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Autore: Melina     15/09/2010    0 recensioni
[Traduzione da Katie Forsythe]
"Sono certamente contento di venire a conoscenza di nuove acclamazioni internazionali nei suoi confronti" sorrisi "Ma come potremmo mai essere d'aiuto noi?".
Si accese una sigaretta e diresse la sua attenzione verso il fuoco morente. "Infatti, Watson, penso che questo sia un affare che potrei meglio condurre senza la sua assistenza"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco la seconda parte ^^ Spero di avervi incuriosito con la prima, buona continuazione!

NOTE: in questo capitolo vedrete Holmes parlare spesso in francese per motivi che capirete, io non ho ritenuto di tradurre le frasi in detta lingua un po' per non rovinare l'effetto e un po' anche perché non sono di così decisiva importanza, comunque sia sono abbastanza capibili anche da chi non conosce la lingua francese (come Watson, anche se lui riesce a comprendere solo una parola >.>)
Gli asterischi portano alle note a piè di pagina ^^ (ho dovuto metterle obbedendo alla mia precisione isterica)

 

PARTE 2

Lione è divisa da due fiumi, il Rodano e il Saone, e sorge su due colline chiamate sin dall'antichità "la collina che prega" e "la collina che lavora". L'hotel di Holmes era nella zona di Faurviere, chiamata così per la basilica di Notre Dame de Forviere e per la sfarzosa residenza dell'Arcivescovo nei pressi di essa. Arrivai in città mentre i lampioni venivano accesi, e fermai una carrozza che mi portasse a destinazione senza indugio.
Quando arrivai al piccolo e pittoresco hotel, imbiancato di fresco e con una semplice targa in oro recante il nome il tutto decorato da graziosi fiori blu alle finestre, mi precipitai al bancone della hall con il cuore in gola dalla tensione. C'era un omino che doveva essere il concierge in piedi dietro al bancone, di molto più basso della donna alla quale stava facendo rimostranze in quel momento. Aveva una cravatta di un lilla luccicante, uno spesso pizzetto e delle sopracciglia scure ed espressive sopra ad occhi castani e pensosi. Quando mi vide attendere agitato dietro alla donna, le cui lamentele non riuscivo a comprendere, alzò una mano imperiosa per bloccarla probabilmente dopo aver ceduto a un moto di pietà nei miei confronti, il tutto con un atteggiamento che pensai essere insolitamente caritatevole da parte di un concierge francese.
"Un moment, s'il vous plaît, Madame. Avez-vous besoin de quelque chose, Monsieur?"
"Sono stato chiamato qui per occuparmi della salute di Sherlock Holmes, signore"
"Aha!" esclamò lui, battendo il palmo della sua mano sulla superficie della scrivania "Dottor Watson. È un'eccellente notizia. Eccole la chiave della stanza. È subito in cima alla scalinata, primo piano, a sinistra. Io devo finire con Madame e mi occuperò delle sue richieste in poco tempo" la sua voce portava l'accento di un parigino dal vasto vocabolario inglese ma che non si preoccupa di come le parole in questione dovessero suonare.
Presi la piccola chiave dorata preoccupato di come venivano trattate le questioni formali all'hotel Dulong, ma nell'urgenza di rivedere Holmes non diedi alla mia impressione lo spazio che meritava. Salii gli scalini due alla volta fino a un ben illuminato corridoio completo di tappeti a terra e dalle pareti rivestite di ceramiche damascate, e ammetto di non essermi preoccupato di bussare talmente mi sentivo in ansia quando alla fine girai la chiave ed entrai nella camera.
Il mio amico era rannicchiato nel letto con indosso un paio di pantaloni e una camicia frettolosamente abbottonata, come se avesse tentato di alzarsi in precedenza ma poi ci avesse ripensato. La vista del suo viso mi provocò un freddo brivido di paura, perché era mortalmente pallido e forse ancora più magro di quanto non lo fosse stato quando mi aveva lasciato, e su un uomo come Sherlock Holmes la perdita di qualche chilo era qualcosa di impressionante. Mi ci sedetti di fianco immediatamente, ma lui non si mosse. In un impeto di improvvisa mancanza di senno trattenni il respiro e feci scorrere le mie dita fra i suoi capelli.
Sbatté le palpebre per pochi istanti, poi i suoi occhi si aprirono lentamente. Erano iniettati di sangue, sconvolti, ed erano la sola cosa al mondo che desiderassi vedere. Quando mi riconobbe sorrise delicatamente.
