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Autore: Furiarossa    22/12/2010    4 recensioni
La storia fa principalmente due cose: insegnare e scherzare.
Ci fa brutti scherzi, a volte, altre un pò meno ... ma ci ha anche insegnto che alcuni uomini possono essere più pericolosi di altri. O semplicemente più grandi.
E cosa succederebbe se all'improvviso, nella nostra civiltà moderna, si ritrovassero due tiranni del calibro di Vlad Tepes Terzo principe di Valacchia, detto l'impalatore e conosciuto dal mondo come Dracula, e Adolf Hitler, il flagello dei popoli?
Per scoprirlo, non vi resta che seguire questa storia ...
E poi chi dirà più che la storia è noiosa?
Questo racconto è stato scritto in collaborazione con la mia sorellina Roberta, 11 anni. E' piccola, penserete ... si, ma è un genio.
Genere: Azione, Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 5

Com’è che Adolf capì di essere appena uscito da una canzone di Michael Jackson

 

Non era possibile.

Il tempo si era fermato. Plic, una goccia d’acqua nel nulla dell’eterno … eppure era ferma a mezz’aria.

Adolf ricordava con precisione cosa accadde allora. Veleno. No, non avrebbe gettato del veleno su Melody.

Ricordava com’era sprofondare nel nero. E capire che non sarebbe più risalito. Ma si era sbagliato.

Lui era risalito.

Era innaturale. Non si può essere vivi se si è morti. Hitler non era il gatto di Schroedinger.

Sapeva di essere morto, ma capiva di essere vivo. L’istinto gli diceva che era vivo, ma la mente … la mente adesso non era capace di dirgli nulla.

Era plausibile che il mondo fosse cambiato. Quanto aveva “dormito”? Cento anni? Di più?

Era plausibile che avesse perso di un botto tutto il suo potere, di non contare più nulla in Germania.

Come aveva fatto a non capire subito di essersi innaturalmente risvegliato da un sonno dalla quale non si poteva, teoricamente, ritornare ad aprire gli occhi?

Lo ricordava con chiarezza … la città stava cadendo. Erano spacciati, spacciati! Il regno ariano era finito, il reich, definito più volte millenario, era durato appena dodici anni e per il Fuhrer la battaglia era persa: sarebbe stato catturato dagli americani e dai sovietici, quei diavoli travestiti da santi, e sarebbe stato giudicato per le sue colpe in maniera che, per il mondo intero, sarebbe stata equa.

Forse lo avrebbero semplicemente incarcerato, ma molto più probabilmente sarebbe stato giustiziato.

Non c’è spazio, nel mondo moderno, per un dittatore …

Si trovavano nello spazio angusto e oscuro di un bunker, lui e pochi altri. Insieme a lui, c’era il suo cane … era una femmina. Un pastore tedesco, come era giusto che fosse. E poi Eva … ah, Eva Braun, la donna della sua vita! Come era bella! Una bellezza spaventata e fragile in fondo a quel bunker oscuro. Lei non lo meritava.

Non era giusto, non era giusto! Si erano sposati solo il giorno prima …

Adolf tratteneva le lacrime, mordendosi di tanto in tanto il labbro superiore imperlato di sudore per il caldo e la paura. Fu continuando ad autoimporsi un rigido autocontrollo che somministrò al suo cane una capsula di veleno. Gli avevano detto che era veleno, ma lui non era sicuro, voleva provare … se fosse stato solo un sonnifero, o un qualche genere di droga per farlo sentire male, sarebbe stato un bel guaio. Lo avrebbero preso. Non sarebbero stati buoni con lui … gli avrebbero fatto male. Lo avrebbero giustiziato comunque, alla fine, ma solo dopo un lungo calvario, un supplizio fatto di ingiurie e di vergogna. Il mondo intero, lo sapeva, avrebbe sputato allegoricamente su di lui.

La cagna morì, il veleno era veleno. Cianuro. Le prime lacrime iniziarono a scorrere sulle guance di Adolf alla vista del corpo senza vita di chi era stata la sua migliore amica per un’intera vita … era davvero giusto che morisse con lui? Si, non aveva avuto altra scelta …

«Stanno arrivando! Stanno arrivando!» Una voce folle risuona nella penombra.

