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Autore: past_zonk    31/12/2010    6 recensioni
"Fuori s’inizia a sentire il rumore della pioggia che precipita dal cielo. La finestra semiaperta lascia che un soffio si vento gelido penetri nella stanza spoglia. Matt rabbrividisce, Dominic non s’accorge quasi di quell’alito puro. Nulla ha senso."
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breathe. Ultimo capitolo.

E così, come se dio avesse deciso di concludere tutto, Matt si preparava ad uscire. La camicia coi polsini eleganti filava sul suo busto come una nuvola indossa il cielo. Inghiottiva il plesso solare.
Come si può discernere il vero dal falso? Come poteva, Matt, sapere con assoluta certezza che non fosse tutto frutto della sua mente?
Schizofrenia. Forse Dom non era mai esistito (avete mai visto ‘A beautiful mind’?).
Era notte, comunque, se v’interessa.
Era notte ed il nero pallido permeava cielo e terra, in un’unica macchia sulla tavolozza del creato. Il grigiore metallico della vita cittadina sapeva di sangue; e, come le ferite più recenti, bruciava sulla pelle di Matt, pulsava di noia e accidia e tedio e tristezza, in un cocktail rosa col limone.
Se il moro avesse potuto scegliere come esprimere quello stato di vita, avrebbe sicuramente scelto una canzone anni ‘60 post-boom economico italiana con il ritmo di batteria che procedeva a suon di rullanti e la cantante coi fianchi troppo larghi e.
Ciò che conta  non è esprimere a tutti i costi quello che si prova, ciò che conta è come lo si esprime.
Il modo, la maniera. Gesticolare aiuta.  Un quadro ancor di più. Musica? Perfect.
La gente pensa che la fine sia un concetto negativo. La rifuggono come fosse Satana, la odiano e la piangono. Povera, povera senza dubbio, Fine, che aleggia su di noi come lampadari di cristallo, come musica jazz e il suono del fiato del pianista. La fine è necessaria e, come tutte le cose necessarie, aiuta.
Il mondo non pensa, probabilmente.
Perché altrimenti qui c’è solo una persona sveglia nella notte ad amare Chopin?
Matt lo sta stuprando.
E, come dicevo, Matt è pronto. Ed ha un bel vestito, oh sì, bellissimo. Ha il profumo (Sunhorus si chiama). Ha un bel vestito nero di raso, la camicia nera, gli occhi neri, i capelli neri, le labbra nere. Unghie, polmoni, epidermide, intestino, orecchio, femore, prepuzio, lingua, alluce.
Tutto nero come il buio. Che poi, se ci pensi, il buio non è nero, il buio è del colore dei tuoi pensieri e se chiudi gli occhi e li stringi vedi un foglio fucsia e rosso e arancione ed urli a tua madre che vedi i colori ad occhi serrati.
Se tutti guardassero la vita entusiasti come i bambini che carezzano i colori delle proprie palpebre, ora la Terra magari si chiamerebbe Cielo. E questo globo avrebbe un nome più suntuoso.
Anche l’auto di Matt era nera. E non voleva un’autista perché era virile guidare, e ti faceva sentire bene, e i ragionamenti sul cambio e sulle marce e sui freni occupavano abbastanza spazio nella scatola cranica di Matt da non lasciarlo pensare troppo.
Guidava, quasi ad occhi chiusi, che per la strada non c’era anima viva.
Kate Hudson aveva un corpo bellissimo. Potevi immergere il naso nella leggera depressione fra la sua spalla ed il suo collo, potevi estrarre il suo odore direttamente da lì e startene steso sul letto per abbastanza tempo da dimenticare il tempo stesso. Non aveva un odore particolare. Sapeva d’agrumi e pelle, semplicemente. Qualche bagnoschiuma ai sali minerali infestava le sue cosce, e i capelli sembravano commestibili. Matt non li aveva addentati per il brutto aspetto della tintura.
