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Autore: Shichan    21/11/2010    3 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Già

La verità che continui a cercare

 

 

All’improvviso,

ho sentito un tremendo bisogno di piangere.

 

 

Sbatté un paio di volte le palpebre, cercando di focalizzarsi non sul dolore che sentiva all’arto, ma su quello che riusciva a distinguere in quel buio che gli si parava davanti e che lo circondava.

Il sangue non sembrava uscire in maniera così copiosa da far pensare ad una ferita molto profonda o che potesse mettere in pericolo il braccio; tuttavia ne usciva abbastanza da lasciar intendere che non fosse nemmeno un graffio che ci si procura accidentalmente nella vita di tutti i giorni per distrazione.

Oz puntò lo sguardo di fronte a sé e sulla figura di Glen Baskerville in piedi, ora che la poltrona – come tutto ciò che fino a poco prima era stato nella stanza – sembrava essere sparito.

L’uomo pareva completamente a suo agio: lo sguardo freddo sul ragazzino di fronte a lui, alzò una mano portandola a sfiorare qualcosa in un punto impreciso sopra la propria spalla. Qualcosa che Oz non riuscì a distinguere subito, come se i suoi occhi avessero ancora bisogno di abituarsi all’oscurità che senza preavviso era calata lì.

Quando però riuscì a scorgere con più chiarezza la figura dietro Glen, rabbrividì: enorme rispetto alla persona dietro la quale si trovava, non c’era nulla di umano. Somigliava – se proprio Oz avesse dovuto descriverlo accostandolo ad una figura conosciuta – ad un grifone di quelli che si vedevano nelle illustrazioni dei libri antichi, spesso anche di ambientazione medioevale.

Gli occhi brillavano di una luce sinistra e, così gli sembrava, maligna; tuttavia, Glen carezzava proprio in quel momento le piume poco sopra il becco, come se quel bestione fosse un animaletto domestico come un altro.

«Quello…?» fece per chiedere Oz, senza riuscire a trovare qualcosa di razionale o conosciuto nell’esistenza di una creatura simile.

Glen non perse il sorrisetto divertito che aveva assunto all’apparizione di quella creatura, alla quale rivolse uno sguardo veloce: «Jabberwocky. Una figura che mi affianca ormai da diversi anni.» si limitò a dare come unica spiegazione.

«Creatura affascinante, non trovi?» lo incalzò quindi, come se all’improvviso e a dispetto dell’indole sempre dimostrata nei confronti del biondo, avesse avuto voglia di fare conversazione per passare un po’ di tempo.

Oz scelse saggiamente di tacere per il momento: aveva la sensazione che, se avesse detto qualcosa di particolarmente sgradito a Baskerville non solo non avrebbe avuto le risposte che cercava, ma avrebbe rischiato molto più di un taglio al braccio.

«Sai, devo ammettere che sei dotato di una dose di sfortuna particolarmente abbondante.» riprese Glen in tutta tranquillità, lo sguardo che era sulla creatura chiamata Jabberwocky.

«Seguito dagli spiriti, affiancato da persone che mentono e le poche sincere ti lasciano… come la figlia dei Kolstoj.»

«Sai di Alyster?»

«Differentemente da quanto sei portato a credere non sei il centro dell’esistenza di nessuno.» lo interruppe freddamente portando lo sguardo scuro su di lui per una manciata di secondi, il tempo necessario ad estendere quella freddezza anche agli occhi.

«Le cose accanto a te si evolvono a prescindere dalla tua – perdonami – mediocre vita. E, se proprio vogliamo esprimere un concetto chiaro e preciso, è certo che siano più gli spiriti che non gli umani ad avvertire una vita che si spegne. Al livello spirituale, certamente.» concluse.

Il tono era atono, per certi versi forse anche annoiato, riflettendo la tediosità di un argomento che viene spiegato per l’ennesima volta ad un allievo particolarmente tonto o privo di intuito.

Oz in tutto quel discorso trovò il tempo di formulare in un angolo della sua mente un pensiero che non aveva granché a che fare con il discorso che il moro stava facendo in quel momento: Glen Baskerville più parlava, meno gli piaceva. Soprattutto, iniziava a chiedersi come fosse stato possibile che quella persona, di indole così cupa e diversa da quella di Jack, fosse considerata da suo fratello addirittura il proprio migliore amico.

Tacque, tuttavia, e tenne per sé quel pensiero; supponeva infatti che non sarebbe stato particolarmente gradito.

«Dunque» riprese Glen: «hai intenzione di trattenerti per molto, ancora?» lo incalzò.

Parve che il poco interesse nel fare due chiacchiere si fosse nuovamente spento del tutto in lui. Oz assunse un cipiglio deciso: non era andato ad infilarsi in una presunta tana di spiriti – peraltro abbastanza violenti – per noia o per fare da compagno di chiacchiera a Glen Baskerville assecondandone i capricci del momento.

Anzi, se lo sarebbe volentieri risparmiato se il problema fosse stato solamente quello.

«Quanto basta a chiederti di mio fratello.»

«Non avevo sottolineato nel nostro primo ed unico incontro che non gradisco affatto che ci si immischi nei miei affari?» sottolineò Glen guardandolo.

Oz deglutì, ma cercò di non farsi intimorire: «Sì, ma sei l’unico che sembra possa darmi delle risposte. Il diario di mio fratello lo dipinge come un assassino… ma non credo che sia tutto lì. Ed in ogni caso Jack era mio fratello. Non sono soltanto affari tuoi.» azzardò.

Non seppe cosa di quello che aveva detto avesse attirato l’attenzione di Glen, ma fu chiaro dal mutamento nel suo sguardo che doveva aver detto qualcosa di relativamente importante.

Il moro tacque, per un lasso di tempo che ad Oz parve eccessivo, complice lo stato di ansia misto ad aspettativa – e una certa dose di inquietudine e soggezione – che lo animava in quel momento.

«Attento alle domande che poni. Jabberwocky ti ha ferito una volta e ti assicuro, non esiterà a farlo di nuovo.» gli fece presente, nel tono qualcosa di indecifrabile. Oz, però, fu abbastanza attento da capire che in quel monito vi era un permesso di parlare che sebbene riluttante, Glen gli aveva accordato.

Sorpreso, cercò quasi febbrilmente il modo migliore di chiarire i propri dubbi tramite lo spirito che forse meglio di chiunque altro tra i vivi aveva conosciuto suo fratello.

«Jack…»

«…non era affatto un assassino. Non lo è mai stato e, se anche fosse vissuto a lungo, non lo sarebbe mai diventato.» chiarì in maniera quasi brusca il moro.

Oz, nonostante tutto se ne sorprese: se c’era una cosa certa era che Glen avesse dimostrato dal primo istante in cui gli aveva parlato tramite Elliot, era il pessimo temperamento e il carattere assai discutibile che aveva. Se questo fosse peggiorato dopo la sua morte o fosse sempre stato così Oz non lo ricordava, ma dubitava seriamente – vedendolo e parlandoci ora – che in vita fosse stato un uomo affabile, cortese e sorridente.

Questione di sensazioni.

«Allora perché dice di averti ucciso?» chiese Oz a bruciapelo, portando gli occhi chiari a fissare direttamente quelli scuri di Glen, cercando di non vacillare. Questi aggrottò le sopracciglia, come se qualcosa per un attimo gli fosse sfuggito.

«Perché tuo fratello era uno stupido.» commentò laconico; di primo impatto, dava persino l’impressione di stare insultando la memoria del suo migliore amico. Ma ad Oz sembrò – non sapeva bene perché, visto che non poteva certo vantare chissà quale conoscenza di Glen Baskerville – che fosse uno “stupido” bonario.

Come se non fosse stato davvero un insulto pronunciato con cattiveria o con il chiaro intento di offendere.

«Aveva la pessima abitudine di colpevolizzarsi di ogni minima cosa che gli accadeva intorno. Sarebbe stato capace di dire che quel giorno nevicava perché svegliandosi aveva posato a terra il piede destro anziché il sinistro.» chiarì senza che fosse richiesto.

Se non si fosse trovato nel completo buio dove l’unica cosa visibile oltre Glen era quel grifone gigante e se solo non avesse avuto la sensazione che muovendo un dito in maniera errata gli si sarebbe potuto avventare contro chissà cosa, magari Oz avrebbe anche ridacchiato.

Jack era… esattamente il tipo di persona che Glen con quella frase aveva descritto con ironia bonaria.

«Non nego che nella mia morte sia implicata la sua presenza. Ma in termini strettamente fisici… io ho ucciso me stesso. Nessun altro è colpevole di nulla.» concluse.

Oz cercò di analizzare meglio che poté quelle sue parole; cercava di capire se ci fosse qualcosa di preciso che avrebbe dovuto cogliere, quasi dovesse obbligatoriamente esserci un indizio che potesse rivelargli più di quanto non facesse la frase pronunciata.

«Perché ti sei… tolto la vita?» chiese con cautela, quanta più poté almeno.

Glen incurvò le labbra nel sorriso sardonico che gli aveva già rivolto in precedenza: «Manchi completamente di tatto, giovanotto.» lo apostrofò – e in quel “giovanotto” sembrava esserci più derisione per un’infantilità che aveva colto, piuttosto che l’affetto dell’amico di tuo fratello che ti ha visto crescere.

