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Autore: Shichan    19/09/2010    5 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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C’è una cosa che desidero mostrarti

C’è una cosa che desidero mostrarti

 

Nice to meet you, my pain.

 

 

Nausea.

Un profondo senso di nausea, lo stomaco quasi contorto da essa.

Odore fetido.

Qualcosa di pesante, impastato nonostante sia liquido, che scivola fra le dita.

Sinuoso. Si appiccica e al tempo stesso ti dà quella sensazione di qualcosa che non riesci ad afferrare.

Sfuggente, un po’ come il vento.

Un po’ come la vita.

Rosso. C’è rosso ovunque.

Un profondo, inquietante ed intossicante rosso scuro che macchia il pavimento, allargandosi come una macchia di colore ad olio sulla tela candida.

L’inconsapevolezza di toccare qualcosa che non dovresti vedere.

Che non dovresti sfiorare. Non ancora.

Per te c’è tempo.

Un volto affascinante: pelle candida e perfetta, lineamenti nobili e virili, labbra perfette, naso perfetto; le palpebre nascondono gli occhi come in un gioco – chissà che espressione celano.

Abiti regali, scuri, eleganti.

In un cupo presagio di morte, forse.

Sembra dormire, le mani dalle dita affusolate mollemente a contatto con il pavimento di moquette scura, bordeaux – che tuttavia, va scurendosi, si impregna e puzza, puzza da morire.

Non proprio da morire.

Odora di morte.

Odora di morto.

Le dita della piccola mano si imporporano di sangue, non colpevoli; lo sguardo la inquadra, la nota.

Quella lama che trafigge il petto.

«Cosa…? Padrone! Padron Glen! Padron Glen!» urla atterrite di fronte ad un’immagine inattesa.

Alzi lo sguardo perché non capisci, allunghi una mano minuta macchiata di sangue non tuo.

Quella cameriera si avvicina, tasta il polso e spera chissà cosa, e quando inorridisce lascia andare la mano del padrone come se toccarla l’avesse bruciata.

La mano cade a terra inerme.

Il sangue schizza un po’.

Ne senti il calore e la pesantezza, quasi, sulla guancia e chissà perché solo in quel momento lo pensi.

C’è un uomo morto lì a terra.

C’è un uomo morto in una pozza di sangue, trafitto da una spada.

C’è un uomo morto, e tu sei macchiato di quel sangue che è ovunque, ti circonda, ti bagna le vesti, ti macchia il corpo.

Orrore.

Paura.

Terrore.

Qualcuno è morto… e tu sei lì.

Qualcuno entra, lo senti perché tanti passi si affrettano per il corridoio e si fermano d’improvviso in quella stanza; non alzi lo sguardo, incatenato alla figura di Glen Baskerville che giace senza vita.

Ma qualcuno nota te.

«Elliot, vieni via!»

 

 

«Allora vado.» pronunciò rivolto a Noah, occhieggiandolo.

L’amico, steso sul materasso, annuì dopo uno sbadiglio che aveva coperto all’ultimo minuto con la mano: «Va bene, io invece farò violenza al letto.» comunicò con fare scherzoso, al quale Oz sorrise divertito.

«Potevi dormire prima, avrei trovato il modo di passare il tempo, sai?» lo prese bonariamente in giro, meritandosi il lancio di un calzino – ormai non si stupiva del fatto che ne avesse sempre a portata di mano, considerando il caos umano che gli abiti di Noah rappresentavano lì nella stanza.

«Maledetto ingrato, e io che ti ho fatto compagnia fino all’ora della tua scappatella!» lo rimbeccò fingendosi profondamente offeso, tra l’altro senza risultare più credibile ormai.

Oz gli fece la linguaccia: «Sai che affare, vado a parlare con Break.» gli fece presente, ricordandogli che sì, visto cosa andava a fare avrebbe di gran lunga preferito rimanere a dormire lì, specie considerando che era mezzanotte e che non prevedeva una chiacchierata breve.

Noah alzò le spalle: «Io non ho ancora capito perché Break ti chiede di andare da lui a quest’ora. Ok, lo sappiamo che non è un docente normale, e lui non fa molto per nasconderlo tra l’altro, ma i colloqui si fanno o prima o dopo le lezioni.» osservò anche con una certa logica, tale almeno da far apparire quell’intervento abbastanza serio per essere di Noah.

Peccato l’aggiunta.

«…Mica ti svenderai per un voto in più a matematica?!» se ne uscì fingendo panico nel tono di voce.

Il calzino fu brutalmente lanciato indietro al suo proprietario, nel tentativo di prenderlo in un occhio volendo – con nessun risultato, purtroppo.

«Guarda che quando torno voglio dormire, non avere degli incubi!» rimbeccò Oz perché sì, sognarsi di sedurre Break sarebbe stato un trauma irreversibile.

«Comunque è perché non si tratta di argomenti scolastici suppongo.» aggiunse, anche se era superfluo perché ne aveva parlato a Noah.

Dopo quanto avvenuto con Gilbert – sì, beh, a parte il bacio ecco – e dopo aver parlato con Sirjan soprattutto, si era reso necessario parlare con Xerxes Break o Rufus Barma.

Dal momento che con Barma sembrava esserci ancora quella specie di accordo secondo il quale Oz sarebbe dovuto tornare da lui appena avesse avuto un’idea più precisa sul contenuto del diario di Jack che si riallacciasse alla morte di Glen Baskerville, aveva preferito puntare su Break.

Lo aveva fermato a fine lezione con la scusa di un chiarimento sulla stessa, e aveva quindi accennato al vero argomento della conversazione.

Era stato in quel momento che Break aveva assunto un’espressione piuttosto interessata, molto diversa da quella semplicemente scanzonata – o da faccia da schiaffi – e aveva detto che avrebbe preferito parlarne a quattr’occhi in un posto più consono. E gli aveva dato appuntamento per quella sera, ad un orario in cui era piuttosto ovvio che nessuno girasse per i corridoi.

Uscire senza farsi notare da Noah sarebbe stato impossibile, perciò Oz aveva trovato più sensato dirgli direttamente cosa andava a fare, anche se aveva accennato ad una chiacchierata su degli “affari di famiglia”, senza raccontargli tutti gli avvenimenti per filo e per segno.

Questo dopo aver osservato che se anche fosse uscito senza farsi beccare, Noah avrebbe potuto seriamente minacciarlo di fargli ingoiare gli ormai famigerati calzini se lo avesse scoperto al rientro o simili, magari alzandosi per andare al bagno durante la notte.

E a parte la minaccia di quegli indumenti, Oz aveva semplicemente pensato per una volta… di voler mentire il meno possibile. Almeno a Noah, almeno per questa volta, in un personalissimo modo di ringraziarlo riguardo quanto gli aveva detto per cercare di farlo reagire alla morte di Alyster.

«Ah Oz, a proposito» ne richiamò l’attenzione Noah, facendogli alzare lo sguardo in sua direzione: «per questo mio silenzio riguardo questo fugone notturno lo sai, vero, che vorrò un dettagliato resoconto degli ultimi avvenimenti con Gilbert Nightray?» gli fece notare con un sorriso furbo.

Oz, che non se lo era minimamente aspettato, si ritrovò ad arrossire prima di imporsi di non farlo e apparire naturale: «Con Gil? Che…?» tentò di dissimulare, ma Noah aveva un vantaggio.

Su certe cose aveva troppo intuito.

«Per favore, cosa credi che guardi io quando siamo a colazione?»

«…Marcus e il tuo piatto?» azzardò Oz, facendo ridacchiare l’altro.

«Anche sì, ammetto che l’accoppiata Marcus-bacon sono il mio primo pensiero la mattina in mensa, ma oltre a quello osservo te, caro mio. Te e Nightray e senti, parliamone. Mi aspetto da una mattina all’altra che tubiate come colombi. Perciò non rifilarmi un “non so di che parli”, perché non vuoi sapere cosa succede quando mi impegno per scoprire qualcosa che mi interessa.» consigliò tra il divertito, il divertito e il divertito.

E l’estremamente divertito, sì.

«Sento di avere un moto d’odio nei tuoi confronti, sai Noah?» osservò in maniera falsamente casuale, rivolgendogli un sorriso palesemente costruito. L’unica risposta del compagno fu agitare una mano come se stesse scacciando un insetto, quasi a dirgli “va bene, va bene, vai che ne riparliamo quando torni”.

Oz sospirò rassegnato, uscendo e richiudendosi la porta alle spalle.

Noah era una dannata pettegola, ecco cos’era.

 

Raggiunse la porta dell’alloggio di Break e tacque, senza bussare subito.

Personalmente avrebbe preferito l’ufficio del docente come luogo d’incontro, ma aveva dovuto dargli ragione quando l’altro aveva fatto notare che sarebbe apparso più sospetto un ufficio con le luci accese a quell’ora di notte che non un alloggio privato. Sospirò, bussando finalmente e ricevendo quasi subito un “avanti” in risposta.

Aprì la porta, entrando velocemente e richiudendosela alle spalle.

Break si era degnato di aspettarlo con abiti consoni e non in pigiama almeno, cosa che pensava potesse essere vista come un buon punto di partenza: non aveva le vesti dei docenti con cui il biondo era abituato a vederlo, ma qualcosa di inaspettatamente sobrio.

«Rimani sulla porta, Oz?» lo prese bonariamente in giro mentre prendeva posto su una poltroncina dall’aria piuttosto comoda, facendogli segno di imitarlo e indicandogli quella libera di fronte a lui. Sebbene Oz si fosse quasi convinto che andando a parlare con Break vi avrebbe trovato anche Rufus Barma, questo non era avvenuto almeno apparentemente.

Si sedette.

«Sirjan mi aveva accennato che probabilmente saresti venuto.» chiarì subito, senza troppi preamboli, sporgendosi verso il tavolino basso che c’era fra loro: esso ospitava un vassoio con due tazzine, una teiera con del tè e un piccolo bricco di latte. Accanto a quest’ultimo quella che era senza dubbio la zuccheriera. Vicino alla teiera, un piattino che conteneva una generosa porzione di biscotti.