"È lei. Ero certo fosse lei"
"Perché ne era certo?" chiesi. Mi scoprii incapace di rimuovere la mia mano dalle nere ciocche che sognavo di poter toccare da diversi anni.
"Perché odora di tabacco della Virginia e nessun altro in questo hotel è in possesso di un tale discernimento" sospirò soddisfatto. Mosse una mano tremante per posarla pigramente poco al di sopra dei suoi occhi, che chiuse di nuovo.
"Holmes, cosa diamine le è successo? Sembra un fantasma"
"Sono un fantasma" disse, poi all'improvviso si mise a sedere, i suoi occhi completamente aperti e le sopracciglia lucide di sudore "Watson, che cosa ci fa qui, in nome del cielo?"
Mi ritrassi da lui stupito "Sono stato chiamato"
"Da chi, se posso chiederlo?"
"Non ne sono sicuro. Credo dal concierge di questo hotel"
"Lettera o telegramma?"
"Era un telegramma"
"Mi dia il telegramma" chiese Holmes. La sua era un vista pietosa, il nero dei suoi capelli risaltava a contatto con il bianco cadaverico della sua pelle. Glielo misi in mano e appena lo feci questa cominciò a tremare considerevolmente.
"Lo ucciderò" dichiarò Holmes solennemente, gettando la lettera offensiva nel camino dopo averla appallottolata con viziosità "non ha che poche ore da vivere" si alzò con poca convinzione e fece per afferrare la sua veste da camera.
"Quindi non desidera la mia presenza qui?" domandai piano. Credo che in quel momento le mie mani tremarono almeno quanto le sue. Sapevo che cosa avrei fatto se la sua risposta fosse stata un no. Lo avrei lasciato in pace, avrei chiamato un altro dottore, e non avrei varcato mai più la soglia di Baker Street.
Il mio sguardo sembrò stupirlo. "Non ho mai detto una cosa del…" cominciò, ma qualcuno bussò alla porta interrompendoci.
"Messieurs" disse il concierge allegramente, entrando con le mani incrociate dietro la schiena con deferenza "Comment allez-vous?"
"Pas bien, merci," replicò Sherlock Holmes, guardandosi in giro in cerca di tabacco. "J'ai un travail difficile. Je vais tuer le concierge de l'Hotel Dulong"
"Vraiment?" rispose divertito l'omino arzillo. "C'est triste, ça. À quel heure est-ce que vous allez manger?"
"Sembra che il dottor Watson abbia bisogno di un sandwich il più presto possibile" disse Holmes "E anche di una stanza per la notte. Est ce-que il y'a une autre chambre près d'ici?"
"Bien sur… la chambre à côté de ta chambre, peut-être. Mais il ne reste pas ici?"
"Arrêtez -vous, Michel" sospirò Holmes con irritazione "Le docteur est gentil, mais il n'est pas bête"
"Je vois. Il est aussi très aimable, et assez beau, je pense"
"Michel, tu as cinq secondes quitter" sbottò il mio amico, e non esagererei dicendo che al momento avrei dato qualsiasi cosa per aver saputo parlare francese.
"Molto bene" sbuffò l'omino, chiaramente vessato dalla conversazione "Dottor Watson, è stato un piacere. La camera accanto sarà pronta per lei in men che non si dica. C'è una porta comunicante. Au revoir"
"Michel!" chiamò Holmes all'improvviso.
"Oui?" fu la concisa risposta del signor Michel, come adesso sapevo si chiamasse.
"Tu n'as parlé pas au mon frère?"
"Non. Seulement le docteur."
Holmes sospirò sollevato e si passò una delle sue pallide mani fra i capelli. "Merci, Michel" sorrise brevemente lanciando la sigaretta contro la graticola del camino. "Je vois que tu n'es pas complétement insensé"
Uno sbuffo di derisione seguì l'ultima frase, poi il concierge chiuse la porta sbattendola dietro di sé.
"Holmes, cosa diavolo significa tutto questo?" chiesi con asperità.
"Mi dispiace mio caro amico, ma non vorrebbe saperlo" rispose Holmes tornando a rannicchiarsi nel letto e coprendosi gli occhi con un braccio impossibilmente magro.
"Le assicuro che voglio saperlo. Dia credito al fatto che ho abbastanza acume da dedurre cosa 'le docteur' significhi. Per quale motivo un concierge potrebbe darle un tale fastidio? E a proposito, su che diavolo stavate litigando?"
"Non è un concierge. Voglio dire… ovviamente è un concierge, ma è anche mio cugino"
"Suo cugino?!" esclamai riportando alla mente l'insolita abitudine di quell'omino dell'alzare un sopracciglio che arrivava a somigliare a un segno di disprezzo.