«Ed io, peraltro, non sono tenuto a risponderti. Quello che cercavi da me non era forse la conferma dell’innocenza di tuo fratello? L’hai avuta. Ora vai, dunque. La tua presenza non è richiesta; e, dopotutto, non è questo un luogo che si addica ai vivi.» concluse, l’espressione che – chissà perché e dovuto a cosa poi – era tornata annoiata, priva di interesse per qualsiasi cosa.

Oz si morse il labbro inferiore.

Non poteva ancora andare via, per quanto fosse pericoloso tentare la sorte con Glen e il suo presunto animaletto da compagnia.

«Io non ho mai dubitato di Jack. Sono stato stupito da quello che ho letto dal suo diario, è vero, ma non ho mai pensato di mio fratello che fosse una persona cattiva. Lo conoscevo e… e so che non avrebbe mai potuto uccidere nessuno. Quel diario è… triste. Terribilmente. Ma non solo per la malattia di cui Jack parla. È triste per Gilbert e Vincent, anche se non so bene cosa temesse mio fratello. Era triste per me e la nostra famiglia. E… sembrava triste per te.» azzardò.

Sembrava, o così Oz aveva colto, che nel parlare di Jack Glen tendesse ad ammorbidirsi quel tanto che bastava a non minacciarlo né a tentare di allontanarlo con la forza.

Per cui sperava che, almeno così, avrebbe avuto il permesso di continuare a parlare quanto serviva per riuscire almeno a capire; notò Glen guardarlo con la coda dell’occhio, e interpretò il suo silenzio come un invito a proseguire, almeno per il momento.

«Jack si accusava di molte cose nei tuoi confronti. Di averti mentito, o di pretendere troppo. Io non ho idea di cosa intendesse, ma se c’è una cosa chiara è che… Jack ti considerava esattamente come se anche tu fossi stato della famiglia. Nonostante ti descriva come qualcuno di rango superiore ai Bezarius, come una persona distante… tu eri il migliore amico di mio fratello. Jack stava morendo. E una delle ultime cose che ha scritto in un diario che forse pensava sarebbe andato perso dopo la sua scomparsa… è stata la data della tua morte.» continuò, facendo una breve pausa.

Nemmeno per lui era facile parlare: condividere qualcosa di Jack, era stata una cosa che non aveva mai fatto. Da quando era morto, di suo fratello in casa non si era praticamente più parlato.

Troppo presto un Oz bambino aveva imparato che “non doveva parlare del fratellone davanti a papà”; lentamente la morte di Jack era rimasta solo nella sua testa, e giorno dopo giorno si era quasi torturato ricordando tutto ciò che poteva del periodo in cui il primogenito dei Bezarius era ancora vivo.

Lo aveva fatto da solo: né con Ada, che avrebbe potuto ampliare la gamma di ricordi di cui disponevano, né con Gilbert che non aveva più visto per diversi anni.

Jack era stato un tesoro estremamente prezioso la cui esistenza era stata taciuta e soffocata nella propria testa per tanti anni: un po’ per paura, un po’ per il dolore.

Un po’ – egoisticamente e infantilmente – per il timore che parlandone, quel ricordo potesse svanire.

«Perché qualcuno come te doveva…?»

«Solo perché non ti viene data risposta, non significa che la domanda non sia chiara.» lo interruppe Glen, freddamente ma apparentemente abbastanza propenso a parlare. O a non cercare di farlo azzannare.

«Avvicinati.» comandò, osservandolo e rimanendo in attesa.

Oz deglutì, senza alcuna certezza che eseguire fosse la cosa giusta da fare; si avvicinò, lentamente, senza distogliere lo sguardo dal moro.

Si fermò quando fu a pochi passi da lui, in silenzio: Glen tacque a sua volta, osservandolo.

«Quando pensi a Jack, quali sentimenti ti animano?» domandò quasi a bruciapelo e, complice che fosse l’ultima domanda che si sarebbe aspettato, Oz rimase imbambolato quasi.

«Non voglio una risposta ovvia. Una verità per una verità.» lo anticipò l’altro, ed Oz abbassò lo sguardo.

«…Sono arrabbiato.» se ne uscì: «Quando penso a Jack c’è… ci sono così tante cose che mi rendono debole, da farmi rabbia. Ma soprattutto perché lui? Era… giovane. So che razionalmente non è giusto pensare che la morte per qualcuno sia “dovuta”  e per qualcun altro no. So che è così. Eppure Jack era giovane, era sempre stato bene e all’improvviso, senza un motivo, una malattia lo porta via senza che nessuno possa fare nulla. È così… frustrante. E so che anche se non l’ho trovato giusto e vorrei vederlo… Jack non c’è più. Proprio come Alyster, lui non c’è più da nessuna parte. Non c’è nulla che io possa fare, non esiste un modo per incontrarlo, non importa quanti anni io aspetti. C’è solo quello che ricordo e fa solo male.» pronunciò, il tono basso, che forse nonostante il suo impegno tremava un po’.

Svelarsi a Glen non era geniale.

Nulla gli garantiva che quella risposta andasse bene, né che ci fosse effettivamente una “risposta giusta”; a maggior ragione, non aveva nessuna sicurezza che ora, toccato dal suo discorso Glen avrebbe risposto alla sua domanda – sempre ammesso che ne avesse mai avuta l’intenzione.

Avvertiva il suo sguardo, senza però una sensazione particolare con esso: non avvertiva freddezza né dolcezza, non c’era irritazione ma nemmeno benevolenza.

«Non c’è solo il ricordo.» lo corresse: «Quando pensi a Jack, lo ricordi. Da quel punto in avanti, c’è soltanto la tua disperazione.» aggiunse, tacendo qualche istante.

«Una disperazione così buia che un abisso qualsiasi non reggerebbe il confronto. Quella è una delle due possibilità per chi rimane in vita. L’altra, perché tu lo sappia, è dimenticare ogni giorno quello che la causa, ricordandolo forse in un anniversario di morte finché persino quell’unica volta perderà di significato.» concluse, forse cinicamente, ma Oz sentì di capire in qualche modo cosa intendesse.

Glen si mosse, dunque, ripristinando la distanza fra loro come se non avesse mai chiesto al biondo di avvicinarsi a lui; si sedette – su cosa, con tutta quell’oscurità, Oz non avrebbe saputo dirlo – e portò nuovamente la mano a sostenere il volto.

Sospirò, e ad Oz parve stanco quasi; Jabberwocky era fermo ed immobile, come se la lontananza del suo presunto padrone significasse per lui l’immobilità assoluta.

«Io non avrei potuto dimenticare. Non vi ero riuscito, con Jack sarebbe stato un tentativo altrettanto inutile.» spiegò senza riserve, almeno in quel caso: «Per contro, la disperazione di cui entrambi siamo ancora a conoscenza era stata mia compagna già abbastanza a lungo perché io ritenessi impossibile convivere da solo con essa ancora per molti anni.» aggiunse infine con un sospiro leggero che sfuggì appena fra le labbra, i capelli scuri che coprivano parzialmente il volto ora.

Oz lo osservò e parlò prima che il buon senso o qualsiasi altra cosa potessero fermarlo.

«Prima di Jack avevi già perso…» voleva dire “qualcuno”, ma il collegamento mentale – benché non confermato da nulla in realtà – fu istintivo, totalmente: «…Lacie era una persona?» sputò fuori quasi, in un misto di sorpresa, consapevolezza e qualcosa di contrastante con tutte le sensazioni che aveva avuto da quando stava fronteggiando Glen.

La prima cosa di cui prese coscienza il biondo, fu la propria schiena che cozzava violentemente contro la parete – o almeno supponeva che fosse quella.

In sequenza, dopo di essa, ci fu il fiato caldo e pesante di Jabberwocky pericolosamente vicino al suo corpo e il gelo dello sguardo di Glen addosso mentre lui perdeva fiato per un istante a causa del contraccolpo e tossiva l’attimo dopo.

«Non tornare mai più in questo luogo. La prossima volta non ti sarà risparmiata la vita.» pronunciò Glen, glaciale, senza scostare lo sguardo da lui.

«Non lascerò che nessun altro interceda per te una seconda volta: né il patto di non aggressione agli umani con l’erede dei Kolstoj, né altro. Non avvicinarti mai più a questo posto. Giacché non sei Jack, per me la tua vita non ha il minimo valore.»

 

 

Richiuse la porta, facendogli cenno di accomodarsi dove preferiva.

Sirjan mantenne per qualche istante lo sguardo sul docente, prima di eseguire e sedersi su una poltroncina; Break lo imitò in breve, mentre Rufus Barma rimaneva in piedi, lo sguardo sul ragazzo.

Sirjan non attese di essere incalzato né altro, e parlò direttamente, il tono calmo che lo aveva sempre contraddistinto: «Mi dispiace per l’ora tarda, ma ho pensato fosse importante abbastanza da comunicarvelo il prima possibile.» esordì, suscitando quasi subito la curiosità di Break.

Sirjan solitamente non aveva mai rapporti così urgenti sugli studenti, perciò quello poteva considerarsi un episodio più unico che raro; annuì leggermente, per incalzarlo a proseguire.

«Non vengo come capo dormitorio.» aggiunse il più giovane, destando stavolta anche l’attenzione di Rufus. Se Sirjan non veniva come tramite fra gli studenti e i docenti, significava che l’unico altro ruolo che poteva ricoprire in quel momento era quello di erede dei Kolstoj.