«Prego, prego.» lo esortò Break con quel sorrisetto tipico che aveva anche a lezione, e che Oz dal loro ultimo colloquio aveva osservato spesso, giungendo ad una conclusione che in un primo momento non era stata altrettanto ovvia.

Il motivo per cui Break leggeva attraverso le sue bugie così facilmente, era che mentiva molto più di lui.

Break mentiva sempre.

«I biscotti sono tuoi, eh. Io mi limiterò alle caramelle.» aggiunse, portando un lecca lecca alle labbra, quasi ad enfatizzare le proprie parole.

«Allora» esordì quindi mentre Oz si stava versando del tè: «cos’è che vorresti chiedere?» disse, il tono che non appariva frettoloso. Come se avessero, anzi, tutto il tempo del mondo.

Oz tacque, quasi prendendo tempo: c’erano diverse cose che avrebbe voluto chiedere, anzi, così tante che non erano altro che una matassa ingarbugliata nella sua mente.

«Sirjan ha parlato di tante cose. Per esempio… di Glen Baskerville e mio fratello.» rivelò, portando gli occhi chiari sul docente: «Lei cosa sa?» domandò quindi.

«Più che ai Bezarius, all’epoca i Baskerville erano legati ai Nightray. Ho idea che tuo fratello fosse proprio un’eccezione. Il livello sociale della sua famiglia e di quella di Glen erano molto diversi, e furono davvero in pochi a non stupirsi di quell’amicizia, sai?» replicò Break. Aveva l’aria di qualcuno che raccontava una storia banale e noiosa.

Nonostante la cosa non lo entusiasmasse, Oz tacque: non sembrava una grande idea mettere fretta all’altro, soprattutto considerando che era lui a volere delle informazioni da Break, fino a prova contraria.

«Glen Baskerville ha studiato qui esattamente come tuo fratello, ed è qui che si sono conosciuti. Avvicinare Glen non era cosa da tutti: il signorino era selettivo a dir poco, o più semplicemente a suo avviso nessuno era alla sua altezza. Un ragazzino irritante, come te per certi versi Oz. Se la sua fosse arroganza o meno, nessuno lo sapeva dire con certezza. Baskerville non ti permetteva di conoscerlo tanto da scoprirlo. Però Jack divenne una sorta di eroe qui a scuola: “quello che parla con Glen”, lo chiamavano. È stato così per mesi.» dichiarò divertito, il parlare un po’ impastato dal lecca lecca tenuto in bocca durante tutto il discorso.

Oz parlò prima che l’altro riprendesse: «…conosceva Jack? A scuola intendo.» domandò perplesso e anche un po’ incredulo, suscitando un’espressione in Break che somigliava molto al sadico divertimento – sebbene mascherato da ingenuo interesse.

«Eravamo di anni diversi, ma lo avevo ben presente. Diciamo che scordarsi uno come Jack era difficile.» commentò con falsa casualità.

Benché l’istinto di chiedere a Break aneddoti dei tempi scolastici di Jack fosse estremamente forte – quasi quanto la pressante curiosità di cosa fosse capace di fare Xerxes Break studente considerando l’adulto che era ora – Oz si impose di non interromperlo per una cosa simile, concentrandosi sulle rivelazioni che aveva davvero bisogno di conoscere.

«Ha detto che i Baskerville erano legati ai Nightray?» domandò, rimuginando su quanto ascoltato fino a quel momento, nonostante Break l’avesse soltanto accennato.

Lo vide mordicchiare il lecca lecca, giochicchiandoci, e tacque in nervosa attesa.

Break sembrava intenzionato a parlare ai propri ritmi, incurante della fretta o della curiosità del suo allievo: «Sì, i Baskerville e i Nightray erano legati. O meglio, i due capofamiglia si conoscevano da anni e avevano qualche affare in comune. Non immaginare due famiglie che fanno crescere i propri figli insieme nello stesso giardino a giocare, però. Ad avere legami, peraltro di tipo strettamente amministrativo, erano solo il padre di Glen e quello dei nostri Nightray preferiti.» comunicò quasi ammiccante, ed Oz ebbe la pessima sensazione che ci fosse qualcosa che Break sapesse e che stesse insinuando.

Si disse che era paranoico, perché tutto ciò che era successo con Gilbert – cioè, “tutto”, non che fosse accaduto nulla più di quel bacio! – era avvenuto nella sua stanza e non c’era modo che Break lo potesse aver scoperto, o visto.

Sospirò, cercando di darsi una calmata, ricordando che il docente aveva fatto quel tipo di insinuazione già quando si erano incontrati per caso in città, accompagnati lui da Gilbert e l’altro da Rufus Barma.

«Dimmi, Oz» riprese il docente, allungando una mano a prendere la tazzina del tea per berne qualche sorso, distogliendo il più giovane da quelle congetture inutili: «hai letto il diario di Jack, o no?» domandò a bruciapelo, lo sguardo penetrante dell’unico occhio visibile puntato su Oz.

Quasi ad impedirgli di sfuggire alla domanda.

Oz non si era minimamente aspettato la cosa, anche se considerando il rapporto che sembrava esserci fra Xerxes e Rufus, avrebbe dovuto immaginare che il docente di Storia avesse detto qualcosa all’altro.

Strinse impercettibilmente i pugni: «Non tutto.» borbottò sulla difensiva, mentre Break continuava a bere tea totalmente a suo agio.

«E quali parti hai letto?» insistette, sebbene velatamente.

«Fino a quando Jack accennava alla morte di Glen Baskerville. Saltando alcune parti però.» chiarì. Aveva letto saltuariamente, quasi casualmente in realtà.

Forse perché ogni volta che aveva iniziato, andare avanti pagina dopo pagina – giorno dopo giorno, respiro dopo respiro di suo fratello – era stato troppo difficile e troppo doloroso.

Come se ogni parola scritta d’inchiostro fosse stata una goccia del sangue di Jack, ed ogni pagina un prezioso minuto della sua vita che veniva mangiata da una malattia.

«Allora ti sarai chiesto…» indugiò, una pausa voluta, lo sguardo che si posava su Oz serio. Senza la derisione che normalmente lo caratterizzava e facendolo risultare quasi… inquietante, a suo modo. Gelido, per certi versi: «“mio fratello era forse un assassino?”» recitò come se avesse raggiunto la battuta chiave del protagonista di quella favola che fiaba per bambini decisamente non era.

Oz alzò lo sguardo di scatto quasi, l’espressione basita e arrabbiata: «Jack non era affatto un assassino!» esclamò subito, senza la minima esitazione, eppure con un’evidente traccia di panico nel tono.

«Ovviamente.» replicò Break con calma quasi palpabile, snervante: «Persino io non potrei considerare Jack Bezarius un assassino se anche lo vedessi nell’atto di uccidere. Tuo fratello era così buono che non potevi fare a meno di pensare che sarebbe morto giovane. E non vuole essere un’ironia di dubbio gusto, la mia.» chiarì, atono.

Sembrava che d’improvviso, avesse non perso interesse in quello scambio di informazioni – anche se in realtà il docente era l’unico a darne per ora – ma che avesse perso quella vena di intrinseco divertimento nel dosarle quasi con crudeltà.

«Ma se non era un assassino» riprese con estrema tranquillità: «perché Jack Bezarius si considerava alla stregua dell’omicida del suo migliore amico?» ipotizzò, ma falsamente. Era più che evidente che avesse già la risposta: si capiva dal modo in cui aveva posto la domanda, e dal fatto che non stesse più guardando in direzione di Oz ma il proprio lecca lecca.

«Sai com’è morto Glen Baskerville?» domandò quindi, alzando pigramente lo sguardo sul suo allievo.

Oz non riuscì a nascondere nulla, non ci riusciva da quando aveva messo piede lì dentro, come se l’alloggio di Xerxes avesse chissà quale facoltà particolare o influenza precisa su di lui.

Perciò nemmeno in quel caso riuscì a fingere di non essere interessato – non che fosse nelle sue intenzioni – e soprattutto di non essere in qualche modo smosso dall’eventualità di addentrarsi in qualcosa che fino a quel momento aveva cercato di capire.

Esattamente come un tassello mancante; gli tornarono in mente le parole di Sirjan – Break cercherà di metterti alla prova, tu prendi da lui le informazioni che ti servono, ma per il resto stai lontano da ciò che riguarda Glen Baskerville e che non ti serve.

Ma era difficile: come poteva riconoscere cosa gli potesse servire e cosa invece fosse superfluo senza ascoltare tutto indistintamente?

E una volta che l’avrebbe ascoltato… non avrebbe certo potuto dimenticarla a proprio piacimento.

Scosse la testa in risposta alla domanda di Break, che a quel cenno sembrò ritrovare interesse e quel suo sorrisetto irritante che tornò ad incurvargli le labbra.

«Il professor Barma ha detto che si è suicidato.» rettificò Oz, chiedendosi l’attimo dopo che cosa ci fosse da ridacchiare, visto che Xerxes qualcosa sembrava averla trovata.

«Rufy è veramente privo di tatto, eh?» scherzò su, in maniera totalmente inopportuna vista la serietà del momento: «Posso dirti qualcosa di più, ma sarebbe un po’ noioso. Facciamo un gioco, ne Oz?» se ne uscì cogliendolo alla sprovvista nonostante gli avvertimenti del capo dormitorio.

Lo fissò quasi incredulo, sebbene riuscì a mascherarlo almeno sul momento.

«Facciamo una domanda a testa. Se tu non rispondi alla mia, io posso scegliere di non rispondere alla tua. Che ne dici?» propose, anche se era fin troppo evidente che non gli lasciava davvero scelta. Era un patto disonesto – perciò, a quanto pareva, era fatto apposta per uno come Break.

Almeno per come aveva avuto modo di inquadrarlo fino a quel momento.