Tutti si lamentavano. Kate, la sua dama di corte, non andava bene. Eh sì. Matt era stato abilmente raggirato da quella megera, preso per il naso e attratto nel suo letto. Matt cercava coperture. Kate lo ingannava. Kate bike. Kate puttana. Kate brutta, coi capelli sporchi, la coscienza sporca, Kate c’aveva provato prima con Dom, Kate voleva un anello, sporca, lurida Kate, Kate profumava d’argento e piangeva perché aveva un figlio ed una casa fatta da tanti alberghi. E piangeva perché il suo odore non bastava. Perché neanche il filo rosso del destino avevo legato a sé un uomo. Kate, sempre quell’essere dai gusti orribili nel vestiario, si spruzzava addosso profumi improponibili per coprire la sua fragranza di donna usata e ferita come fosse una spazzola rotta, una donna copertura per i giornali e i tabloid che tutto sapevano di Matt e Dom e tutto, allo stesso tempo, dimenticavano, ogni giorno che passava e che Matt baciava con la lingua Kate nella piazza newyorkese.
Sapete vero, dov’era diretto Matt?
Sapete voi, che c’è un limite? Anche io ho un limite, non posso ancora crogiolarmi qui a parlarvi dei mille dolori di questo amore. Non più.
Ebbene, Matthew James Bellamy, coperto d’un profumo che era perfettamente il suo (acqua di mare & foglie bagnate di pioggia, forse), si dirigeva con l’anima in pace verso casa Howard. E sorrideva.
E si sentiva come il sole di Settembre. Che s’inclina verso l’inverno ma scalda, oh sì, scalda ancora.
Arrivato, scese dall’auto; e sulle labbra portava solo un nome.
Un nome che si dipanava dal suo labbro superiore fino a toccare la lingua calda e la trachea, un nome che vibrava sulle corde vocali e che cercava aria.  
E il tempo fuggiva veloce mentre Matt faceva suonare il campanello.
Aspettava, i minuti lo disarcionavano.
Il cielo che spariva, la terra che spariva, i ricordi che sparivano.
La porta cigolò. S’intravide un volto, timido, ed una voce di velluto “Matt”, disse la voce.
Il profumo di Kate sparì; si dissolveva nell’aria.
E il nome che da tempo sostava in agguato sulla lingua, il nome che da tanto aspettava di mostrarsi al mondo e prendere aria, si liberò.
-Dominic-  fu ciò che disse Matt.
E i suoni aleggiavano sulle teste dei due.
Dom pensò che non aveva mai gradito così il suono del suo nome che, pronunciato da quelle labbra, sembrava una dolce litania.
Allora Matthew fece un passo maldestro verso Dom; gli sfiorò una guancia con il polpastrello. Percorse il mento poco accentuato del biondo, carezzò le lebbra semiaperte, e pizzicò le palpebre d’ecopelle chiuse di Dom. Gli occhi di Matt, biglie di plexiglass, erano aperti languidamente, sembravano aver cambiato tonalità di colore, erano d’un azzurro più dolce, come un cielo limpido.
La bocca del moro s’avvicinò al naso di Dominic, lo baciò, piano. Le labbra che, morbide, si posavano sul naso perfettamente dritto.
-Hmh…Matt, entriamo.-
Gli occhi d’entrambi s’aprirono e i piedi decisero per loro che era meglio entrare, onde evitare d’essere ancora una volta colti da occhi maligni.
Chiusa la porta, i due si concessero un lungo abbraccio.
Non c’era tempo per le parole, così i concetti sostavano a mezz’aria. Rimanevano imprigionati nelle particelle d’ossigeno che volavano lì.
Le mani tremanti di Dom si fermarono sulla camicia del cantante, e con estremo imbarazzo iniziarono a sbottonarla. Piano.
Le mani di Matt, semplicemente, giocherellavano con una ciocca bionda rigirandola mille & mille volte.
La camicia nera, più nera del greggio, di Matt scivolò sul pavimento freddo;come anche la felpa grigia di Dominic, la quale zip ben presto gemette d’odio nei confronti d’un paio di mani da pianista.
Entrambi si ritrovarono a dorso nudo.
Le labbra di Dom, elastiche, sembravano malleabili come creta fra quelle di Matt. E ballavano, le bocche, con saliva e calore.
I cuori, coperti solo dal leggero strato d’epidermide, sembravano urlare e gridare e scalpitare.
I due si sederono sul divano nero, cuore contro cuore, petto contro petto, bocca contro bocca.
E poi Dom percorse con i polpastrelli i disegni sottopelle delle scapole di Matt.
Lo guardò e disse : ‘Sembrano rondini in volo ’.

