CAPITOLO 5 Maledetta
scatola palpitante!
Axel si leccava i baffi nella speranza di assaporare meglio il gusto
dei pancakes che si era divorato in meno di due minuti, Felix raccoglieva con
un dito le briciole rimaste sul piatto e Sharon mi guardava mentre avevo ancora
tra le mani il mio ultimo pezzo traboccante di panna.
-
“Guardami quanto
vuoi ma non ti cederò mai il mio ultimo pezzo, l’ho tenuto per ultimo apposta!”
le dissi scuotendo la testa.
Mi guardavano tutti e tre o
meglio, guardavano il mio ultimo boccone
con ingordigia.
-
“R-Ragazzi, non
penserete davvero di privarmi del mio ultimo brandello di felicità?” recitai
ironicamente.
-
“No, non
preoccuparti. Non sentirai nulla se stai ferma!”
-
“Fratello
famelico! Allontanati da me!”.
Misi una mano tra di noi come
per poterlo fermare nel suo intento.
Con un balzo mi saltò addosso
tentando di divorarmi anche l’intera mano se fosse stato necessario.
-
“Axel lascia in
pace tua sorella!”.
-
“Mamma! Papà!”
esultai dalla gioia lanciando in aria il dolce.
Axel lo riprese con la bocca.
-
“Può andarti di
traverso, cretino!” esclamò preoccupata Shay che con la mano salutava i miei
genitori.
Si guardava compiaciuto, era
riuscito nel suo intento.
Felix accennò un movimento
con testa e sorrise, era perfettamente a suo agio.
-
“Tesoro, non
stringerci così forte! Abbiamo le ossa fragili!” tossì.
-
“Si , scusa papà
ma non vi vedevo da molto tempo”.
-
“Siamo venuti a
prendere la tua roba, come avrai saputo domani ti dimettono” mi disse mia madre
con un sorrisone.
-
“Certo! Non vedo
l’ora! Ma… cosa avevo? O cosa ho… non so ancora il motivo del mio ricovero, ti
sembra normale?” chiesi preoccupata a mia madre.
-
“Avevi la pressione sanguigna alle stelle e
non si stabilizzava, i medici temevano che avessi avuto un infarto cardiaco,
avevi il cuore che stava per balzarti fuori dal petto. Poi hanno pensato
all’ipertensione essenziale quando hanno notato che non ti svegliavi ma si sono
tranquillizzati quando ti hanno vista cosciente… più o meno…”
Non risposi.
Capivo perfettamente cosa
volessero dire tutte quelle parolone da dottori.
Io e mamma capivamo qualcosa
di medicina mentre Axel e Antony, possiamo dire che se non ci fosse stata mamma
mi avrebbero dato per morta solo per aver sentito nominare: ipertensione,
infarto e cuore.
-
“Quindi il suo
cuore non è apposto adesso?” domandò impaurita Sharon.
-
“No, è tutto ok,
si è ripresa benissimo… per questo la lasciano andare già da domani” la
tranquillizzò.
-
“Bene, io… voglio
bene al mio cuore! Ogni tanto impazzisce ma è del tutto normale, tutti diamo i
numeri ogni tanto”.
-
“No, non è per
niente normale!” berciò Felix aggrottando la fronte.
Ci teneva a me, lo faceva
vedere tranquillamente a tutti, non ne aveva paura né vergogna.
Lo vidi così spaventato,
nervoso, si sentiva impotente.
Non mi importò niente, dovevo
tranquillizzarlo ma temevo che il mio superpotere non sarebbe bastato.
Mi diressi verso di lui
abbracciandolo forte, le lacrime mi rigarono il volto.
Avrei voluto dirgli che io e
il mio cuore non saremmo andati da nessuna parte ma non potevo. Saremo andati
via, in Canada, dove avremo sofferto tutti e due: io e la mia imprevedibile
scatola di metallo che mi batteva nel petto, incapaci di poterci opporre a
quella sensazione.
Tutti nella stanza mi
guardavano con tenerezza. La mia famiglia sapeva perfettamente il motivo del
mio malessere.
-
“Dimmi che non
permetterai al tuo stupido cuore di andare via…” supplicò Fel.
No, non te lo dirò. Non posso… cerca di
capirmi ti prego…
-
“Felix, possiamo
parlare?” lo invitò Axel con le mani in tasca e con l’espressione più seria che abbia mai visto
sul suo viso.
Mi voltai verso di lui,
fulminandolo con lo sguardo.
-
“Ora o mai più”
mi rispose rassegnato avendo notato la mia faccia.
Cosa? Sta per dirgli tutto? È impazzito? Non può farmi
questo…
-
“Non lo fare, c’è
ancora tempo. Lo prometto, lo farò io! Ti prego!” lo implorai.
