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Autore: Hyakkaryouran    26/12/2010    3 recensioni
雪月花 "Neve, luna e fiori".
Una ragazza esce dal Pozzo Mangia-ossa, 4 anni dopo la distruzione della Sfera
dei Quattro Spiriti.
Non ricorda nulla né del mondo che ha lasciato alle sue spalle né del mondo che
troverà una volta uscita dal pozzo. Con sé porta una spada dai poteri
misteriosi.
Intanto, un'aura demoniaca esplosa pochi giorni prima del suo arrivo, sembra
mettere in allerta Inuyasha e i suoi amici.
Non è l'unico: anche Sesshomaru, il Principe dei Demoni, si mette sulle tracce
di nuovi nemici, finendo per incrociare il suo cammino con quello di una ragazza
che non è nulla di ciò che sembra essere.
Tre oggetti magici, antichi rancori, vecchi e nuovi nemici, dipingono le linee
che ricreano storie mai raccontate e nuovi imprevedibili percorsi nei destini
dei protagonisti.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sesshoumaru, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

Il sogno, la dichiarazione, la spada e il pozzo

 

Il rumore della porta che si apriva le giunse remoto, come se facesse parte del sogno che stava facendo.

Stava camminando lentamente lungo la superficie di uno specchio d'acqua, un lago, forse.

Le gambe, nude fino a metà coscia, venivano coperte da un kimono nero come la notte, allargato e appesantito nella parte bassa a causa dell'acqua che cercava di trattenerlo, mentre lei procedeva il suo cammino.

Disegni di canneti e crisantemi lungo tutto l'orlo inferiore, si rincorrevano verso l'alto, quasi fino alla schiena, fermati solo dall'alto obi dorato, il cui fiocco dondolava dolcemente, seguendo i suoi movimenti. I suoi passi creavano innumerevoli cerchi sul pelo dell'acqua, eppure riusciva a camminare sulla superficie, senza affondare come faceva invece il suo abito.

Al suo fianco, una strisciata nell'acqua, creata da un oggetto che teneva in mano, la cui estremità solcava la superficie cristallina e luminosa. Sembrava il fodero di una spada.

Non riusciva a vedersi in volto, eppure era certa che quella figura fosse lei stessa. Intravedeva solo il proprio sorriso, leggermente incurvato in un’espressione maliziosa e divertita. Labbra dipinte di rosso si muovevano lentamente, senza suono.

"Ayami! Ayami, cosa ci fai per terra?" si sentì scuotere con forza e sollevò la testa dalle ginocchia, intontita.

"Eh? Cosa succede?" chiese con la voce impastata dal sonno.

Suo padre la guardava come se davanti agli occhi avesse un'altra persona.

"Cosa succede? Stai dormendo seduta sul pavimento, ecco che succede. Non hai sentito la sveglia, sta mattina?" chiese accucciandosi vicino a lei.

La ragazza sbadigliò, coprendosi la bocca con una mano e si guardò in giro: la sua camera era completamente in disordine con i libri caduti a terra assieme ai suoi peluches e le foto.

Strinse gli occhi, cercando di ricordare cos'era successo e stendendo le gambe indolenzite, colpì col piede la sveglia, rotolata lontano dal comodino.

Ora ricordava.

"Mi sono messa qui quando ho sentito la scossa di ieri notte e devo essermi addormentata..." biascicò mentre riprendeva a stiracchiarsi.

Suo padre sospirò, sconsolato e si rimise in piedi, offrendole una mano.

"Coraggio, sei ancora in tempo per fare colazione!" le sorrise e la guardò dolcemente da dietro gli occhiali con la montatura sottile.

Ayami alzò la testa per guardarlo e gli sorrise di rimando, accettando l'aiuto che le offriva e rimettendosi in piedi. Sentì tutte le ossa scricchiolare e mugugnò dolorante quando la circolazione prese a scorrere di nuovo anche nei piedi, dandole una fastidiosa sensazione di formicolio.

Mentre suo padre scendeva le scale, lei si avvicinò alla propria scrivania e appoggiò il cellulare che stringeva ancora fra le mani.

Notò che era scarico e, sbuffando, decise di lasciarlo a casa in carica. Non aveva tempo per aspettare che si caricasse, era già in ritardo per andare a scuola.

Inforcò il bagno e dopo essersi lavata e sistemata, rientrò in camera, infilandosi la divisa della sua scuola superiore: calzettoni al ginocchio neri, gonna a metà coscia scozzese, rossa e blu, camicia bianca a maniche corte e pullover senza maniche, blu scuro. A chiudere il collo della camicia, un cravattino che richiamava la fantasia della gonna. Liceo privato, secondo anno di scuola superiore.

Si pettinò i lunghi capelli neri, sistemando la frangia su un lato del viso, borbottando qualcosa sull'idea di accorciarla un po'.

Con un sospiro, prese la cartella e scese di corsa le scale di legno, entrando di corsa nella piccola cucina. Sul tavolo, una ciotola di riso bianco, una tazza fumante di tè e le bacchette.

Mentre si sedeva, guardò la schiena di suo padre, intento a lavare i piatti.

Le maniche bianche del kimono legate col tasuki, oscillavano appena mentre le pieghe dell'hakama azzurro si aprivano ogni volta che si piegava leggermente in avanti per riporre i piatti sciacquati a sgocciolare.

"Papà, c'è qualche funzione importante, oggi?" gli domandò mentre avvicinava le bacchette e la ciotola di riso.

"Sì, c'è un matrimonio ma non ti preoccupare, mi aiuteranno Tomoe e Nioi! E poi hai un compito in classe, non è vero?"
Ayami spalancò gli occhi e per poco non si soffocò col riso. Mentre beveva a grandi sorsate il tè, si ricordò del compito di algebra alla prima ora.

Come una furia, si alzò dal tavolo, lasciando che le bacchette rotolassero sulla superficie e prese al volo il pranzo che suo padre le aveva appoggiato lì accanto.

"Papà, devo scappare! Ci vediamo questo pomeriggio, va bene?" all'entrata, inforcò le scarpe e aprì di corsa la porta, scappando fuori.

Suo padre sospirò di nuovo e sorrise fra sé e sé.