"Sì, mio cugino. Mia nonna era francese, come lei sa, e quell'atroce nanetto è mio cugino Michel Vernet. Stavo organizzando la sistemazione per lei per stanotte"
"Stava certamente succedendo più di quello che mi sta dicendo adesso"
"Michel ha scherzato in quella maniera assolutamente priva di gusto che hanno i francesi e io gli ho detto che lei è gentile, non stupido. È davvero una piccola donnola irritante. Io e Mycroft una volta lo convincemmo del fatto che avrebbe guadagnato una fortuna vendendo sassi agli zingari che si accampavano vicino alla nostra proprietà perché loro conoscevano un modo per trasformare i sassi in cavoli. Il trucco era solo quello di portare loro sassi delle dimensioni di cavoli. Non credo ci abbia guadagnato qualcosa, ma ci stette fuori dai piedi per un'intera giornata"
Mi sforzai parecchio per non ridere, ma non ci riuscii. Sedetti sul letto di fianco a Holmes. "Quanti anni aveva?"
"Otto? Non pensavo a questa storia da anni. Lui era lì per l'estate e Mycroft doveva essere a casa da scuola quindi sì. Io avevo otto anni e Mycroft quindici"
"E Michel?" chiesi. Non avevo intenzione di smettere di parlare dell'unica storia sull'infanzia di Holmes che avessi mai sentito.
"Lui è di due anni maggiore di me e io sono stanco di parlare di lui"
"Bene allora" dissi prontamente "potrebbe dirmi del caso, cosa le è successo e perché suo cugino sembra ritenere la mia presenza necessaria quando lei non lo crede" Penso che per la maggior parte degli uomini la mia voce sarebbe suonata del tutto normale quando pronunciai questa frase. Sherlock Holmes, sfortunatamente, non era tipico della sua razza. Si mosse in fretta per neutralizzare la conversazione.
"Watson, qualsiasi falsità le abbia riferito su di me quel bellimbusto semi-isterico, le assicuro che sto bene" rispose velocemente.
"Questa è una menzogna oltraggiosa. Lo dico come suo medico, non come suo amico" aggiunsi "perché come suo amico una tale asserzione sarebbe un insulto e i dottori, sebbene lo detestino, sono abituati a sentirsi mentire dai pazienti"
"Mio caro amico, qualsiasi sia la veste con la quale afferma certe cose, sta continuando a chiamarmi bugiardo" replicò. "Ho appena chiuso un caso che mi ha sempre richiesto di lavorare non meno di quindici ore al giorno per le trascorse otto settimane. Quelle ore, le posso assicurare, sono state estenuanti. Inoltre, sono stato più di una volta… per essere franchi, come sembra lei voglia che io sia, sono stato per tre volte costretto a lavorare sul caso per cinque giorni di fila senza tregua. Sono affaticato. Non è naturale affaticarsi quando tutto intorno a noi è banale e volgare?"
Sherlock Holmes, dichiarato ciò, mi guardò come non aveva mai fatto prima nella nostra già lunga collaborazione. Fui tentato di arrabbiarmi ma mi contenni quando vidi che stava ancora tremando come una foglia, sudava alle prese con la nausea e continuava a fissarmi come se si fosse leggermente pentito di quello che mi aveva appena rivelato.
"Ha veramente lavorato per tutto quel tempo senza riposarsi?"
"Ho appena detto che l'ho fatto" mi rispose. La sua voce si era attenuata e sembrava più turbata che arrabbiata.
"Non c'è uomo al mondo che sia capace di stare sveglio così a lungo senza l'ausilio di stimolanti artificiali" osservai cautamente.
"Ah sì?" biascicò "io sono un'eccezione"
"Lei rimane sempre un uomo"
"Non c'è da stupirsi che lei sia così rispettato come medico. È imperdonabile che non si trovi in Harley Street* a quest'ora"
Aprii la bocca per replicare a questa frecciata ma Holmes mi impedì di parlare, distese una mano per afferrare qualsiasi superficie essa incontrasse e trovò una delle mie.
"È un sintomo. Mi è già successo. Stavo concludendo gli esami finali all'università. Non deve prenderla sul personale" i suoi occhi si spalancarono ancora una volta interrogandomi con grave urgenza.
Molte cose mi si erano chiarite adesso, ma confesso, comunque, che non potevo credere che il mio amico avesse abusato di droga nel bel mezzo di un'investigazione internazionale. Tentai in tutti i modi di ignorare il fatto che la mano di Sherlock Holmes fosse stretta nella mia e continuai con la conversazione.
