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Autore: ForgetMeNot    27/09/2010    5 recensioni
"Era triste dover andare via. Era sempre triste lasciare la città in cui si era nati e cresciuti per oltre sedici anni, ma era fondamentale andare via prima che lui se ne accorgesse."
Kointahti sapeva che ogni scelta aveva le sue conseguenze, e la sua conseguenza era quella di essere cresciuta senza un padre. Padre da cui ora, per forza di cose, si sarebbe dovuta trasferire. Padre che, sfortunatamente per lei, non solo apparteneva ad una band piuttosto famosa, ma non immaginava nemmeno che lei esistesse. Le si prospettavano giorni duri.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Lazer, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12 luglio 2010

 

Mi ero svegliato presto, quella mattina, in una casa stranamente silenziosa che, invece, solitamente era tutt'altro che tranquilla: Linde, Migè, Burton e Gas la utilizzavano ormai come seconda casa, se non proprio come prima. Era incredibile quanto baccano riuscissero a fare di prima mattina senza preoccuparsi minimamente del padrone di casa e delle abitudini del suddetto di dormire fino a tardi. Anche questo, in effetti, era stato un elemento piuttosto insolito nella mia quotidianità casalinga, quando riuscivo ad averne una: invece, infatti, di dormire fino ad orario di pranzo, mi ero svegliato alle nove del mattino, pimpante quanto un bambino il giorno di natale. Io, colui che nemmeno dopo aver dormito 15 ore riusciva a rinsavire dallo stato catatonico del sonno in cui era caduto.

L'appuntamento con Seppo allo studio di registrazione era fissato per il pomeriggio, come era giusto che fosse per permettermi di partecipare almeno fisicamente alle riunioni, per parlarci dei prossimi impegni e delle, come le aveva chiamate lui, ultime novità. Che 'ultime novità' ci fossero in un paio di settimane appena di assenza non sapevo ancora spiegarmelo. Tuttavia ora sorgeva un problema ben più grave, per quanto mi riguardava, ed era l'occupare il tempo che solitamente occupavo dormendo, la mattina. Uscire era fuori discussione, dopo quello che era successo ieri. Mi passai distrattamente la mano sulla guancia e mi parve di sentire ancora qualche vaga fitta di dolore: lo schiaffo era stato piuttosto forte per essere quello di una ragazzina! Scossi la testa, fra il divertito e l'irritato: avevo fatto una battuta infelice, vero, ma avevo cercato di farmi perdonare nell'unico modo che sapevo funzionasse con le ragazze e cioè cercare di incantarla con il fascino che sapevo di avere. Qualcosa, invece, doveva essere andato storto questa volta perché non solo non l'avevo incantata ma ci avevo anche guadagnato un ceffone! E pensare che sarei dovuto tornare ad Helsinki

solo oggi! Invece mi ero intestardito ed ero voluto tornare un giorno prima per fare un giro per la mia amata città tranquillamente, senza fan appostati ad ogni angolo. Helsinki era splendida in quel periodo dell'anno e stavo giusto godendomi i pallidi raggi del sole quando mi ero scontrato con quella ragazza, sbucata all'improvviso. 'Hai parlato troppo presto, Ville!' una vocetta saccente, che assomigliava fin troppo a quella di Migè, mi era rimbombata nella testa per qualche istante. I miei occhi, invece, avevano subito registrato una figura sottile che indossava abiti piuttosto colorati e dei semplici jeans. Una parte della mia mente registrò che difficilmente poteva essere una nostra fan, che vestivano sempre di scuro e possibilmente gotico. Quando la ragazza aveva lo sguardo mi ero ritrovato a fissare due grandi occhi azzurri, stranamente familiari, e un viso già conosciuto, troppi anni addietro. Per un momento, come un flash, mi ero ritrovato guardato dallo stesso viso con profondi occhi color dell'oro.

Così come era arrivato il flash era scomparso, ma mi aveva lasciato la sensazione di aver tralasciato qualcosa di importante. Ancora turbato, buttai uno sguardo alla valigia lasciata semi aperta a terra e agli abiti sparsi un po' ovunque per la camera, come se invece di un essere umano ci fosse passato un ciclone, e sospirai, iniziando a riporli con cura nell'armadio e nei cassetti. Ben presto però mi annoiai e iniziai a riporre alla rinfusa e di malagrazia i restanti abiti sparsi in giro, rendendo il mio armadio più simile a quello di Dr. Jekyll e Mr. Hyde che a quello di una persona sana di mente. Una risatina auto ironica partì dalle mie labbra al pensiero dei miei amici che mi avrebbero risposto che, effettivamente, di sano di mente avevo ben poco, io. Controllai l'orologio e mi accorsi con rassegnazione che era passata solo una mezz'oretta da quando aveva iniziato e che quindi mancavano diverse ore all'appuntamento con Seppo e all'arrivo degli altri. Che fare? Feci vagare lo sguardo per la stanza, alla ricerca di qualcosa di stimolante da fare. La chitarra attira il mio sguardo come se lo calamitasse e un sorriso sornione mi si aprì in viso quando l'afferrai e me la posai sulle ginocchia: potevo pur sempre pensare ad una nuova canzone, no?