Ayami si sistemò la borsa a tracolla e cominciò a correre con tutte le sue forze. Passò davanti all'entrata del tempio gestito dalla sua famiglia e si precipitò come una furia lungo il marciapiede, correndo verso il sottopassaggio della metro.

Si fece largo tra la folla di pendolari e riuscì a passare oltre i cancelletti, strisciando il fondo della borsa (dove teneva la tessera elettronica dell'abbonamento) sul lettore di schede e scattando in avanti appena la spia divenne verde.

Scese ancora delle scale, arrivando alla banchina dove stava giungendo la sua corsa. Si appoggiò le mani sulle ginocchia e riprese lentamente fiato mentre le persone si mettevano in coda dietro delle righe gialle, segnate a terra.

Si avvicinò anche lei e respirò l'aria fresca che arrivava dai tunnel della metro. Era settembre e fuori faceva ancora molto caldo, soprattutto nelle prime ore pomeridiane.

Fece per prendere il cellulare ma si ricordò di averlo lasciato a casa. Sbuffò e si augurò di non essere troppo in ritardo.

Improvvisamente, sentì una folata d'aria farsi più intensa. Pochi secondi dopo, il rumore dell treno rimbombava lungo la galleria buia, rallentando fino a fermarsi davanti alle file composte.

 

Il rumore della campanella della quarta ora suonò come una liberazione per tutti.

Ayami appoggiò la matita in mezzo al libro e si stiracchiò mentre i suoi compagni si alzavano per andare a comprare il pranzo.

"Ayami, com'è andato il compito di algebra?"

"A me sarà sicuramente andato malissimo...!"
Due ragazze le si avvicinarono. Erano Ruka e Yuko, le due sue migliori amiche. Ayami sorrise e scrollò le spalle.

"Discretamente bene, spero di prendere un voto abbastanza alto da mantenere la media del primo trimestre!" confessò mentre tirava fuori dalla borsa il pranzo.

Ruka, la più bassa delle due, la guardò con aria fintamente saccente, imitandone la voce.

"'Discretamente bene...' ma sentitela quanto fa la modesta! Vorrei avere io i tuoi voti, Ayami! Mio padre non mi farebbe andare ai corsi pomeridiani e potrei uscire più spesso con Sawada..." brontolò, crucciandosi.

Yuko, che a differenza dell'amica era più alta e portava i capelli più lunghi, rise sonoramente, prendendola in giro.

"Non succederà mai, Ruka, arrenditi all'evidenza dei fatti!"

"Ma cosa dici?! Posso migliorare i miei voti in qualsiasi momento!" protestò Ruka mentre anche Ayami rideva.

"Allora cosa aspetti, il momento propizio? Se vuoi, la prossima volta che vieni da me al tempio, ti farò leggere la mano da Tomoe, è molto brava in questo tipo di predizioni!" alzò un indice e sorrise.

Ruka si illuminò e annuì ripetutamente, entusiasta.

"A proposito, Ayami, come procede la ristrutturazione del tempio?" si incamminarono fuori dall'aula dirigendosi verso il cortile esterno.

"Bene, ormai i lavori sono quasi ultimati! Oggi mio padre officiava un matrimonio, quindi i lavori devono essere quasi finiti!"

I corridoi brulicavano di studenti che si prodigavano verso il banchetto dei panini. Il sole filtrava dalle vetrate dei corridoi, proiettando le loro ombre sui muri, lunghe e grottesche.

Uscirono, percorrendo il vialetto coperto che portava alle palestre e si sedettero sui gradini della palestra, all'ombra.

"Ahh, che caldo insopportabile...! Non vedo l'ora che arrivi l'autunno!" proclamò Ruka mentre si stiracchiava.

"Scusate, ragazze, ieri notte avete sentito quella scossa ti terremoto spaventosa?" domandò Yuka mentre apriva il proprio bento.

Ayami annuì e si sporse un po' in avanti per guardarla meglio.

"Sì, era davvero forte. Pensa che mi sono addirittura svegliata e messa a dormire a terra, sotto il muro portante e stamattina, mio padre mi ha trovata ancora lì!"

Ruka la guardò, preoccupata.

"Non sarai mica sonnambula, vero? Lo sai che la prossima settimana andremo finalmente in gita e condivideremo la stanza..."
Ayami arricciò le labbra e le diede un piccolo spintone con la spalla.

"Smettila di dire stupidaggini, non sono sonnambula! Ho semplicemente fatto automaticamente quello che ci hanno sempre insegnato... Il particolare della mia semi incoscienza è del tutto irrilevante..." finì in un borbottio imbarazzato mentre le amiche ridevano.

Stava per aprire il coperchio del suo bento, quando si ritrovò ad alzare la testa e ad appoggiare velocemente la schiena al muro della palestra.

Pochi istanti dopo, una palla da calcio sfrecciò esattamente dove prima stava la sua faccia.

Ruka e Yoko trasalirono, percependo il movimento di qualcosa solo con la coda dell'occhio.

Ayami si riscosse, scuotendo piano la testa e la voltò verso la direzione da dove proveniva la pallonata.

Kitagawa Shū, il capitano della squadra di calcio del liceo, si avvicinò trafelato verso di loro.

"Jutsuka! Stai bene?" chiese preoccupato ad Ayami che lo guardava, visibilmente scossa.

Ruka si alzò in piedi e prese a picchiarlo su una spalla.

"Kitagawa ma se pazzo? Lo sai che potevi colpirci con quella maledetta palla?"

Il ragazzo si riparò con un braccio e balbettò mille scuse, mortificato.

"Jutsuka, perdonami, ho tirato in porta ma la palla ha preso il palo ed è schizzata da questa parte senza che lo volessi..."

Ayami lo guardò e annuì, sorridendogli.

"Non ti preoccupare, Kitagawa, non mi sono fatta niente..."

"La prossima volta, vedi di tirare in porta e non mirare al palo!" rimbeccò Ruka, adirata.

Lui s’inchinò più volte, chiedendo ripetutamente scusa e una volta che tutte e tre gliel'accordarono, corse a recuperare la palla e tornò nel vicino campo di calcio.

"Mi chiedo come abbia fatto a diventare capitano se non è nemmeno in grado di calciare come si deve una palla!"

"Avanti, Ruka, non esagerare, Kitagawa non l'ha fatto apposta emi sembrava molto dispiaciuto..." obbiettò Yuko da dietro gli occhiali.