"Non fa mai uso di cocaina quando è occupato in un caso"
"Allora perché pensa che l'abbia fatto?" rispose caustico, il suo tono era già tornato quello di un accusatore che interroga una giuria.
"Non penso lei debba considerare i suoi sintomi così oltre la mia comprensione, anche se non ha ancora confessato poi molto" ringhiai "Certo, malgrado il fatto che la sua dedizione a questo caso si è provata umanamente impossibile… avrei dovuto comunque riconoscere i sintomi di irritabilità, nausea, affaticamento, tremori, depressione e perdita del controllo muscolare come indicazioni dell'uso di cocaina".
Ci fu un lungo silenzio che non sembrò provenire dallo stato di costernazione in cui si trovava il mio amico, ma piuttosto dal fatto che fosse impossibilitato a parlare dall'azione dei brividi che scuotevano il suo intero corpo. Mi chiesi, e non fu l'ultima volta che lo feci, quale mostruosa forza della natura ci volesse per convincere Sherlock Holmes a lasciarsi andare. Decisi di non avere altra alternativa se non insistere sull'argomento.
"Dice di averlo fatto prima. Spero non sia stato tanto pazzo da pensare che la seconda volta potesse essere più facile della prima!" Dissi. Le parole mi uscirono senza pensarci, ero ben conscio del loro significato anche se avrei voluto ritirarle.
Il mio commento colse nel segno. "Avevo appena passato con il massimo dei voti gli esami di storia e di matematica" rispose in tono scandalizzato "Affittai una stanza per una settimana. Lo feci da solo…"
"Senza dubbio. Non ho dubbi anche che il suo consumo di droga in quell'occasione fosse stato considerevolmente più basso di quello richiesto per farla stare sveglio per più di cento ore di seguito, e in tre separate occasioni. L'organismo finisce con l'assuefarsi a…"
"Capisco che sia stato folle, glielo assicuro" mi interruppe con fervore "Ma Watson, non deve considerarmi completamente pazzo. È stato questo caso a portarmi a necessitare una quantità di droga superiore"
"Non di meno lei ha bisogno di aiuto" dissi gentilmente "E io desidero aiutarla" tenni i miei occhi ragionevolmente bassi sul tappeto sebbene continuassi a stringere la sua mano con una forza che riuscivo a sopprimere a mala pena.
"Non voglio che chiunque mi possa vedere così" fu il sussurro strozzato che mi riportò alla realtà.
"Io non sono chiunque" precisai.
"No, non lo è. Lei è molto peggio"
"Questo cosa diavolo vorrebbe dire?" domandai, ritraendo la mano.
"Lei è tutti" rispose, reclamando la mia mano indietro "lei non è nessuno. Non lo so. Di certo lei non è chiunque"
Era un discorso completamente senza senso, ovviamente. Le parole, sebbene collegate l'una all'altra con esattezza, non convogliavano in alcun senso che potesse essere inteso da un pubblico che le ascoltasse. Non avevo fatto progressi nel riuscire a comprenderlo né avevo tentato seriamente di farlo, perché Holmes era nel bel mezzo di una grave crisi. Eppure qualcosa nel suo tono, confesso, mi toccò nel profondo. Avrebbe potuto stare recitando "The Charge of the Light Brigade"** per quello che mi importava. Voleva che stessi con lui. Aveva bisogno che stessi con lui. Questo era tutto ciò che avrei potuto sperare per il momento.
La cameriera arrivò pochi minuti dopo, senza dubbio su richiesta di Michel Vernet, con un vassoio di pasticcini e un catino d'acqua fresca. Ora la presa di Holmes sulla mia mano aveva avuto il tempo di rilassarsi del tutto, e lui dormiva un sonno dettato dalla sua spossatezza fisica. Io approfittai di quanti più morsi ai pasticcini il mio stomaco poté sopportare, poi mi sdraiai accanto al mio insensato amico usando il mio cappotto come coperta. Sapevo di non poter fare niente per lui in senso medico, e il pensiero mi provocò una fitta di auto-rimprovero. Nondimeno, la camera era calda al punto giusto e le coperte sotto di me erano inebrianti. In tutta la mia vita ero rimasto sveglio per il tempo che aveva specificato Holmes due sole volte.
Nel caso del giorno appena trascorso, comunque, appena tre ore di impotente terrore erano state sufficienti per trascinarmi nel sonno più profondo che avessi mai sperimentato. Non mi curavo del Paese in cui mi trovavo come non mi curavo del proprietario del letto in cui mi ero accoccolato né del modo in cui Sherlock Holmes avrebbe potuto giustificare la mia presenza in esso il giorno dopo.