 

Diverse ore dopo, in ritardo, entrai come una furia, e con un diavolo per capello, nella sala riunioni in cui ero stato convocato insieme alla band. Non me ne era andata bene una: la canzone che avevo tentato di scrivere non era uscita bene, una corda della chitarra che usavo si era spezzata inspiegabilmente, avevo rovesciato sui miei vestiti preferiti la tazza di caffè che mi ero preparato prima di uscire di casa, il taxi che avevo chiamato era arrivato con mezz'ora di ritardo e, come se non bastasse, aveva bucato una ruota. Tutto questo, ovviamente, aveva fatto sì che io arrivassi con quasi un'ora di ritardo all'appuntamento, vibrante come una corda di violino e sbuffante come una pentola a pressione. Entrai nella sala in cui ero aspettato e salutai con un grugnito poco educato, ma non riuscii a fare di meglio con tutta quella tensione che avevo accumulato. I ragazzi capirono, abituati ai miei momenti no, e non commentarono mentre Seppo mi rivolse un sorriso strano, che non riuscii a decifrare. Salutai anche lui con un mezzo grugnito e sprofondai in una delle poltrone posizionate vicino al muro, ancora coi nervi a fior di pelle.

Ora che ci siamo finalmente tutti, possiamo iniziare”.

Mi distrassi all'istante, come sempre succedeva in quelle occasioni, e mi limitai a guardare fuori la finestra, tentando di attenuare l'arrabbiatura e di rilassarmi, così come riusciva tanto bene a Linde o almeno di passarci sopra con un sorriso come faceva Migè. Quando l'uomo che stava parlando si congedò, lasciando soli noi della band e Seppo, i miei nervi erano sufficientemente distesi, tanto che raccontai a tutti le mie disavventure della giornata e riuscii addirittura a sorriderne, per qualche secondo, e a non irritarmi per la risata generale e plateale che avevano scaturito nei miei amici. Va bene, forse solo per qualche attimo avevo avuto l'istinto di strozzarli. D'accordo, stavo ancora maledicendomi di quell'attacco di sincerità che mi aveva colpito e stavo giusto per soffocare Linde con uno dei suoi amati dread per vedere se poi avrebbe avuto ancora fiato per ridere, quando mi si immobilizzò fra le braccia e spalancò gli occhi, come se avesse visto un fantasma.

Ehi, amico, guarda che anche se soffocandoti non avrei più intorno una seccante e saccente presenza, non potrei mai liberarmi del mio adoratissimo chitarrista, ti pare?”

Non mi guardò nemmeno e non diede segno di essersi accorto che avevo parlato, si avvicinò però di scatto alla finestra che dava sul corridoio della casa discografica e mormorò, con voce sommessa ma sufficientemente chiara da sovrastare il mormorio della sala riunioni, qualcosa che aveva il sapore di un passato ormai lontano e parzialmente dimenticato.

Annika”

Annika. Mi irrigidii e non molto diversa fu la reazione di Migè: da oltre diciassette anni quel nome era diventato un tabù per noi e soprattutto per Linde che al minimo accenno a lei diventava ombroso, taciturno e intrattabile. Non c'era da stupirsi, quindi, che fossimo a dir poco sorpresi, se non addirittura scioccati, quando Linde esordì con quel nome – con quella espressione, poi! – per la prima volta dopo diciott'anni. Mi ripresi velocemente e mi avvicinai anche io alla finestra da cui stava guardando Linde: non c'era nessuno. Mi accigliai, guardando interrogativo Linde che aveva ancora gli occhi fissi nel vetro.

C'era, Ville. C'era. Io l'ho vista” mormorò puntando i suoi occhi azzurri, sgranati, nei miei. Una strana sensazione di deja-vù mi colse alla sprovvista: stesso sguardo, stessi occhi, ma dalla forma decisamente più femminile. Mi riscossi, scuotendo impercettibilmente la testa.

Sei sicuro? Cioè... ” mi bloccai, non sapendo che dire. Linde contraccambiò il mio sguardo confuso con uno un po' perplesso, decisamente insicuro. Improvvisamente qualcosa cambiò in Linde, prese un respiro profondo e i suoi occhi, quando mi rivolse di nuovo lo sguardo, erano diventati impenetrabili come al solito, si staccò lentamente dalla finestra e andò a sedersi sul divanetto che aveva occupato in precedenza, tutto in religioso silenzio.