"Infatti e poi Kitagawa è un bravo calciatore! Lo vedo spesso allenarsi nel cortile di casa e si impegna molto! Se è diventato capitano significa che se lo merita sicuramente!" finì Ayami.

Ruka sbuffò e incrociò le baraccia al petto.

"Lo dite solo perché sembra un Idol." proferì acida mentre le altre due sorridevano.

Poi, tutte e tre guardarono i rispettivi cestini del pranzo e sospirarono, sconsolate.
Alzarono gli occhi al cielo e ammisero, in coro:

 "Per lo spavento, mi è passata la fame..."

 

Al suono dell'ultima campanella, tutti sospirarono di gioia.

Il fine settimana stava per cominciare.

Mentre sistemava le cose nella borsa, Ayami si mise d'accordo con le amiche di vedersi a Shibuya domenica mattina, per andare a fare compere tutte insieme.

Avrebbero pranzato fuori e, perché no, magari sarebbero andate al cinema a vedere l'ultimo film di Kenichi Matsuyama.

"Ci vediamo davanti ad Hachiko!" urlò prima di salutarle con la mano e sparire nel corridoio.

Scese le scale e arrivò al suo armadietto, dove riponeva le scarpe e se le cambiò.

Mentre finiva di infilarsi i mocassini neri, sentì una voce tossire forzatamente per attirare la sua attenzione.

"Kitagawa, cosa ci fai ancora qui? Pensavo che una volta finiti gli allenamenti per la partita di domani, saresti tornato a casa..."
Il ragazzo sorrise, imbarazzato e si massaggiò la nuca.

"A dire il vero mi sentivo ancora in colpa per l'incidente di oggi e così ho pensato che il minimo fosse riaccompagnarti a casa, sempre che per te non sia un fastidio..."

Ayami sbatté più volte le folte ciglia nere e lo guardò, lievemente stupita.

"Hai aspettato un'ora, qui fuori, solo per accompagnarmi a casa?"

Kitagawa deglutì a vuoto. Era stato troppo sfacciato?

Fece per balbettare delle scuse ma Ayami gli sorrise e fece qualche passo verso di lui.

"Non dovevi disturbarti, ma ti ringrazio lo stesso, non mi piace fare la strada da sola, al ritorno! Andiamo?" domandò, sempre sorridendo.

Kitagawa annuì e la seguì, caricandosi in spalla il borsone del club sportivo.

Lui e Ayami erano vicini di casa fin da piccoli: quando aveva cinque anni, i suoi genitori si trasferirono nella casa dove viveva ora, proprio accanto al tempio e alla casa di Ayami.

La famiglia della ragazza era molto gioviale e gentile, soprattutto dopo il loro trasferimento, proponendosi di aiutarli nel caso avessero bisogno di qualunque cosa, dal fare la spesa per loro a figli da babysitters.

Lui aveva passato l’infanzia a giocare con Ayami e le sue due cugine, Tomoe e Nioi, più grandi di loro di qualche anno.

Per quanto ne sapeva lui, la madre di Ayami e i genitori delle due ragazze, erano morti in un incidente stradale quando Ayami era molto piccola.

Il padre della ragazza, il signor Jutsuka Junichirō, era il sacerdote del tempio e aveva tirato su la figlia e le nipoti con l'aiuto dell'anziana suocera.

Nonostante le disgrazie che erano capitate alla sua famiglia, aveva cresciuto le ragazze con forza e passione, mantenendo la sua schietta giovialità e il suo modo di fare sempre premuroso.

Mentre camminavano, Kitagawa spostò lo sguardo sulla ragazza.

Era davvero strana, Ayami.

Aveva una bellezza che poche ragazze della sua età potevano vantare, eppure sembrava sempre disperatamente attenta a non dare troppo nell'occhio e lasciava banco alle sue numerose amiche, molto più in cerca di luce sotto cui mettersi in mostra.

Kitagawa Toyoaki, ovvero suo nonno, diceva sempre che una donna davvero bella non aveva bisogno di sbattere la sua bellezza in faccia agli altri ma avrebbe dovuto, al contrario, premurarsi di non esaltarla mai e di restare sempre umile di fronte ai complimenti. Era quello che suo nonno definiva "fascino".

Ayami era affascinante e nessuno poteva negarlo. Aveva una bellezza d'altri tempi, nonostante portasse la frangia su un lato del viso o non disdegnasse di mettersi del trucco quando usciva con le amiche.

Eppure, la prima volta che si accorse di tutti questi particolari su Ayami fu quando la vide con indosso l'hakama da miko, intenda ad aiutare suo padre nella purificazione del suolo del tempio.

"Kitagawa, hai l'abbonamento?"
Il ragazzo si ridestò dai suoi pensieri e annuì, cercando il portafoglio nella tasca dei pantaloni.

Non si era nemmeno accorto che erano già arrivati alla stazione della metro.

Entrarono e trovarono il solito affollamento di persone.

"Jutsuka, non ti allontanare troppo, rischiamo di perderci di vista..."
Ayami annuì e gli rimase vicino finché non arrivò il treno. Una volta entrati in carrozza, Kitagawa la lasciò sedersi in un posto vuoto e lui rimase in piedi.

"Sei proprio un tipo galante, Kitagawa! La tua fidanzata deve essere molto felice di te!" commentò con un ammiccamento lei mentre lui arrossiva.

"Sì, beh, io e Uemura non stiamo più insieme..."

Ayami aprì la bocca e lo guardò, sconvolta.

"Cosa? Tu e Minako non state più insieme? E da quando?" domandò alzando leggermente la voce.

"Non alzare la voce, per favore... comunque da qualche settimana, ormai..."
Ayami lo guardò, rattristata.

"Ma com'è possibile? Stavate insieme dalle medie..."
"Forse il motivo è proprio che stavamo insieme da troppo tempo."
Il treno rallentò e una voce annunciò la prossima fermata.
Rimasero in silenzio per un po', finché la maggior parte della carrozza non si fu svuotata.

"La prossima fermata sarà un inferno, meglio se ti siedi anche tu." nonostante ormai la carrozza fosse vuota, Ayami si appoggiò la borsa sulle gambe e fece spazio a Kitagawa perché si sedesse vicino a lei.