Barma tacque: aveva idea che averlo lì in quella veste non fosse proprio una cosa di cui essere lieti. Conosceva quel ragazzo da abbastanza tempo da intuire che non fosse per complimentarsi con loro, quel colloquio richiesto quasi frettolosamente.

«Arriverò velocemente al punto. Le cose stanno andando in un modo tale che, fra poco, rischio di essere costretto ad intervenire.» chiarì da subito il soggetto principale della questione, senza aspettare cenni o altro, ma proseguendo per proprio conto.

«Non mi interessa se cercate la verità per vostro diletto o altro. Dal momento che è ben difficile ottenerla non mi preoccupa, e d’altronde nulla nelle regole della mia famiglia mi impone di far sì che le persone non cerchino di scoprire qualcosa. Io devo custodire delle informazioni. Diciamo quindi che, in linea di massima, finché rimanete in una posizione “innocua”, i vostri movimenti non mi interessano.» spiegò più chiaramente possibile.

Break sorrise, un incurvarsi di labbra fra il divertito per aver smosso addirittura l’erede dei Kolstoj e quello di chi è stato beccato in flagrante con un infantile “ops” a palesarlo.

«E quindi sei qui perché…?» lo incoraggiò a proseguire, anche sfacciatamente da un certo punto di vista.

Sirjan puntò lo sguardo su di lui, mentre Rufus sospirava appena seccato – quell’idiota di Xerxes non avrebbe mai imparato a fare l’adulto a suo avviso.

«Sono qui perché state sfruttando uno studente, l’unico che ho l’obbligo di allontanare dalla verità peraltro, per i vostri comodi. Vi sto avvisando che, se doveste continuare, io non potrò intercedere per nessuno e dovrò mettermi di mezzo.» replicò, serio.

Break fischiò d’ammirazione: «Oh-oh, questo sì che è preoccupante. Non ti ho mai visto intervenire come Kolstoj, non ho avuto questo piacere lo ammetto.» commentò, ma non sembrava davvero preoccupato, né prenderlo troppo seriamente.

Sirjan accigliò appena lo sguardo, più che infastidito come se gli sfuggisse qualcosa del suo interlocutore.

Il docente mantenne lo sguardo su di lui, con la stessa espressione quasi beffarda: «Lungi da me infierire sull’argomento o manipolarlo, Sirjan, ma non sarà che stai prendendo Oz in simpatia? O sotto la tua ala protettiva? Perché vedi, mi sarei fatto un’idea in proposito.» buttò lì quasi casualmente, Rufus che abbassava lo sguardo verso di lui come se non capisse per primo dove l’altro stesse andando a parare.

Sirjan stesso non mutò particolarmente espressione, limitandosi ad un: «Sarebbe?»

«Sarebbe che in fondo a te, delle sorti di Oz Bezarius, non è mai interessato granché. Non è un’accusa, bada bene: dopotutto tu non sei la balia di nessuno, il ruolo è un altro e non hai l’obbligo di proteggere qualcuno che continua ad immischiarsi nella verità che devi nascondere, giusto?» incalzò, ma non ne attese la risposta – era chiaramente una domanda retorica.

«Dunque mi stupisco di questo improvviso, mh… attaccamento? Riguardo? Chiamalo come preferisci. Mi sono fatto l’idea che forse ti senti in dovere perché Alyster lo aveva preso in simpatia. Ma è solo una supposizione, chiaramente.» aggiunse l’ultima constatazione quando, in un movimento veloce e quasi impercettibile, Sirjan lo aveva bloccato sulla poltrona, la mano pericolosamente vicina al collo del docente.

Il ginocchio faceva perno su un lato della poltroncina, e il corpo era proteso in avanti; l’espressione del viso, nonostante i lineamenti non fossero sfigurati palesemente da rabbia e irritazione, risultava inquietante: se Oz l’avesse vista, di certo gli avrebbe ricordato quella spaventosamente disgustata e piena d’odio che aveva intravisto quando Sirjan aveva fronteggiato Cheshire.

Break non mosse un muscolo, non mutò espressione a sua volta, né ritrattò quanto detto.

«Non mi stupisco che dall’alto della tua indole meschina, piuttosto famosa aggiungerei, osi mettere di mezzo il nome di mia sorella. Ti consiglio di non farlo una seconda volta. Ti piaccia o meno, qui ho più potere di te, signor professore. E ti ricordo anche che, nonostante tu faccia finta di nulla, devi a me di avere ancora almeno un occhio funzionante. O quasi.» mormorò piano, il tono gelido.

Rufus non si mosse per fermarlo: sapeva a cosa Sirjan alludeva – all’incidente di qualche anno prima con Cheshire, in cui Break aveva quasi perso entrambi gli occhi, uno dei quali era salvo solo grazie all’intervento di Sirjan in quell’occasione. Anche se, comunque, la vista di Break da quell’unico occhio stava peggiorando considerevolmente col passare del tempo.

«Quindi, lascia che io concluda il monito per cui sono venuto a quest’ora.» riprese il più giovane senza muoversi dalla sua posizione attuale: «Smetti di ficcanasare. O, se proprio ci tieni, smetti di usare Oz Bezarius. Ci siamo intesi?» pronunciò, spostandosi quindi e tornando in posizione eretta, senza sedersi di nuovo però.

Break, l’espressione indecifrabile, incurvò labbra in un sorriso che risultò più seccato che altro: «Ecco perché odio i ragazzini saccenti.» commentò solamente, ma Sirjan parve leggervi la risposta che voleva sentire.

Si mosse quindi verso la porta, senza aggiungere altro, facendo per uscire; fu Rufus a fermarlo: «A prescindere da quello che facciamo, quel ragazzo finirà in mezzo alla verità che tanto vuoi allontanare da lui, non importa quanto impegno ci metterai. Lo sai, vero?» lo interrogò.

Sirjan si voltò: «Se succederà, sarà perché ci arriverà da solo. Perché ti assicuro che né Jack né Glen Baskerville, sono interessati a metterlo in mezzo ad una questione che è morta insieme a chi vi era invischiato. E non si tratta né di un segreto di Stato, né di qualcosa che potrebbe salvare o distruggere il mondo. È solo il segreto di due persone, forse tre, che ormai non ci sono più. Si tratta solo di far soffrire o meno le persone che sono rimaste in vita.» fece presente, parlando chiaramente, sincero come per il suo ruolo era in poche occasioni.

Abbozzò un sorrisetto enigmatico: «Ma questo istinto di protezione, non pretendo che voi lo capiate. Buonanotte.» pronunciò, richiudendo la porta dopo essere uscito.

 

 

Era da poco passata l’ora di cena, quando Oz si alzò dal tavolo dove aveva mangiato con la solita compagnia: anche se Noah non aveva preso il discorso a tavola, era quasi certo che avesse raccomandato ad Alice e Marcus di non toccare l’argomento “litigio” mentre erano a cena.

Aveva apprezzato la premura e aveva mangiato tranquillamente, parlando di argomenti leggeri e ridendo di uno dei tanti aneddoti del suo compagno di stanza – supponeva che non si sarebbe mai annoiato ad ascoltare le imprecazioni dell’amico contro la Barma, perché aveva una fantasia tale che non suonavano mai ripetitive.

Aveva cercato di non guardare verso Ada, al tavolo con i compagni di anno; piuttosto aveva tenuto d’occhio, sebbene con discrezione per evitare di farsi notare proprio dalla sorella, Elliot.

Al tavolo con i fratelli e Reo come al solito, aveva aspettato che si alzasse e che varcasse la soglia della mensa. E ora, si era appena congedato da Noah e gli altri – devo dire una cosa ad Elliot, ci vediamo dopo in stanza Noah, aveva detto, uscendo quindi anche lui.

Si mosse veloce, occhieggiando nell’atrio per ritrovare la figura del più giovane dei Nightray, riuscendo fortunatamente ad inquadrarlo prima che sparisse fuori dalla porta dell’ingresso principale.

«Elliot!» chiamò per attirarne l’attenzione, riuscendovi senza difficoltà; il castano si voltò, l’aria interrogativa che assunse forse un’aria perplessa quando notò chi l’aveva chiamato. Si fermò comunque – meglio che voltarsi e tirare dritto fingendo di non averlo sentito, almeno… - rimanendo in attesa, Reo al suo fianco.

Oz li raggiunse, rispondendo con un sorriso all’incurvarsi di labbra amichevole di Reo; passò lo sguardo su Elliot che, una mano sul fianco, sembrava in attesa di qualsiasi cosa Oz dovesse dirgli per poter tornare alle proprie occupazioni.

Il biondo tentennò: «…hai un po’ di tempo?» borbottò. Non che fosse particolarmente a disagio con Elliot – l’ultima volta che avevano parlato non era andata così male, perciò forse potevano avere un rapporto almeno da civili compagni di scuola.

Elliot parve sulla difensiva, come se non capire dove Oz volesse andare a parare lo facesse sentire in qualche modo vulnerabile: «Stavo andando a prendere gli spartiti per tornare a suonare nell’altro edificio.» replicò, lasciando che il biondo valutasse se quanto doveva dirgli avrebbe richiesto più o meno tempo da essere compatibile con la cosa.

Oz sembrò pensarci su qualche istante, dopodiché rivolse all’altro uno sguardo deciso: «Posso venire ad ascoltarti?» chiese, con l’agitazione di un bambino che emozionato chiede di poter osservare da vicino un suo beniamino – sebbene celata nella voce: aveva pur sempre una dignità da difendere, con Elliot.