Amico?” lo fissai preoccupato del repentino cambio d'umore e atteggiamento. Evidentemente la preoccupazione dovette trasparire dalla mia voce perché mi guardò con viso imperscrutabile, per poi aprirsi ad un mezzo sorriso rassicurante a cui risposi con un'occhiata piuttosto dubbiosa. Il rumore di una sedia che si spostava, però, mi riscosse, ricordandomi che non eravamo soli in quella sala e cercai delle plausibili spiegazioni a ciò che era successo senza dover per forza tirare in ballo il passato che aveva tanto fatto soffrire Linde. In fondo, se Linde aveva voluto che nessuno ne fosse a conoscenza, non sarei stato io a parlarne di certo. Gettai un'occhiata di soccorso a Migè che però non mi fu di nessun aiuto, continuando a guardarmi indeciso su cosa fare, allarmato; riportai allora il mio sguardo su Linde che però non sembrava intenzionato a dire nemmeno una parola, più silenzioso di quanto solitamente fosse. 'Fantastico, questo sì che era d'aiuto' pensai sconsolato. Mi azzardai a dare un'occhiata a Burton e Gas, ma i due sembravano solo un po' confusi dal nostro atteggiamento un po' particolare ma non eccessivamente curiosi. Feci cenno loro di non preoccuparsi e loro scrollarono le spalle, riprendendo a parlottare fra loro della riunione appena avvenuta. Tirai un sospiro di sollievo, anche se sapevo che la discussione era solo rimandata e che presto avrebbero voluto delle spiegazioni: speravo solo che quando quel momento sarebbe arrivato, Linde avrebbe preso in mano la situazione. All'improvviso ricordai che nella stanza era ancora presente il nostro manager, che di sicuro aveva assistito a tutta la scena: non sarebbe stato facile convincerlo che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Quando mi girai verso di lui, però, fui io a sorprendermi: Seppo era pallido – più del solito, almeno – e sembrava turbato quasi più di Linde, con gli occhi scuri fissi nel vuoto. Lo osservai per qualche istante sconcertato: era improbabile che Seppo avesse conosciuto Annika, quindi qualunque cosa lo avesse turbato non doveva avere nulla a che fare con quello che era successo e, con un po' di fortuna, non avrebbe chiesto nulla. Tirai un silenzioso sospiro di sollievo, meno parlavo, meglio era: non ero mai stato un granché nelle spiegazioni, soprattutto se riguardavano questioni personali.

Quindi, Seppo, quali erano queste novità per cui ci hai fatto assistere a questa noiosissima riunione?” La voce un po' strascicata di Gas fece rinsavire il nostro manager che, all'improvviso, si alzò, estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e iniziò a comporre velocemente un numero. Mormorò delle parole di scuse, liquidando i nostri sguardi perplessi con un gesto della mano, e si portò l'apparecchio all'orecchio. Una suoneria non troppo lontana, un jingle di qualche cartone animato per bambini, risuonò per qualche istante nel corridoio della casa discografica, ma non ci prestai troppa attenzione, continuando a condividere sguardi perplessi col resto della band. Neanche Seppo diede segno di accorgersene e, quando evidentemente la chiamata si attivò, prese a parlare in modo concitato in una lingua che non conoscevo – italiano, forse, o spagnolo – e l'unica parola, abbastanza frequente, che riuscivo a capire era ''tahti''. Stella? Possibile che il vecchio manager si interessasse di astronomia ora? Tornai a fissarlo, sconcertato.

Che significa che hai sentito la mia voce e stai per entrare? Ragazzina, non vorrai farlo sul serio! Tahti! Tahti!” Nell'agitazione della telefonata, Seppo era passato al finlandese, probabilmente senza rendersene conto e dubitai che la ragazzina avesse compreso qualcosa di quel che aveva detto. La maniglia della porta che si abbassava mi distrasse e voltai il viso, non prima, però, di aver notato lo sguardo sconsolato di Seppo. La porta si aprì con forza, quasi sbattendo contro il muro.

Cosa vuol dire, diavolo di un becchino, che forse non è il caso e di tornare a casa? Sai da quanto tempo aspetto il momento di vedere mio...” La voce si affievolì incontrando troppi sguardi su di sé. Quando incontrai i suoi occhi, di un azzurro chiarissimo, spalancammo entrambi la bocca.

Ma tu sei quello che ieri ha cercato di baciarmi!”

Ma tu sei quella che ieri mi ha preso a schiaffi!”

 

 

Seppo mi aveva dato un appuntamento per le cinque alla casa discografica e mi aveva lasciato i soldi per prendere un taksi dato che non era poi così vicina casa. Soltanto che, alle tre e mezza, ero già pronta e stavo esaurendo le commissioni da fare: avevo già messo in ordine tre volte la mia camera, pulito la cucina e pensato alla cena di questa sera, mandato qualche messaggio ad Ilaria, ancora un po' arrabbiata per la mia improvvisa partenza, e letto qualche pagina del diario della mamma ma avevo dovuto interrompere presto, troppo commossa. Avevo allora deciso di andare a piedi alla casa discografica, pensando di distrarmi con una lunga passeggiata per le strade di Helsinki, inondate di sole, prendendo un gelato e guardando le vetrine dei negozi per quella che mi sembrò un'eternità. Evidentemente avevo calcolato male i tempi perché quando arrivai davanti la casa discografica era passata solo un'ora ed ero, quindi, comunque in anticipo. Sbuffai, scocciata, e non sapendo che altro fare, mi decisi allora ad entrare. Chiesi informazioni ad una signorina con un tailleur verde mela e dall'aria simpatica che, quando avevo detto il mio nome mi aveva rivolto un sorriso aperto e splendente che mi ero trovata a ricambiare all'istante. Kirsti – così si chiamava la donnina verde mela – mi spiegò che lei era una giovanissima produttrice e che Seppo mi aveva affidata a lei nel caso non fosse riuscito a liberarsi in tempo e di accompagnarmi allo studio in cui si trovava che, però, al momento era ancora occupato in una riunione.

