Qualcosa che non so dire
«Non riesco mai a dirlo.»
«Che cosa?»
«...Addio.»
«Non voglio che gli riveli che la figlia illegittima
dei Nightray è Alice Lewis.» pronunciò Sirjan, lo sguardo
su Jack mentre gli accordava il permesso di stabilire un contatto con il
più giovane dei Bezarius, ma gli proibiva di pronunciare di fronte a lui
quella verità che andava nascosta.
Chissà perché, poi.
Jack tuttavia si limitò ad
incurvare le labbra con quel fare gentile e accondiscendente che rivolgeva a
Sirjan ogni volta che avevano occasione di interagire.
«Hai
la mia parola. Questo argomento non sfiorerà le
mie labbra in presenza di Oz.» assicurò al più giovane, di
cui colse un sospiro impercettibile; lo incuriosì, come una sfumatura
nuova colta per la prima volta.
Anche Sirjan dovette notare la rinnovata attenzione di Jack,
e inarcò appena un sopracciglio: «Cosa c'è?» chiese infatti, diretto. L'altro ridacchiò sommessamente,
divertito.
«Sembri
più stanco, dell'ultima volta. Uhm, in positivo, intendo.» si corresse subito, perché non sembrasse un
rimprovero. Sirjan non parve convinto, però: mise le mani in tasca
– cosa ben lontana dall'etichetta che esibiva sempre alla perfezione
– poggiando la schiena al muro.
«Cosa c'è di positivo nel sembrare più
stanco del solito?» domandò infatti,
perplesso.
Jack portò una mano dietro la nuca, in un gesto
meccanico che anche in vita aveva fatto spesso. O almeno, a Sirjan era
familiare.
«Forse mi sono espresso male.» iniziò il
biondo: «Non è che sembri più
stanco. Forse, è l'impressione che ho perché stavolta non lo stai
nascondendo, differentemente dalle altre in cui ci siamo visti.» si corresse Jack, lo sguardo chiaro sull'altro.
Sirjan sbuffò, assumendo un'espressione che – lo avesse visto
qualcuno – avrebbe fatto crollare l'opinione generale dell'intero
istituto: un'aria seccata, ma non di quelle che rivolgeva a Cheshire nei loro
(fortunatamente) rari incontri.
Era un misto dell'irriverenza di un ragazzo giovane, e di
quel fastidio dato dal dover mostrare sempre una facciata perfetta per il perfetto mondo in cui si vive. La
stanchezza per la finzione, mescolata al fastidio per il doverla calare anche
solo un minimo per respirare.
«Tch, quindi mi stai
dicendo che sono diventato uno smidollato. Non c'è nulla di simile ad un complimento in queste parole, sai Jack?» lo
apostrofò, come se fosse lui il maggiore e il biondo il più
piccolo da riprendere.
«Posso farti una domanda, Sirjan?»
domandò Jack, eludendo quella domanda retorica
che di risposte non aveva bisogno. Sirjan mantenne l'attenzione su di lui a
quelle parole: «Quale?» lo incalzò.
«Se sai che scoprire di Alice non sarebbe certo un
pericolo per Oz, allora come mai tanto affanno per nascondere la cosa?»
chiese a bruciapelo, stupendo forse un poco il suo interlocutore. Kolstoj era
stato convinto che Jack, in quanto spirito, sapesse.
O, in caso contrario, che potendo osservare i vivi quanto i morti – in
special modo quelli di Latowidge – lo avesse capito da solo. Ma la domanda smentiva quel pensiero, sorprendendolo.
«Davvero non lo hai capito da solo?»
indagò infatti.
«Più che non averlo capito, diciamo pure che ho
un'ipotesi di cui però non ho conferme.» chiarì il biondo,
sincero. Nella condizione in cui era, non aveva motivi per mentire, tantomeno a
Sirjan che era a conoscenza di molte più cose rispetto a lui.
Il più giovane sospirò piano, quasi con voluta
lentezza.