La reazione di Elliot fu inaspettata, almeno per lui: sgranò appena gli occhi dalla sorpresa, nonostante ci fu un palese tentativo di non darlo a vedere. Dopodiché – Oz fu certo di scorgerlo complice l’illuminazione del giardino dell’istituto – ci fu un rossore imbarazzato leggero ad imporporare le guance del castano.

Assunse però quasi subito un’espressione seccata, stizzita, voltandosi dall’altra parte: «Tsk, fai come ti pare se hai tanto tempo da perdere!» sbottò, iniziando ad avviarsi.

Oz rimase fermo per qualche attimo, stupito, cercando quasi una conferma in Reo che sorrise con fare complice prima di avviarsi al fianco di Elliot, invitando il biondo a fare lo stesso con un cenno del capo.

 

Aveva ascoltato Elliot suonare, per quanto non lo sapeva.

Ma, dal momento che guardando dalla finestra le luci dei dormitori risultavano quasi tutte spente, Oz aveva supposto che si fosse trattato di ore. Almeno due.

Era rimasto in silenzio, senza dire nulla ad Elliot; aveva atteso seduto vicino alla finestra dell’aula di musica, il gomito poggiato al davanzale, lo sguardo fuori che non aveva osservato nulla di particolare.

Aveva ascoltato ogni brano che il castano aveva suonato, quasi tutti senza imperfezioni; aveva ascoltato Lacie, dapprima suonata da sola e poi a quattro mani – cosa che lo aveva portato a spostare l’attenzione e lo sguardo verso il centro della stanza, dov’era il pianoforte, per notare Reo seduto al fianco di Elliot che suonava con lui.

Se ne era un po’ stupito, perché non sapeva né aveva sospettato che anche Reo suonasse il piano: tuttavia l’effetto che ottenevano insieme era bello, e piacevole all’udito.

Perciò ora ascoltava, ancora in completo silenzio, la melodia che insieme stavano facendo giungere al termine.

Fu solo quando le note si interruppero sfumando nel silenzio della stanza e il sospiro di Elliot fu l’unica cosa che le seguì che Oz parlò; con un sorriso ammirato, si rivolse a Reo: «Sei bravo, non sapevo suonassi anche tu.» esternò la considerazione fatta mentalmente.

Reo stava per dire qualcosa, probabilmente un ringraziamento per il complimento di Oz, ma Elliot lo interruppe parlando per primo.

«Insomma, cosa c’è?» se ne uscì, agitato a quanto si coglieva dal tono di voce appena impaziente: «Non penso proprio che tu sia venuto qui per ascoltarmi suonare due ore di fila.» commentò eloquente.

Solo per essere smentito pochi istanti dopo; Oz abbozzò un sorrisetto, l’indice che sfiorò la guancia in una movenza un po’ infantile ed impacciata: «A dire il vero a me piace ascoltare quando suoni.» fece presente, come se avesse pensato che fosse ovvio e si fosse invece ritrovato a dover spiegare qualcosa che dava per scontata.

Ciò che accadde dopo fu una reazione prevedibile, ma anche la condanna a morte dell’orgoglio di Elliot Nightray; il castano arrossì, anche se non vistosamente abbastanza da essere visibile. Imbarazzato, ribatté con uno sgarbato: «Non prendermi in giro, nano!» rivolto ad Oz.

Il biondo lo fissò dapprima sorpreso e poi, cercando di trattenere una risata.

Senza un vago successo, tra l’altro.

Ma la vera rovina di Elliot, fu che nel momento in cui Reo aprì bocca fu chiaro da che parte stava: e non era quella dell’erede dei Nightray.

«Perdonalo Oz, Elliot si imbarazza facilmente quando si complimentano riguardo il pianoforte.» fece, placido, neanche fosse la madre del castano e ne stesse scusando l’indole burbera; l’interessato non fece in tempo a dire nulla, che il biondo lo precedette: «Oh, davvero? Ma non dovrebbe sentirsi in imbarazzo! È una sua peculiarità, no?» fece eco, rivolgendosi al moro come se Elliot non fosse nemmeno presente nella stanza.

«Concordo, ma sai, è di indole timida.»

«Più che timida, è un po’ scorbutico… o dici che è per nascondere la sua anima gentile e fragile?»

«Mh… è un punto di vista interessante. In effetti, quando era piccolo e Padron Gilbert era appena arrivato a casa, Elliot per ammirazione lo trattava veramente male.»

«…Ma che modo di ammirare sarebbe?»

«Credo si tratti di—»

«La volete piantare?!» sbraitò Elliot, interrompendoli bruscamente e dando uno scappellotto – neanche tanto leggero – ad Oz, lanciando invece un’occhiataccia a Reo che, con perfetta calma e compostezza accompagnate da un sorriso leggero commentò con un: «Elliot, questo non è un po’ eccessivo?» indicando il punto colpito dal castano.

Mentre Oz si massaggiava la parte lesa, Elliot riempiva la stanza con la sua voce decisamente poco soave, rivolgendo al servitore un: «Mi sfotti con quel nano biondo e poi vieni a dire a me che sono eccessivo?!»

Reo ridacchiò, senza replicare – cosa che, effettivamente, non fungeva da calmante sul castano.

Elliot fece schioccare le labbra in un verso stizzito, tornando su Oz: «E quindi? Hai anche litigato con tua sorella perché dovevi parlarmi e lei non voleva, giusto?» tirò in ballo, senza la minima parvenza di tatto che fu accolta da un sospiro del moro al suo fianco, senza commenti stavolta.

Oz sgranò appena gli occhi, quasi lo avesse dimenticato, sfruttando la musica di Elliot per trascurare almeno un po’ il discorso che avrebbe voluto affrontare con lui.

Nonostante la mente fosse piena ancora della voce e delle parole di Glen Baskerville, questo non gli aveva permesso di accantonare completamente il discorso fatto con Break e soprattutto la rivelazione che il docente gli aveva fatto volutamente.

«Ho parlato con una persona.» iniziò, prendendola un po’ alla larga forse, ma nemmeno lui sapeva esattamente come porre la domanda. Ma capì un po’ dall’occhiata di Elliot – mentre questi si sedeva nuovamente incrociando le braccia al petto – un po’ da solo, che tirarla per le lunghe di certo non lo avrebbe ben disposto, né avrebbe agevolato il discorso o lo stesso Oz.

Perciò sospirò, come a cancellare quelle prime parole e a ricominciare da capo.

«Elliot, vorrei parlare con te di Glen Baskerville.» disse, il tono deciso a non lasciar perdere il discorso anche se l’altro si fosse dimostrato ostico nel portarlo avanti. Gli occhi chiari si soffermarono su di lui, quasi a volergli dare il tempo di assimilare l’argomento e al tempo stesso spiandone la reazione.

Contrariamente a quanto si era aspettato forse, Elliot non fece nulla di particolare: tacque, ricambiando lo sguardo come se fosse in attesa del resto del discorso per poter decidere se rispondere o meno. Reo lo guardava portando l’attenzione ora su uno, ora sull’altro.

«E cos’è che vorresti sapere da me? Non sono né un lontano parente, né qualcuno che ne abbia studiato la storia come se fosse un personaggio famoso.» gli fece notare, una nota stizzita nel tono di voce che usava per parlare in quel momento. Oz non deviò lo sguardo, rimanendo serio: «Ma sei stato tu che lo hai trovato.» rimbeccò.

Sapeva che non era il modo migliore di prendere l’argomento; immaginava che, se davvero Elliot lo aveva trovato da bambino, la cosa doveva essere stata a dir poco traumatizzante.

Un ragazzino che trova un cadavere in una pozza di sangue sarebbe stato uno spettacolo discutibile già per un adulto, figurarsi nel caso del castano. Però Oz aveva perso la lucidità per analizzare le situazioni, per pensare ad una qualsivoglia strategia che potesse portargli più informazioni possibili.

Era solo stanco e, infantilmente, voleva trovare presto delle risposte.

Voleva solo sapere che suo fratello, come aveva sempre creduto d’altra parte, era un ragazzo normale che era morto sì in giovane età, ma senza essere messo in mezzo a nulla di strano.

Dopodiché, egoisticamente, di cosa fosse accaduto a Glen Baskerville o al perché si fosse ucciso non era interessato; se non sfiorava in qualche modo la memoria di suo fratello, allora non era nulla che lo riguardasse.

Anche la questione degli spiriti che sembravano dimorare a Latowidge, avrebbe perso di importanza se soltanto non avesse più volte finito con l’incrociarli nella ricerca della verità.

Elliot non gli sbraitò contro. Assunse un’espressione che Oz non gli aveva mai visto, piuttosto: un sorriso leggero, mesto e amareggiato come se avesse ricevuto una grossa delusione e stesse deridendo se stesso per essere stato così sciocco da credere a quel qualcosa che ora si rivelava tutt’altro.

«Alla fine, quindi, non sei diverso da tutti gli altri. Anche tu vieni, incuriosito chissà perché dall’idea di un ragazzino che trova un cadavere. Pensi che sia stato divertente, immagino, o almeno degno di attenzione. Allora va bene, ti accontento. Tu e la tua schifosa curiosità.» esordì, parole dure e piene di disgusto.