Lui accettò e mise il borsone a terra, tenendolo fra i piedi.

Rimasero in silenzio per diversi minuti.

Perché quella notizia l'aveva scioccata così tanto? Kitagawa cominciò a rimuginare fra sé e sé.

Da quando la conosceva, aveva sempre avuto l'impressione che Ayami avesse sempre la testa assorbita dai suoi pensieri. Era una ragazza molto aperta e solare ma non era raro che se ne stesse in disparte, pensierosa o con la testa fra le nuvole.

Era divertente e quando era in compagnia sapeva sempre dire le cose giuste per far ridere tutti, persino facendo dell'autoironia.

Quando era da sola, sembrava sempre lontana mille anni luce, con la testa. Aveva partecipato a diversi club sportivo durante la sua carriera scolastica ma si stufava ogni volta che riusciva a portare a termine un obbiettivo specifico. Aveva fatto vincere il torneo delle superiori alla squadra di pallavolo, poi era uscita dal club. Stessa storia per il club di atletica e quello di tiro con l'arco. Suo padre l'aveva mandata a danza, da piccola. Nonostante fosse molto brava, aveva deciso di smettere di punto in bianco.

Non dava l'idea di essere svogliata, ma non sembrava davvero interessata a nulla. Alle medie, si erano spesso scambiati cd di musica o manga e aveva notato che ascoltava e leggeva cose molto diverse tra loro. Anche le sue amiche facevano fatica a scegliere cos regalarle per il compleanno o per altre feste.

Eppure lei sorrideva con entusiasmo a tutto quello che le si presentava, non aiutando proprio per nulla a svelare i misteri dei suoi gusti e del suo carattere.

Nonostante l'apparente incostanza, era sempre molto gentile e premurosa con tutti e spesso si prodigava più del necessario in ogni attività nel quale veniva coinvolta.

Jutsuka Ayami era una ragazza davvero "strana" e questo lo pensavano in molti. Gli stessi "molti" che trovavano questa combinazione assolutamente affascinante.

Soprattutto i ragazzi dei vari club sportivi. I suoi compagni di squadra, poi, dall'incidente fortuito di quella mattina avevano cominciato a tartassarlo durante tutti gli allenamenti.

Ripensandoci, gli venne in mente una cosa importante da dirle.

Il treno si fermò di nuovo e quando le prote si aprirono, una folla si precipitò dentro la carrozza e, in meno di un minuto, erano tutti appiccicati come sardine.

Kitagawa sospirò, lievemente a disagio.

"Jutsuka, devo chiederti una cosa..." cominciò ma la ragazza lo interruppe.

"Ti ha lasciato per un altro, non è così?" domandò secca e innocente, attirando l'attenzione dei pendolari nelle loro vicinanze.

Kitagawa arrossì fino alla punta delle orecchie.

"Oddio, povero Kitagawa, allora è proprio così! Mio padre lo dice sempre: 'Kitagawa, quel caro ragazzo, ha un viso così pulito e ingenuo che sicuramente qualcuno finirà per approfittarsene!' "

Il ragazzo deglutì lentamente, imbarazzato a morte.

"Jutsuka, cosa ti salta in mente, così, all'improvviso...?" voleva sprofondare.

"Non devi vergognarti, Kitagawa! Dopo tutto, sono sicura che tu non hai fatto nulla per mancarle di rispetto o per indurla a correre tra le braccia di un altro! Sei troppo buono e premuroso, dev'essere sicuramente per colpa della sua indole frivola. Tomoe l'ha sempre detto e aveva ragione." Ayami appoggiò una mano su quella di Kitagawa che si sentì andare a fuoco, mentre il desiderio di venir risucchiato in una voragine si faceva sempre più spazio nella sua mente.

Come poteva dire cose così imbarazzanti senza nemmeno rendersene conto?

Per fortuna il treno rallentò ancora e chiamò la loro fermata. Ayami si alzò e si fece spazio verso le porte. Lui cercò di seguirla ma la sua borsa era troppo ingombrante, così dovette aspettare a una certa distanza.

Si guardarono e lei gli sorrise, facendolo imbarazzare di nuovo.

Quando il treno si fermò, molti cominciarono a scendere. Si ritrovarono sulla banchina e s’incamminarono verso l'uscita della stazione.

Mentre facevano scorrere l'abbonamento, Ayami borbottò.

"Sono quasi sicura che qualcuno mi abbia palpata mentre scendevo dal treno."

Kitagawa si girò di scatto a guardarla.

"Davvero?"

Lei annuì e si incamminò per le scale, al suo fianco.

"Non è la prima volta, per questo non mi piace prendere la metro da sola, al ritorno. A quest'ora escono molti dipendenti delle banche e di altri uffici e se è vero che i manga si basano su cliché..." lasciò in sospeso la frase per fargli intuire il seguito.

"Anche mio padre lavora in banca..." commentò Kitagawa, continuando a camminare.

"NON ERA QUELLO CHE INTENDEVO!" si affrettò a chiarire lei, guardandolo con imbarazzo.

Kitagawa la guardò negli occhi: aveva gli occhi di un blu profondo, abissale, che a stento si distingueva dal nero della pupilla ma, colpiti dalla luce o al sole, sembravano quasi violacei.

Prima le sorrise, poi si mise a ridacchiare, divertito. Era davvero strana ma a lui piaceva così. Stava bene in sua compagnia, anche se a volte si sentiva inadeguato.

"Lo so, lo so, ti prendevo un po' in giro!" ammise facendo una linguaccia.

Lei sospirò sollevata, poi gli assestò un pugno sul braccio, non troppo forte.

"Ah, sì, eh? E' così che ci si comporta con una ragazza che ha detto che sei adorabile e premuroso?"  si sporse verso di lui, fingendo di guardarlo male.

"A dire il vero hai anche spiattellato i fatti miei a metà carrozza, ma..."

"Non è vero, non essere esagerato!"
"Non esagero!"

Ayami sbuffò e incrociò le braccia, fingendosi offesa.

"Beh, ora che ti sei vendicato, siamo pari, ok?"

Kitagawa sorrise e annuì.
Camminarono in silenzio per un po' mentre il sole cominciava a scendere, pur non toccando l'orizzonte.