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Infatti gli eventi del mattino sorpresero me e il mio amico in egual misura. Nessuno dei due possiede un sonno pesante; entrambi siamo stati costretti, anche se per motivi diversi, alla necessità di poter essere perfettamente svegli per ogni evenienza improvvisa. Per questo l'urgente bussata alla porta della camera di Holmes svegliò entrambi simultaneamente e ci mise in un lieve stato di allerta.
Ci guardammo perplessi per un attimo mentre Holmes ritirava il suo braccio che stava coprendo i miei fianchi e io rimpiangevo di non aver fatto sembrare che nel mio letto avesse dormito qualcuno "Le assicuro…" cominciò lui.
"Non mi sarei mai permesso di…" dissi io nello stesso momento.
"Tutto questo è ridicolo" replicò secco, gettandosi la veste da camera sulle spalle mentre si avvicinava alla porta.
"Holmes, si sente meglio?" chiesi mentre lui appoggiava la mano sulla maniglia. Era una domanda sincera. La tossicodipendenza era un orribile disturbo e io ero stato davvero terrorizzato per lui la notte prima.
"Vada nella sua stanza. Adesso" rispose.
Mi affrettai a fare quello che mi aveva chiesto, le mie orecchie bruciavano. Non era sembrato arrabbiato. Ma fin troppo spesso quando Sherlock Holmes era estremamente arrabbiato non lo faceva vedere. Mi sedetti sul bordo del mio letto ancora immacolato per tre minuti buoni nei quali esclamazioni adirate e in lingua francese si contendevano la supremazia le une sulle altre nella stanza accanto. Alla fine Holmes spalancò la porta che metteva in comunicazione le nostre camere.
"Si vesta" comandò.
Osservai che lui aveva già quasi del tutto raggiunto quell'obiettivo e che gli mancavano solo cravatta e soprabito per completare la sua toilette.
"Holmes…" cominciai. Con mio grande stupore lui scostò le mie coperte, si infilò fra le mie lenzuola, si rotolò avanti e indietro per quattro o cinque volte con gli avambracci piegati, una posizione che riconobbi immediatamente come una sua tecnica da boxeur, poi capitombolò dall'altro lato per atterrare con grazia sul duro legno del pavimento. La sua discesa frettolosa gli provocò un'improvvisa rotazione mentre si affrettava a prendere a pugni il mio cuscino seppur con una certa qual timidezza.
"Così va meglio" dichiarò.
Strabuzzai gli occhi nella sua direzione mentre lui restava in piedi davanti a me con le mani di nuovo in tasca. Mi guardò con quell'espressione di mezza curiosità e divertimento che così spesso avevo trovato irritante ed eccitante insieme.
"Watson, il solo fatto che sono francesi non significa che siano per forza abituati al concetto di scandalo. Ho semplicemente sistemato il suo letto. Ora si vesta" ripeté con leggerezza. Così dicendo si avviò a grandi passi verso la porta, il suo corpo di nuovo sotto il suo controllo anche se ancora percettibilmente tremante. Sopprimendo un sorriso accondiscesi all'improvviso ai suoi ordini chiedendomi mentre lo facevo se sarebbe stato così orribile pagare per le libertà che mi ero già preso con lui.
Un colletto pulito e una veloce rasatura furono sufficienti a rendermi presentabile, così tornai nella stanza di Holmes incuriosito dal motivo che lo aveva allarmato a tal punto poco prima. Con mio grande stupore stava allungando le sue valige e le mie, ancora non disfate, al suo agitato cugino.
"Mais je crois que c'est trop dangereux..."
"Michel, n'importe pas. C'est trop dangereux ici" rispose Holmes cercando di placarlo.
"Tu as la raison," replicò Vernet, suonando tutt'altro che in panico. "Mais--"
"En anglais, s'il te plaît" lo interruppe Holmes, posando gli occhi su di me.