Sai Tahti, posso chiamarti così, vero? Sì, dicevo, queste riunioni sono una noia mortale e non credo che ti farebbe molto piacere assistere, sempre a parlare di contratti e percentuali! Fanno a pezzi la musica, sono dei veri e propri squali! Tu sei qui per un provino? Oppure il tuo tutore – si, Seppo me l'ha detto – ti ha chiesto di venire a trovarlo? Un comportamento così tenero per un uomo così ombroso come lui! Bé, non importa. Perché non vai a fare un giro da quelle parti, così ti trovi già lì? Lo studio si trova al quinto piano” Kirsti le sorrise, complice, e le indicò gli ascensori “credo che passerai molto tempo da queste e spero che diventeremo amiche!” Ancora sommersa da quel fiume di parole e dalla vulcanicità di Kirsti, riuscii soltanto ad annuire e sorridere, incerta. Mi sorrise ancora più apertamente, mi schioccò un bacio sulla guancia e se ne andò con passo rapido verso l'entrata, il tailleur verde mela che la rendeva riconoscibile anche a diversi metri di distanza. Passai diversi minuti imbambolata, fissando il punto in cui quella forza della natura era scomparsa, ancora piuttosto basita. Sbattei le palpebre più volte per riprendere il contatto con la realtà e finalmente mi incamminai verso gli ascensori diretta al quinto piano mentre un sorriso vagamente allucinato, ma divertito, si formava sul mio viso, sorriso che poi si trasformò una risata quando, dopo aver premuto il bottone del piano, mi osservai nello specchio dell'ascensore e sulla mia guancia spiccava un rosso quanto perfetto segno di un bacio.

Una volta risolto alla buona il problema 'marchio' – Kirsti utilizzava forse rossetti indelebili? – mi accorsi che ormai erano le cinque e finalmente era arrivata l'ora di incontrare mio padre. Come avrei fatto a riconoscerlo? Avrei riconosciuto in lui, forse, qualche cosa di me? Il mio naso, forse, o i miei occhi, o magari quella voglia così particolare sulla gamba... Cercai di scacciare via questi pensieri: sapevo benissimo di essere molto simile a mia madre, fisicamente, nonna me lo ripeteva continuamente, e che avevo il classico carattere dei finlandesi. Anzi, per quanto diceva lei, degli anziani e burberi finlandesi che sotto sotto hanno il cuore tenero come i dolci ciobar. Ancora con un mezzo sorriso sulle labbra uscii dal bagno in cui mi ero rifugiata mentre un gruppetto di uomini in giacca e cravatta usciva da uno degli studi. Li vidi incamminarsi dal lato opposto da dov'ero io e mi sorse in mente il dubbio che fossero gli ''squali'' con cui Seppo era in riunione e decisi di raggiungerli per chiedere: in fondo meglio che bussare ad una porta in cui c'erano degli sconosciuti, no? Quando gli uomini svoltarono l'angolo, però, mi resi conto di aver perso troppo tempo nei miei pensieri e affrettai il passo nella speranza di raggiungerli prima di perderli del tutto. Passai davanti ad una finestra oscurata, di quelle che sembravano provenissero dritte dritte dalle sale degli interrogatori della polizia, e cercai di sbirciarci attraverso, ovviamente senza risultato, ma sentii delle risate provenire dalla stanza che ad un certo punto si interruppero. Affrettai ancora di più il passo, pensando di essere stata scoperta e riuscii a raggiungere uno degli uomini in giacca e cravatta non appena svoltai l'angolo. In realtà, più che raggiungerlo ci andai a sbattere contro, prendendo una bella botta al naso che mi fece lacrimare. L'uomo – che piuttosto era poco più che un ragazzo – si scusò almeno dieci volte prima che riuscissi anche solo a dire 'sto bene', mi fece sedere su una sediolina di plastica che prima non avevo visto, mi fece promettere solennemente di rimanere ferma lì e si allontanò velocemente. Lo seguii con lo sguardo, ancora un po' stordita dalla botta, e dopo un paio di minuti tornò portando con sé una lattina di tè alla pesca.

E' la cosa più fredda che ho trovato, mettila sul naso e vedi che smetterà subito di far male” mi sorrise, un sorriso contagioso che mi fece battere il cuore un po' più forte. L'intontimento della botta era ormai passato e con la lattina premuta sul viso potei permettermi di osservarlo: era alto, questo lo avevo constatato da subito dato che ero andata a sbattergli col viso in pieno torace, ed era bello, con con i capelli di un biondo chiarissimo che gli ricadevano in ciocche disordinati su due stupefacenti occhi grigi che, mi accorsi solo dopo averlo fissato troppo a lungo, mi guardavano preoccupati. Arrossii, sperimentando anche nuove gradazioni di rosso fino ad allora inesistenti, e distolsi lo sguardo maledicendomi mentalmente per la mia solita sbadataggine.