Ormai sono tutti agitati.

«Le mie ultime volontà» aveva detto Adolf, scarabocchiando rapidamente quelle parole su un foglio sgualcito «Voglio che Karl Donitz sia il nuovo presidente del Reich, alla mia morte, e Joseph Goebbels il nuovo Cancelliere. Nessun’altra delle mie precedenti nomine avrà più alcuna validità. E dopo la mia morte …» si, solo quello contava, tanto il Reich non esisteva più «… Voglio essere portato fuori e bruciato, che il nemico non possa trovare mai il mio corpo. Spargete le mie ceneri!».

Lui ed Eva presero la loro “medicina”, da bravi bambini, guardandosi e piangendo in silenzio. Sembrava che tutto il mondo, fuori, volesse esplodere … o forse era solo nelle loro teste?

Tamburi rollanti e infernali che percuotevano la terra ed il metallo.

Poi venne il buio.

Adolf tremava. Cosa diavolo ci faceva, allora, ancora vivo e ancora qui? Ricordò di avere cinquantasei anni. Ricordò di essere morto il trenta aprile del millenovecentoquarantacinque.

Era impossibile che fosse ancora vivo. Si tastò la faccia … forse era un morto vivente? Forse uno zombie? Oppure … un lurido vampiro?

No, la pelle era calda. Ma Hitler aveva paura … iniziò ad urlare, irrazionalmente.

Il principe Vlad sollevò un sopracciglio

«Che diavolo ha? Spera di farmi paura?».

Ma Hitler non lo ascoltava. Lo aggirò e scappò fuori, nella luce ardente del giorno.

Non era possibile! Sentì sulle guance, fastidiose, frequenti lacrime calde. Lo facevano sembrare debole. Ma lui non lo voleva! Lui non voleva essere fragile!

Ed eccolo, un uomo che correndo piangeva, come se così potesse scappare da tutto e tutti. Un uomo che frignava, un uomo che era morto e camminava.

Melody lo guardò agitata. Senza sapere che fare, appellò mentalmente alla sua voce

“Devi riportarlo qui. Subito. Dovete stare tutti e tre in un unico gruppo, è questo che abbiamo sperato per tutto questo tempo. La tua ultima frase, sai … gli ha ricordato che lui è morto. Morto per colpa del veleno”

“Come fa ad essere morto, se è vivo?” fece Melody, scettica, mentre si lanciava all’inseguimento. Vlad, senza sapere che altro fare, la seguì portandosi a forza dietro il Crucco che iniziò a piagnucolare, piangendo come un bambino per il dolore che si impossessava delle sue articolazioni. Faceva davvero pietà. Anche un po’ schifo.

“È risorto” spiegò la voce, con semplicità

“Mi stai dicendo che lui, da stecchito, è tornato a vivere?E chi sarebbe, Gesù?” fece Melody, scettica, senza smettere di correre

“Precisamente, risorto. Non ti dice niente il fatto che si chiami Adolf Hitler e sia la sua identica copia? Il fatto che, capendo che quello era un ragazzo ebreo lo ha attaccato? Il fatto che quando pensava di essere caduto troppo in basso, era caduto in una specie di depressione? Era perché il potere gli dava la testa”

«Lo inebriava» si sorprese a rispondergli Melody, mentre seguiva la figura di quell’ometto che, fregandosene altamente di essere un ricercato, fuggiva davanti a tutti quei piedipiatti

“Giusto” approvò la voce “Riportalo qui”.

Melody accelerò, e si sentì la protagonista di un avventuroso, intricato, film giallo. C’era un'unica, piccola differenza.

Lei non era un poliziotto e quello, seppur fosse un criminale, era un uomo piangente che attraversava correndo la periferia della città, riflettendo sulla sua … ehm … vitalità.

Adolf non lo trovava giusto. Perché si era risvegliato solo lui?! E Eva? E il suo cane? Perché loro no e invece lui si?

