più naturale. Beh, che dire, grazia ancora, davvero, dei tuoi commenti-guida, della tua attenzione. Spero tu gradisca anche questo capitolo.

Thilwen: beh, in effetti a mio parere il commento era comprensibile, ma spesso ci sono momenti in cui io stessa non comprendo ciò che scrivo... prendi, Danae’s Truth, ad esempio, a rileggerla col senno di poi ci capisco la metà (^^’ Ok, facciamo che nessuno di voi abbia letto niente di tutto questo...). No, no, serietà, ci vuole... Grazie tesoro, il commento è sempre solida e consistente poesia, chiarezza disegnata a tratti tenui, e soprattutto comprensione. Ti voglio bene.

 

Uh, dimenticavo! Vabbé che la pubblicità non è fondamentalmente corretta, e che proprio lei non ne ha bisogno, ma Thilwen ha pubblicato il primo capitolo della sua ultima, splendida, fanfiction, Scribere Oportet Aqua, protagonista una splendida Narcissa Malfoy provata dal tempo, da un ricordo persistente di ciò che è stato, di ciò che è stata. Vi consiglio di leggerla, per quanto possa valere il mio parere e il mio riassuntino patetico, per amore di un paese libero e meritocratico... Un bacio!

  
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