Mi dispiace infinitamente per prima. Non guardavo dove andavo, stavo cercando di raggiungere quegli squali che sono usciti da quello studio prima e...” mi interruppi, portandomi una mano alla bocca, mentre il ragazzo scoppiava a ridere di cuore. Arrossii ancora per la magra figura che avevo fatto: anche lui era uno di quegli 'squali' di cui mi aveva parlato Kirsti.

Curiosa scelta di termini. In effetti, un po' squali lo siamo, noi burocrati ma solitamente abbiamo un nome” si interruppe un attimo per guardarmi negli occhi e allungò una mano, divertito “Io sono Aleksis Niemi. Ma puoi chiamarmi Alek”

I-io...” mi schiarii la gola “Sono Kointahti Sibelius. Tahti” aggiunsi stringendo la sua mano, morbida ma fredda, che mi procurò un brivido. Alek spalancò leggermente gli occhi.

Sibelius? Come il famoso compositore di Finlandia Jean Sibelius?”

Annuii. “Era il mio bisnonno” Sorrisi della reazione davvero poco elegante che suscitò la mia ammissione su Alek: bocca spalancata e sguardo da pesce bollito. Non potei fare a meno di ridacchiare e, al suono della mia risata, Alek si riscosse richiudendo la bocca e riprendendo un certo contegno, sorridendomi. La risata mi morì in gola e mi sentii arrossire nuovamente, come una bambina alla prima cotta. Cotta? Potevo davvero essermi presa una cotta per un semi sconosciuto?

Credo che sia il tuo cellulare, a meno che la tua tasca non sappia cantare 'Hakuna Matata'” mi rivolse un sorrisetto piuttosto bastardo.

La tasca? Oh no! Santo cielo, l'appuntamento con Seppo!” Con qualche difficoltà riuscii a estrarre il cellulare dalla tasca e rivolsi un ultimo sguardo di scuse ad Alek, risposi.

Seppo? Scusami ho avuto un piccolo contrattempo ma sono, credo, nel corridoio dove ti trovi tu” In quel momento mi illuminai e, tenendo una mano davanti al microfono del cellulare, mi rivolsi ad Alek che mi guardava un po' sorpreso un po' divertito.

C'era Seppo Vesterinen nello studio in cui ti trovavi, vero?” sussurrai. Lui annuii e io gli sorrisi riconoscente. Mi focalizzai, quindi, sulle parole di Seppo.

Tahti, ecco, proprio di questo volevo parlarti. I ragazzi sono stanchi e non so... Vedi Tahti...” la voce di Seppo era allarmata, ma non me ne preoccupai in quel momento. Iniziai ad arrabbiarmi.

Perché parli in italiano? E che significa che i ragazzi sono stanchi?” senza rendermene conto passai anche io all'italiano, sotto lo sguardo stupito di Alek “Cosa staresti cercando di dirmi? Non vorrai rimandare, spero!

Vedi, Tahti, non è così semplice. Ci sono stati dei problemi...” Salutai Alek al volo, bisbigliando una frettolosa scusa e la promessa di ricontrarci e mi incamminai verso il corridoio che mi aveva indicato “... Forse non è il caso, oggi, ed è meglio che torni a casa e organizziamo un'altra volta, con più calma...” Nel silenzio del corridoio sentii la voce di Seppo arrivare ovattata dallo studio da cui erano usciti precedentemente gli uomini in giacca e cravatta.

Ho sentito la tua voce attraverso la porta. Sto per entrare” attaccai il telefono e mi avvicinai velocemente alla porta. Qualche attimo prima di aprire la porta sentii la voce di Seppo chiamare il mio nome, agitato, e la cosa, non so bene il perché, mi irritò particolarmente tanto che spalancai la porta veementemente.

Cosa vuol dire, diavolo di un becchino, che forse non è il caso e di tornare a casa? Sai da quanto tempo aspetto il momento di vedere mio...” La voce mi morì in gola: davanti a me non c'era solo Seppo come mi aspettavo, ma anche cinque ragazzi che mi fissavano sbalorditi. In realtà, solo tre mi guardavano sbalorditi, uno sbiancò leggermente come se avesse visto un fantasma e un altro... Incontrai dei brillanti occhi verdi che mi fissavano scioccati e spalancai la bocca, scioccata anche io.

Ma tu sei quello che ieri ha cercato di baciarmi!”

Ma tu sei quella che ieri mi ha preso a schiaffi!”

Mi accigliai. “A parte il fatto che lo schiaffo era uno... ma certo che ti ho preso a schiaffi, hai cercato di baciarmi! Che dovevo fare, regalarti un fiore?” Mi guardò in cagnesco e ricambiai con uno sguardo altrettanto iroso.

Ma mi hai fatto male!” Sbottò lui. Sentii un rumore, come di risate soffocate, ma non ci badai.