Aveva perso tutto. Troppo. Non voleva vivere, così, con una bambina pazza che parlava di voci nella sua testa, braccato senza altri alleati che quella mocciosa.

Lo stava anche seguendo. Era determinata, senza dubbio, ma Hitler non si sarebbe certo fermato per lei. C’era anche quel grosso pazzo e l’altro tedesco che veniva trascinato via piagnucolando, dietro la bambina. Ringhiando accelerò.

Era nuovamente cacciato, ma stavolta se fosse stato preso non sarebbe morto …

Già … morto.

Aveva capito. Doveva sistemare le cose. Ci era già passato. Non poteva essere così difficile, ora che non aveva niente da perdere, a parte una vita senza amici e senza libertà. Senza potere. Senza seguaci.

Avrebbe sempre fatto la preda, mai il predatore. Non c’era spazio per lui. Gli esseri umani non spuntano dal nulla, come non risorgono senza motivo.

Il motivo non lo capiva, non  comprendeva questo giochino malvagio, anche un po’ perverso.

C’era stata un’unica interruzione del suo sonno eterno, e non gli era piaciuta per niente. Meglio tornare a dormi … morire. Lui era morto. Non vivo

“MORTO!!” si urlò da solo, mentalmente “Lasciatemi in pace, sono morto!”

Voleva levarseli dai piedi, soprattutto la più piccola, avrebbero potuto ostacolarlo nel suo intento.

Per la seconda volta, voleva essere ostacolato nel suo suicidio. Solo che stavolta non avrebbe sofferto … non avrebbe pianto per paura di morire.

Adesso, lui stava piangendo per paura di vivere.

Era plausibile, in effetti, che uno come lui che veniva dal passato, ci vivesse ancora immerso. Ne era fin troppo permeato.

Era difficile ricordare di essere morti, con una di quelle decisioni così sofferte che ti facevano versare troppe lacrime, e poi venire a ricordare che si è ancora vivi. Aver rinunciato per sempre a tutto, anche alla vita, e poi vedere che le altre cose gli sfuggivano di mano a parte quest’ultima. Come se loro fossero partite e lui no, lui non riuscisse a staccarsi dalla sua esistenza terrena.

Avesse potuto raccontare al mondo com’era l’inferno, avrebbe avuto una ragione per continuare a restare grazie alle nuove possibilità che il Fato gli aveva offerto, di certo sarebbe rimasto. Non avrebbe neanche sfiorato l’idea del suicidio.

Ma non poteva neppure farlo. Non ricordava proprio nulla di quello che gli era capitato prima che si risvegliasse, prima ancora dell’incontro con Melody. Gli sembrava di essere stato per tutto il tempo avvolto dal nero, come un bambino che si nasconde nell’armadio finché non aveva aperto le ante, aveva visto la luce e aveva semplicemente ricominciato a vivere.

“Sono un codardo” si disse.

In effetti un po’ di tempo fa Adolf sarebbe stato terrorizzato alla sola idea di dover morire, non avrebbe certo mai contemplato di uccidersi da solo!Ma adesso era diverso.

Essendo lui permeato dal passato, era stato facile che la consapevolezza lo avesse ricoperto. E le consapevolezza più forti, non quelle più ovvie come la consapevolezza di avere gli occhi blu, verdi o castani, spesso portava il dolore. E il dolore spesso portava la morte.

E lui, una volta ricevuto il dolore, la desiderava, la morte. Probabilmente stava esagerando, ma non riusciva a sapere che altro fare.

Senza accorgersene, il dittatore tedesco cominciò a rallentare, e Melody ne gioì. Sarebbe stato più facile raggiungerlo.       

Alla fine Hitler arrivò a un trotto veloce e la bambina, seppure avesse il fiatone, lo sorpassò e gli si parò davanti.

«Tu non vai da nessuna parte, okay?» disse, socchiudendo gli occhi.

Hitler si fermò di botto e sospirò a denti stretti. Ne uscì una specie di sibilo.

«Sono morto» Disse, con la voce bassa e rotta «E sono tornato …»

«Lo so» rispose Melody, poi gli porse la sua piccola mano «Vieni, adesso, non devi andare in giro così, ricordati che sei ricercato …»

«Lasciami stare! Lasciami morire!»