Probabilmente, pensò Oz, molti adulti allora dovevano aver indagato sulla cosa sottoponendo Elliot allo stesso racconto per chissà quante volte.

Però voleva chiarire che ciò che voleva sapere, non era quello che Elliot stava certamente immaginando in quel momento.

«Vuoi sapere cosa, mh? Quanto sangue c’era? Molto. Più di quanto tu possa immaginare sul cadavere di una persona. O vuoi sapere com’è morto materialmente?» lo incalzò, senza però dargli tempo di rispondere ponendo domande a sua volta: «C’era una spada. Si è trafitto con una spada, ecco com’è morto ed ecco il perché di tutto quel sangue. E se vuoi sapere com’era, era come qualsiasi altro defunto sulla faccia della terra: era pallido, era immobile e sembrava che dormisse. Ma questo tu non dovresti forse saperlo meglio di me?» insinuò, forse crudelmente a giudicare anche dalla mano di Reo che andò a posarsi sulla sua spalla in un tacito monito riguardo le sue parole.

«O forse vuoi sapere com’è stato trovarlo? È stato uno schifo. C’era puzza, avevo la nausea, ed era uno spettacolo che mi sarei risparmiato a dir poco volentieri, ecco com’è stato!» sbottò, alzandosi in piedi istintivamente, quasi ad enfatizzare le parole.

Oz aveva abbassato lo sguardo, e le prime parole che scivolarono fra le labbra suonarono probabilmente incoerenti con la sua decisione a volerne sapere di più.

«Ti chiedo scusa.» pronunciò, il tono basso che risultava udibile solo per il silenzio che aveva nuovamente riempito la stanza dopo le ultime parole dell’altro: «Hai ragione. So meglio di te che aspetto ha una persona morta. E so che vederlo da bambini non è affatto divertente.» aggiunse, come a fargli notare che anche nel suo caso se lo sarebbe volentieri risparmiato.

Anche se la situazione di Jack era stata molto diversa, di certo meno traumatica visivamente.

«Però io non volevo ficcanasare su questo.» chiarì Oz, portando nuovamente lo sguardo su Elliot, sincero: «Quello che volevo chiederti è… come mai lo hai trovato proprio tu, ad esempio. Di tante persone che probabilmente lo circondavano, come la servitù, lo hai trovato tu. In casa Baskerville.» puntualizzò.

Era strano che proprio il figlio minore dei Nightray trovasse morto l’erede di un’altra famiglia in un giorno qualsiasi; il problema era che qualsiasi altra supposizione sfiorava il surreale.

Elliot era un ospite abituale dei Baskerville? Difficile. Non c’erano bambini della sua età che lo giustificassero e dubitava che Glen avesse l’indole tipica di chi ama giocare con un ragazzino tanto più piccolo di lui.

Glen si era ucciso con i Nightray in casa? Bizzarro. Dubitava si fosse suicidato per qualunque cosa avesse portato la famiglia di Elliot alla tenuta dei Baskerville quel giorno, perciò era difficile che fossero stati loro la causa scatenante. E – ma era qualcosa di azzardato, perché non conosceva Glen a tal punto – era sconveniente togliersi la vita con degli ospiti quando appartenevi all’alta società.

Significava fare volontariamente della propria morte uno scandalo.

Elliot era lì per puro caso? …sembrava assurdo pensare ad una casualità da qualche tempo a quella parte.

Non esternò tutte quelle ipotesi che aveva fatto, ma rimase in attesa di una risposta da parte dell’altro; il castano, per contro, sembrava confuso. Come se non si fosse aspettato quella fra tutte le domande possibili, e come se non sapesse nemmeno bene come rispondere.

Alla fine sospirò, portando una mano a scompigliare leggermente la zazzera castana, in un gesto che Oz non gli aveva mai visto fare – insomma, era molto più da Noah che da Elliot, tanto per essere chiari.

«Io non è mi ricordo granché di Glen Baskerville a dirla tutta. Ero un bambino. Mi ricordo solo che non era proprio raro che andassimo alla loro tenuta. Qualche volta era il padre di Glen a venire da noi, ma in quei casi il figlio non c’era mai. Anche quando siamo andati da loro, l’ho incrociato pochissime volte e ho un ricordo molto vago. Perciò non è che avessi chissà quale profondo rapporto con lui. Per la verità erano i nostri padri che avevano a che fare l’uno con l’altro. Questioni amministrative suppongo.» spiegò, un po’ a disagio, il tono di voce quasi stanco.

Oz ne fu colpito perché quel tipo di stanchezza, gli ricordò in qualche modo la propria: non di tipo fisico, quanto più l’essere stanchi di una situazione e di qualcosa che evidentemente – sebbene non la stessa – affliggeva Elliot da tempo sufficiente a rendere la cosa mentalmente spossante.

«Semplicemente è successo. Sono entrato in quella stanza… non so perché. E c’era Glen Baskerville steso per terra in un pozza di sangue e la spada che non so cosa fosse, forse un cimelio di famiglia, che aveva procurato la ferita. Non mi ricordo granché più di questo.» concluse Elliot, asciutto, lo sguardo su un punto impreciso del pavimento.

Oz tacque a sua volta, cercando di fare ordine nella propria mente innanzitutto.

Se era davvero tutto lì allora non c’era modo di venirne a capo: Glen Baskerville era stato chiaro, non avrebbe detto nulla di più e anzi ad un prossimo incontro non sarebbe andata di lusso come quel primo che c’era stato. Altri – viventi – non sapevano nulla.

E Jack non era di certo interpellabile.

…Se avesse sostenuto di non averci mai pensato, alla possibilità che Jack potesse essere uno spirito esattamente come si era rivelato Glen, Oz avrebbe mentito; però lui cercava volutamente di non prendere la cosa in considerazione. Non si trattava di mancanza di affetto verso suo fratello, piuttosto il contrario forse.

Parlare con Sirjan era stato quasi illuminante per quanto triste e in una situazione tale – dopo la morte di Alyster – in cui avrebbe dovuto fare più male che altro.

Sirjan, per quanto di certo avrebbe desiderato riavere la sorella con sé, aveva continuato ad affermare di non desiderare nuovamente rivederla se avesse significato fare di lei uno spirito. Questo perché gli spiriti erano animati da sentimenti che li incatenavano quasi; e il pensiero che fossero qualcosa dalla quale non avrebbe mai potuto difendere Alyster nemmeno volendo, era qualcosa di insopportabile per lui.

Oz si era ritrovato perfettamente d’accordo: immaginare Jack costretto a vagare ancora fra i vivi, afflitto dalla tristezza o dal dolore, era qualcosa di molto simile ad un incubo. Specie per chi come lui, nonostante tutto, conservava il ricordo di un Jack che sorrideva con dolcezza com’era solito fare alle persone a cui voleva bene.

«Ho incontrato Glen Baskerville.» disse, senza sapere bene nemmeno lui perché.

Non alzò subito lo sguardo su Elliot e Reo: era cosciente del fatto che a chiunque quell’affermazione sarebbe suonata assurda. Probabilmente anche a lui stesso, se non l’avesse vissuta in prima persona. Il silenzio aleggiava nella stanza senza che nessuno dei tre dicesse nulla; quando Oz alzò lo sguardo per capire quale reazione ci fosse stata dall’altra parte – derisione, incredulità, sorpresa – vide le mani di Elliot tremare leggermente. Di rabbia, pensò, ma dovette ricredersi.

Lo sguardo che il castano gli rivolse, infatti, Oz lo definì istintivamente “perso”; come se avesse appena smentito le certezze dell’altro.

«Che significa che hai… incontrato Glen Baskerville?» chiese Elliot, cauto.

Oz si rese conto che, effettivamente, poteva sembrare che la frase si riferisse al passato, quello in cui Glen era vivo e non uno spirito.

Si demoralizzò, perse coraggio.

Ma, inaspettatamente, Elliot parlò nuovamente – dal tono e dallo sguardo sembrava non crederci nemmeno lui: «Tu… lo hai visto di recente.» mormorò come se dirlo ad alta voce potesse avere chissà quali ripercussioni. Oz cercò di capire in base a cosa lo stesse affermando, ma non vi riuscì del tutto; tuttavia annuì lentamente.

Elliot sembrò sciogliersi in un sospirò prolungato: portò una mano sulla propria fronte, e ad Oz parve ancora più stanco di prima.

«Da quanto lo incontri? Questa è stata la prima volta?» chiese, senza portare lo sguardo su di lui per il momento.

Oz scosse la testa: «La seconda. La prima è stata quando eravamo in corridoio e ti ho detto che avevi avuto un mancamento o qualcosa del genere.» rivelò.

Elliot lo fissò basito stavolta: «Che cosa?!» esclamò «In quell’occasione è apparso Baskerville?!» chiese, brusco. Oz, pur sapendo che non fosse la cosa ideale da dirgli visto il panico dilagante, si lasciò sfuggire istintivamente: «Più che apparso ti ha… mh, posseduto?» ipotizzò.

Elliot mutò l’espressione in quella di chi sta seriamente per esplodere: «Senti un po’, ma tu lo sai cos’è il tatto?!» sbottò fissandolo.

«No, ma sono in compagnia, fidati!» ribatté a tono il biondo, riferendosi chiaramente all’altro.