«Cosa vuole sapere?» chiese quindi, un broncio involontario visibilissimo sul viso giovane.

Break sorrise, ma non di un sorriso genuino: «All’inizio ho pensato che il tuo interesse fosse dovuto da una sorta di senso di impotenza. Insomma, il fratello minore che indaga sulla morte del fratello maggiore. Però ho anche pensato che in fondo Jack è morto di malattia, e mi sono detto “non è un po’ strano che un semplice sedicenne indaghi sulla morte del fratello senza motivo, considerando che per quanto ne sa è stata naturale?”» ripeté la domanda come se stesse rimuginando per la prima volta su tutto quello ad alta voce, come se Oz non fosse lì.

«Chiederti chi ti ha insinuato il dubbio sarebbe sprecare una domanda, perché è qualcosa a cui posso arrivare da solo.» chiarì, guardandolo in maniera quasi subdola.

«Perciò dimmi, signor Bezarius» disse, tornando a quel “signor” come se la domanda fosse ufficiale solo ora: «perché ti interessa tanto tutta questa vicenda di Glen Baskerville?»  

Oz tacque, valutando quanto sinceramente dovesse rispondere; tuttavia, prima ancora di arrivare ad una decisione, si ritrovò già a parlare con completa franchezza. Non perché avesse deciso di cambiare atteggiamento, né tanto meno perché Break gli ispirasse completa fiducia – decisamente no.

Semplicemente… Break aveva qualcosa che lui, Oz, voleva.

E se questa era la prova a cui Sirjan aveva accennato, lui l’avrebbe superata ottenendo le risposte che voleva.

Dopotutto poteva anche avere senso: una verità per una verità.

Si fece strada sul viso del biondo il sorrisetto spesso e volentieri arrogante che non faticava ad irritarti, quello con cui quasi per abitudine aveva preso a rapportarsi al docente: «Forse perché da quando sono qui ho visto più stranezze che cose normali. Guardie del corpo che mi seguono, capi dormitorio che nascondono il passato scabroso delle famiglie dell’alta società, spiriti non completamente umani che mi attaccano senza un perché dicendomi di andarmene, ed altri umani che mi avvicinano al solo scopo di confondermi. Qui tutti sembrano sapere tutto di me, ma perché? Senza contare le persone reali, vive, che mi chiudono in un angolo minacciandomi e oltre tutto questo… cosa farebbe lei se Glen Baskerville la contattasse di persona, dicendole di non ficcare il naso?» chiese, ma era retorica la domanda.

Nonostante ciò, Oz vi diede risposta, il sorriso furbo e che ostentava anche più sicurezza di quanto non avrebbe dovuto: «Le viene esattamente voglia di ficcanasare.» concluse.

Break lo fissò, l’espressione persino buffa mentre osservava Oz; si sciolse quasi subito in una risatina divertita delle sue, proprio di quelle che le senti e ti chiedi che cosa ci sia da ridere esattamente.

«Risposta soddisfacente.» gli concesse, recuperando una caramella e scartandola con tutta calma: «Ora tocca a te fare la domanda.» gli ricordò, quasi a voler sottolineare che lui era uno che rispettava le regole di quel loro insensato gioco improvvisato.

Era conveniente, pensò Oz. Dopotutto, vincevano entrambi qualcosa.

«Voglio sapere di Glen.» ripeté, pur immaginando che chiedere fosse una mera formalità visto quanto fosse già chiaro l’argomento che gli interessava.

Break non indugiò oltre.

«Glen Baskerville fu trovato morto nella sua stanza.» iniziò: «A terra, in una pozza di sangue. Non fosse stato per quello e per la spada che lo trafiggeva, sarebbe sembrato placidamente addormentato. Un’immagine quasi poetica, ne?» osservò, ripensandoci riguardo la caramella e portando una mano a raggiungere uno dei biscotti, al solo scopo di rigirarselo tra le dita mentre continuava a parlare, senza mangiarlo.

«Si sarebbe potuto pensare ad un assassinio, se soltanto la spada non fosse stata proprio quella di Glen Baskerville. E se Jack Bezarius non lo avesse praticamente confermato.» concluse, addentando finalmente il biscotto.

Oz – era ormai più freddo che caldo, il tea nella sua tazzina – guardò il docente con l’espressione di chi è lì per dire qualcosa ma si sta trattenendo, forse per prendere tempo.

Tacevano entrambi ormai da diversi minuti, quando Oz pronunciò un «Cosa?» che fece alzare lo sguardo annoiato di Break, che gli lanciò un’occhiata interrogativa: «Cosa confermò mio fratello?» chiarì il biondo, rimanendo in attesa.

Per quella che gli parve l’ennesima volta, l’espressione di Break si trasfigurò: le labbra sottili si incurvarono in un sorriso che mescolava soddisfazione e senso di vittoria quasi.

Per che cosa, Oz non riuscì ad indovinarlo.

«Quando dissero a Jack della morte di Glen, tuo fratello fu enormemente addolorato, certo, ma non sembrò affatto sorpreso. O meglio: non era sorpreso. Perché Jack lo sapeva già, che Glen sarebbe morto. Fu una conferma così palese che dissipò anche il più piccolo dubbio possibile. Salvo che Glen Baskerville vedesse il futuro, cosa chiaramente impossibile, poteva esserci solo un modo di conoscere con precisione quando sarebbe morto al punto tale da non stupire con il suo decesso nemmeno il suo migliore amico. Quell’unico modo, era decidere di suicidarsi.» chiarì, alzandosi in piedi per aggirare il tavolino e farsi più vicino alla poltrona dove sedeva Oz.

Quando gli fu alle spalle, parlò nuovamente: «Sai chi trovò Glen Baskerville?» domandò, le mani poggiate allo schienale della poltrona.

Si chinò appena in avanti, il volto affiancato a quello di Oz, infantilmente.

«Chi…?» fece per chiedere il giovane, ma Break lo anticipò.

«Elliot Nightray.»

 

 

Sospirò rumorosamente, abbandonando definitivamente l’idea di concentrarsi sul libro che teneva aperto sulla scrivania. Se non altro perché dubitava che si sarebbe rivelato molto utile rileggere per la decima volta cosa aveva segnato l’anno del 1716, visto che non arrivava a fine frase senza perdersi di nuovo in pensieri suoi.

Si chinò in avanti, andando a poggiare la fronte sulla scrivania, fissando le proprie gambe alla ricerca di chissà cosa che potesse dargli un minimo di concentrazione o di voglia di studiare.

Aveva passato da solo qualche ora la traumatica fase dell’imprecazione verso se stessi e la propria stupidità: era passato dall’argomentazione secondo cui era assolutamente fuori questione che un servitore baciasse il proprio padrone a quella per cui doveva essere del tutto impazzito – questo perché si era ricordato che, tecnicamente, non era più il servitore di Oz.

E alla fine, dopo quasi due ore che si era messo lì con il preciso intento di studiare Storia per il giorno successivo, era di nuovo fermo a guardare un punto a caso dei suoi pantaloni.

«La crisi del 1716 è così drammatica e difficile, fratellone?» domandò con tono divertito Vincent, una mano poggiata sulla scrivania. Gilbert gli rivolse un’occhiata di sbieco, sospirando nuovamente e imbronciandosi senza nemmeno rendersene conto, un po’ come quando erano bambini – ma questo il moro non lo ricordava probabilmente.

«Ah, quindi c’è stata una crisi? Perché nella riga che sto rileggendo da due ore ancora non lo accenna.» borbottò come se fosse colpa del libro.

Persino uno come Vincent non poté non stupirsi di quella risposta: Gilbert era sempre stato riflessivo, e su quello non c’erano dubbi, ma era pur vero che suo fratello trovava una soluzione più o meno a tutto. Vi pensava molto, forse anche troppo per lo standard di Vincent, ma mai al punto da ridursi a quel modo: soprattutto, suo fratello una volta messo sui libri era una specie di mostro.

Non lo distraeva mai nulla.

«Come rileggi la stessa riga da due ore?» gli fece infatti eco il biondo, lo sguardo su di lui.

Fu chiaro che la situazione era piuttosto grave quando in risposta ci fu il rumore sordo della fronte di Gilbert contro la scrivania – un colpetto leggero, più significativo per il gesto in sé che non per la sua entità.

«Gil?» tentò nuovamente Vincent, sempre più perplesso.

Gilbert alzò finalmente la testa, chiudendo il libro e arrendendosi definitivamente, per poi incrociare le braccia sulla scrivania e posarvi il mento; a Vincent ricordò un episodio di quando erano bambini, anche se non lo disse.

Era successo quando erano da poco entrati ufficialmente a far parte della famiglia Nightray.

Rientrando nella stanza che in quel periodo condividevano – si era categoricamente rifiutato di dormire da solo e soprattutto lontano da Gil – aveva trovato il fratello proprio come in quel momento lì, a distanza di anni: chinato sulla scrivania, sospirante e con il broncio. O forse sarebbe stato più appropriato dire che aveva l’espressione corrucciata di chi continua a ripensare allo stesso problema senza riuscire a trovarvi una soluzione adeguata.

«Fratellone, che è successo?» aveva chiesto a Gilbert quella volta, osservandolo preoccupato, perché non lo aveva mai visto così e soprattutto non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa.

«Ho litigato con Elliot.» aveva borbottato, senza spostare lo sguardo sul biondo, ma anzi evitando quello indagatore del minore affondando la faccia fra le braccia.

«Non capisco perché, ma sembra odiarmi davvero.» aveva mormorato afflitto, e Vincent gli aveva posato una mano fra i capelli rivolgendosi a lui con un sorriso gentile, anche se il moro da quella posizione non lo aveva visto. Ma, poiché si trattava di Gilbert, di certo lo aveva comunque percepito dal tono con cui Vincent aveva parlato.

«Non è colpa tua, fratellone. Tu sei gentile con Elliot. Alla fine gli piacerai, sono sicuro.» aveva detto.