"Sicuramente" si affrettò a dire suo cugino. "Volevo solo dire che esistono alcuni vantaggi nel rimanere qui che nemmeno tu puoi negare. Sei libero da influenze specifiche. Hai cibo e bevande assicurate. Hai un alleato…"
"Mon cher Michel" disse Holmes con gentilezza "Non mi sognerei mai di coinvolgere quell'alleato nei pericoli che dovrò correre. Ti prego di considerarti fuori da questa storia. E ti ringrazio per esserti cimentato in una così ardua prova"
Il piccolo congiunto scrollò le spalle in un elaborato tentativo di disinteresse mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime "C'est mon plaisir. Prendi tutte le precauzioni possibili, fatelo entrambi. Se dovesse succedere qualcosa…"
"Oh per l'amor di Dio" Sherlock Holmes lo rimbeccò con impazienza "Dammi qua. I bagagli li tengo io"
Michel Vernet rise a quest'ultima frase mentre Holmes gli offriva il suo fazzoletto da taschino. Asciugandosi gli occhi gli rispose afferrandogli una spalla "Ce la farai. Ce la farai contro di lui. So che lo farai. La tua forza, il tuo infaticabile coraggio, la tua joie de vivre…"
"Stanno diminuendo a vista d'occhio" lo interruppe Holmes. "Allons-y, mon cher… le chiedo scusa. Mio caro Watson, andiamo. Michel, come sempre, spero di non dover mai più posare gli occhi su di te"
Michel Vernet si portò una mano sul cuore come se considerasse quello come il più alto dei complimenti. "Come sempre allora, mon cher cousin" rispose l'ometto "Ben detto davvero. Come sempre. Dottor Watson, incontrarla è stato un vero onore. Au revoir!"
Mentre ci lanciavamo giù per le scale di servizio accodandoci alle varie cameriere intente a rassettare le stanze fornendole di biancheria fresca, non riuscii a trattenere la mia curiosità. "Holmes, contro chi dovrebbe farcela?"
"Mi scuso per mio cugino" borbottò Holmes "È davvero snervante. Rimane un'altra piccola faccenda da sistemare riguardo il Barone di Maupertuis"
"Quale faccenda?"
"Non si è rassegnato, intende ancora uccidermi"
"Che differenza farebbe?" domandai allarmato "Non può più farle alcun male. È in prigione. Ho letto la notizia io stesso. Lei ha chiuso questo caso già da due giorni e non ha nemmeno avuto la decenza di…" esitai visibilmente mentre uscivamo dalla porta della cucina nell'aria primaverile.
"Di… che cosa, Watson?" chiese Holmes. Aveva smesso di seguire la sua traccia e si era voltato per fissarmi intensamente.
"Be' di avvertire" sospirai "O di ritornare"
"Sì avrei potuto" rispose "Mi dispiace"
"Non importa" mi affrettai a dire mentre riprendevamo a camminare, sconcertato dall'esperienza senza precedenti di ricevere delle scuse da Sherlock Holmes.
"Posso solo dire a mia discolpa che mi trovavo in una condizione di estrema gravità" continuò, i suoi occhi scandagliavano cautamente la strada.
"Certo che lo era. Mi dispiace tremendamente per…"
"E non avrei potuto fare ritorno in condizioni del genere. Michel me lo ha ordinato, sa. Ero chiuso nella mia stanza. Sono rimasto estremamente stupito di vederla piombare qui"
Arrossii al pensiero "Ha chiesto a suo cugino di tenerla segregata fino a che l'astinenza avesse fatto il suo corso? Per quanto sarà stato? Quattro giorni contando oggi?"
Annuì in silenzio.
"Ma Holmes… la porta era semplicemente chiusa ad una mandata e la finestra non aveva che un fermo. Avrebbe benissimo potuto…"
"Evadere?" ridacchiò "Non quando Michel mi aveva dato al sua parola che avrebbe avvisato mio fratello se me ne fossi andato"
"Capisco" dissi quando compresi il suo metodo "Era quello che intendeva fare sin dall'inizio, vero?"
"Proprio così. Ho escogitato la cosa qualche settimana fa, quando mi accorsi che il mio bisogno di restare all'erta aveva preso il sopravvento sulla mia salute. Ho aspettato che il caso fosse largamente concluso e poi ho convinto Michel a chiudermi in camera"
"Holmes" chiesi piano "Perché suo cugino mi ha avvertito con così tanta urgenza di venire a Lione?"
Il mio amico sospirò e mi fece segno di seguirlo su una strada in salita che costeggiava file di cesti pieni di erba coperti da biancheria appena lavata. "Non ricordo. È possibile che gli abbia chiesto io di farlo. Ricordo abbastanza chiaramente che pensavo di stare per morire"
Mentre tentavo di formulare una risposta alla sua affermazione, Holmes continuò "Non sono preda di alcuna allucinazione adesso, glielo posso assicurare, né lo sarò più. Non tema per questo"
"Non ho paura per questo" dissi io. Quello di cui avevo paura non riuscivo ancora a determinarlo io stesso. Mentre cercavo di risolvere l'enigma Holmes si fermò improvvisamente e appoggiò la schiena contro il muro di una casa abbandonata, respirava a fatica e si era portato le mani agli occhi per ripararli dalla luce del sole mattutino.