"Ah, Kitagawa, prima volevi chiedermi qualcosa, no?" Ayami si ricordò di averlo sentito dire qualcosa riguardo a fargli una domanda.

Kitagawa deglutì e si accarezzò la nuca con una mano.

"Ah, sì, vedi... Alcuni miei compagni di squadra... hanno insistito perché io intercedessi con te da parte loro."
Ayami continuò a guardarlo, incuriosita.

"Intercedere per cosa?"

"Ecco, beh... vorrebbero che io ti dessi i loro numeri... nel caso tu fossi interessata a uscire con uno di loro."

Kitagawa si fece improvvisamente serio e infilò le mani in tasca.

Ayami guardò davanti a sé e non disse nulla. Salirono lentamente la scalinata che portava alla collina del tempio.

"Beh, non ho il mio telefono con me, al momento ma se vuoi puoi scrivermeli da qualche parte, magari su un quaderno. Non ti assicuro che li chiamerò ma almeno potrai dirgli di aver assolto il compito che ti hanno affidato, ok?"

Ayami sorrise, allegra e continuò a salire le scale.

Kitagawa, però, rimase fermo qualche gradino più in basso e tirò fuori le mani dalle tasche dei pantaloni.

"A dire il vero, Ayami, non è questo che ti volevo chiedere..." cominciò.

Ayami si fermò e si girò a guardarlo. Notando che era fermo e cogliendo il suo disagio, scese i gradini che li separavano.

Inclinò un po' la testa a lato, curiosa e lo guardò con attenzione.

Kitagawa inspirò profondamente.

"Questo era quello che ti dovevo riferire ma quello che ti volevo chiedere è... se ti è possibile, ovviamente... di non chiamare nessuno di loro." finì, guardandola negli occhi, serio.

Ayami si stupì un po' della richiesta e lo guardò senza capire.

"Va bene, se ti da fastidio non lo farò. Va bene?" domandò, cercando risposte nei suoi occhi.

Era strano che Shū si comportasse così. Non riusciva a capire la sua richiesta. Forse pensava che interessarsi a una ragazza distraesse troppo i suoi giocatori e quindi le stava chiedendo di non "ostacolare" il suo lavoro di capitano. Ma perché non dirlo chiaramente?

Kitagawa intuì dal suo sguardo che la ragazza non aveva capito le sue intenzioni. Così si schiarì la voce e cercò di spiegarsi.

"Intendo dire che... Vorrei che tu non uscissi con altri."
"Con 'altri'?"

"Sì, con altri. Perchè, vedi, Ayami, vorrei che tu prendessi in considerazione l'idea di uscire con me."

Si stupì sinceramente della facilità con la quale gli uscirono quelle parole. Si era immaginato imbarazzato e impacciato così tante volte, mentre fantasticava sul momento opportuno per dirglielo.

Era da qualche mese che aveva capito di non essere innamorato della sua ex ragazza. Non che fosse una cattiva ragazza (nonostante Jutsuka avesse centrato in pieno com'era finita la loro storia) ma non era la ragazza di cui sentiva di potersi innamorare. Anzi, il fatto stesso che dopo tre anni ancora stesse aspettando di innamorarsene, gli aveva chiarito che quella storia doveva finire.

Peccato che non aveva trovato il coraggio per farlo e intanto aveva cominciato a trascurarla per il club di calcio e con mille scuse trovava il modo di vederla sempre di meno. Non l'aveva stupito la voce che aveva cominciato a circolare sul fatto che lei vedesse anche un altro ragazzo, anzi.

Aveva colto la palla al balzo, l'aveva chiamata, si erano dati appuntamento e avevano chiuso lì la loro storia. Lei lo aveva rimproverato e lui aveva abbassato la testa e incassato.

'Tanto è evidente che sono anni che non hai occhi che per la tua vicina di casa, Shū!'

Con queste parole, Uemura l'aveva piantato in asso ma gli aveva anche aperto gli occhi.

Era vero, se s'immaginava con qualcuno, s'immaginava solo con Ayami a guardare un film insieme, a ridere per un programma televisivo divertente, a studiare per un compito in classe, con lei che gli dava ripetizioni e gli sorrideva in quel suo modo dolce e caldo. S'immaginava a guardarla mentre lei lasciava che il suo sguardo si perdesse, insieme ai suoi pensieri di cui, ne era certo, non l'avrebbe mai messo al corrente ma non gli importava.

Gli bastava che nel momento in cui si sarebbe risvegliata da quei pensieri, gli avrebbe di nuovo sorriso e gli avrebbe permesso di starle vicino.

Sospirò e sorrise, un po' amaramente e cominciò a salire i gradini, lentamente.

Ayami era rimasta a fissare il punto dove prima stava Kitagawa, imbarazzata.

Conosceva Shū da quando erano bambini.  Dire tutta la verità, il ricordo più vecchio che aveva era proprio il ricordo della prima volta che aveva incontrato Shū.

La famiglia Kitagawa si era appena trasferita lì da Yokohama ed erano passati a presentarsi in una serata con la neve, in primavera.

Lei era in salotto, insieme alle sue cugine e stava disegnando appoggiata al tavolino basso mentre loro guardavano gli anime in tv.

Quando sentì il campanello suonare, suo padre andò ad aprire e li fece accomodare in salotto.

'Questa è mia figlia Ayami e queste sono le mie nipoti, Nioi e Tomoe! Bambine, questi sono i nostri nuovi vicini, i Kitagawa! Coraggio, fate le bambine educate!'

Ricordava di aver borbottato meccanicamente una formula che suo padre le aveva insegnato da poco e poi aveva guardato il bambino che il signor Kitagawa teneva in braccio.

Quando il padre lo mise giù, lui si avvicinò subito a lei e guardò i disegni che stava faticosamente colorando.

Ripensandoci, fin da piccolo, Shū era un bambino adorabile e gentile. Si sedette vicino a lei e lei gli offrì un foglio e le matite. Disegnarono tutta la serata, finché non dovettero andare a casa.

Lui era di nuovo in braccio al padre, lei in ginocchio sul tappeto del salotto.

Ondeggiarono le manine per salutarsi e, da quel giorno, diventarono amici.

Poteva dire che Kitagawa era l'unico, escluso suo padre e le sue cugine, a conoscerla veramente. E il fatto che fosse così, le piaceva.