-
“Capisci che non
può continuare così? La vuoi smettere di fare del male a tutti?” sbraitò contro
di me.
-
“Neanche tu hai
detto niente alla tua ragazza e al tuo amico, anche tu fai del male a tutti! Sei
codardo quanto me!” lo aggredii.
-
“È da tre
settimane che prometti di dirlo, io non posso aspettare ancora: o lo dici
adesso tu oppure lo faccio io”.
Né Shay né Fel riuscivano a
trovare una logica nella nostra discussione, ascoltavano stupiti quella lite,
non sapendo cosa pensare.
Percepii una fitta allo
stomaco, esattamente come quella che ebbi sul treno.
Non posso svenire o dirà tutto! Non adesso, maledetta
scatola palpitante! Aveva ragione Felix, ho un cuore stupido!
-
“Axel esci subito
da qui!” ordinò mio padre.
-
“Cosa?” sbottò.
-
“ Hai sentito tuo
padre? Muoviti!” lo spalleggiò mamma.
Uscì dalla stanza sbattendo
la porta.
Mi sdraiai sul letto, cercai
di regolare il battito cardiaco e chiusi gli occhi per concentrarmi.
Antony seguì mio fratello nel
corridoio, i miei amici si guardavano l’un l’altro e mia madre mi mise al
braccio la flebo che avevo dimenticato.
Sapevo di non averne bisogno,
ormai il pericolo era passato.
Axel non poteva dire niente:
lo avevano allontanato.
Alla prima occasione che gli
fosse capitata gli avrebbe riferito tutto.
Devo farlo io. Magari quando starò
meglio…
Stavo rimandando ancora una
volta.
Gli dirò tutto quando starò meglio… lo prometto a me
stessa.
-
“Non voglio
riposare ancora, ho dormito abbastanza” sussurrai.
-
“Ok, ma rimani
stesa intesi?” mise in chiaro Amanda.
Acconsentii facilmente, non
avevo nessuna intenzione di alzarmi e nemmeno nessuna forza.
Si poteva perdere le forze in
così poco tempo? Il corpo umano è una bomba ad orologeria, può esplodere da un
momento all’altro per qualsiasi motivo, anche per il più superficiale.
-
“Tesoro, prendo
la tua roba e corro a casa. Deve essere tutto pronto al tuo ritorno”.
Aprì l’armadio che si trovava
di fronte al mio letto, afferrò un sacco di lenzuola, vestiti e asciugamani con
un braccio solo mentre l’altro era occupato a ghermire due cuscini dall’altra
anta.
La osservavo in tutta la sua
agilità.
Non l’avevo mai vista fare le
pulizie,noi avevamo Sofie, la nostra domestica che si occupava di tutto.
I miei genitori erano troppo
occupati con il loro lavoro e noi con la scuola e le partite, ci serviva una
mano: la casa era grande, aveva anche il giardino, la stanza da lavoro della
mamma era sempre piena di stoffe e
nastrini buttati per terra, doveva cucinare, lavare, stirare, spolverare
e poi… la stanza di Axel era una discarica monumentale.
Nonostante la sua età, se la
cavava benissimo. Portava i suoi 54 anni con meravigliosa allegria.
Anche lei era parte della
famiglia.
Ricordo che al suo dodicesimo
mese di servizio, le arredammo una stanza tutta per lei in modo che potesse
rimanere a dormire invece di guidare di notte fino a casa sua... dopotutto
anche lei aveva una sua famiglia: un bellissimo bambino di tre anni e una
sorella, Linda, che badava a lui quando lei lavorava, praticamente era la sua
seconda mamma.
Geof era un pupo dagli occhi
particolari: ne aveva uno verde ed uno castano.
In effetti Sofie aveva gli
occhi verdi mentre il suo marito gli aveva castani, «una rara situazione
genetica» dicevano i medici.
Purtroppo il signor Oliver
non fece in tempo a vedere suo figlio nascere: perse la vita a causa di un
tumore ai polmoni.
A metterci al corrente di
tutto fu la sorella… da quel giorno la famiglia Fox e la famiglia Mills
condivisero il tetto.
Lo spazio non mancava e
sarebbe stato più comodo per Sofie così, decidemmo di unire le due famiglie.
Ne era entusiasta: si sentiva
proprio a casa sua.
Aveva solo la famiglia un po’
più grande: io e Axel facevamo i babysitter a Geof, la mamma cuciva vestiti per
tutti e papà… beh… portava lo stipendio.
In fin dei conti, ero
dubbiosa… non vedevo Sofie nei paraggi… forse era rimasta a casa.
Il cigolio della porta mi
distrasse, facendomi ritornare con i piedi per terra.