«Dai, Adolf …» Melody gli si avvicinò ancora, cercando di convincerlo e parlandogli con voce dolce e suadente «Ti prego, non fare così»

«Non è rimasto più niente» il dittatore si nascose il volto fra le mani «Più niente!Io non sono nessuno qui! Voglio morire!» la voce, soffocata dietro le palme delle mani, era sempre più isterica «Voglio morire!»

«Non dire così» mormorò la bambina, sconcertata dal pianto di quell’uomo adulto «Vale sempre la pena di vivere …»

«No, non oggi! Non adesso! Ho perso tutto!».

Vlad li raggiunse, trascinandosi dietro quel poveraccio del traduttore tedesco. Era arrabbiato perché non capiva. Indicò Adolf

«Che cosa diavolo ha?» chiese, rivolgendosi al Crucco

«Lui … ha … lui …»

«Traducimi le sue parole, subito!»

«Non oggi, non adesso … ho perso tutto …»

«Deve essere impazzito» commentò il principe «Ehi, tu! Che diavolo hai?» diede un colpetto sul petto al crucco con la mano aperta con cui non lo sorreggeva «Traduci».

Adolf non rispose alla domanda. Aveva lasciato ricadere le mani ai fianchi e guardava Melody. La bambina gli sorrideva, attrice consumata, come aveva visto fare in un film. Per lei la vita era come un grande film, così aveva più sapore, più potenza evocativa … il dittatore non ne sapeva molto di cinematografia moderna, perciò non vice nulla di particolarmente strano in quella scena.

Melody gli tendeva una mano e lui la prese. Le sue dita erano notevolmente più grandi e più dure di quelle della bambina, ma la stretta di mano fu tanto delicata, debole, che avrebbe potuto essere quella di un neonato. Adolf non aveva mai stretto la mano in quel modo a qualcuno, anzi, aveva sempre cercato di usare la sua “stretta d’acciaio” per intimidire chi aveva davanti. Abbandonarsi a un attimo di tenerezza con quella strana piccina lo fece stare bene, gli riempì il cuore di un piacere che aveva dimenticato …

«Andiamo» gli disse Melody, riconoscendo il momento esatto, leggendo l’emozione negli occhi dell’uomo «Esistono ancora cose per cui vivere. L’amicizia, per esempio. Che ne pensi di diventare mio amico? Almeno, anche se hai perso tutto … beh, ci guadagni qualcosa. So che non sono molto, che non sono nessuno, ma non è meglio di nulla? Vedi, è facile, oggi, avere un amico … anche un amico adulto, se lo vuoi».

Adolf annuì, sentendo rinascere una fievole scintilla di speranza nella disperazione. Solo adesso capì che essere tornato in vita era una benedizione … avrebbe potuto ricominciare daccapo. Vivere i giorni che non gli erano stati concessi.

Poteva farcela!

“Bleah. Ma si, davvero bleah. Sembra una scena uscita dal cartone dei Pokemon.” Pensò la bambina, socchiudendo gli occhi con dolcezza  con la bravura che si richiede in una rappresentazione teatrale “Ciao, pikachu! Diventiamo amici. Così, tanto per, perché mi va che diventiamo amici. Perché certo l’amicizia è la cosa più importante del mondo, regaliamola come se fosse una caramella! Olè!”.

Stava facendo amicizia con un dittatore, non era una cosa carina, in fondo? Hitler, perlomeno, sembrava contento.

La scena sarebbe stata perfetta, un adulto e una bambina che si tengono per mano nella luce forte del giorno, se non si fossero sentiti i gemiti pietosi di dolore del povero aspirante regista appoggiato al principe di Valacchia.

«Che diavolo stanno facendo?» Chiese Dracula, indicando Melody e Adolf «Sono impazziti o qui si usa così? Perché non dicono più niente?».

Il crucco emise un gemito singhiozzante e umido e il principe sbuffò infastidito.


Nota dell'autrice: la canzone di Michael Jackson è, ovviamente, Thriller.
  
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