Le piaceva che potesse esserci qualcuno disposto a sostenere i suoi silenzi e a condividere i suoi sorrisi.

E, ancora di più, le piaceva che a fare questo fossero i begli occhi nocciola di Kitagawa, che fossero le sue premure e le sue gentilezze a strapparle continuamente dei sorrisi involontari.

Con imbarazzo, si morse le labbra.

"Va bene!" proruppe ad alta voce.

Kitagawa, che ormai era in cima alla scalinata, si voltò a guardarla.

Era ancora laggiù, dove l'aveva lasciata, piccola e con le guancie rosse che lo guardava con quei suoi fenomenali occhi scuri e cercava di sorridergli per camuffare l'imbarazzo.

Sorrise anche lui, sentendosi arrossire.

Aspettò che lei lo raggiungesse, poi continuarono a camminare uno fianco all'altro, fino alla porta della casa di lei.

Si salutarono e senza il minimo preavviso, lei gli baciò una guancia prima di sparire di corsa in casa.

Kitagawa rimase imbambolato per un po', poi, massaggiandosi la nuca, proseguì verso casa, sentendosi stupidamente felice.

 

"Ayamii~!" la voce di Tomoe le arrivò alle orecchie come un accusa.

Possibile che sapesse già tutto?!

Sbuffando, Ayami andò ad aprire la porta della sua camera e fissò la cugina con un cipiglio scocciato.

"Che vuoi, Tomo-chan?"

Tomoe la guardò con una faccia che non prometteva niente di buono e si infilò nella sua stanza, ridacchiando come una pazza.

Si sedette sul letto mentre Ayami si accontentò della sedia della sua scrivania, che girò verso sua cugina.

Tomoe era più grande di lei di quattro anni, mentre sua sorella era più grande di cinque.

Erano entrambe molto belle: Nioi aveva i capelli lunghi come quelli di Ayami mentre Tomoe li portava corti fin sopra le spalle, tagliati in un taglio pari e con la frangia.

Andavano entrambe all'università ma avevano degli orari molto flessibili che gli permettevano di aiutare suo padre con le faccende del tempio quando lei doveva andare a scuola.

Tomoe era molto maliziosa e vivace e aveva una spiccata capacità di predizione del futuro, mentre Nioi era molto più calma e dolce ma era un despota quando si trattava di adempiere ai propri doveri. Perfino suo padre non si salvava dalle sue prediche.

Nonostante questi caratteri molti diversi, le due sorelle andavano molto d'accordo e anche il loro rapporto con Ayami era forte.

"Dimmi un po', non era forse il giovane Shū quello che ho visto allontanarsi da qui poco fa?"

Ayami sospirò e roteò gli occhi al cielo.

"Sì, era proprio lui! Mi ha riaccompagnata a casa, c'è qualcosa di male?"

Tomoe scacciò quelle parole con un gesto della mano.

"Di male non c'è nulla, non viviamo più in un mondo dove è sconveniente che una donna si faccia accompagnare a casa da un uomo non appartenente alla sua famiglia! Piuttosto... mi sembravi abbastanza sconvolta quando ti ho vista salire le scale... c'è niente che dovrei sapere?" sorrise maliziosa e si sporse in avanti con gli occhi felini all'erta per registrare ogni sua reazione.

"Non c'è nulla che DOVRESTI sapere, Tomoe..." Ayami spostò lo sguardo e fece per darle le spalle, girando sulla sedia girevole ma la cugini la fermò con una mano.

"AH! Si è dichiarato, finalmente?!" esordì illuminandosi.

Ayami ringraziò di avere il viso praticamente voltato dall'altra parte perché sentì le guancie andare a fuoco come se qualcuno avesse appiccato un incendio sulla sua faccia.

"Non scherzare, Tomoe..." biascicò, sperando di convincerla.

"Non mi puoi mentire, io lo sapevo che sarebbe successo! L'amore trionfa sempre su tutto!" Tomoe si mise a saltellare per la stanza, facendo gonfiare i pantaloni dell'hakama che stava ancora vestendo.

Ayami provò a deviare il discorso.

"Beh, sai che su una cosa avevi ragione? Minako l'ha tradito e si sono lasciati." prese distrattamente in mano la matita che aveva sulla scrivania, fingendo di interessarsi gli esercizi di inglese che avrebbe dovuto consegnare lunedì.

Tomoe si accucciò ai suoi piedi, la voltò verso di sé e le prese le mani, sorprendendola.

"Ayami, nonostante mi offenda il fatto che tu non abbia ancora fiducia nelle mie doti di veggente, sappi che questo momento è fondamentale per te. Se non cogli la palla ora, mentre sta rimbalzando, potresti non avere più l'occasione di coglierla."

Ayami piegò la testa.

"Cosa intendi?"

Tomoe sorrise, raggiante.

"Che devi accettare i suoi sentimenti e dirgli che li ricambi, ovviamente! Avete solo un anno e mezzo prima degli esami per il diploma e quelli per entrare all'università! Un amore ha bisogno dei teneri germogli dei ciliegi per poter sbocciare in tutto il suo splendore!" annunciò sognante.

Ayami ridacchiò, nevrotica.

"Hai per caso bevuto?"

Tomoe spinse la sedia da ufficio lontano, facendola finire quasi addosso alla finestra.

"Ma non capisci? Poi sarete pieni di impegni, tu la scuola, lui il Campionato Nazionale! E poi gli esami, l'università...! Dovete consolidare il vostro amore ora che avete tempo da potergli dedicare!"

"Se poi lui parte per andare a giocare in Spagna dovrò cambiare il mio nome in Sanae?" domandò, ironica mentre Tomoe sbuffava.

"Ok, prendimi in giro ma ti accorgerai col tempo che ho ragione!" si finse offesa per un po', poi la guardò aprendo solo un occhio.

"Però questo significa che si è dichiarato, vero?"

Ayami sbuffò e tornò con la sedia alla scrivania, trafficando con i libri.

"Sì, sì si è dichiarato e sì, gli ho detto che sarei uscita con lui, contenta?" brontolò, imbarazzata.

Tomoe tremò tutto, mordendosi le labbra per poi emettere un gridolino acutissimo e scalciare come una bambina.