Poi era andato a parlare con Elliot e il più piccolo, in un modo o nell’altro, si era calmato quanto bastava perché quell’espressione sul viso di Gilbert si ripetesse rarissime volte – con soddisfazione di Vincent: la chiacchierata con Elliot, allora, era evidentemente servita al suo scopo.

Ebbene, in quel momento Gilbert sembrava tornato il ragazzino che non sapeva come avvicinare il suo nuovo fratello minore.

«Vince?» si sentì chiamare, riscuotendosi da quel pensiero, riportando prontamente lo sguardo e l’attenzione sul moro, con un sorriso dei suoi: «Dimmi Gil.»

«Stavo pensando» disse Gilbert quando fu certo di avere l’attenzione del fratello: «tu… non trovi che sia un po’ strano?» esordì, l’aria quasi colpevole, come se temesse le proprie stesse parole, e stesse ancora ponderando se fosse davvero il caso di pronunciarle o meno.

Vincent attese pazientemente, fin troppo abituato ad ogni sfaccettatura del carattere del maggiore; Gilbert era così: rimuginava, rimuginava, si colpevolizzava, ma alla fine parlava sempre. Se lo concedeva solo con lui, e Vincent lo sapeva bene.

Per questo non temeva mai che il moro potesse nascondergli qualcosa – magari ci  provava, certo, ma non ci riusciva mai molto a lungo.

«Cosa?» domandò quindi.

«Che non ricordiamo quasi niente fino a poco prima dell’entrata a Latowidge.» replicò, portando esitante gli occhi dorati sul fratello.

Vincent, con un sorriso bonario, sospirò: non era la prima volta che a Gilbert prendevano quelle mezze crisi d’identità sul perché non ricordassero delle cose, sul perché avessero quell’amnesia.

Su quello, era vero, non era stato sincero con Gil: non gli aveva detto che ad avere l’amnesia era solo lui, non gli aveva mai detto che i propri ricordi erano pressoché intatti. Ma aveva un buon motivo per farlo.

Suo fratello era già… stato male una volta.

Non occorreva affatto che succedesse di nuovo.

«Forse è un po’ strano, ma non mi sembra così grave. Alla fine, crescendo ci si dimentica comunque di episodi di quando si era bambini. A noi è solo successo prima. Per i nostri veri genitori, se avessero voluto ci avrebbero trovati facilmente, da quando siamo parte di una delle famiglie ducali più famose Gil. E per il resto, se ci fosse stato qualcosa di veramente importante, trauma o non trauma, penso che l’amnesia avrebbe risparmiato quei ricordi, no? Insomma, io di te mi ricordavo, dopotutto. Un legame come quello fraterno non si dimentica facilmente, o comunque noi siamo stati fortunati. Se ci fosse stato qualcun altro così importante, non credi che ce ne saremmo ricordati?» spiegò fluidamente, come se fosse stato un pensiero articolato così tante volte da renderlo ormai proprio.

Gilbert sospirò: ammirava il fatto che Vincent fosse così certo della cosa. Lui, invece, si ritrovava costantemente pieno di dubbi.

Ad esempio, perché ricordava Oz ma non il periodo a casa Bezarius?

Gli unici ricordi degni di tale nome in proposito erano sostanzialmente tre: quello riaffiorato al concerto a Latowidge – che più che un vero e proprio frammento di passato Gilbert avrebbe piuttosto definito “vago flash”, il ricordo da poco affiorato di un Oz più giovane che gli diceva della morte di Jack e infine il ricordo molto vago di un sorriso gentile e di una mano che gli scompigliava i capelli, che supponeva appartenessero entrambi allo stesso Jack.

Ma per il resto, non sapeva nemmeno distinguere se si trattasse di veri e propri ricordi, o di nozioni acquisite col tempo: Ada, per esempio, o Oscar Bezarius, o lo stesso Zai.

Li ricordava a prescindere, o il fatto di averli incontrati poi in società aveva risvegliato in lui la sensazione di conoscerli?

Non lo sapeva, e quell’incertezza lo stava facendo impazzire.

Jack avrebbe dovuto essere importante. Il tempo con Oz avrebbe dovuto esserlo.

Eppure perché… non ne aveva praticamente memoria?

«Ultimamente ho ricordato una cosa.» se ne uscì dopo diversi minuti di silenzio, facendo trasalire Vincent. Non per le parole inaspettate, quanto per il chiaro significato dietro di esse che il biondo vi leggeva: Gilbert stava iniziando a ricordare, il che significava che qualcuno o qualcosa stava facilitandogli il compito.

«Credo sia un ricordo di quando non ero già più a casa Bezarius. Mi chiedevo… so della morte di Jack, ma non riesco a ricordare il momento in cui l’ho saputo. Ho solo delle immagini vaghe di Jack al letto, di un Jack sorridente, quindi… quindi ho visto Jack stare male. Ma allora perché non ricordo con precisione? Se sono cose così importanti, perché lo sono e perché Jack è stato importante per noi, perché solo delle immagini? Perché non ricordi interi, precisi?» ragionò ad alta voce, mentre Vincent in silenzio cercava di comprendere quanto fossero supposizioni del fratello e quanto, davvero, fosse riemerso dalla sua amnesia.

«Gil, cos’hai ricordato che ti ha smosso così?» chiese, premuroso, il sorriso più leggero ma presente.

«Quando Oz… è venuto a dirmi che Jack era morto.» mormorò: «Forse è perché eravamo in una situazione simile a quella, e mi è tornato in mente, non lo so.» aggiunse, un rossore leggero che gli imporporò le guance ma che – a giudicare dalla mancanza di reazione di Vincent – non fu troppo evidente probabilmente.

L’espressione del biondo si era fatta più seria, quasi fredda, forse approfittando del fatto che in quel momento Gilbert non lo stesse guardando.

Ma presto la sostituì con l’ennesimo incurvarsi di labbra, di quelli che si sarebbero potuti definire enigmatici: «Era questo che intendevo, Gil.» se ne uscì in risposta, non molto chiaro. Ma non tardò a spiegarsi: «La vicinanza di Oz Bezarius ti sta creando problemi e nient’altro. Da quando lo abbiamo incontrato al rientro a Latowidge, hai più spesso il mal di testa, sei confuso, e hai queste immagini che ti vorticano in mente e ti fanno stare male.» commentò, Gilbert che alzava lo sguardo su di lui dapprima sorpreso, poi perplesso.

«Forse dovresti allontanarti un po’?» buttò lì, con tono casuale.

 

La sentì ridere, ma non somigliava affatto alla risata gentile di una ragazza per bene.

Era sguaiata, maligna; di chi ha tutte le intenzioni di farti del male, e nel momento in cui ha la consapevolezza di esserci riuscito, ne gode internamente e completamente.

«Non dirmelo, non lo sapevi?» lo canzonò, sibillina.

«Proprio tu, che vuoi così bene a Jack non lo sapevi? Oh, forse non te lo hanno detto perché non sei stato un bravo bambino, Gilbert.» proseguì, lo sguardo su di lui.

Gilbert strinse i pugni, le mani che tremavano.

«O forse» riprese: «perché conosci il suo assassino, Gilbert. Lo sai per colpa di chi è morto Jack?» insinuò, crudele.

«Smettila! Jack era malato, era soltanto malato, non è colpa di nessuno!» le gridò contro Vincent, al proprio fianco.

Gilbert continuava a tremare, e a guardarla.

E riusciva solo ad odiarla ogni volta che parlava.

Anche ora che rideva, di una risata acuta e penetrante – di nuovo: «Questa è la verità che hanno detto a Gilbert?» chiese, retorica, osservandolo. Ma l’espressione mutò dal sadico divertimento alla freddezza, all’odio.

«Ti proteggono, ti proteggono, non fanno altro che proteggerti. Ti trattano bene, perché sei il figlio dei Nightray, ora. Ti odio, ti odio, ti odio, ti odio. È tutta colpa tua, se Jack è morto, è solo colpa tua! Se fossi andato più spesso a trovarlo, se ti fossi preso più cura di lui, Jack sarebbe guarito. È colpa tua! Sei un assassino, un assassino, UN ASSASSINO!»

«SMETTILA!»

 

«G-Gil…!» sentì pronunciare e inorridì quando vide la propria mano stretta attorno al collo del fratello, che teneva le proprie sul polso del maggiore nel tentativo di allentare la presa. La sciolse immediatamente, allontanandosi di qualche passo da Vincent, spaventato dal proprio stesso gesto.

Lo osservò tossire, gli occhi sgranati mentre il fratello minore riprendeva fiato, il volto appena arrossato dalla sua presa di poco prima.

«Io… io…» borbottò, completamente nel panico, le immagini di quel ricordo che non sapeva collocare ancora lì, nitide nella sua mente e spaventose.

«Gil, sta tranquillo, va tutto bene…» mormorò Vincent, facendo per avvicinarsi, una mano appena protesa in avanti verso il fratello. Gilbert la colpì istintivamente prima ancora di rendersi conto del proprio stesso gesto, allontanandola da sé.

A quel punto, non era chiaro se l’espressione più spaventata fosse la sua o quella di Vincent; di certo quella del biondo fu quella che tornò prima ad uno stato vicino alla calma, o ad un tentativo di somigliarvi.

«Gil… cos’hai visto?» chiese così a bruciapelo che se soltanto Gilbert non fosse stato tanto sconvolto, avrebbe trovato piuttosto sospetta tutta quella certezza nel porgli quella domanda.

Era chiaro che Vincent fosse praticamente sicuro che il fratello avesse visto qualcosa, come se si fosse sempre aspettato che prima o poi qualche ricordo sarebbe tornato a galla, e che fosse solo questione di tempo.

Gilbert tacque, rifiutandosi di rispondere, scuotendo la testa – e Vincent capì che stava succedendo di nuovo, mentre l’immagine di un Gilbert più piccolo si sovrapponeva a quella del fratello.