«Diversi
motivi. In primis, poiché custode dei segreti di tutte le famiglie, il
mio compito in quanto Kolstoj è appunto far
sì che certe cose non si sappiano. Questa è fra le tante. I
Nightray non ne sarebbero affatto entusiasti.»
fu la premessa a cui l'altro diede voce: «Puoi immaginare da te che
sarebbero in molti a porsi delle domande. I tre fratelli Nightray che studiano
qui per esempio. Senza contare la stessa Alice: non ho da rivelare molti
dettagli in proposito, ma quella ragazza sembra non serbare alcun ricordo. Per
lei la condizione di Lewis, cugina dei Nightray, è la normalità.
Non sospetta minimamente di esserne la sorella minore, seppur illegittima.» continuò, spostando lo sguardo fuori dalla
finestra che era l’unica fonte di luce e solo grazie alla luna, il cui
leggero bagliore non era offuscato dal cielo nuvoloso che ultimamente
sovrastava l'istituto.
«Inoltre,
sai bene anche tu dell'odio di Vincent Nightray per Alice. È una catena
destinata a spezzarsi, se una sola delle informazioni trapelasse e giungesse
all'orecchio di qualcuno dei diretti interessati. Caso vuole che Oz sia molto
legato ai principali protagonisti di questa storia: Alice e Gilbert, innanzitutto.
E se legati a quest'ultimo, si è inevitabilmente a contatto con Vincent.
Inoltre, ho infine avuto modo di notare che tuo fratello sembra in qualche modo
anche abbastanza vicino ad Elliot. Capirai quindi da
solo che non posso lasciare che scopra nulla. Né potrei mai fare
affidamento su una sua promessa di tacere.»
aggiunse, facendo forse la figura della persona malfidata.
Ma Jack non parve
pensare che fosse per scarsa fiducia, non in senso strettamente offensivo
almeno.
«...Tuo fratello ha la
sfortuna di essere un amico leale. Per questo non posso dirgli nulla, ed
è questo che lo mette nei guai.»
pronunciò infine Sirjan, dopo qualche istante in cui aveva mantenuto il
silenzio.
Jack socchiuse gli occhi, limitandosi ad
un sorriso leggero che l'altro sbirciò fugacemente, senza commentare.
«Piuttosto, Sirjan» riprese il biondo, cambiando
argomento: «qualcuno si è appena allontanato dopo averci sentiti parlare, o aver sentito almeno te farlo. Non
è da Sirjan Kolstoj permettersi distrazioni simili.»
gli fece notare, prendendolo bonariamente in giro. L'altro,
ancora nella medesima posizione, socchiuse gli occhi con tutta calma.
«Avevo
notato la sua presenza, e so di chi si tratta. È qualcuno già a
conoscenza di tutti gli argomenti che abbiamo toccato, pertanto non era
necessario preoccuparsene.» disse semplicemente.
Strinse appena gli occhi, aprendoli lentamente in quella
sequenza tipica del risveglio.
Mosse leggermente una mano, ritrovandosi a sfiorare qualcosa
che non era stoffa: abbassando lo sguardo, notò che erano senza dubbio
capelli. Mise lentamente a fuoco la figura che per una
manciata di secondi non sembrò altro che un'ombra indistinta; in
un secondo momento – mentre, chiunque fosse, alzò la testa per
posare lo sguardo su di lui – ne riconobbe i tratti peculiari: capelli
neri, occhi dorati.
Associare le due cose a Gilbert fu istintivo ed immediato.
«Gil...?»
mormorò, il tono impastato dal sonno che evidentemente gli impediva
ancora dei ragionamenti coerenti. Il moro gli sorrise
accondiscendente, aspettando che Oz si tirasse su a sedere. Così fece il
biondo, poggiando la schiena al cuscino fra sé e la testiera del letto.
Parve confuso, mentre guardandosi intorno
riconosceva la sua stanza: «Aedan è venuto a bussare alla mia
porta.» iniziò a spiegare anche se Oz non aveva ancora posto la
domanda, intuendo forse quell'interrogativo prima che l'altro gli desse voce.
«Aedan?» mormorò Oz. Impiegò poco
a ricordare il discorso affrontato con Shaye nella saletta, soli vista l'ora;
le parole dell'altro lo avevano incredibilmente smosso, e si era sfogato fino a
crollare esausto lì dove erano. Era plausibile pensare che Aedan fosse
andato a chiamare Gilbert perché si occupasse di lui.
Se ne vergognò un po'.
