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Autore: Gloom    25/11/2010    2 recensioni
"C'è qualcosa che accomuna me e Lina; c'è anche qualcosa che ci fa soffrire, e forse siamo capitate insieme proprio per capire cosa sia. Fa male, un male cane, e sia io che lei dobbiamo trovare un modo per fronteggiare questo dolore".
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: non avrei ambientato il finale dove è ambientato, se non fossi nata dove sono effettivamente nata. Ma c'è un motivo, in appendice (si dice così? Boh).
Buona lettura a tutti gli strafighi che hanno aperto questa storia!



Corre la Vespa: attraversa strade sempre più buie, sotto un sole che cedeva gli ultimi rimasugli di luce alle montagne stanche e tremolanti.
Anche io e Lina tremavamo, ma di freddo. Stava calando la notte, l'escursione termica precipitava e io non avevo altro se non una t-shirt dei Ramones e un giubbetto.
 Non portavo neanche il casco, ma non me ne preoccupavo: la città era deserta. E lo sarebbe rimasta per molto tempo... difficile immaginare uno scenario più tetro: era una città copletamente a terra.
Le case, i palazzi, i negozi e tutti gli edifici erano stati sgretolati dal tremolio delle montagne. Apparivano profanati, ma le macerie che si stagliavano nel tramonto apparivano dignitose. Ferite e dignitose: tipo me e Lina.

Lei parcheggiò la Vespa e si tolse il casco; scosse la testa per far tornare ogni ciocca di capelli al proprio posto e si girò verso di me, appallottolata e intirizzita dietro di lei.
 -Che cosa stupida arrivare fin qui. E' quasi buio ormai- dissi. Lina scese dal motorino.
 -Sì. Beh, di giorno è più facile che ci becchino- rispose.
La fissai perplessa.
 -Oh. Stai pensando quello che penso io?-
Lei ripose il casco e tolse la chiave. Sorrise.
 -Ovvio. E' ora di svegliare un po' quello che è assopito-.

Abbiamo scavalcato le transenne e siamo entrate di nascosto nella zona rossa.
Zona rossa: la zona pericolante, la zona pericolosa. Roba per noi, roba che era nostra.
A quel punto si era fatto completamente buio, le stelle si vedevano benissimo.
 Ci siamo mosse alla luce della luna, in silenzio e con gli sguardi persi. Qualcosa dalle parti del petto batteva, ma non riuscivo a capire se era più forte quel battito o il suono dei nostri passi. Entrambi quei rumori erano gli unici che si sentivano.
 Mentre ci aggiravamo tra le macerie, le emozioni si mescolavano; c'era inquietudine (passeggiare per le vie della propria città non dovrebbe essere proibito, eppure lì lo era), c'era timore, preoccupazione... e un sacco di adrenalina.
E c'era la certezza che, se non avessimo fatto qualcosa, sarebbe esplosa.
 Le sette divennero le otto. Le nove. Le dieci. Le undici. E noi continuavamo a camminare come ipnotizzate.

 C'era una panchina, coperta di scritte liceali risalenti a mesi e mesi prima. E altrettanti mesi, se non anni, sarebbero passati prima che qualche liceale tornasse a scriverci sopra.
 Ci sedemmo davanti alla statua di Sallustio che, inclinato, ci fissava austero.
Passarono i minuti.
 -Mmm... Lina?-
 -Dimmi-.
 -Canta-.
 -Oh... non è cantando che le macerie si rimettono insieme-.
 Mi fissai le scarpe, puntellandomi con le mani sulla panchina, e cominciai a dondolarmi.
 -Beh, sì, ma... cazzo, male non fa!- esclamai.
 Un pipistrello, spaventato, volò via e si andò ad infilare dentro un buco in un palazzo.
 Lina mi fissò di sbieco, alzando un sopracciglio. Un sorriso le si arricciò all'angolo della bocca.
 -Qui non ci sentirà nessuno, a parte i topi- disse dopo aver ridacchiato.