Il Gilbert del suo ricordo si portava le mani a sorreggere la testa, chiudeva gli occhi e rannicchiato in un angolo continuava a ripetere “non è vero”.

Il Gilbert di ora… quanto sarebbe durato prima di precipitare nuovamente in un principio di follia che lo aveva già fatto sprofondare anni prima?

Vincent lo abbracciò, stringendolo possessivamente: «Andrà tutto bene.» mormorò vicino al suo orecchio.

«Va già tutto bene Gil. È stato solo un momento, ora ti passa. Non pensarci più.» continuò, il tono basso e conciliante – non avrebbe permesso che succedesse di nuovo, a costo di fare in modo che Oz Bezarius si allontanasse da quella scuola, anche con mezzi meschini.

Gilbert tacque, le parole del fratello udibili, ma che non lo raggiungevano del tutto.

Nella sua mente si ripeteva, sovrapponendosi continuamente, la stessa frase.

Quella di quel ricordo, era davvero Alice?

 

 

Fece capolino con la testa da dietro l’angolo dove stava nascosta, controllando che non ci fosse nessuno nel corridoio in cui si stava immettendo.

Accertatasi che fosse completamente deserto, si mosse in avanti, rivelando la figura nella sua interezza: aveva indossato degli abiti che di femminile avevano poco, optando per quelli piuttosto che per il pigiama. Erano vestiti semplici, quasi smessi e che poco si adattavano all’ambiente di una scuola come Latowidge; la maglia, inoltre, era evidentemente più grande della sua taglia.

Alice di solito non girava in piena notte per la scuola, non tanto per il rispetto delle regole, quanto per due motivi precisi: innanzitutto, aveva delle abitudini di vita a loro modo sane, e che ricordavano un po’ quelle di un bambino. Mangiava alle ore dei pasti e dormiva durante la notte – cosa che ogni persona normale avrebbe dovuto effettivamente fare.

Secondo, ma non meno importante, quando aveva saputo che poteva succedere che o i capo dormitorio o i professori facessero delle ronde per controllare, un fatto era stato chiaro per lei: un conto sarebbe stato incrociare Sirjan Kolstoj – doveva ammettere che una cosa di ciò che dicevano le oche nella sua classe era vera, e cioè che Kolstoj era innegabilmente di bell’aspetto.

Un conto sarebbe stato incrociare il docente di Matematica e no, incontrare nel pieno della notte Xerxes Break era tutto tranne che un suo sogno proibito.

Anzi, era certa che sarebbe somigliato molto più ad un incubo – incubo che come minimo l’avrebbe perseguitata per almeno una settimana, altroché.

Il motivo per cui, quindi, aveva interrotto la sua sana routine di nove ore di sonno filate, era stata quasi banale: la sera precedente aveva visto Oz sgattaiolare verso l’edificio scolastico ad un’ora improponibile, in cui lei era sveglia per puro caso. E ricollegarlo al discorso che tempo addietro le aveva fatto Noah, riguardo la sua preoccupazione per le piccole fughe notturne del biondo, aveva completamente acceso la sua curiosità.

Perciò, anche se non era proprio certa che avrebbe trovato Oz in giro a quell’ora quella sera, era riuscita ad uscire senza essere beccata e a dirigersi lì.

Quando però era stato chiaro che del biondo non c’era nemmeno l’ombra… le era venuto istintivo dirigersi in quel corridoio. Quello dove aveva incrociato quella ragazza identica a lei, forse nella speranza di vederla nuovamente per chiederle chi diamine fosse – non era affatto soddisfatta della risposta che aveva ottenuto l’ultima volta, ed era stata troppo sorpresa per contestarla.

Sbuffò, notando che non sembrava davvero esserci nessuno, né compagni o professori, né quella tizia.

«Dannazione.» borbottò sommessamente, lanciando un’ultima occhiata indagatrice, senza volersi arrendere nemmeno all’evidenza.

E lo vide: un guizzo strano, poco più avanti.

Si mosse praticamente subito, quasi correndo, non più attenta a cose come non fare rumore o al non farsi vedere; quando però voltò l’angolo, chiunque fosse era sparito. O così parve; dovette ricredersi quando sentì una risata leggera, cristallina.

«Di nuovo alle spalle, maledet—» sbottò voltandosi di scatto, ma zittendosi quando i suoi occhi registrarono la figura che la guardava divertita.

Fu immediatamente chiaro che non si trattava della stessa persona, ma allo stesso tempo Alice fu certa che fossero due entità molto simili: non sentiva odori particolari, avevano entrambe una figura quasi eterea e davano la sensazione di qualcosa che non potesse essere toccato.

Tuttavia, le loro immagini erano profondamente diverse: la ragazza che ora stava davanti a lei aveva i capelli lunghi e scuri, lisci e gli occhi chiari, azzurri. Il vestito che indossava era palesemente estivo, e quello di una ragazza molto semplice, non appartenente all’alta società o comunque di un rango piuttosto inferiore rispetto a quello medio lì all’istituto.

La pelle era diafana e senza imperfezioni, i lineamenti delicati che ad Alice ricordarono un poco Alyster Kolstoj: si chiese, per un attimo, se quella delicatezza fosse della stessa natura della compagna più grande da poco scomparsa.

Poi, notò, il sorriso le incurvava le labbra e la risata cristallina di poco prima si ripeté nuovamente; Alice si imbronciò: «Che cavolo hai da ridere?» rimbrottò, osservandola con le braccia incrociate al petto.

La vide portare una mano a coprire le labbra, per poi girarle intorno – Alice non amava particolarmente quando qualcuno lo faceva – compiendo un intero giro.

Dopo di esso, si allontanò da lei, ma sembrava quasi invitarla a seguirla: invito che non si fece rivolgere una seconda volta. Era anche una questione di orgoglio, visto che quella lì continuava a ridere.

Tuttavia non andarono lontano: non avevano percorso neanche metà corridoio, che l’avanzata come la risata si interruppero bruscamente, lo sguardo della ragazza che guardava oltre Alice.

La castana allungò una mano nell’esatto momento in cui quella sconosciuta spariva; perplessa, sobbalzò quando avvertì una voce alle proprie spalle.

«Ti prego di scusarmi, è andata via per causa mia, temo.» sentì pronunciare, voltandosi nell’immediato.

Sentì mancare un battito, distintamente, in un punto del petto preciso.

Davanti a lei stava un ragazzo la cui figura era sbiadita nella propria mente, ma di cui era sicura di sapere qualcosa. Poi, lo ricordò: era la figura che anche Oz gli riportava alla mente, quella su cui per tutto quel tempo aveva indagato.

«…Jack?» soffiò pianissimo, osservandolo quasi con timore.

L’altro non si era probabilmente aspettato che l’altra conoscesse il suo nome e quindi la sua identità, perché assunse un’aria sorpresa che sciolse quasi subito in un sorriso gentile, annuendo.

Allungò una mano verso di lei, prendendo la sua ed effettuando un perfetto baciamano da gentiluomo: «Non pensavo conoscessi il mio nome, Alice.» osservò.

«Non pensavo che quelli come te potessero toccarmi.» fece lei di rimando, sulla difensiva; bastò a Jack per capire che il motivo per cui Alice conosceva il suo nome fosse diverso da quello che lui aveva appena ipotizzato.

«Dipende da spirito a spirito.» spiegò semplicemente: «Alcuni di noi, come la ragazza di prima, non riescono.» aggiunse.

Alice, sebbene senza avvicinarsi né ritrarsi, come se lo stesse ancora studiando e valutando, annuì leggermente: «E da cosa dipende?» indagò. Jack si limitò a sorridere, senza sentirsi offeso da quella domanda: «Da molte cose. Di solito anche da quanto e quante persone pensano a noi, o pregano, ma dipende molto anche dai sentimenti che abbiamo. Se sono forti, oltre a tenerci in questo luogo ci permettono contatti leggeri. Naturalmente, ci sono cose che non possiamo fare come se fossimo vivi.» chiarì, pronunciando quel “vivi” con estrema dolcezza, facendo sussultare Alice.

La castana scosse appena la testa, cercando di frenare il battito del cuore, innaturalmente velocizzato: non aveva corso, e non era nemmeno particolarmente spaventata, eppure qualcosa nella figura del fratello di Oz – perché di lui si trattava – le metteva addosso inquietudine e felicità al tempo stesso. A cosa fossero dovuti quei due sentimenti tanto diversi e la confusione che scatenavano mescolandosi, non avrebbe davvero saputo dirlo.

«Tu sei il fratello di Oz, vero?» domandò, retoricamente, tanto che non attese la risposta pur notando l’annuire dell’altro: «Quella ragazza…?» aggiunse invece, riferendosi a quella che era sparita poco prima.

«Sta per sparire, credo. Definitivamente.» replicò, ma non con la tristezza di chi sta per separarsi da qualcuno: «I sentimenti che la portano qui sono di natura diversa dai miei, o da quelli di altri come noi che sono in questo luogo. Lei è rimasta finora perché qualcuno pensava ininterrottamente a lei… e forse un pochino anche perché anche io volevo vederla.» ammise infine, osservando il punto in cui era scomparsa.

Alice cercò di sbirciare sul suo viso, alla ricerca di un qualche particolare che le rivelasse qualcosa in più, ma non lo trovò.

«La conosci allora.» osservò soltanto, basandosi su quanto detto da lui.

Jack sorrise appena più ampiamente, e annuì: «Eravamo compagni di scuola, qui. Io e Lacie.»

 

Perché lo avesse seguito, Alice non avrebbe saputo dirlo con precisione.

Sapeva soltanto che nel momento in cui Jack aveva proposto di spostarsi dal corridoio, le era venuto completamente naturale assecondarlo; era come se qualcosa, in un punto imprecisato del suo corpo, sapesse che era la cosa giusta da fare.

Se fossero ricordi stipati nella sua mente, se fosse il corpo che istintivamente si muoveva o se fosse il cuore che ancora batteva velocemente, Alice non lo capiva.