«Ha
detto che ti avrebbe portato su personalmente, se Sirjan non avesse avuto
bisogno di lui. Ha chiesto a me di accompagnarti in stanza.»
riportò l'altro fedelmente. Il biondo gli rivolse un sorriso, uno di
quelli soliti, forse solo meno smagliante a causa del
torpore che ancora lo avvolgeva. Con esso, in breve, sopraggiunse l'imbarazzo:
il ricordo del bacio era ritornato prepotentemente e senza il minimo preavviso.
Infantilmente, Oz pensò che non fosse affatto
corretto tutto quello.
Per contro, Gilbert sembrava un servitore conscio di aver
tradito il proprio padrone e che attendeva la punizione che immancabilmente si
sarebbe abbattuta su di lui. Il che era quasi allucinante, non fosse stato che
era proprio da Gilbert un atteggiamento simile.
«Uhm, Noah?» buttò lì, cercando di
non prolungare quel silenzio scomodo che si era venuto a creare. Gilbert parve
lieto di cogliere la palla al balzo: «Mi ha
aperto quando ti ho riportato in camera. Vedendo che non rientravi, stava per
venire a cercarti. Ha detto che sarebbe stato da Wellesday per stanotte.» replicò, chiamando Marcus per cognome –
in effetti, pensò Oz, non avevano quasi mai interagito. Suppose che
anche Marcus chiamasse praticamente tutta la scuola
per cognome; non sarebbe stato affatto sorprendente scoprire che si rivolgeva
con familiarità solamente a Noah e forse a Ethan, che aveva appreso
essere uno dei pochi esseri umani che Marcus Wellesday considerasse amic--- beh.
Magari “compagni meno odiosi degli altri”,
sì.
«Ho capito.» disse Oz ritrovandosi a fissare
l'altro perplesso quando questi, senza il minimo preavviso, assunse
un'aria serissima, protraendosi in avanti come se dovesse rivelargli una
questione della massima urgenza ed importanza.
«Oz, dobbiamo parlare!» esclamò infatti quasi frettolosamente, come se temesse di
dimenticare la cosa da riferire se non le avesse dato voce ora, subito. Il
biondo rimase in silenzio quasi ad incalzarlo visto
che, di qualunque cosa si trattasse, sembrava premergli particolarmente.
Gilbert, deciso, proseguì: «Riguardo al ba--»
o meglio, probabilmente l'idea era di continuare sull'onda di quel cipiglio determinato
improvviso. Peccato che avvampando l'effetto non fosse
esattamente quello.
Quell'arrossire, peraltro, lasciò bene intendere ad Oz quale argomento l'altro stesse cercando di tirar fuori;
si sentì in imbarazzo più in risposta al timido disagio del moro
che per altro.
Rivedendo in quell'atteggiamento il preludio di un blocco
psicologico al quale il più grande era stato soggetto fin da quando si
conoscevano, decise di prendere in mano la situazione: si schiarì appena
la voce, forse anche nel tentativo di allentare un minimo la tensione.
Era difficile di punto in bianco affrontare il discorso:
Gilbert aveva diciannove anni, e certamente non la viveva esattamente come lui,
che a sedici anni poteva vantare le poche esperienze avute esclusivamente con
una controparte femminile. Peraltro, mai nulla di serio – e non che
fossero così numerose o intime. Era pur sempre nell'alta società,
dove i rapporti con gli altri erano sotto lo stretto controllo di precise regole:
eri molto più soggetto allo scandalo, rispetto ad
un normale adolescente.
Inoltre, Oz aveva studiato in casa, prima di andare a
Latowidge. Non era esattamente il massimo per potersi dire uomo di mondo.
Se anche avesse messo tutta questa questione da parte, il
disagio era comunque presente.
Gilbert era stato il migliore amico – di qualche anno
più grande – che dall'infanzia era stato sempre
presente finché non era andato via. Servitore, confidente, quasi
fratello; spalla su cui piangere quando c'era stata una perdita dolorosa,
compagno nei giorni spensierati che avevano preceduto
quell'avvenimento.
Poi tanto tempo senza vedersi o essere in contatto, se non
tramite i racconti di Ada e le lettere nei periodi scolastici in cui non
tornava neanche nel week-end.