Elliot stava per replicare a sua volta quando Reo li interruppe con uno scappellotto ad entrambi: «Smettete di litigare, questo è un discorso serio.» disse, passando lo sguardo dall’uno all’altro. Oz si massaggiò la testa – nonostante il colpo non fosse stato fortissimo, chiaramente – ed Elliot sospirò seccato.

«Ascolta» prese la parola Oz prima di essere battuto sul tempo dal più grande: «perché Glen dice che per lui parlare tramite te ed avere il controllo sulla tua mente è più facile che con chiunque altro?» domandò forse a bruciapelo, e senza il minimo tatto come aveva sostenuto il castano. Però, per come erano andate le cose e a giudicare dalle sue parole, Elliot era l’unico a sapere qualcosa in più e di conseguenza Oz non poteva permettersi di avere scrupoli nel fare domande.

Elliot parve colpito dalla sua richiesta e alla fine sembrò cedere: «Ti dirò quello che vuoi sapere, ma tu dovrai fare lo stesso.» pose come condizione, alla quale Oz acconsentì con un cenno del capo, l’espressione seria.

Elliot sospirò: forse, non era facile nemmeno per lui.

«È perché la mia menta è predisposta, diciamo così. O almeno credo.» esordì il castano: «Dopo averlo trovato in quella stanza… per molto tempo, crescendo, ero riuscito a rimuovere quelle immagini quasi completamente. Poi, senza un motivo particolare, una notte ho sognato qualcosa di strano.» proseguì mentre Oz, alla parola “sogno”, trasaliva impercettibilmente.

«Sembrava il classico incubo da ragazzino, di quelli che non hanno molto senso a dirla tutta. Un edificio che andava a fuoco, qualcuno che urla nella stessa stanza in cui ti trovi e la sensazione che siano posti e voci che non conosci, ma che nel sogno sembrano di importanza vitale. Nulla di anomalo insomma.» spiegò. Fece una pausa, cercando con occhi il viso di Oz.

Il biondo taceva, l’attenzione su di lui.

«Però poi» riprese Elliot «è diventato un sogno frequente. Anche troppo. E con il passare del tempo si aggiungevano particolari del ricordo che avevo  rimosso. Il sangue una volta, la spada un’altra. E infine Glen Baskerville. All’inizio non mi parlava, non mi si rivolgeva mai. Era come spiarlo senza essere visti. Poi però mi guardava sempre più spesso, senza dire nulla. E un giorno, alla fine, mi ha chiesto: “Hai intenzione di ficcanasare ancora per molto, ragazzino?”.» si interruppe, tornando a cercare chissà quale espressione rivelatrice sul viso del biondo. Ma a giudicare da quella che assunse lui, non la trovò.

«Se stai pensando che sia pazzo, fai come vuoi, l’ho pensato anche io e non l’ho ancora escluso del tutto.» dichiarò sulla difensiva: «Tuttavia questa è la risposta alla tua domanda di qualche mese fa.» aggiunse.

Oz ne fu confuso: «Quale domanda?» chiese infatti.

«Come e perché conosco il brano di “Lacie”. Anche se la risposta “lo conosco e basta” che ti avevo dato non era poi tanto una bugia, come vedi.» ammise con un sorrisetto ironico ad increspargli le labbra.

«Eh?! Vuoi farmi credere che… che lo hai sognato?!» esclamò Oz dopo qualche istante di silenzio, incapace di trattenersi.

Elliot annuì, lasciando vagare lo sguardo per la stanza; Reo, rimasto in piedi fino ad allora si sedette accanto al castano, dov’era stato per suonare a quattro mani con lui. Nonostante sapesse tutto essendo rimasto al suo fianco per tanti anni, il moro lasciava che fosse Elliot a parlare: non solo per i loro ruoli sociali e perché la questione riguardava l’altro di persona, ma anche perché era la prima volta che – in un modo o nell’altro – Elliot trovava il coraggio di parlarne con qualcuno che non fosse lui.

«Puoi non crederci, te l’ho già detto.» ribadì il castano, ma Oz volle interromperlo subito: «Ci credo. È strano, ma… ci credo.» disse, forse persino troppo partecipe per il modo in cui era abituato a trattare con l’altro. Tant’è che Elliot ne fu stupito.

«E in base a cosa?» chiese infatti, com’era prevedibile probabilmente. Oz non rispose subito, ma solo per trovare il modo più corretto di spiegarlo: «Perché… questa cosa di fare sogni strani succede anche a me da quando sono qui.» confidò, anche se non proprio sicuro. Anche per lui si trattava della prima volta in cui ne parlava.

«Sono diversi dai tuoi, e in realtà potrebbero non essere nulla di strano, però…» indugiò, quasi si aspettasse di essere interrotto, cosa che però Elliot non fece né sembrava intenzionato a fare.

«Però sembrano tutti collegati fra loro. E in ogni caso, anche lasciando stare questa cosa, io Glen l’ho visto. Non potrei non crederti.» fece presente.

Elliot annuì, e ad Oz sembrò – ma non poté esserne certo – che l’altro avesse sorriso leggermente.

«Cosa ti ha detto Baskerville quando lo hai incontrato?» domandò Reo, inaspettatamente dato il silenzio quasi completo che c’era stato fino a quel momento da parte sua. Oz spostò lo sguardo su di lui: «La prima volta di non impicciarmi dei suoi affari.» replicò, iniziando dalla cosa più semplice.

«Cosa che avresti dovuto fare, decisamente.» commentò Elliot con fare quasi brusco: «Ma qualcosa mi dice che ovviamente tu non hai seguito il consiglio.» aggiunse, battendo sul tempo il biondo, che assunse un broncio leggero.

«Non potevo. Non è colpa mia se metà della storia di Glen Baskerville si incrocia a quello che voglio sapere.» ribatté nuovamente a tono. Elliot non fece domande in proposito – mentalmente si disse che le avrebbe fatte in breve però: «E la seconda volta? Quando è stata e cosa ti ha detto?» chiese invece.

«Dopo il litigio con Ada, e—»

«Cosa?! Ma parliamo di ieri mattina!» lo interruppe Elliot alzando appena il tono di voce. Oz sospirò: «Avevo bisogno di sapere la verità.» mormorò, abbassando lo sguardo verso il pavimento.

Elliot forse intuì la delicatezza dell’argomento in cui si stavano addentrando; non lo incalzò né altro, lasciando che si prendesse il suo tempo come aveva fatto lui a sua volta: «Voglio sapere perché mio fratello era convinto di aver ucciso il suo migliore amico se in realtà Glen si è suicidato. Voglio sapere perché, a distanza di anni, le loro morti si stanno intersecando in questo modo.» rispose infine Oz.

Elliot aggrottò appena la fronte, cercando di collegare le cose: sapeva che Jack Bezarius e Baskerville erano stati amici, ma non aveva mai sentito parlare di accuse per la morte di quest’ultimo. Pensò che al momento non fosse comunque qualcosa di cui doversi impicciare.

«Ti ha dato le risposte che ti servivano?» chiese invece, osservandolo; istintivamente, Oz portò una mano al braccio colpito da Jabberwocky, che era andato a farsi medicare il giorno prima – con non poche difficoltà: spiegalo tu all’infermiera perché ti sanguina un braccio a quel modo.

«Non del tutto, a dire il vero.» ammise: «Qualcosa di vago. Come il fatto che, materialmente, Jack non c’entra nulla in tutta questa storia. Ma allora “non materialmente” c’entra qualcosa invece?» diede voce al dubbio che aveva avuto fin da subito. Elliot rimase in silenzio, come se anche lui stesse soppesando la questione: in effetti, in questo stato supponeva fosse ovvio che – nonostante i vari moniti ricevuti – quel ragazzino continuasse a cercare un “contatto” con Glen, non curandosi di quanto potesse rivelarsi pericoloso.

«Ha detto chiaramente di non tornare. Che, dal momento che non sono Jack» gli scappò un incurvarsi di labbra di troppo, seppur quasi impercettibile e di certo non divertito dalla cosa «la mia vita per lui non ha alcun valore.» riportò.

Elliot lo guardò con fare indagatore, sospettoso quasi. Oz, accorgendosene, ricambiò con uno sguardo incuriosito.

«C’è qualcosa che non va.» se ne uscì Elliot senza una spiegazione logica: «Ti ha minacciato di morte, praticamente. O comunque ha lasciato intendere che non farebbe nulla se cercandolo tu finissi nei guai. Cosa c’è da sorridere?» chiese diretto, senza tanti inutili giri di parole.

Oz sussultò; non si era minimamente accorto di aver sorriso, e pertanto quella domanda era apparsa – scioccamente – come se il castano gli avesse letto nel pensiero o qualcosa del genere.

Oz si vergognò della risposta, sebbene non le diede voce immediatamente. Abbassò lo sguardo, mortificandosi per il pensiero formulato.

«Glen… non vede Jack in me. Vede suo fratello minore, che con lui non ha nulla a che fare. Non ricerca in me alcun tratto di lui, al contrario sembra quasi cercare più differenze possibili per far sì che nulla di quello che vede in me glielo ricordi. Come se per lui Jack fosse stato una persona unica, che non può essere sostituita da nessuno anche se questo qualcuno gli somiglia.» ammise, parlando sinceramente come forse non aveva mai fatto con nessuno dalla morte del fratello.

Elliot non replicò subito.