Ritrovarsi sola con lui però aveva in un certo senso risvegliato qualcosa che, con ogni probabilità, c’era ancora e per assurdo già da molto tempo prima: era un miscuglio senza una vera forma, fatto di dolcezza, di felicità e di nostalgia. Di completa fiducia, ma anche di timore.

Era qualcosa che, un po’ come tutte le cose che riguardavano il passato di cui non aveva memoria precisa, Alice non riusciva a spiegare con le parole, fossero queste pronunciate ad alta voce o solo nella propria mente.

Jack era una presenza particolare: era qualcuno che sentiva di dover ascoltare e che nascondeva qualcosa.

Avevano parlato di cose che Alice non aveva mai saputo, e di cui non si era mai interessata prima; degli spiriti, per esempio. Di Lacie, nello specifico, e di altri il cui nome era un mistero su cui non aveva indagato. Forse il biondo glieli avrebbe anche detti, se lei avesse chiesto, ma ad Alice non interessavano.

Era probabile che comunque li avrebbe dimenticati.

Lacie, secondo quanto spiegato da Jack con le parole semplici e gentili che si rivolgono ad un bambino, era una presenza “leggera”. Era qualcuno che si trovava in questo luogo senza sapere perché.

«Non sempre gli spiriti conservano il ricordo della propria vita. Alcuni dimenticano, specialmente chi non ha nulla che lo trattenga fra i vivi.» aveva spiegato: «Lacie non è qui perché ha qualcosa da fare. È probabile che stia finalmente per tornare nel luogo in cui dovrebbe stare.» aveva aggiunto.

«Parli dei rimpianti, e delle questioni in sospeso e quella roba lì?» aveva domandato Alice, guardandolo, basandosi solo su alcune cose che aveva letto – più racconti fantastici che non studi in proposito.

Jack aveva sorriso, una sfumatura genuinamente divertita: «Qualcosa del genere. Lacie più che dal rimpianto era animata dalla tristezza e dal dispiacere, credo. Ma con il tempo, lo ha dimenticato. L’oggetto di quei suoi sentimenti… ora non è più tra voi.» era stata la risposta, che a dire il vero Alice non aveva capito completamente.

Eppure Jack aveva catturato totalmente la sua attenzione, quasi come se le stesse raccontando una favola.

«Non ti dispiace che sparisca?» gli aveva chiesto, ingenuamente e senza alcuna malizia.

Lo sguardo di Jack si era fatto triste. Era stata la prima cosa che aveva notato, e che per la prima volta le aveva fatto rimpiangere di aver aperto bocca senza riflettere; se ne era stupita: lei aveva il vizio – perché difficilmente poteva considerarsi un pregio – di aprire bocca incurante di quanto le proprie parole potessero ferire, o essere comunque brusche.

Ma non le era mai capitato di pensare: “non avrei dovuto dirlo”. Con Jack era la prima volta.

«Mi dispiace perché sono egoista.» fu l’inizio della risposta che catturò nuovamente la sua attenzione: «So bene che essere bloccati qui non fa bene, a quelli come me e come Lacie. I sentimenti che ti inchiodano senza permetterti di fare un passo in avanti e lasciarti la vita alle spalle… non sono mai sentimenti positivi.» mormorò piano, come se fosse un segreto solo fra lui ed Alice.

Alice, osservandolo, si chiese se una persona così potesse davvero essere animata da sentimenti negativi.

«Tu… non mi sembri una persona cattiva.» diede subito voce a quel pensiero, il broncio leggero come se Jack avesse offeso in qualche modo lei. Lui la osservò, l’espressione un po’ sorpresa forse, ma le sorrise comunque.

«È un po’ difficile da spiegare.» ammise: «Quando parlo di sentimenti negativi intendo negativi per noi. La tristezza, il rimpianto, la solitudine. A volte anche la rabbia, purtroppo.» si spiegò meglio, ma non avrebbe potuto immaginare la domanda a bruciapelo che seguì quel chiarimento da parte sua.

«Per te il motivo è Oz?» chiese Alice, nello sguardo la sfumatura decisa e per certi versi autoritaria che era tipica di lei, come se per un attimo i ruoli si fossero invertiti, e il bambino a cui spiegare pazientemente le cose fosse stato Jack.

Lui ridacchiò piano, di una risata nervosa e imbarazzata: «Sono un fratello troppo protettivo, secondo te?» domandò di rimando, rispondendo quindi anche alla sua domanda e portando una mano dietro la nuca in un gesto impacciato che Alice riconobbe facilmente, perché tipico anche di Noah.

«Beh, hai tutte le ragioni di preoccuparti.» se ne uscì in quella che non era propriamente una premessa rassicurante: «Oz è uno stupido e un testardo. Attira i guai, e soprattutto le persone ambigue. Come Vincent, ad esempio. O anche quel pagliaccio feticista delle bambole e Anna dai capelli rossi.» proseguì infastidita – volendo soprassedere sulla risata spontanea che Jack cercò di trattenere agli epiteti rivolti a Break e Rufus.

«Quando ha bisogno di aiuto non lo chiede mai, e si pianta in faccia quel sorriso stupido che ormai non convince più nessuno. E lo fa come se credesse davvero che io e Noah non ce ne accorgiamo. E insomma, se ne accorge persino quello scemo di Gilbert, quindi ho detto tutto. Dice bugie a non finire, e io odio le bugie. E alla fine, quando poi le cose vanno male, sorride di nuovo anziché piangere!» sbottò arrabbiata, stringendosi le ginocchia al petto come se i poveri arti fossero in qualche modo colpevoli.

Poi, quando ormai chiunque si sarebbe aspettato una sequela di insulti a concludere il tutto, l’espressione della castana si addolcì appena: «Però… ultimamente è cambiato un po’. Non è tanto, e ancora sorride dicendo bugie effettivamente. Ma l’Oz che è arrivato qui all’inizio, quando ti sorrideva non comunicava nulla. Era solo un’espressione vuota come ce ne sono un sacco. Oz adesso… sorride davvero. È solo una volta ogni tanto, ma quando guardi la sua espressione, adesso riesci almeno a capire se sta bene o se sta male. Si sta impegnando, credo. Piano piano… sta migliorando.» mormorò, suscitando in Jack un sorriso dolce mentre gli occhi verdi erano fermi sulla sua figura.

«E poi ora tuo fratello è il mio servitore. Perciò, che faccia cose sbagliate o cose giuste, ci sono comunque anche io a proteggerlo. E anche Noah: è un po’ scemo, ma non è male. Poi un giorno se vuoi te lo presento.» aggiunse con aria saccente.

Aria che mutò in una sorpresa e quasi spaesata quando si sentì sfiorare le guancia e, voltandosi verso Jack, si rese conto che era proprio una mano del biondo a toccarla.

Il contatto non era né particolarmente caldo, né freddo: era tristemente come se non ci fosse, ma allo stesso tempo abbastanza palpabile per essere percepito. Leggero, come se Jack stesse sfiorando qualcosa di prezioso.

Le sorrise, grato e gentile; senza un motivo logico, Alice pensò che fosse l’unico modo in cui Jack Bezarius sapesse sorridere.

«Alice è diventata una ragazza buona e forte. Sono contento.» mormorò piano, con dolcezza.

La castana non seppe definire, stavolta, la sensazione che ebbe: seppe solo che Jack e Oz, per un momento soltanto, si erano sovrapposti nella sua mente e davanti ai suoi occhi. E che sentiva di voler piangere.

Ancor prima di rendersene conto, tuttavia, gli occhi si erano fatti pesanti a tal punto che tenerli aperti non era diventato più possibile.

Prima di chiuderli del tutto, sprofondando in un sonno improvviso e pesante, formulò un solo pensiero incoerente.

Il sorriso di Jack – e di Oz? – non era vero che poteva essere solo dolce e gentile.

Il sorriso che gli si addiceva di più era… quello triste che riusciva ad intravedere in quel momento, come un’ombra sfocata.

Jack la osservò, l’espressione dispiaciuta: «Scusami Alice.» sussurrò.

«Pensavo che le avresti raccontato la verità.» lo interruppe una voce pacata, impersonale. Non doveva davvero alzare lo sguardo per capire di chi si trattasse, ma lo fece ugualmente trovando facilmente conferma nella figura che inquadrò, e che si stava avvicinando con passo lento.

«E io pensavo che mi avresti fermato molto prima, Sirjan.» replicò con gentilezza, con il tono di un fratello maggiore; dopotutto, il legame con i gemelli era stato di poco differente.

Sirjan gli rivolse un sorrisetto divertito: «Non stavi dicendo nulla che sia mia competenza nascondere. Che vuoi farci, mi sto rammollendo Jack.» osservò falsamente casuale. Il biondo vi lesse diverse cose, nel tono e nella frase, ma non domandò nulla.

Sarebbe stato superfluo chiedergli come stava.

«Credo ti si addica di più. Quando si ha un’indole gentile, essere severi è molto più difficile.» commentò, con un sorriso complice.

Sirjan si chinò in avanti, prendendo Alice fra le braccia, ma rimanendo in un primo momento inginocchiato alla stessa altezza di Jack, che era seduto: «Ti sta bene che Oz scopra da solo la verità? Ti sta bene anche che Alice non si ricordi di te?» domandò a bruciapelo, lo sguardo significativo e puntato negli occhi verdi del più grande.

Jack sospirò piano, lentamente.

«Che sono un codardo, ce lo insegna anche la storia. Alice è… diventata più forte. Nei miei ricordi è una bambina estremamente fragile, da difendere quasi da ogni cosa che la circondava. Credo che sia così anche perché non ha ricordi. In questo, lei e Gilbert sono simili ma diversi. Lui si colpevolizza perché non ricorda, e non avere memoria lo paralizza a volte. Alice invece riesce a guardare avanti, anziché indietro. Ed è… un dono, secondo me. Io che sono qui per il passato, so quanto sia importante riuscire a non essere completamente inglobati da esso.» parlò piano, udibile per Sirjan nel silenzio che li circondava.