Ora, all'improvviso, passava dal lento ricostruirsi del
rapporto di amicizia e lealtà reciproca al ruolo di... non sapeva bene
come definirlo. Non si erano poi dichiarati o che. E non aveva nemmeno un'idea
precisa sul significato di quel bacio.
Sospirò; si stava arrovellando il cervello su
discorsi troppo complicati, quando Gilbert sembrava – dal suo colpo di
tosse – in attesa di una sentenza di morte: «Non
hai fatto nulla di male. Perciò smetti di guardarmi come se dovessi
punirti da un momento all'altro.» se ne
uscì, forse nel modo che più gli si addiceva, data la sua indole.
Non voleva essere superficiale in merito all'accaduto, ma
per contro non voleva nemmeno che ci fosse una costante tensione fra loro da
lì in avanti. Forse pretendeva troppo, o una situazione irreale data da
una visione infantile.
Gilbert però parve capire: come sempre era stato,
come quando in passato ad Oz non era servito
pronunciare chissà quali discorsi per arrivare al moro, per fargli
comprendere esattamente cosa volesse dire. Gilbert aveva sempre fatto tutto da
solo, in quel senso, circondandolo con la gentilezza tipica di lui, che nei
confronti del biondo non era mai venuta meno nemmeno a distanza di anni.
Oz se ne accorse quando sentì una mano del moro
spostare qualche ciocca bionda dalla sua fronte, per posarvi un bacio leggero;
alzando appena lo sguardo, lo notò ancora rosso in viso sebbene meno
rispetto a prima – e d'altra parte era lui, ora, ad
essere arrossito maggiormente a quel gesto inaspettato.
Lo guardò forse stupito, senza volere.
«Ti
ringrazio. Ora... dovresti riposare ancora.»
mormorò.
«Che ore sono?» domandò d'istinto Oz mentre
seguiva docilmente la leggera pressione delle mani di Gilbert che, sulle sue
spalle, lo guidavano per farlo sdraiare.
«Quasi le tre del mattino.» rivelò,
rimboccandogli le coperte. Ad Oz venne istintivamente
da sorridere; quelli erano i momenti in cui si sentiva come se fosse tornato
bambino e Gilbert badasse ancora a lui come un servitore e al tempo stesso un
fratello avrebbe dovuto fare.
La sola differenza, era quella sensazione di calore
probabilmente fittizia che coglieva sulla pelle, lì dove il moro aveva
posato le labbra. Tacitamente, si disse che per lui quella era una risposta
sufficiente ai dubbi o alle perplessità che aveva. O almeno, per ora
bastava.
«...Dovresti dormire anche
tu.» gli fece notare, un broncio leggero e una sfumatura di rimprovero
nel tono. Gilbert sorrise.
«Tornerò in stanza non appena ti sarai addormentato.»
assicurò: «...domani parleremo di tutto
quello che vuoi, Oz. Di Ada, o di Elliot... o di qualsiasi altra cosa.» aggiunse, quel tono di preoccupazione che suo
malgrado, quando si trattava del biondo, non era mai in grado di nascondere
completamente.
Oz non poté obiettare a quella premura e a quella gentilezza tanto familiari.
Differentemente da quanto accadeva negli ultimi tempi, prese sonno facilmente.
Si sentì sfiorare una guancia, e nel pieno del
dormiveglia diede per scontato che non potesse trattarsi di altri se non
Gilbert. Non era nelle condizioni migliori per formulare pensieri complessi, ma
confusamente un angolo della sua mente si chiedeva, in effetti, come mai il
moro fosse lì.
Man mano che prendeva coscienza, riaffiorava infatti il ricordo di un Gilbert che gli assicurava di
rimanere, ma solo fin quando l'altro non si fosse addormentato; si era quindi
trattenuto fino a quel momento?
Aprì lentamente gli occhi, mentre una considerazione
più sensata prendeva forma: forse Gilbert era semplicemente venuto a
svegliarlo. Avrebbe potuto effettivamente pensare a Noah, ma dubitava che
l'altro lo svegliasse in maniera così delicata, a dirla tutta.