Sono sola adesso! Mi chiederanno della scenata fatta
poco fa davanti ai loro occhi. Cosa cavolo dico? Non mi sono ripresa del tutto!
No, stronzate! Mi sono ripresa eccome! Non mi nasconderò più ora, se
chiederanno risponderò.
Silenzio totale.
Mi mangiavo le unghie per il
nervoso.
Aspettavo che qualcuno
parlasse, forse avevano paura del mio cuore.
-
“Vado a vedere
come sta Axel” ruppe il silenzio Sharon.
-
“No! Non andare!”
la fermai cercando di distrarla dalle sue intenzioni.
-
“Perché?” chiese
dubbiosa.
-
“Dovresti farmi
un favore” temporeggiai cercando una scusa giusta per fermarla senza dire
nessuna bugia.
-
“E quello che sto
cercando di fare, scemotta!” mi fece l’occhiolino senza farsi vedere da Felix.
Cosa? Non voleva davvero
parlare con Axel? Era una scusa per lasciarci soli? Non voleva sapere nulla
sulla lite? Non potevo azzardare una mossa del genere, dovevo assicurarmi in
qualche modo che non sarebbe andata da mio fratello che rischiava di
spifferarle tutto.
-
“Beh grazie, ma
dovresti farmene un altro oltre a questo” dissi imbarazzata.
-
“E sarebbe?”
chiese falsamente scocciata.
-
“Non parlare con
Axel se lo vedi e se ti vuole parlare, tu non lo ascoltare… per favore, ti
spiego tutto dopo, promesso”.
-
“Va bene… anche
se mi stai chiedendo di non parlare al mio ragazzo. Lo posso almeno baciare?
Giuro che non mi farò dire niente” domandò supplicandomi.
-
“Ma certo, quello
che fate non mi riguarda. L’importante e non parlargli e non lasciare che ti
parli. Puoi baciarlo ad oltranza per non fargli aprire bocca, per me va
benissimo”.
-
“Ok, perfetto…
allora… vado, a dopo”.
Fece una piroetta facendo
svolazzare tutti i capelli e se ne andò.
Felix non diceva nulla, non
alzava lo sguardo: se non lo conoscessi, avrei detto che fosse una statua di
cera.
Pensava a qualcosa,
probabilmente alla discussione con Axel.
Anche in quel momento speravo
che non mi chiedesse nulla, avrei dato la notizia a tutti e due nello stesso
modo e nello stesso momento.
Dalla sedia si spostò accanto
a me sul letto.
-
“Devi dirmi
qualcosa?” chiese freddamente senza alzare lo sguardo dal pavimento.
-
“Qualcosa a
proposito di che?”.
-
“A proposito
della lite con Axel”.
Presi
fiato per rispondere in qualche modo vago ma mi pose un’altra domanda non
appena aprii bocca.
-
“E Sharon sa di
noi?”.
Finalmente alzò lo sguardo.
Come potevo nascondere quel
problema ai suoi occhi?
Decisi di rispondere solo
alla sua seconda domanda e sperando che si fosse aperto da lì a poco un nuovo
discorso che non riguardava Axel e me.
-
“Si, Shay non è
stupida. Ha capito tutto da sola non appena mi ha vista in faccia” gli sorrisi
piegando leggermente la testa.
-
“Ah… ok. Ha detto
qualcosa che esprimesse il suo dissenso? O disgusto, o disapprovazione, insomma
hai capito”.
-
“No anzi, è
contentissima per… noi”.
-
“Bene” mi
rispose, solo un bene.
Rivolse ancora una volta lo
sguardo sulle piastrelle della stanza.
Stava pensando troppo, si
avvicinava il momento della verità ed io ero pronta a ritardarlo in qualsiasi
modo.
-
“Non riesco a non
pensarci, te lo devo chiedere…”
No, no, no, no, ti supplico, ti
supplico…
-
“Cosa voleva
dirci Axe…”
-
“Baciami!” lo
interruppi avvicinando il mio viso al suo.
-
“Come? Hai per
caso detto…”
-
“Ho detto baciami
Felix” ripetei con voce tremolante.
Mi fissò per un po’… almeno…
così mi sembrò.
Aveva capito che evitavo il
discorso ma non controbatté, mi afferrò per i fianchi e mi tirò verso di sé.
Avrei voluto che quel momento
non finisse mai.
Per me il sipario poteva
benissimo calare in quel momento.
Continuavo a baciarlo e ad
accarezzargli i capelli.
Il mio respiro gli appannò
gli occhiali, li afferrai e li lanciai non so dove.
Si sentì il rumore provocato
dalla caduta non molto lontano dal lettino che ormai, non ospitava solo un
corpo ma due.