 La corsa verso la Vespa fu spettacolare: ognuna di noi voleva arrivare prima dell'altra, e allora sdrucciolavamo sui sampietrini sconnessi, sulla ghiaia e sulle macerie. Lina mi urlava di rallentare e io ridevo, io mi voltavo e lei mi prendeva in giro.
 Saltammo sulla Vespa e Lina mise in moto.
Ci allontanammo dal centro storico, prendendo una strada a caso. L'importante è allontantarci da quei cumuli di macerie, aveva detto Lina.
 -Hanno fatto parte della nostra vita, "quei cumuli di macerie"- risposi.
 -Sì, e ci hanno anche fatto parecchio male-.
 -Già. Io però non li odio. Volevo bene a quello che ora è macerie-.
 -Io pure. sarà ben imparare a convivere con loro fino a quando non troveremo un modo per sistemarle... per toglierle di torno-.
 Alzai lo sguardo verso le stelle, mentre filavamo per le vie deserte.
 Mi venne voglia di tagliarmi i capelli.
 Mi venne voglia che fosse mattina.
 Mi venne anche voglia di cantare.
 Cantammo, cantammo fino a quando non alzammo così tanto la voce da svegliare la gente che dormiva nelle case.
 
Quella notte abbiamo cantato tutte le canzoni di cui sapevamo le parole.
 Abbiamo svuotato il serbatoio della Vespa e, una volta rimaste a secco, ci siamo buttate su un prato a fumare e a guardare le stelle.
 Quella notte siamo state sole, senza incontrare nessuno; pochi sono riusciti ad entrare in quella città in cui noi scorrazzavamo come cavallette.
 Abbiamo aspettato l'alba e, quando il sole stava per sorgere, ci siamo arrampicatesu un albero per vederlo meglio.
Lina odia il rosa, ma la luce dell'alba le sta d'incanto.
 Io le ho intrecciato i capelli e lei mi ha raccontato che non suonava da un po'.
 E, mentre aspettavamo che il primo bar aprisse per prendere qualcosa di caldo, ho sentito il mio cuore abbandonarsi sollevato dentro di me e sorridere.
Una volta per tutte.


Avezzano, 14.06.2010, ore 23:16

Ed eccomi, infine. Solo una piccola nota: sì, parlo dell'Aquila qui, nel caso non si fosse capito.
Ho scritto questo capitolo in tarda primavera... ma è davvero così: da queste parti, se vuoi andare in centro, ci sono camionette di militari e transenne che ti proibiscono l'accesso ai luoghi che eri abituato a considerare la tua città.
  Non ho la minima intenzione di mettermi a fare politica, cosa-è-stato-fatto-e-cosa-no, perché odio la politica, i politi e i magheggi che hanno fatto e continuano a fare (soprattutto qui). E ora chiamatemi ignava.
Semplicemente, prima del sei aprile abitavamo in una città con centro storico, ora in una città senza centro storico.
Ci si adatta a tutto, anche perché non c'è molto altro da fare.
 Se non fossi stata aquilana, non avrei osato usare questa città come sfondo.
Ma, mio malgrado, lo sono, con tutto quello che ciò implica. E ho pensato che Lina e la protagonista avrebbero dovuto vivere il peggio del peggio. Il che implica anche che avrebbero dovuto abitare una città difficile. Difficile come L'Aquila. Beh... almeno per me, che all'Aquila non abito più ma a cui rimango aggrappata come un gatto al cuscino preferito, è difficile.
 Ma comuque tornerò a casa, prima o poi, quindi sto apposto :)

La storia finisce qui.
Grazie a tutti voi che l'avete recensita (soprattutto a Miharu, che riesce sempre a farmi sentire meno fallita xD). Siete i migliori recensori del mondo.
 Vi prego, fatemi sapere cosa pensate di tutta la storia... è importante per me :)
Grazie <3 
 

  
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