Quando mise a fuoco la figura che vedeva sopra di sé,
ebbe quasi la totale certezza di stare sognando: i capelli biondi, la cui
frangia – se la persona si fosse chinata maggiormente verso di lui
– avrebbe potuto sfiorargli una guancia erano familiari. Gli occhi verdi
che con gentilezza lo abbracciavano tramite il solo sguardo, inconfondibili.
Le labbra incurvate in quel sorriso dolce che gli aveva
sempre rivolto... che faceva quasi male.
«...Jack?»
riuscì a chiamare stupidamente, con un filo di voce.
Non poteva essere che un sogno, se Jack ora gli sorrideva
comprensivo annuendo, come a dire “sono
tornato”.
La mano sinistra del più grande si avvicinò
con lentezza e un certo timore ingiustificato, fino ad
insinuare leggermente le dita fra i capelli del fratello minore; per un attimo
sembrò stupirsene lui stesso, come quando un gesto ci è mancato
per così tanto tempo che lo si riscopre nel momento stesso in cui lo si fa
o lo si riceve nuovamente.
Quella sorta di apparente disagio non durò a lungo:
la mano calda di Jack si mosse in breve con più naturalezza in un vero e
proprio scompigliargli i capelli, movimento al quale Oz socchiuse gli occhi
infantilmente, quasi.
Tutto gli era mancato terribilmente: quel gesto, quel modo
di fare, quell'attenzione anche nelle dimostrazioni d'affetto, come se persino
quelle potessero ferire.
Nonostante avesse formulato come primo pensiero
un razionale “deve trattarsi di un sogno”, fu del tutto istintivo
alzarsi di scatto con un colpo di reni e accertarsi di quella presenza
sporgendosi verso di essa, alla ricerca di un contatto.
Di un abbraccio, ad essere
completamente sinceri.
Ma persino Oz, nel suo sperare in quella conferma fisica,
non riuscì a non stupirsi quando il proprio capo finì col
poggiarsi al petto del più grande, che sentì lasciarsi sfuggire uno sbuffo divertito poco prima di circondarlo a sua volta
con le braccia.
«I tuoi abbracci sono sempre stati un po' un agguato,
in effetti...» fece notare con tono bonario nel
suo essere canzonatorio; Oz strinse appena gli occhi, godendosi quella
sensazione a lungo proibita dall'assenza dell'altro.
Per un attimo sperò infantilmente che la morte di suo
fratello fosse stata un sogno e che quella fosse la realtà. Anche se lo
sapeva, che non era davvero così.
«Oz?» lo chiamò Jack, il tono calmo; il
minore rispose a quel richiamo con lo stringersi dell'abbraccio che non
sembrava intenzionato a sciogliere, nell'ingenua convinzione che così ci
fossero più probabilità di mantenere
“in equilibrio” quel momento, senza permettergli di sbiadire
portandosi via Jack.
Questi sospirò impercettibilmente, intuendo forse i
pensieri che affollavano la mente del fratello.
«Sono
felice. Mi mancavi tanto, fratellino.»
mormorò con dolcezza, sincero. Forse si stava dimostrando codardo,
pronunciando parole simili come se dovesse rendere il tutto meno difficile,
mascherando da fiaba con lieto fine la realtà a
cui avrebbe dovuto dar voce in breve.
Nonostante volesse fare tutto tranne che causare dolore ad Oz, non poteva rischiare che l'altro prendesse nel verso
errato quella possibilità di incontrarsi; non poteva permettersi e
permettergli di credere che sarebbe potuto accadere in ogni momento, o che si
sarebbe protratta a lungo quella situazione. Dopotutto era lui, Jack, ad aver
approfittato della facilità di uno spirito di
insinuarsi nei sogni di una persona particolarmente vicina.
Sentì Oz strusciare appena la testa contro di lui,
esattamente come faceva da bambino, e ne fu intenerito; al tempo stesso,
però, capì che il motivo di quel gesto era che l'altro si era
perfettamente reso conto della precarietà di quel momento.
«Mi
dispiace non poter rimanere a lungo. Di non poter tornare. Forse... non avrei
nemmeno dovuto mostrarmi ora, ma avevo bisogno di parlare con te, Oz.» aggiunse, abbassando appena lo sguardo ma riuscendo
a far rientrare nel proprio campo visivo niente più che il capo del
fratello minore.