Quando lo fece, l’espressione era seria e sembrava quasi dura ma Reo – fin troppo abituato ad intuire dalla sua espressione quello che spesse volte il castano non diceva – vi lesse anche una sfumatura di dispiacere forse; ma questo, lo sapeva, non avrebbe impedito all’altro di pronunciare parole che sarebbero certamente state simili ad una ramanzina.

«Ti stai lasciando illudere da qualcosa che non esiste. Te ne sei accorto, vero?» pronunciò duramente.

«Ti stai aggrappando a parole che Glen Baskerville non ha pronunciato né per rincuorarti, né per farti sentire protetto.»  continuò, severo: «Non leggere nulla di questo, perché se c’è una cosa su cui Baskerville è stato sincero nei tuoi confronti è che della tua vita, come di te, non gli interessa nu—»

«Smettila!» sbottò Oz, lo sguardo basso e i pugni chiusi; alzò però quasi subito gli occhi verdi sull’altro: «Credi che non lo sappia?! Sto solo dicendo quello che mi ha detto, e la sensazione che mi ha dato! Che problema c’è se penso che sia l’unico che finalmente non vede su di me l’ombra di qualcun altro?! Cosa importa a te se anche mi lascio prendere in giro da una mia convinzione, visto che da quando mi conosci non hai fatto altro che dire “odio i Bezarius qui”, “odio i Bezarius là”?!»

«Infatti non mi interessa! Vai pure a farti ammazzare per quel che me ne importa, ma sarà una morte idiota! Ma forse sarebbe degna di te!»

«Non parlare di morte come se ci scherzassi su, non ho certo detto che vado a suicidarmi!»

«Invece è precisamente quello che rischi di fare! Pensi che non mi sia accorto che hai intenzione di tornare da Glen Baskerville? Certo, forse è per la verità che vai cercando, ma ti assicuro che tu ci vai per lasciarti coccolare da quello sdegno che hai colto nelle sue parole e che hai voluto scambiare per la gentilezza di dirti che tu sei tu e basta. E allora, hai davvero bisogno che qualcuno te lo dica, pezzo di deficiente?! Non è forse ovvio che tu non sei e non puoi essere altri che te stesso?!» sbraitò Elliot, alzatosi in piedi nell’impeto del discorso.

«Ma tu cosa cavolo vuoi da me?! E se anche fosse?! Saranno pure affari miei, cosa—» fece per replicare Oz, interrotto da uno schiaffo che Elliot gli diede in pieno viso e che, essendo inaspettato, colpì il biondo in pieno.

Oz si portò una mano sulla guancia offesa, dove si stava spargendo il rossore dovuto al colpo.

«Mi irriti e basta! Me lo sogno ogni cazzo di notte, e tu non stai nemmeno provando a resistere un minimo alla prospettiva di abbandonarti ad una bugia o a qualcosa che vedi solo tu! Se non riesci nemmeno ad avere coraggio abbastanza da mettere la tua vita davanti alla prospettiva di un po’ di respiro di fronte alla sofferenza, come pensi di arrivarci alla verità per cui ti stai distruggendo da solo, eh?! Se non sei in grado di fare nemmeno questo, forse allora saresti dovuto davvero morire tu al posto di tuo fratello!» gridò quasi, praticamente.

Oz non disse nulla.

Sentì solo Elliot che si allontanava, un pugno che colpiva sonoramente lo stipite della porta, e la mano di Reo che si posava appena sulla sua spalla prima di allontanarsi seguendo il castano.

 

 

Oz non era tornato subito al dormitorio.

Avrebbe significato seguire Elliot, e non aveva voluto; il tempo era trascorso, mentre aspettava nella stanza dove avevano discusso, in maniera quasi ovattata.

Il silenzio aveva nuovamente avvolto ogni cosa, e il biondo era tornato a sedersi quasi senza accorgersene: rivolto alla finestra, aveva poggiato la fronte contro il vetro freddo, socchiudendo gli occhi.

Era rimasto in quella posizione a lungo – non sapeva quanto, ma era tanto – e ad un certo punto, senza un motivo preciso, si era semplicemente alzato.

Pur non avendo l’orologio da taschino con sé in quel momento, aveva potuto supporre che fosse ormai tardi abbastanza. L’aria all’esterno – aveva dovuto percorrere il solito vialetto per passare dall’edificio centrale in cui erano, al dormitorio – era fredda, come altre volte l’aveva sentita sulla pelle quando si era mosso in piena notte ad orari improponibili.

Spinse il portone verso l’interno, aprendo quanto bastava per entrare.

Quando ebbe richiuso alle proprie spalle e si fu voltato verso l’interno, Oz vide una figura fra le poltroncine, vicina al camino acceso di un fuoco in procinto di spegnersi lentamente.

Il ragazzo – logico visto che erano nel dormitorio maschile – era voltato verso di lui, come se avesse aspettato di vedere qualcuno apparire sulla soglia; Oz non poteva esserne certo, ma poiché erano potenzialmente solo due le persone che poteva aspettare, suppose che fosse lì su richiesta di Sirjan.

Aedan, seduto, lo osservava: gli rivolse un cenno leggero col capo, invitandolo con un gesto della mano a sedersi su una delle poltroncine libere.

Oz avrebbe voluto andare in stanza, infilarsi sotto le coperte e dormire fino a tardi approfittando dell’arrivo del fine settimana. Non aveva davvero voglia di parlare, men che meno con Aedan; nulla contro di lui, ma considerando che spesso altri non era che il messaggero di Sirjan, supponeva che anche in quell’occasione non fosse diversa. Per un attimo pensò che forse, sebbene gli sfuggisse ancora come, Sirjan era venuto a sapere del suo incontro con Glen.

Rimase in silenzio, immobile dov’era, forse nella speranza che il moro distogliesse lo sguardo al suo muto rifiuto. Ma Aedan mantenne l’attenzione su di lui, e alla fine Oz si arrese. Avanzò fino a raggiungere il posto a sedere indicatogli dall’altro, dove prese posto: affondò con schiena e testa nel cuscino morbido della poltrona, e tacque, le mani mollemente poggiate sulle ginocchia.

Si era aspettato che, a quel punto, Aedan iniziasse subito a riportare un eventuale rimprovero o messaggio del capo dormitorio – gli era parso di capire che il moro non amasse particolarmente perdere tempo con dei giri di parole – ma così non fu.

Aedan, semplicemente, rimase a sua volta immobile e in silenzio a guardarlo. Le mani sui braccioli, rimase così per un po’ mentre Oz – sempre più perplesso – attendeva che parlasse, finché non capì che forse l’altro si aspettava che fosse lui a parlare.

Per dire cosa, non ne aveva idea.

«Aedan, c’è qualcosa che devi dirmi?» ruppe infine il ghiaccio, confuso. Aedan, senza mutare espressione come suo solito, scosse la testa.

«Quindi non ti manda Sirjan?» domandò Oz senza capire.

«Sirjan non c’entra. Sono venuto ad aspettarti perché volevo.» replicò l’altro, sorprendendolo. Era la prima volta, infatti, che Oz sentiva usare da Aedan l’espressione “volere”.

«Tu e Sirjan, vi ho guardati.» esordì nuovamente il moro inaspettatamente: «Vi somigliate.» chiarì, anche se Oz non riuscì a cogliere dove l’altro volesse andare a parare.

«Io e Sirjan? Non credo di somigliargli granché a dire il vero.» buttò lì in risposta, con un sorrisetto leggero – anche se di sorridere non aveva voglia.

«All’inizio non molto. Ora però sì. Specialmente quando fai quella faccia lì.» spiegò, indicando l’espressione di Oz in quel momento. Il biondo suppose che si stesse riferendo a quell’incurvarsi di labbra forzato e, improvvisamente, lo colse una consapevolezza.

Era qualcosa che era rimasta una sensazione sopita per molto tempo, che gli era costantemente sfuggita l’attimo prima di riuscire a darle un nome e una forma. Aveva colto in Aedan – nel suo atteggiamento – qualcosa che aveva già visto, ma che non poteva esattamente definire familiare.

Ed ora, senza apparente motivo, aveva finalmente capito cos’era.

Aedan aveva la stessa sensibilità e mentalità, per certi versi, di un bambino: i concetti, le opinioni e quella capacità di cogliere i sentimenti altrui erano puri, istintivi. Aedan capiva le cose nella loro semplicità di fondo.

Per lui non c’erano dubbi sulla maggior parte delle questioni che affrontava; capì che contrariamente a quanto aveva sempre pensato, Aedan non eseguiva qualsiasi ordine per mancanza di una volontà propria, ma per completa fiducia in Sirjan – e, supponeva, in quell’Ethan Sparrow.

Allo stesso modo quindi, il suo mettere la propria vita in secondo piano in confronto a quella dello stesso Ethan, forse non era scarsa considerazione per se stesso, quanto più… un affetto incondizionato nei confronti dell’altro.

«Tu non piangi mai?» se ne uscì il moro.

Ok, rettificò mentalmente Oz in quel momento, a volte Aedan aveva anche le uscite “scomode” tipiche dei bambini, oltre a tutto il resto.

«Alla mia età sarebbe un po’ imbarazzante, no? E poi adesso come adesso non c’è qualcosa di preciso per cui vorrei piangere, quindi…» rimase sul vago, a disagio per quella domanda.

Ma il moro lo sorprese nuovamente quando parlò; spostò lo sguardo dalla figura dell’altro, portandolo verso una delle finestre presenti lì in quella fungeva quasi da sala comune per gli appartenenti al dormitorio.