Se volevo farti bene, ti avrei regalato cinque euro” replicai sdegnata. Un coro di risate, ora non più trattenute, interruppe la nostra discussione e in quel momento ricordai la presenza di tutte quelle persone. Mi morsi il labbro inferiore e puntai, quindi, gli occhi in quelli scuri di Seppo.

Vedo che hai già conosciuto Ville, Tahti. Anche se davvero non capisco quando. Ah, e ti pregherei di evitare di chiamarmi 'diavolo di un becchino', è davvero un nomignolo terribile” Sorrise, un po' nervoso, ma non riuscii a ricambiare. Aveva detto che quella persona irritante davanti a me si chiamava Ville. Possibile...

Ville? Seppo, vuoi dire che loro sono...” la voce mi si strozzò in gola, mentre lasciavo vagare lo sguardo su volti di quei ragazzi. Seppo annuì.

Gli HIM, già. Ora vieni qui vicino a me che te li presento. E sì, ora spiegherò a tutti voi le novità per cui siete stati tutti chiamati qui, Gas” Sospirò e aggiunse poi, in italiano “Non potevi proprio aspettare eh, Tahti?” Gelai. Fra quei cinque ragazzoni c'era mio padre e io avevo rischiato di dirglielo tranquillamente e senza accorgermene. Un solo segreto avrei dovuto mantenere e avevo rischiato di svelarlo pochi secondi dopo aver incontrato mio padre. Volevo sotterrarmi. “Scusa, Seppo. Sono un impiastro” Seppo sorrise divertito e, quando fui vicino a lui, mi schioccò un bacio sulla testa, paterno. Gli sorrisi, intimidita e nervosa e lo ringraziai debolmente per il supporto.

Bene. Allora, Tahti, quel ragazzone lì in fondo è Gas, il nostro batterista” sorrisi e Gas alzò una mano in segno di saluto e un ghignetto divertito “Bella quella dei cinque euro” e mi fece l'occhiolino. Di rimando, ghignai anche io un poco. “Il ragazzo coi capelli lunghi è Burton, il nostro tastierista” Salutai anche lui, poi mi rivolsi a Seppo in italiano “Non ricordo di aver letto di loro nei diari di mamma” Seppo scrollò le spalle e mi fece intendere che più tardi avrei avuto tutte le spiegazioni del caso, ma che in quel momento non fosse proprio il caso. Tornai a prestare attenzione ai ragazzi che guardavano me e Seppo un po' straniti.

Da quando sai l'italiano – perché è italiano, vero? – eh Seppo? Si può sapere che ci fa lei qui?” Che voce irritante.

L'italiano lo conosco da anni e lei fa parte delle novità di cui vi accennavo. Comunque lui è Ville Valo, il cantante e frontman del gruppo, anche se credo che ormai non servano presentazioni, vero?” Guardai sconvolta Seppo.

Questo qui è il cantante? Con quella voce irritante? E poi va in giro a cercare di baciare le minorenni!” mi accalorai. Non era proprio possibile che quel tipo fosse il frontman di una band famosa, la band di mio padre!

Ehi tu! Io non vado a baciare le minorenni, come ti è venuto in mente?” Sembrava perplesso, oltre che irritato.

Ehi tu!” gli feci il verso. Gas ridacchiò. “E io cosa sarei, secondo te? E poi ho detto 'cercato' di baciare, non baciato. E per fortuna, direi” Sbiancò leggermente e io mi accigliai. Che gli era preso, adesso?

Tu sei.. minorenne?” Annuii e inarcai il sopracciglio, scettica, nel modo in cui Ilaria mi aveva detto desse più sui nervi alla gente, lei compresa.

Certo che sono minorenne. E' anche per questo che sono finita qui, sai?” affermai, vagamente irritata. Seppo mi mise una mano sulla spalla per riportarmi all'ordine e, allo stesso tempo, per consolarmi. “Mi spiace Seppo. Se fossi davvero maggiorenne non avresti dovuto accollarti la mia custodia” sussurrai in italiano perché solo Seppo capisse. “Tranquilla, ragazzina” mi guardò con quei suoi occhi neri e un moto di affetto mi sorse nei confronti di quell'atipico vecchietto “Ora, se avete finito col punzecchiarvi, finiamo le presentazioni e poi vi spiegherò tutto. Tahti, cara, quell'omaccione barbuto laggiù è il nostro amatissimo bassista, Migè Amour” poi si accostò più vicino al mio orecchio, come per sussurrarmi qualcosa “Anche se sembra un orco, è buono come il pane” Sghignazzai e Migè prima alzò gli occhi al cielo, divertito, poi mi fissò con più attenzione, pensieroso. Distolsi lo sguardo, sapevo cosa cercava in me Migè e non volli scoprirmi prima del tempo, sarebbe bastato il mio cognome a farlo dopo, e lo rivolsi all'ultima persona della sala che ancora non mi era stato presentata: Linde, mio padre. Sentii il mio cuore battere così forte che pensai che tutti potessero sentire il rumore assordante, il respiro mi si bloccò in gola, strozzato da un magone difficile da mandar giù, quando incontrai i suoi occhi, e fu come riflettersi in uno specchio. Gli occhi mi si inumidirono quando lessi nei suoi un turbamento profondo: era evidente che aveva amato mia madre e non ero sicura che sapesse cosa le era successo, ma sperai di non doverglielo dire io.