"Lo sapevo, lo sapevo, LO SAPEVO!!! Tomoe non sbaglia mai, Tomoe è la migliore!"

"Sì, ma non urlare e soprattutto non farne parola con nessuno, soprattutto con papà e Nioi, ok?"

Tomoe annuì e tornò a sedersi sul letto, eccitata.

Ayami sospirò, stanca. Non si era ancora tolta la divisa scolastica.

Guardò il cellulare, spento e lo prese in mano, accendendolo. Dopo aver inserito il pin, controllò se le erano arrivate nuove email.

Si bloccò improvvisamente, nascondendo al petto il telefono.

"TOMOE." proferì ad alta voce, mentre la cugina, che nel frattempo si era alzata e affacciata sopra la sua spalla per spiare il telefono, tornava a sedersi sul letto con fare innocente.

Riprese il telefono che le notificò una nuova email. La lesse e sorrise. Era di Kitagawa. Anzi, di Shū.

'Spero che tu sia ancora dello stesso parere di poco fa perché potrei non avere la forza di uscire più di casa, se dovessi cambiare idea. Domani possiamo andare a prendere un gelato insieme?'

Fece per rispondere ma sentì bussare alla porta.

"Ayami, sei in camera?" la voce di Nioi.

Ayami sospirò e mise giù il telefono.

"Sì, c'è anche Tomoe!"

Nioi entrò tenendo in mano un oggetto molto lungo, fasciato in un tessuto scuro.

"Scusa se ti disturbo ma ci sarebbe una cosa importante che dovresti fare." cominciò, offrendole un sorriso a cui Ayami rispose.

"Certo, se posso..."

Nioi portò davanti a sé, con due mani, il lungo fagotto. Ayami lo guardò con curiosità.

"Lo so che sei tornata da scuola da poco e che sta per fare sera ma ci sarebbe un'importante commissione da fare per conto del tempio."

Ayami la guardò, stupita. Era strano che ci fossero delle commissioni da fare, soprattutto così urgenti.

"Di cosa si tratta?"

Nioi cominciò a togliere la stuoia scura dall'oggetto, rivelando una katana dal fodero ed elsa completamente bianchi.

Sembrava molto antica ed usurata.

"Una katana?"
"Sì. Durante i lavori di ristrutturazione è stata trovata questa spada dagli operai. Sembra essere un antico cimelio del tempio ma le sue condizioni non sono buone."

Ayami annuì, senza riuscire a staccare gli occhi dalla spada.

"Cosa dovrei fare, esattamente?"

Nioi guardò Tomoe che abbassò mestamente gli occhi.

"Tuo padre vuole che la porti immediatamente al tempio della famiglia Higurashi, dal sacerdote del tempio. Sembra che possa aiutarci a manutenzionare a spada e a scoprire la sua provenienza."

Ayami emise un gemito.

"Fino a Roppongi? Saranno almeno 30 minuti di metro! Davvero ci devo andare adesso, non possiamo aspettare domani?"

Nioi le sorrise, accondiscendente.

"Se domani non hai altri impegni, certo che puoi farlo."
Ayami fece per accettare ma si ricordò del messaggio di Shū a cui, tra l'altro, non aveva ancora risposto.

Con un lungo sospiro e un brontolio, si alzò di scatto.

"Va bene, vado adesso... Spero almeno che questo signore sappia cosa fare!"

Nioi annuì con un sorriso e ricoprì con il tessuto la spada, consegnandogliela.

"Mi raccomando, fai attenzione, va bene?" si raccomandò, accarezzandole dolcemente la testa.

"Mh. Dì a papà che come minimo voglio il suo stufato di carne, domani sera! Ok?" sorrise e uscì dalla stanza, scendendo velocemente le scale.

Inforcò le scarpe e prese la borsa, uscendo da casa con una certa fretta. Prima andava, prima tornava.

Mentre percorreva lo spiazzo che univa casa sua col tempio, guardò verso la casa di Shū che si intravedeva fra gli alberi, la luce di camera sua era accesa. Chissà se stava aspettando la sua risposta.

Con un sorriso, strinse fra le braccia la spada e si mise a correre. Voleva fare presto, così sarebbe tornata a casa e gli avrebbe risposto.

Chissà dove l'avrebbe portata, l'indomani. Magari al Milkyway, la sua gelateria preferita.

Arrivata in stazione, fece mente locale su quale linea le sarebbe convenuta prendere, optando per la Yamanote.

Avrebbe dovuto pagare il biglietto di più ma avrebbe impegnato meno tempo.

Dopo aver comprato il biglietto, scese a cercare la sua banchina che era semi deserta.

Solo dei giovani stranieri un po' spaesati e dei ragazzi.

Quando il treno arrivò, annunciato da una musichetta inquietante, salì su una carrozza dove trovò posto a sedere e controllò sul monitor le varie fermate. Non erano molte, per fortuna ma sapeva di avere un pezzo di strada da fare a piedi.

Mentre il treno correva, ripensò al viaggio fatto con Kitagawa quel pomeriggio. Era strano come il semplice fatto che lui le avesse confessato i suoi sentimenti, le avesse aperto gli occhi su qualcosa a cui non aveva mai neppure pensato seriamente.

Forse si era lasciata condizionare dal momento? No, quello che aveva sentito era un turbamento nel cuore, quando lui le aveva detto quelle parole. Non poteva essersi convinta di una cosa importante come quella. Era vero, le aveva solo chiesto di uscire con lui, non certo di sposarla, eppure sapeva che se gliel'aveva chiesto era perché c'era qualcosa di più che il semplice interesse.

Si ridestò quando la voce elettronica del treno ricordava che erano in arrivo alla sua fermata. Si alzò e si avvicinò alle porte, tenendosi ben stretta contro la spada.

Era una spada davvero strana non ne aveva mai vista una che fosse completamente bianca.

Le venne la curiosità di sfoderarla per controllare se anche la lama fosse bianca, per quanto le sembrasse ridicolo.

Fortunatamente, il treno si fermò e lei riuscì a uscire dal treno prima di mettersi a sfoderare una katana nel mezzo di una carrozza.

Uscì velocemente dalla stazione e quando risalì le scalinate, il cielo era blu e pieno di stelle.

Il sole era finalmente tramontato e l'aria si era fatta più vivibile.

Respirando profondamente l'aria, s’incamminò.