Il ragazzo tacque, osservandolo.

Non ripeté la domanda per sollecitare una sua risposta riguardo ad Oz.

«Mio fratello… se lo incontrassi, probabilmente starebbe molto, molto più male di come starà quando avrà scoperto la verità. Per una volta, Sirjan, una sola… vorrei non essere egoista. Lo sono stato nei confronti di mio padre, e di Oz. Ho preteso che il primo mi capisse pur sapendo com’era fatto, e ho caricato le spalle del mio fratellino delle aspettative perdute di mio padre, del dolore di Ada e di quello che ero. Sono stato egoista nei confronti di Glen, e ora lo sono persino con Lacie, aspettandomi un perdono che lei non è nemmeno cosciente di dover dare. Per questa volta, nonostante parlargli è una cosa che desidererei fare… vorrei cercare di agire per il suo bene, non per il mio.» concluse, lo sguardo sul viso di Alice che – Sirjan ne era certo – non vedeva davvero la ragazza.

 

 

Come si fosse arrivati ad una cosa del genere, Oz non se ne capacitava.

Nemmeno ora, mentre erano nel pieno di un vero e proprio litigio – per altro, nell’atrio dell’edificio scolastico, dove di certo non dovevi discutere se non volevi che almeno mezza scuola sapesse i fatti tuoi.

Lui e Ada non litigavano mai.

Un po’ perché erano sempre stati molto legati e perché andavano d’accordo fin da piccoli, un po’ perché lei per lui era stata sempre come una figura materna oltre che quella di una sorella maggiore.

Ada aveva un carattere così mite, almeno quando erano insieme e per la maggior parte del resto del tempo, che era piuttosto difficile discutere aspramente con lei. E Oz non si era certo mai impegnato in tal senso.

Ada era stata… una fiaba raccontata per far addormentare un bambino spaventato da un incubo; si era presa cura di lui, lo aveva affiancato ripetendogli che sarebbe andato tutto bene. Specialmente dopo la morte di Jack.

Già, suo fratello.

Il motivo per cui ora stavano alzando la voce per la prima volta l’uno contro l’altra.

Oz a dire il vero non avrebbe mai voluto dirle di essere entrato in possesso del diario di Jack, né delle cose in cui si stava immischiando guidato da esso. Le aveva chiesto durante la colazione se sapeva dove fosse Elliot, nel momento in cui non aveva notato il minore dei Nightray – in verità non c’era ancora nessuno dei tre – in mensa.

Gli era parsa una domanda come tante altre, che non suscitasse chissà quale dubbio; ma evidentemente, per Ada c’era stato qualcosa, perché lo aveva guardato come se Oz le avesse appena chiesto di dirle dov’era il loro peggior nemico.

«…Come mai vuoi parlare con Elliot?» era stata la domanda che aveva sostituito la semplice risposta con una locazione che Oz si era aspettato. L’aveva guardata stupito, e forse quello l’aveva tradito.

O magari, ad averlo smascherato era stata la propria risposta: «Devo chiedergli una cosa che riguarda il periodo in cui Jack c’era ancora.»

Ammetteva che non fosse certo la cosa più intelligente da dire, ma era pur vero che potevano essere milioni di cose quelle che voleva chiedere: poteva riguardare Gilbert, ad esempio, o poteva riguardare lo stesso Elliot. E dal momento che erano di anni diversi, sarebbe suonato strano usare la scusa dello studio, persino del pianoforte – considerando che non aveva fatto chissà quali progressi, insomma.

Ada, se possibile, l’aveva guardato persino più preoccupata di quando gli aveva posto la domanda: «Lascia stare.» gli aveva detto, lasciandolo in parte perplesso e in parte… irritandolo.

Ora non era nemmeno libero di chiedere di suo fratello? Ora anche Ada si comportava come se Jack fosse un passato troppo lontano per essere ancora rivangato o ricordato?

Non avrebbe saputo dire cosa fosse meglio: se quello, o suo padre che si era convinto della non esistenza di un figlio minore perché in lui era convinto di avere in realtà di nuovo il suo amato primogenito vivo.

Il risultato, comunque, era lo stesso.

Nonostante fossero coscienti di stare praticamente dando spettacolo – non che urlassero così forte, ma due fratelli che discutevano animatamente nell’atrio, sebbene con toni ancora controllati, attiravano l’attenzione comunque.

Non si accorse nemmeno dei Nightray che arrivavano in quel momento, probabilmente diretti alla mensa per fare colazione, né di Gilbert che nello specifico aveva avvicinato Noah ed Alice, imitato poi dai fratelli.

«Che sta succedendo?» aveva chiesto perplesso a Noah, che sembrava combattuto fra l’intervenire e il non immischiarsi in quello che ormai era decisamente un affare di famiglia.

«Ti giuro Gilbert, non ci ho capito nulla nemmeno io. Stavamo mangiando tutti insieme, Oz ha chiesto di Elliot ad Ada, e quando le ha detto che lo cercava per chiedergli una cosa di quando il fratello era vivo hanno iniziato a discutere.» riassunse brevemente, lo sguardo che continuava ad alternarsi fra i due fratelli poco distante e il suo interlocutore.

Gilbert parve spaesato e cercò lo sguardo di Elliot, che non sembrava meno perplesso di lui: «Cosa deve chiederti?» chiese confuso, ottenendo in risposta un’occhiata altrettanto dubbiosa.

«Non ne ho la più pallida idea, non ne so niente.» disse sincero il minore, ma se Gilbert avesse voluto replicare, lo scambio tra Ada e Oz glielo impedì totalmente.

«Insomma, qual è il problema?! Non sai nemmeno cosa gli devo chiedere!» obiettò Oz, testardo, fissandola.

Ada sembrava spaventata. Se dal fratello che non aveva mai litigato con lei così bruscamente, o se dall’idea che sapesse qualcosa di cui lei era già a conoscenza, Oz non poteva dirlo.

«Dico soltanto… che non è necessario! Neanche Jack avrebbe—»

«IO NON SONO JACK!» fu l’esclamazione che fece tacere non solo Ada, ma che zittì anche il leggero brusio che aveva iniziato a diffondersi nell’atrio.

Gilbert non riusciva a staccare gli occhi da Oz.

«Ci sto provando, va bene? Ci sto provando da anni! Tu non hai nemmeno un’idea vaga di quanti tentativi io stia facendo, ma non importa quante volte provo, non riesco ad assomigliare a Jack più di così, va bene?! Non ci riesco!» continuò, incapace di fermarsi.

Non avrebbe voluto dirlo, e non avrebbe dovuto dirlo.

Anche Ada era stata male. Anche lei soffriva come lui; per contro, però, c’erano cose che lei non poteva capire.

«Mi dispiace se lui non avrebbe voluto, o se non lo avrebbe fatto e mi dispiace se pensi che lui si sarebbe comportato in un altro modo e se quindi ti aspetti che io faccia lo stesso. Ma io non sono Jack Bezarius, sono soltanto Oz!»

Mentre si allontanava dall’atrio, e qualche docente – ignaro di quanto accaduto e appena giunto placava il chiasso che si era alzato richiamandoli all’ordine – qualcuno seppe che quel “soltanto” aveva più significati di quanto potesse sembrare.

 

 

Corse.

Non importava quanto fosse vietato, considerando che i docenti erano verosimilmente tutti a colazione.

Voleva solo allontanarsi.

Dalla mensa, da sua sorella, da Gilbert, da Latowidge.

Da tutti quelli che avevano visto o conosciuto Jack e che inconsciamente continuavano a paragonarli.

Non importava che fosse istintivo, voluto, in buona fede.

Era solo stanco di sentirselo dire persino dove era scappato per non ascoltarlo più dalle labbra di suo padre – perché era quella la realtà, anche se non l’aveva detta a nessuno.

Sapere di andare a Latowidge era stata una liberazione: lontano dalle mura di casa Bezarius, impregnate di ricordi e aspettative, sarebbe stato meglio. Era stato convinto, quando aveva varcato il cancello, che lì sarebbe andato tutto bene.

Come nelle favole che Ada raccontava quando erano bambini, finché lui non si addormentava placidamente permettendole di andare a dormire a sua volta.

Ma Oz lo sapeva, perché ogni tanto fingeva solo di appisolarsi e poi sgattaiolava fino alla camera della sorella; Ada, ogni tanto, piangeva da sola.

E la mattina andava a svegliarlo con un sorriso e gli occhi rossi e un po’ gonfi.

Voltò un angolo a caso, bloccandosi quando lo riconobbe.

Era il corridoio in cui Sirjan gli aveva vietato di andare e in cui una volta era stato salvato per un pelo da Aedan.

Abbassò lo sguardo, indeciso sul da farsi.

Nella sua mente, le parole di Sirjan erano ancora chiare come se il più grande le stesse pronunciando in quel momento lì, di fronte a lui.

Non avvicinarti a Glen Baskerville più dello stretto necessario.

Quello era molto più dello stretto necessario, e persino più del limite consentito, ma… alle parole di Sirjan, in quel momento, si sovrapponevano altre parole.

Quelle di Rufus – perché mai Glen Baskerville avrebbe dovuto suicidarsi? – e soprattutto quelle di Break, che da qualche sera prima continuavano ad invadergli i pensieri, nonostante si fosse sforzato di ricacciarle indietro e archiviarle da qualche parte lasciando che svanissero da sole col tempo.

Xerxes Break ti metterà alla prova.

Quella lo era sicuramente.

 

«Ah, Oz, prima che te ne vada.»

lo aveva interrotto, facendolo voltare

quando era ormai in prossimità della porta.

«Dai ascolto al tuo capo dormitorio.

Sarebbe davvero un grosso problema,

se ti imbattessi nello spirito di Glen Baskerville la prossima volta.»

 

Glielo aveva detto di proposito.