Lo avevo trascinato con me
sulla branda, continuavo a baciarlo con passione, cominciò a baciarmi sul collo
mentre io odoravo il suo profumo.
Io non mi sarei fermata, ero
troppo coinvolta per farlo, non gli davo un attimo di libertà, neanche il tempo
necessario per respirare.
Era inutile respirare,
dopotutto il quel momento lui era il mio ossigeno ed io ero il suo.
-
“Dovrei farti
questa domanda ogni volta per ottenere questo?” sorrise in quel piccolo istante
di tregua.
-
“Non contarci
troppo” gli sussurrai nell’orecchio sarcasticamente.
-
“La speranza è
l’ultima a morire”
-
“Si certo”.
Continuavo a baciarlo, volevo
solo sentire il suo sapore unirsi al mio, se avessi continuato così mia avrebbe
scambiata per una maniaca.
-
“Sai, il tuo stupido cuore mi piace da
impazzire. Mi dispiace averlo insultato prima”.
-
“Stai parlando
troppo, zitto e baciami”.
Ero senza controllo.
-
“Dico sul serio”
si fermò all’improvviso.
-
“Lo so, ma stai
tranquillo… il mio cuore non potrebbe stare meglio di così”. Lo rassicurai.
Poi pensai che, in realtà, la
mia scatola metallica sarebbe potuta stare meglio di come stesse in quel
momento.
Sapendo che avrei dovuto
allontanarmi da loro, era come se mi prendessero il cuore tra le mani e
iniziassero a stritolarlo per poi farlo esplodere.
Faceva male, faceva male per
davvero.
Rallentai il ritmo dei baci
per recuperare un po’ di regolarità cardiaca ma non cambiò nulla: faceva ancora
male.
Mi fermai del tutto e fermai
anche lui.
Capì al volo che non stavo
bene.
-
“Fermiamoci qui,
basta per oggi, posseduta!” scherzò poggiandomi la testa sul cuscino.
-
“E pensa che la
flebo mi è stata d’intralcio” confessai ironicamente.
-
“Oh mamma mia,
incominci a farmi paura! Comunque vado a cercare Shay”.
-
“Potresti
trovarla attaccata ad Axel come un polipo” scoppiai a ridere.
-
“Per questo vado
a cercarla, non voglio un’altra ricoverata!”
-
“Si
giusto…Felix…” lo fermai prima che potesse varcare la soglia.
-
“Dimmi”.
-
“Non sparire
dietro quella porta. Troppe volte ti ho visto farlo”.
-
“Mmm… vediamo..
si, si può fare” pensò tra sé e sé.
-
“Si può fare
cosa?” mi incuriosii.
-
“Non mi vedrai
sparire da una porta… la finestra va bene?”
-
“Cosa? Sei
impazzito? Siamo al primo piano! Ti farai male, io non intendevo…”
-
“Tu non
preoccuparti, ci vediamo presto Ell!”
Si catapultò fuori dalla
finestra e poi udii un tonfo.
Oh mio Dio! Si è ammazzato!
Mi alzai dal letto in preda
al panico, mi lanciai verso la finestra e guardai per terra sperando di non
trovarlo in preda al dolore.
Ero terrorizzata da quello
che avrei potuto vedere quella mattina, non avrei potuto assistere ad una scena
di quel calibro.
Se così fosse stato, non
avrei neanche perso tempo a scendere le scale.
Mi sarei buttata anch’io,
senza dubbio.
Probabilmente mi sarei fatta
male, ma non mi importava, potevo
insabbiare quello spasimo, non potevo pensare a me.
-
“Ell tranquilla,
sto benissimo. Sei contenta?” mi urlò dal pianoterra, soddisfatto di avermi
accontentata.
Tirai un sospiro di sollievo.
-
“Non farlo mai
più! Potevi rimanerci secco. Hai rischiato di farmi morire d’infarto! Tu sei
pazzo!” ribattei con rabbia.
-
“Non è la pazzia
la ragione per il quale qualcuno agisce follemente, ma è il motivo per cui è
tentato di farlo, nel mio caso tu” sorrise.
-
“No nel tuo caso
è la pazzia, credimi!” arrossii.
Abbozzò un sorriso e si
diresse verso l’entrata dell’ospedale.
Ha fatto un gesto del genere solo per farmi contenta,
è proprio pazzo!
Se devo dirla tutta, oltre ad
essere blandita, ero anche molto appagata.
Sapere che si sarebbe lanciato
dalla finestra per me, oltre che a farmi paura, mi faceva sentire, in un certo
senso, al centro della mia vita.
Sentivo che aveva uno scopo,
quello che molti ignorano o che rigettano: l’amore.