Era stata al tempio della famiglia Higurashi altre volte, insieme al padre e ricordava bene come arrivarci. Il pezzo da fare a piedi non era molto lungo.

Camminò per un po', finché non intravide, completamente illuminata, la Tokyo Tower. Era davvero stupenda.

Ruka e Sawada, il suo ragazzo, andavano spesso a passeggiare sotto la torre oppure entravano e salivano fino alla stazione panoramica per godersi la vista.

Quando c'era andata con suo padre e le sue cugine, Tomoe si era messa ad urlare "Fūma" e "Kamui" come un invasata, facendo morire di vergogna suo padre e Nioi.

Camminò per diversi minuti, finché non arrivò sotto la scalinata del tempio. Finalmente, non ne poteva più.

Con un sospiro, si fece coraggio e cominciò a salire le scalinate. Erano molto ripide e strette.

Arrivata in cima, fece qualche passo e si fermò a guardare il tempio. Non era molto grande ma era tenuto con cura. Probabilmente la stessa cura che il sacerdote avrebbe messo nel sistemare quella spada.

Dietro al tempio c'era la casa della famiglia Higurashi. Un po' le dispiaceva piombare in casa loro a quell'ora ma probabilmente suo padre si era già accordato telefonicamente con loro, quindi non doveva preoccuparsi.

Mentre camminava, passò vicino a un grande albero su cui era stata legata una shimenawa, ovvero una corda sacra che indica un luogo sacro o con una forte potenza spirituale.

Si fermò a fissarlo con attenzione. Riusciva, in qualche modo che non comprendeva, a sentire un odore famigliare, accanto a quell'albero ma non riusciva a ricollegarlo a nulla.

Stava per proseguire quando sentì la spada che teneva fra le mani, tremare.

La impugnò con forza ma la spada riprese a vibrare.

Cosa stava succedendo?

Improvvisamente, da una rimessa poco più avanti, cominciò a scorgere un bagliore pulsante, come una luce che sembrava accendersi e spegnersi.

Si avvicinò e man mano che lo faceva, la spada cominciava a vibrare con più forza, cominciando tintinnare dentro al fodero.

Ayami aprì lentamente la porta della rimessa e guardò dentro, timorosa: una piccola scala in legno portava a un pozzo da cui scaturiva quella luce.

Sentiva di non dover avvicinarsi ma non era quello che in realtà voleva. Voleva guardare dentro quel pozzo. Prendendo il coraggio a due mani, scese lentamente la scala fino ad arrivare al bordo del pozzo.

La luce sembrò scomparire appena fu abbastanza vicina al bordo.

Rimase immobile, in attesa, per un po', quasi senza respirare. Vedendo che non succedeva nulla si rilassò e fese per allontanarsi, quando la spada cominciò a muoversi da sola. Era attirata dal pozzo.

Ayami fece appello a tutte le sue forze per cercare di trattenerla, puntandosi con i piedi alla roccia del pozzo ma la spada sembrava attirata come da una potente calamita.

Pensò di chiedere aiuto e fece per gridare quando un nuovo bagliore scaturì dal pozz. Non era semplicemente una luce, era una forza.

La spada tremò ancora e lei stava mollare la presa quando quella luce la avvolse. Era calda e non faceva paura.

Ayami fece per resisterle ma non poté fare altro che abbandonarsi a esso. Lasciò la spada e cadde con lei dentro quella luce, attraversando bagliori violacei e brillanti come stelle.

Gli occhi le si chiusero.

Rivide nella sua mente l'immagine del sogno, quello dove lei camminava sul pelo dell'acqua e mormorava qualcosa, qualcosa che prima non poteva ma ora udiva benissimo.

"Tornerai a casa e presto ti sveglierai."

 

Inuyasha distolse il viso dalla ciotola di zuppa che Kaede gli stava offrendo e guardò fuori dall'ingresso della piccola dimora di Kaede.

Sentiva un odore, un odore che non aveva mai sentito ma che, allo stesso tempo, gli era famigliare. In direzione del pozzo.

"Inuyasha, cosa succede?" domandò Kagome mentre Kaede e Rin lo guardavano, interrogative.

Il mezzo-demone annusò l'aria per un po'.

"Sento un odore strano provenire dal Pozzo Mangia Ossa..."

Kagome si allarmò.

"E' qualcosa di ostile?" domandò mentre allungava le mani verso il suo arco.

Inuyasha scosse la testa.

"No, ma è certamente un odore che ho sentito altre volte."

Rin si illuminò.

"Potrebbe essere che il passaggio per il mondo di Kagome si sia riaperto?"
Kaede borbottò.

"E' impossibile, il passaggio si era aperto solo grazie alla volontà della Sfera dei Quattro Spiriti."
Inuyasha si alzò in piedi e mise Tessaiga alla cintola.

"E cosa ci dice che non possa essere un'altra 'volontà' in grado di riaprirlo? Io vado a controllare!"
"Vengo con te!" Kagome prese il suo arco e uscì con lui di corsa, in direzione del pozzo.

 

Sesshomaru stava percorrendo da giorni i sentieri montuosi a Ovest, cercando di risalire al luogo dove aveva avvertito l'esplosione di una potentissima aura demoniaca ma non riusciva ad accedere alle valli interne né in volo, né a piedi.

Il fatto di non riuscirci, però, poteva solo significare che era sulla strada giusta.

"Padron Sesshomaru, sono giorni che cerchiamo di oltrepassare questa catena montuosa! Non potremmo lasciare perdere?" domandò Jaken.

Sesshomaru non lo degnò di una sguardo né di una risposta. Stava per mettere mano a Bakusaiga quando cominciò ad avvertire fievoli braci di diverse energie demoniache, sparse in molte direzioni e a distanze diverse. Nonostante la loro debolezza, Sesshomaru poteva riconoscere tratti famigliari in alcune di esse.

Come se non bastasse, a chilometri di distanza, percepì un odore famigliare che, però, non era in grado di ricondurre a nessuno di sua conoscenza. Un odore simile vicino al villaggio dove aveva lasciato Inuyasha.

"Jaken, andiamo." con un balzo, spiccò il volo, seguito dal suo fedele servitore, appeso alla sua pelliccia.

Nel cielo, la luna si allargava.

   
 
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