E infine c'è il nostro preziosissimo chitarrista, Linde” Abbozzai un sorriso timido che non fu corrisposto e che mi addolorò. Cercai di prestare attenzione alle parole di Seppo, ma continuavo a lanciare di tanto in tanto sguardi a mio padre – mio padre! – che però teneva i suoi fissi su Seppo.

Tahti mi è stata affidata dopo la morte della sua bisnonna. Resterà quindi qui con noi per tutto il prossimo anno almeno, il tempo di diplomarsi e di raggiungere la maggiore età. So che vi starete chiedendo cosa c'entrate voi con tutto ciò, ed è presto detto: Tahti prenderà il mio posto. Temporaneamente, ovviamente” Guardai Seppo come se fosse impazzito improvvisamente e fui sicura che anche le altre persone nella stanza lo guardarono allo stesso modo “Ovviamente non sto lasciando la band nelle mani di una ragazzina, tutte le cose più importanti continuerò a sbrigarle io, ma ormai io sono anziano e non posso seguirvi dappertutto. Diciamo che Tahti sarà la mia assistente” Tutto ciò aveva decisamente più senso e, infondo, io nulla avevo da fare fino all'inizio della scuola, quindi guardai Seppo ammirata per la soluzione che aveva trovato e non mancai di dare un'occhiata a mio padre, che sembrava essersi ancora di più scurito in volto. Fantastico, davvero. Persa nei miei pensieri come fin troppo spesso mi era successo da quando ero arrivata ad Helsinki non mi accorsi che Seppo aveva parlato e quindi, quando mi guardò incoraggiante, mi ritrovai ad arrossire e a farfugliare imbarazzata. Tre persone nella stanza spalancarono gli occhi e io mi resi conto di aver appena fatto una gaffe involontaria. La nonna lo diceva sempre che quando ero in difficoltà e farfugliavo ero identica a mia madre. Grande mossa, davvero, Tahti. Un applauso alla tua idiozia. Presi un respiro profondo per calmarmi e decisi di presentarmi a dovere velocemente perché, come diceva nonna Helejna, via il dente, via il dolore. Un sussurro, che arrivò chiaro alle orecchie di tutti, mi impedì di iniziare il discorso

Annika” Era mio padre e, con stupore, mi accorsi che era la prima volta da quando ero entrata che sentivo la sua voce. Era bassa, leggermente nasale, ma calda e mi si inumidirono gli occhi dall'emozione che quella voce mi aveva trasmesso. Sorrisi tristemente.

No, Linde. Il mio nome è Kointahti Mikaela Sibelius. Annika era mia madre”

Il silenzio che accolse le mie parole era di quanto più assordante avessi sperimentato nella mia breve vita. Giocherellai con la linguetta metallica della lattina di tè che avevo ancora in mano, ricordando che non più di mezz'ora prima avevo avuto una simile discussione con un'altra persona e che anche in quell'episodio il mio nome aveva suscitato un silenzio sorpreso, ma erano due tipi di stupore diversi che creavano due atmosfere contrastanti. Quando la voce di Linde si espanse nello studio, sobbalzai, colta di sorpresa.

Hai detto... era?” Mi maledissi mentalmente, mi ero andata a cacciare da sola in una situazione che avevo sperato con tutto il cuore non mi si presentasse.

Mio malgrado quindi, annuii e cercai i suoi occhi, e li trovai che mi fissavano, imperscrutabili. Non riuscii a reggere oltre il suo sguardo e presi a fissare le mie mani mentre prendevo coraggio e un respiro profondo. “Mia madre è morta di polmonite fulminante circa sette anni fa” Percepii uno spostamento d'aria e sentii la porta aprirsi e poi di nuovo chiudersi violentemente e seppi che mio padre non era più nella stanza. Cercai gli occhi di Seppo e mi morsi il labbro, sia temendo di aver rivelato troppo, sia per evitare che le troppe emozioni di quella giornata culminassero in un pianto isterico, ma li trovai fissi sulla porta, preoccupati.

“Ville puoi...?” indicò con un gesto della mano la porta e Ville annuì, uscendo, un po' più pallido del solito “Torniamo subito”

La porta che si chiuse alle spalle di Ville diede vita ad un altro silenzio, anche se meno teso di prima.