Break sapeva perfettamente che in un modo o nell’altro lui, Oz, sarebbe finito nuovamente lì.

E sapeva anche che una parte di verità poteva scoprirla solo facendo domande direttamente a Glen Baskerville – non pensò a quanto potesse essere pericoloso, considerando il primo e unico avvertimento che lo spirito gli aveva dato tramite Elliot.

Fissò di fronte a sé, nel punto in cui una volta aveva già visto quella stessa porta che ora stava prendendo forma davanti ai suoi occhi come in un gioco di prestigio.

Si aspettava persino Cheshire, ma… non arrivò nessuno.

La porta era lì, ferma, chiusa e non si sentivano né voci, né rumori.

Era un invito ad andarsene, o ad entrare?

 

Probabilmente,

solo Glen potrebbe rispondere.

 

Scosse la testa, muovendo un passo in avanti e poggiando la mano sulla maniglia.

Inaspettatamente non accadde nulla di strano o pericoloso; semplicemente la porta si aprì, lasciando intravedere quella che sembrava una stanza buia, vecchia e abbandonata da tempo.

Ne varcò la soglia, deglutendo.

E chissà perché, non si stupì affatto di sentire l’uscio richiudersi alle proprie spalle, sebbene senza colpi violenti, ma anzi come se qualcuno l’avesse socchiuso per lui.

E solo quando riportò lo sguardo davanti a sé, intravide la figura che non aveva mai visto, ma che sospettava non potesse essere confusa con nessun altro: ne conservava un ricordo vago, anche piuttosto annebbiato in un certo senso.

Ma tutto nella persona che era placidamente ed elegantemente seduta sulla vecchia poltrona, accanto alla finestra dalle tende tirate, sembrava dire che si trattava di Glen Baskerville.

Dalle movenze affascinanti, al viso perfetto, al cipiglio austero, agli occhi scuri che annoiati ma penetranti si posarono su di lui.

Vi sostarono poco, e quando tornarono alla piccolissima porzione di vetro non nascosto dalle tende, la voce di Glen riempì il perfetto silenzio che era aleggiato fino a quel momento.

«Toglimi soltanto una curiosità.» esordì tediato dall’argomento o forse – più probabile – dal proprio interlocutore: «Per quanto mi applichi, mi sfugge se la tua sia stupidità o mero istinto masochista.» concluse scortese, nonostante il modo di parlare impeccabile.

Oz si morse il labbro inferiore, senza rispondere.

Sussultò impercettibilmente quando gli occhi freddi di Glen tornarono su di lui: «Io credo sia stupidità.» concluse, come se avessero disquisito per ore e fossero finalmente arrivati alla risposta.

 

Non mi piacciono,

le persone che ficcano il naso nei miei affari.

 

Non riuscì a dire nulla, come paralizzato sul posto, mentre di nuovo lo sguardo di Glen lo abbandonava per passare ad altro, l’espressione comunque annoiata.

«Jabberwocky.» chiamò semplicemente, senza nemmeno voltarsi.

Oz non seppe quando la stanza era mutata attorno a lui, distorcendosi quasi e assumendo sembianze che di una stanza non ricordavano nulla, somigliando più ad una dimensione piena solo di buio e nient’altro.

Seppe solo che qualcosa brillò nell’oscurità, che un verso gutturale e grottesco ne riempì il silenzio, e che il dolore improvviso al braccio si tradusse in un liquido denso che sentì a contatto con la propria mano quando istintivamente la portò all’arto colpito.

Ed infine, che Glen Baskerville stava sorridendo.

 

 

 

Note

Voglio morire. Questa è la frase che una ficwriter arriva a pronunciare in un momento di disperazione, che può essere dato da vari fattori. Nel mio caso, dall’immondo ritardo causa esami XD

Soprassediamo e arriviamo al dunque.

 

La frase in apertura (Nice to meet you, my pain) è presa da un’immagine trovata per il web, tra l’altro a sfondo Durarara!!

Mi è piaciuta tanto che alla fine l’ho inserita come citazione di inizio capitolo *sisi*

 

Qui non si vede la fine degli intrippi mentali della trama, ma almeno avete visto l’inizio di qualche chiarimento XD

Passo a rispondere alle recensioni:

 

Gioielle: ogni volta che tu tessi le lodi di Noah io vado in brodo di giuggiole, ne sei consapevole, sì? XD

Purtroppo ci sono volte in cui posso muoverlo fino alla nausea e volte in cui mi sparisce totalmente (il lato negativo di aver messo troppa gente collegata alla trama base 8D). Quanto alla tua analisi di Oz, posso solo dirti di continuare ad analizzare, perché qualsiasi cosa io dica finirei in un modo o nell’altro per spoilerare qualcosa XD

Come avrai visto, Oz ha fatto esattamente l’opposto di quanto detto da Sirjan all’inizio: per quanto riguarda la persona vicina ad Oz che si suppone nasconda qualcosa… no, non mi posso sbilanciare, ma diciamo che qualche indizio vago è stato lasciato recentemente, e non dico altro XP

Il rapporto Sirjan-Oz è uno di quei rapporti che si è sviluppato da solo: all’inizio non dovevano affatto ritrovarsi così vicini, ma temo che con Alyster a fare da “collante” alla fine fosse inevitabile.

Ti ringrazio molto per i complimenti su Vincent (è uno di quei pg che scrivo di getto, ma poi ho mille ripensamenti sul suo IC) e per la scena GilOz, che so aspettavate tipo tutti da almeno 10 capitoli XD Sul risvolto, come il rating stesso dice, non sarà approfondito più di un certo limite (leggasi: niente lemon). Più che altro, penso di poter impazzire se inserisco pure più romanticismo oltre alle beghe di trama che mi ritrovo 8D

 

Yoko891: donna, tu risollevi il mio ego. *annuisce*

Ti ringrazio per i complimenti riguardo l’essere riuscita a portare la trama di ph (con dovuti accorgimenti per forza di cose), in  questa AU. Era uno dei miei obiettivi, e sapere di esserci riuscita quantomeno finora mi ripaga dei mal di testa che mi stanno venendo quando nel mezzo di una scena mi rendo conto di sputtanare qualcosa che avevo già scritto – sì, succede perché è tutto troppo intrippato.

Felice che la GilOz tanto attesa ti sia piaciuta, e della tua predilezione per Sirjan ormai sappiamo tutto tutti quanti XD

Grazie anche per i complimenti allo stile e tranquilla, sei perdonata anche se commenti ogni due capitoli <3

 

Makotochan: sì, io ti ucciderò andando avanti così, ormai si è capito XD *pat pat*

Vorrei poter dire, in merito anche alla tua recensione al 15, qualcosa come “visto? C’era una scena VinceGil!”, ma considerando come si è svolta, non so quanto fosse adatta a conciliare il cuore di una fangirl XD

Mi ha fatto particolarmente piacere il commento riguardo la descrizione dei sentimenti: purtroppo per me è sempre estremamente drammatico descrivere i luoghi. Faccio fatica come autrice e come lettrice e questo comporta che non mi ci sia mai applicata troppo prima di Rinnega, anche perché è questa la prima esperienza di longfic che faccio. Perciò sapere di riguadagnare terreno con le descrizioni introspettive mi fa piacere <3

Il lato oscuro di Oz è solo all’inizio (o almeno credo). So soltanto che il moccioso mi sta dando delle grane non indifferenti *non capisce mai quando lo tiene IC e quando no*

Prendo nota e ti riconfermo per il fan club di Noah, eh? ù.ù

 

Fiamma Drakon: ammetto che, arrivata a rispondere alla 4^ recensione, non mi aspettavo che il dialogo Sirjan-Oz piacesse a tal punto. Temevo quasi di appesantirvi, ma d’altronde non ci posso fare granché. Sono esattamente 15 (o possiamo dire 16?) capitoli che vi riempio di interrogativi e iniziare a spiegare serve. E di solito il personaggio a cui tocca l’ingrato compito ci rimette sempre, ma sono lieta che – a quanto pare – non sia stato così :3

Non saprei dire, infine, se la situazione stia migliorando: posso dirvi solo di non riporre troppe speranze, ma di leggere capitolo per capitolo – finché vorrete seguirmi – e prenderne quel che ne viene. È un modo carino per dire che le beghe non son finite XD

 

Bacinaru: la tua recensione mi ha tolto dieci minuti di autonomia cerebrale. Perché non importa che io sia l’autrice e che ami questa longfic nel bene e nel male: non è umano (in senso buono eh!) leggerla in due full immersion. Cioè, è troppo persino per me che l’ho scritta X°D

Hai tutta la mia ammirazione, oltre che gratitudine ovviamente <3

Sono felice che la parte di Alyster sia stata chiara nei sentimenti che venivano espressi: come scrissi già una volta mi sa, ci tenevo particolarmente. Tengo a tutto, scontato dirlo, ma parti come i sentimenti di Alyster che rimangono leggeri e quasi taciuti per 13 capitoli, condensati in uno solo temevo non rendessero l’idea, ma per fortuna ero in errore :3

Ti ringrazio per i complimenti sullo stile, e spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento ^^

 

NatsuVIII: felice di leggerti in recensione <3

Gilbert dorme un po’ da piedi, ma c’è da dire che povero, Oz non è proprio facile come persona da capire XD Vincent e il suo lato bastardo imperano tanto per cambiare, ma sia mai che questo in un modo o nell’altro dia anche una scossa a Gilbert (ormai ribattezzato Monnalisa in sede di recensione xD)

Zai è il personaggio che io più odio in tutto Pandora Hearts, e ho idea che non si faccia molta fatica a intuirlo dal ruolo che gli ho dato anche qui. Vedremo se combinerà ancora altri danni, o se basta così.

Spero che anche questo nuovo capitolo ti sia piaciuto :3

 

Infine, un grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito “Ciak, si gira!”: FiammaDrakon, makotochan, NatsuVIII, nacchan, Gioielle, Yoko891, bacinaru e Meimei <3

   
 
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