"Cosa c'è Holmes?" chiesi, e afferrai il suo polso per sentirgli il battito.
"Non è niente"
Un pensiero si affacciò nella mia mente "Holmes, quando è stata l'ultima volta che ha mangiato qualcosa?"
Pensò seriamente alla mia domanda, oppure gli ci vollero alcuni secondi prima di poter di nuovo parlare. "Non riesco a ricordarlo con esattezza"
"Allora sa di certo quello che sto per dirle" risposi prendendolo sotto braccio mentre le sue forze ritornavano lentamente a sorreggerlo.
"Penso di poterlo dedurre, sì" disse con imbarazzo. Continuammo a camminare lungo la salita sul fianco della collina.
"È magro come un chiodo. Il suo organismo richiede sostanze più solide di una dose di cocaina"
"Deve perdonare l'appunto di natura personale, mio caro ragazzo, ma lei è ben lontano dal sembrare in forma smagliante" rispose Holmes mollemente, dando un'occhiata critica al mio fisico.
"Io?" esclamai "Holmes, questo è assurdo. Posso anche essere stato abbastanza indaffarato in sua assenza, ma quando mai mi ha visto saltare un pasto? In ogni caso non sono rimasto invischiato in un'avventura disperata segreta e solitaria, io"
Seppi dalle sue sopracciglia che era riuscito a vedere oltre il mio bluff. Ma non diedi alla cosa granché importanza visto che lui fece a mala pena una mezza battuta e alzò le spalle "A colazione allora, mio caro Watson, per il mio bene se non per il suo. C'è un piccolo caffè proprio qui dietro con un paio di tavolini appartati nel giardino sul retro. Dobbiamo pianificare ogni cosa considerando la possibilità che qualcuno ci possa stare seguendo. E comunque la prima vera colazione che faccio in tre settimane deve essere un affare di Stato".


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Era molto più di un affare di Stato. Era una colazione nella quale nessun uomo avrebbe potuto imbarcarsi senza aver passato almeno due giorni senza mangiare quasi nulla, come nel mio caso; o sopravvivendo per Dio solo sa quanto tempo a tè, pane, tabacco e stimolanti artificiali, come nel caso del mio amico.
Non sapevo cosa avesse ordinato perché aveva parlato rapidamente e con cortesia nella lingua di sua nonna ad un'anziana cameriera, i cui sorrisi occasionali mi spinsero a pensare che l'eccezionale costituzione di Holmes era sulla buona strada per ritornare ad essere quella di una volta. Quando i vassoi carichi di pane, formaggi e salumi arrivarono accompagnati da una polverosa bottiglia di vino d'annata senza dubbio recuperata dall'angolo più nascosto della cantina, credetti per un momento di essere l'uomo più felice esistente. Mi importava ben poco del fatto che dividersi una bottiglia di rosso datata 1871 alle dieci del mattino non fosse affatto una buona idea: Holmes mi sedeva davanti, una forchetta in una mano e una fetta di pane nell'altra, e io non avevo la più pallida intenzione di oppormi ad uno solo dei suoi capricci.
"Holmes" mi azzardai alla fine, quando molti dei piatti erano stati svuotati e l'attenzione del detective si era spostata sulla frutta fresca sebbene le sue mani continuassero leggermente a tremare "le nostre vite sono davvero in pericolo in questo preciso istante?"
Questo provocò una risata da parte di Holmes, che si riaccomodò contro lo schienale e scolò le ultime gocce di vino dal suo bicchiere "Lei possiede la snervante capacità di interrompere il flusso dei miei pensieri, mio caro amico. Temo sia solo una mancanza da parte sua, e forse una volta o l'altra le darò una dimostrazione di come cose di questo genere si possano compiere facendo uso di logica"
"Basata sulla logica o no, la questione dovrebbe pesare seriamente sui pensieri di entrambi" precisai.