«Serve un motivo preciso, quando si vuole piangere?» chiese, ingenuamente come un bambino che non sa nulla del mondo.

Oz alzò quindi istintivamente lo sguardo su di lui, ironicamente proprio ora che Aedan aveva fatto l’esatto contrario. Era perplesso e stupito da quella domanda che, nonostante di primo impatto non sembrasse particolarmente sensata, aveva insinuato silenziosamente il dubbio in lui in quel momento.

Serviva? C’era qualcosa di “necessario” per poter dire “ora piango”?

«Io credo che vada comunque bene.» riprese Aedan senza preavviso, senza che avesse mai parlato così a lungo di sua sponte, dando un parere personale su qualcosa che sembrava toccarlo in qualche modo, chissà perché.

«Penso che a volte venga solo voglia di piangere senza alcun motivo. Guardi fuori e vedi qualcosa che pensi somigli a qualcos’altro che hai visto quando non stavi bene, o qualcosa non andava. E ti viene voglia di piangere, magari perché lo avevi fatto anche quella volta o forse proprio perché allora non lo avevi fatto.» proseguì, senza mai guardare il biondo mentre parlava.

Si spiegava con parole semplici, elementari e in qualche modo sembrava ripetersi come se il vocabolario che possedeva fosse limitato; eppure colpiva tutto molto più che se lo avesse detto con parole più complesse o ricercate.

«Credo che non sia molto importante, il perché. Va bene anche se ora piangi per qualcosa di poca importanza e la usi come scusa per sfogare qualcos’altro. In un modo o nell’altro, l’importante è arrivare a non avere più la forza nemmeno di tenere gli occhi aperti. Quando ti sveglierai andrà meglio.» continuò.

Oz era rimasto in silenzio, ma non riuscì a tenere per sé un: «Stai parlando di piangere senza controllo e senza motivo apparente?» confuso, ma anche speranzoso in un modo contorto che non avrebbe potuto spiegare.

Era come se aspettasse che Aedan, rispondendo affermativamente alla sua domanda, gli desse il permesso di essere debole almeno per un po’.

Se ne vergognò.

Ultimamente sembrava niente più che un ragazzino che si lagnava in continuazione senza fare alcun passo avanti; forse, Elliot non aveva torto.

«Non fa nulla se il motivo non è apparente o chiaro per gli altri. Tu lo sai perché ridi, o perché piangi, perché ti arrabbi o perché reagisci in un modo piuttosto che in un altro. E agli altri, in fondo, non interessa sapere tutto di te. Ad alcuni potrebbe bastare vederti stare bene.»

 

 

Sirjan si era allontanato, dopo quelle parole.

Il fatto che Aedan avesse dichiarato di voler parlare da solo con Oz di una cosa lo aveva inizialmente impensierito – o forse, più che altro, incuriosito – ed aveva voluto controllare.

Ma, nel momento in cui aveva colto il significato di ciò che Aedan stava pronunciando, si era allontanato per non interferire; benché fosse probabile che il moro avesse colto la presenza di qualcuno, allenato com’era per il ruolo che ricopriva, doveva aver ritenuto inutile smascherare la sua presenza.

Nel muoversi verso l’edificio centrale – avrebbe approfittato della ronda, controllando che anche Nightray fosse rientrato dalle sue sonate notturne autorizzate per dar tempo a quei due di finire di parlare – qualcosa aveva catturato la sua attenzione.

Non aveva faticato a capire di cosa si trattasse: l’aveva seguita, con passo sicuro, e aveva infine raggiunto la persona in questione – malgrado tutto, nel suo caso Sirjan non avrebbe potuto definire Jack semplicemente “spirito”, nonostante la sua natura fosse ormai quella.

«Non è molto tipico di te lasciare che io ti segua quando vuoi parlarmi.» lo riprese, ma con tono morbido; Jack sorrise come un ragazzino beccato in flagrante mentre rubava la marmellata dal barattolo, cosa peraltro non proprio fuori dagli schemi per il biondo e il suo carattere.

«Scusami, è che è un po’ imbarazzante forse. Faccio la figura del fratello maggiore iperprotettivo.» ammise, il tono un po’ impacciato che avrebbe fatto tenerezza a chiunque in quel frangente. E d’altra parte, chi meglio di Sirjan poteva capire quel lato di Jack?

«Vuoi parlare con Oz, mh?» tirò ad indovinare – non che ci volesse un grosso sforzo.

Jack però ne parve comunque sorpreso, qualche istante prima di sorridere nuovamente: «Non ti si può nascondere proprio nulla, quando si tratta degli accordi che abbiamo vero?» disse, una sfumatura particolare del tono che però l’altro non commentò.

Abbozzò un sorriso leggero invece: «No, sei solo tu che sei particolarmente prevedibile Jack.» gli fece presente, tranquillizzato ulteriormente dalla risata leggera in cui l’altro si sciolse.

«Hai il permesso di parlare con lui. Tuttavia ci sono cose che non puoi dirgli, specialmente riguardo una precisa questione.» aggiunse, serio nel suo ruolo che ancora manteneva.

Jack lo osservò, rivolgendogli un incurvarsi di labbra gentile, molto simile a quello che gli aveva riservato quando lo aveva incontrato per la prima volta insieme alla sorella: «Ogni concessione ha le sue regole, giusto? Dimmi Sirjan, qual è la questione a cui non vuoi che accenni?» domandò Jack, il tono pacato e lo sguardo chiaro sul ragazzo.

Questi portò il proprio sul viso di Jack, la serietà e la severità che lo avevano sempre distinto in qualche modo nel suo adempiere ai propri doveri – condivisi o meno che fossero.

«Il figlio illegittimo dei Nightray. Oz non deve sapere che si tratta di Alice Lewis.»

 

 

Note

Quante maledizioni mi state lanciando in questo momento? ;D *bello che almeno ne è consapevole*

Io so che sono molte, ma so anche che sono piene di amore <3 (ma anche no).

Teoricamente (non è un caso che sia sottolineato e corsivo XD) da qui in poi man mano dovrebbero venire i nodi al pettine come si suol dire; sto cercando di dosare comunque le rivelazioni perché non vorrei proprio che dopo avervi fatto soffrire 16 capitoli con inghippi della trama tutta la spiegazione risultasse poco “graduale”.

Spero di riuscire nell’intento (voi non lo sapete, ma sono io quella che vorrebbe chiarire tutto e subito più di chi legge XD).

 

La frase in apertura è del manga yaoi “Doushitemo Furetakunai” di Yoneda Kou <3

 

Passo alle risposte alle recensioni :3

 

Bacinaru: spero che la tua vita non sia finita al precedente capitolo, innanzitutto XD come vedi Oz è ancora vivo, e a quanto pare Elliot non è un assassino (ma perché, qualcuno ci aveva creduto? LOL *bastarda*)

Per la questione Lacie-Jack dovrete pazientare – salvo tragedie (che con me tutto è possibile), dovrebbe essere tutto o quasi nel prossimo capitolo o giù di lì <3

Ti ringrazio per i complimenti sull’IC, che per me è un dramma perpetuo. I riscontri da parte di chi legge sono quindi sempre un piacere e qualcosa di istruttivo :3

Mi dispiace di aver impiegato tanto con questo aggiornamento, e spero quindi di farmi perdonare con il capitolo e che possa piacerti come i precedenti <3

 

NatsuVIII: Noah e i calzini, io ho paura seriamente che voi lettrici ne farete un fan club XD

Incontrare Break CON Rufus sarebbe la gioia di una yaoi fan girl, ma non di Oz a quanto pare. Poi devo dargliene atto: mi sbucasse Break di notte da un corridoio penso che non vivrei abbastanza per raccontarlo XD *inquietata*

Gil in crisi è un mio sadico divertimento e tale rimarrà – dovrò pur sfogare il mio stress di autrice no? XP

Quanto ad Oz è finalmente esploso ma che non si illuda: per lui c’è ancora da patire (come è giusto che sia, è il protagonista u.u)

Spero che questo capitolo ti sia piaciuto :3

 

Fiamma Drakon: Noah è un fanboy. Uno yaoi fanboy. E in quest’affermazione è racchiusa l’essenza di ogni cosa che fa e di ogni idiozia che dice XD

Ringrazio anche te per l’IC, come detto anche sopra a bacinaru :3 Sono contenta che le parti un po’ più corpose – come la seconda con Gil e Vince, o quelle con molte spiegazioni o dialoghi lunghi – non risultino troppo pesanti. Non sempre riesco a calibrare il modo in cui tramite i personaggi do informazioni sulla trama, quindi è un bene che non vi risulti di difficile lettura <3

Ecco infine quel che Glen ha fatto ad Oz (secondo me, gli è andata di lusso xD)

Spero sia stato di tuo gradimento :3

 

Meimei: dai che tanto lo so che ami Noah uwu

La parte che ti interessa (leggasi: Lacie) è ormai alle porte, per la tua immensa felicità XD Jabby è amore. Il mio sogno proibito è riuscire a inserire la scena di Jack che lo grattinizza senza farla apparire completamente fuori luogo in Rinnega XD (impresa ardua, vista l’atmosfera tutt’altro che allegra di ‘sta fic XD).

Attenderò gli altri tuoi scleri sul presente capitolo XD

 

Un grazie infine anche a chi so che legge a parte, o che mi commenta in separata sede :3

   
 
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