                                                                                 *

Mentre la pioggia batteva sui vetri, mentre i tassì incasinati correvano sull’asfalto londinese, mentre un paio di cuori formavano una capanna, il soffitto di casa Howard aveva assorbito le mille parole non dette fra i due.
Volarono ‘ ti amo ’ e ‘ti prego ‘ e ‘per sempre’ che si disintegravano contro i vetri abitati da gocce d’acqua piovana pellegrine.
Quattro mani giocavano a rincorrersi fra le lenzuola bianche come gigli. Sembravano bambini, mentre Matt carezzava il fianco destro del biondo, che ridacchiava di cuore, le guance rosse, gli occhi appannati d’amore.
‘Ho deciso di perdermi nel mondo; anche se sprofondo. Applico alla vita i puntini di sospensione’.
E le labbra di Dom che avvolgevano l’orecchio del moro, che aveva  una (non molto credibile) espressione corrucciata.
-Matt ?-
-Hmh…-
Dom lo fissò negli occhi.
-Non voglio farti promesse eterne e vane. Non voglio star qui a giurarti fedeltà eterna, o a donarti il mio cuore. Anche perché sarebbe inutile. Volevo solo farti sapere che, qualunque cosa ne sarà di noi, sarò pronto ad accoglierti. Come una casa; voglio essere la tua casa, Matthew. -
Il moro rise, grattò il collo d’un Dominic rosso d’imbarazzo.
-Ma cosa dici? Tu sei già la mia casa. -

E forse fu la nostalgia d’una vera casa, forse fu il mondo che non poteva fare da soffitto a quei due cuori, forse semplicemente nulla, forse il vento a convincere quei due cuori ad unirsi definitivamente.
Come fossero legati in un ammasso di cellule e sangue da pompare; come il cielo.
E quegli anni d’odio, d’amore, di dolore si cicatrizzarono, lasciando solo un vago segno di ciò che erano stati.
Unintended risuonava chiara.
Il sole ruotava, il mondo parlava. Matt & Dom s’amarono, come non mai.
Ed una canzone commercialotta, di quelle che un po’ vorresti rinnegare, suonava alla radio.
Volete sapere cosa diceva?
Che il loro amore sarebbe durato per sempre, sarebbe riecheggiato in tutti gli stadi, avrebbe superato la morte, la bugia, il pregiudizio. Sarebbe sbocciato oltre le nuvole e l’oceano. La batteria a riecheggiare nel buio delle stelle, la voce di Matt col fiatone che urlava con tutta la forza che aveva in corpo, con tutto il suo sangue, tutti i suoi polmoni, che l’avrebbe amato per sempre.
Che il mondo crollasse, allora.
Una capanna fatta di due cuori e due paia di mani e due bocche avrebbe scalfito persino l’infinito.


                                                                  Fine.

Spazio dell’autrice.
Sì, ecco piango.
Piango perché davvero, questa fan fiction è stata un’avventura fantastica. Spero che la conclusione vi sia piaciuta. Sapete, la parte finale, scritta ascoltando Neutron Star Collision live at San Siro (<3), è un po’ singhiozzante, come d’altronde stavo scrivendo.
Oh, è stati difficile, eh? Ma è stato bello, sì che lo è stato. E mi sento tanto cresciuta da questa storia, mi sento cambiata nel modo di scrivere e di vedere le cose. Sono contenta, commossa.
Volevo proprio finirla per la fine dell’anno, e oggi è il 31, andiamo giusto giusto, quindi. Beh, è durata quasi un anno, forse, quest’avventura.
Grazie, vi vorrei ringraziare uno per uno.
N i s h e : GRAZIE.. Grazie di tutto, tesoro. Sei stata dolcissima, e carissima e m’hai sempre sostenuto. Ti adoro.

Lady Of the Flowers: Grazie, sei d’una dolcezza unica. Grazie, sono onorata delle tue recensioni :’)

Deathnotegintame: Grazie mille, cara, non sai quanto ci tengo al tuo giudizio. Grazie grazie grazie.

_DyingAtheist: *inchino* grazie mille, mi fai sempre arrossire. Grazie grazie grazie.

Chi l’ha messa fra i preferiti.
BrokenGlass (<3)
Cydonian Kide
Deathnotegintame
Idiotofsuburbia
Korallina84
Lady of The Flowers
Lilla Wright (<3)
N i s h e
_MedullA

Fra le seguite.
Desired
MicroCuts
Rbd
_DyingAtheist

E chi, infine, m’ha sostenuto in maniera particolare.
Alessia F & N, Riccardo anche se non lo sai, la mia musica, mia madre che urla al televisore che Matt è un genio, Ilaria Morgillo perché è entusiasta, i Muse perché si lasciano diffamare da me. Tutti gli artisti dai quali ho preso spunto.
La mia omonima; N i s h e, TU- Tewwy. And many others.


Ci vediamo presto, carissimi lettori, spero, con una nuova fanfic :°D
Baciiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Silvia.


   
 
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