"Bravo… un punto per lei, dobbiamo concederglielo almeno stando alle leggi delle probabilità" sorrise e si accese una sigaretta "Molto bene, allora. Dobbiamo fuggire, penso, e senza ulteriori ritardi. Ho catturato ogni membro del modesto impero del Barone, capo supremo incluso. Il problema sorge dal fatto che il miserabile ha elaborato un modo per comunicare dalla prigione e ha assoldato un ceffo che non mi piacerebbe incontrassimo. Michel, la sorprenderà saperlo, ha le mani in pasta in molte faccende scottanti che riguardano le offerte di intrattenimento che hanno luogo nel suo hotel, in perfetto anonimato tanto che anche l'Arcivescovo in persona potrebbe prendervi parte senza che nessuno lo venisse a scoprire. Ho dato a Michel una lista di uomini che, se contattati, avrebbero potuto darmi problemi qui a Lione prima di chiudermi niella mia stanza. Gli ho fornito anche le loro descrizioni. Quel ridicolo nanetto ha aspettato fino alle nove di questa mattina per paura di disturbarci a riferire che a uno di questi mascalzoni era stata respinta la richiesta di riservare una stanza"
"E chi era questo mascalzone?" chiesi. Posi la domanda senza curarmi del tono, come se il pericolo non significasse niente. In effetti la posi senza pensarci perché Holmes si era lasciato scappare una frase che desideravo ardentemente approfondire.
"Il suo nome è LaRothiere. Un piccolo assassino particolarmente intelligente. Dobbiamo andare a Parigi, mio caro amico. In questa borsa ho l'abbigliamento di un pastore evangelico locale, e Michel mi assicura che lei non è stato osservato mentre entrava in hotel. Sono sicuro allo stesso modo che nessuno ci abbia visto uscirne. Per cui lei può rimanere vestito come lo è ora e ci vedremo alla stazione. Riuscirà a trovarsi lì in mezz'ora, no?"
"Senza dubbio" risposi.
"Acquisti un biglietto singolo di solo andata per Parigi sul treno dell'una e un quarto, trovi uno scompartimento privato e mi aspetti dentro" finì, scostando la sua sedia dal tavolo. "Sarò occupato a cambiare il mio aspetto per un po' di tempo"
Anche io mi alzai dalla sedia "E il conto?"
"Quale conto?" Holmes rise "Ho appena messo le mani su un compenso di ottocento sterline e non ricordo di averla mai pagata per i servigi medici a me resi, incluse le chiamate a domicilio in Paesi stranieri. In ogni caso il franco vale meno della sterlina".
Rimasi fermo immobile per un istante senza rispondere perché la mia domanda era lì di nuovo. Fin troppo spesso, nello spazio di un'osservazione considerata scherzosa da parte di Holmes, avevo scorso una rapida espressione di malinconia dietro quegli occhi grigi capaci di accendersi di migliaia di emozioni differenti: ognuna, ero orgoglioso di dire, a me nota. Avevo torto ad affermare ciò, così come avevo torto per molte altre cose. Ma col riaffacciarsi di quello sguardo nostalgico fui fortemente tentato di porre la domanda che in quel momento bruciava dentro di me.
Nondimeno ero fiero della mia capacità di non cedere alle tentazioni prima che i tempi fossero maturi. "Grazie mio caro amico. È davvero un grande piacere rivederla, lo sa?"
"Se per lei è un grande piacere rivedermi in questo stato, non riesco davvero a immaginarne il motivo" mi rimbeccò mentre recuperava le nostre valige da dietro un vaso di rose.
"Mi fa semplicemente piacere vederla" risposi "mi fa piacere oltre ogni dire. Non importa in quale stato lei si trovi".
Lui non mi sentì. Mi aveva sorriso brevemente ed era entrato velocemente nel caffè. Non mi aspettavo che mi ascoltasse perché Holmes usava una sua tipica cadenza nel troncare i discorsi che non ammetteva ulteriori commenti a meno che il commento in questione non fosse rivolto direttamente al vento. Comunque, devo confessare che posi particolare attenzione nel riservare uno scompartimento sul treno che si adattasse ai miei propositi, per quanto fugaci e caotici fossero questi propositi. Sapevo a mala pena quello che gli avrei detto, o quello che avrei fatto una volta che fossimo stati veramente soli, ma il ricordo del suo braccio buttato di sfuggita sul mio petto bruciava nella mia memoria come un falò. Non aveva fatto niente né detto niente che non potesse essere facilmente ricondotto al suo stato dopo la debilitante malattia. Ma il solo fatto di averlo visto di nuovo mi convinse che il mio caso era talmente senza speranza da meritare per lo meno un'azione da parte mia, nel bene o nel male che fosse.


 

* Harley Street era la strada che nella Londra vittoriana era considerata il luogo migliore per andare a cercare ogni tipo di specialista medico della città. (n.d.t)

** Poema narrativo di Lord Alfred Tennyson del 1854 che si svolge durante una battaglia della guerra di Crimea famosa per la disfatta degli inglesi.
Dato che qui evidentemente non c'entra un tubo, immagino che in italiano avremmo detto che Holmes avrebbe potuto stare recitando la lista della spesa per quello che importava a Watson in quel momento. (n.d.t.)

   
 
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