“Tua madre era una nostra amica, quando eravamo ragazzi. Io, Ville e soprattutto Linde le eravamo molto affezionati, quindi scusa la sua reazione, siamo tutti e tre piuttosto sconvolti” Migè mi sorrise e io gli sorrisi di rimando, grata di aver spezzato finalmente il silenzio. Gli altri due ragazzi della band si guardarono confusi, ma poi mi sorrisero anche loro. Iniziammo a chiacchierare e Migè mi pose tantissime domande sul mio passato, dov'ero vissuta con mia madre, cosa studiavo, che musica ascoltavo e un migliaio di altri dettagli piuttosto inutili, ma che mi fecero smettere di pensare per qualche minuto a mio padre, raccontandomi in cambio qualcosa in più di mia madre da ragazzina che mi fecero ridere e sorridere. Inizia a fare domande sulla band, chiesi loro di raccontarmi tutto, ed evidentemente mi presero in parola perché, alternandosi nei racconti e interrompendosi gli uni con gli altri, mi riassunsero in breve più di quindici anni di carriera. Ero stupefatta.

“Ma com'è che tu e Ville vi siete conosciuti? Sembrate emanare scintille d'odio dagli occhi ogni volta che li incrociate!” La domanda, più che sensata, di Gas mi fece ghignare un po' e il racconto dell'incontro del giorno precedente fece nascere un po' in tutti lo stesso ghigno che esplose poi in una risata collettiva alla menzione dello schiaffo.

“Non è per nulla carino parlare male degli assenti, sapete?” La voce irritante di un cantante altrettanto irritante interruppe le nostre risate. Mi girai verso di lui e fui felice di non vederlo da solo: la figura bionda di mio padre mi guardava con un misto di malinconia e turbamento, ma ancora non sorrideva. Mi illuminai comunque e quando risposi a Ville, non ci misi la solita acidità.

“Avevo sperato fossi assente un po' più a lungo, a dirla tutta”. Bé, avevo detto non la solita, non che ne sarei stata priva.

“Prima di ricominciare con questi battibecchi da bambini dell'asilo... Tahti, che c'è per cena, stasera?” chiese Seppo con una faccia angelica e golosa che mi fece ridacchiare.

“Pensavo di preparare i bucatini all'amatriciana, che ne pensi?” Più di uno sguardo si illuminò a quella rivelazione e, constatai contenta, anche quello di mio padre.

“Bene, Tahti. Allora stasera tutti a cena a casa nostra!” I ragazzi esultarono come se fossero allo stadio e, divertita, alzai gli occhi al cielo.

“Ah, questi uomini!” Un coro di risate accompagnò la nostra uscita dallo studio e, finalmente, mi sentii a casa.

 

 

Angolo Non-Ti-Scordar-di-Me

 

Ehm.. già, sono proprio io, la vostra carissima ForgetMeNot che, anche se non se lo meriterebbe granchè, ci terrebbe ancora a vivere... Sono giusto inginocchiata sui fagioli (non c'erano ceci in casa, purtroppo) e richiedo il vostro perdono per il mio immenso ritardo.

Finalmente, direi, Tahti ha conosciuto suo padre e anche tante altre persone che saranno più o meno importanti nel corso della storia. Cosa ne pensate di Kirsti e di Alek? È stato divertente per voi leggerli quanto per me è stato scriverli? Sappiatelo, io adoro Kirsti.

Piccole note per il testo: Jean Sibelius è realmente un noto compositore finlandese che, fra le più importanti delle sue composizioni, ha Finlandia che è davvero bella per chi si interessa di musica classica. Ah, e Alek riconosce Hakuna Matata del cellulare di Tahti perchè il motivetto italiano e quello finlandese sono molto molto simili, e poi chi non conosce Hakuna Matata!!

http://www.youtube.com/watch?v=jCRtE0tCPmQ&feature=related

qui troverete la canzoncina in finlandese ^____^

 

Ringrazio di cuore jester248, TheResurrection e _diable_ per aver inserito la mia storia fra i seguiti: vi adoro.

Ringrazio moltissimo chi legge soltanto, ma un ringraziamento speciale va a chi mi recensisce: grazie mille.

Jester248: Credo tu voglia probabilmente strangolarmi o spezzarmi le ditine una ad una ma ti pregherei di non farlo: dopo scriverei ancora più lentamente! :P

A parte gli scherzi, mi hai fatta emozionare tantissimo quando mi hai scritto di avermi inserito fra gli autori preferiti: sono andata in giro saltellante per tutto il giorno e i miei volevano internarmi in una casa di cura o chiamare la neuro! Per le domande che mi hai rivolto la risposta è sì, i ragazzi hanno tutti la loro età, ma non posso dirti altro per quanto riguarda il resto della storia. L'unica cosa che posso dirti è di non preoccuparti per la storia! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! ^.^

A presto!

TheResurrection: Ho soddisfatto la tua curiosità? Kiss Me Licia è stato un cartone che ho adorato e non potevo esimermi dall'inserire una scena, anche se inconsapevolmente, no? Ville ha preso proprio un bello schiaffo ma, a dirla tutta, se lo meritava tutto! Come ti è sembrato questo nuovo capitolo? A presto ^___^

Villina92: Eh già, Tahti ha proprio tirato un bel ceffone a Ville, che se lo meritava tutto! Grande ragazza ma piuttosto goffa: vedi un po' come è andata a finire con Alek! Grazie mille per i complimenti, sono contentissima che la storia ti stia piacendo! A prestissimo! ^.^

 

Alla prossima!

 

Forget Me Not - Myosotis



  
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