Non durò molto, tuttavia: colpito e riportato in un
certo senso alla realtà dalle parole di Jack,
Oz si scostò allentando l'abbraccio quanto bastava per poter alzare il
viso verso l'altro.
Ritrovò il sorriso che Jack aveva sempre, sempre
rivolto a lui e ad Ada.
«Anche
tu mi sei mancato. Mi manchi, Jack.» mormorò come prima cosa,
aggiungendo solo in un secondo momento: «Anch'io devo chiederti delle
cose.»
Non riuscì a frenare il fiume in piena che il
pronunciare quella frase aveva scatenato; troppe volte aveva
desiderato poter chiedere la verità direttamente a Jack senza poterlo
davvero fare.
«Jack,
continuano a chiedermi di te, della tua morte... Mi hanno dato il tuo diario, e
mi hanno chiesto di leggerlo. Hanno detto che vi avrei trovato anche la
verità su Glen Baskerville, e Sirjan ha anche detto che ci sono persone
in questa scuola, che mi mentono. Persone che conosco. Poi ho incontrato
Cheshire, e Glen, e...» continuò,
incapace di fermarsi, bloccato da un dito di Jack che gli sfiorò appena
le labbra suggerendogli di tacere, sebbene senza alcun rimprovero nello
sguardo.
«So
che hai incontrato Glen. So più o meno ogni
cosa. Ho continuato ad osservarti a lungo...»
fece una piccola pausa, lasciandosi sfuggire un sorrisetto che Oz riconobbe
immediatamente come di quelli impacciati che il fratello ogni tanto mostrava in
momenti di particolare disagio: «Mi hanno detto già che sono
troppo protettivo anche ora.» ammise in aggiunta, infatti, facendo
sorridere anche Oz.
Non era cambiato nulla, sembrava quasi che il tempo –
fermatosi – avesse ripreso a scorrere, semplicemente.
«Mi hai osservato... quindi sei sempre stato a
Latowidge?» chiese, acquisendo in un secondo momento quella
consapevolezza.
L'espressione sul viso di Jack assunse quasi una
connotazione colpevole.
«Mi
dispiace non averti mai avvicinato in maniera diretta. Ma Sirjan ha detto una
cosa molto saggia e giusta: il mio tempo, quello mio e di Glen, si è concluso. Sarai stanco di sentirtelo dire ormai,
ma... credo che tu, Oz, debba vivere senza il fantasma di tuo fratello che
puntualmente torni da te a ricordarti solo la parte dolorosa del passato.» disse lentamente, dando quasi l'impressione di stare
scandendo le parole.
Oz tacque, mordendosi appena il labbro inferiore: lo capiva,
ma allo stesso tempo non voleva capirlo affatto.
Jack gli diede qualche istante, consapevole di aver
pronunciato una verità dura per l'altro, come per se stesso; dopo un
silenzio che minacciava di protrarsi ancora a lungo, riprese la parola: «Nonostante io sia a conoscenza del fatto che tu abbia
parlato con Glen, non mi è stato possibile essere lì o ascoltare
cosa vi siate detti. Anche se conosco Glen forse troppo bene per non riuscire ad immaginarlo.» ammise con un sorriso lieve.
Oz rimase in silenzio, lasciando che fosse l'altro a
parlare.
«Immagino che abbia innanzitutto scongiurato
una mia implicazione nella sua morte.» rivelò, cercando conferma
nel fratello. Oz annuì lentamente: «Jack... tu e Glen...?» lasciò in sospeso, non sapendo bene come
esprimersi mantenendo un minimo di riguardo nei confronti dei sentimenti del
maggiore.
«Vuoi sapere se ci siamo mai incontrati come spiriti?»
domandò, anticipandolo e facendolo quasi sentire a disagio per la
curiosità che ora – differentemente da come era
in qualsiasi caso – gli pareva terribilmente fuori luogo.
Si limitò ad annuire nuovamente.
«No,
mai. Il contratto che vincola Glen a Latowidge è diverso dal mio o da
quello di altri spiriti che sono qui. Si tratta... di scelte diverse che si
fanno. Inoltre io sono giunto qui più tardi,
rispetto a lui.» spiegò, accorgendosi forse di non essere
chiarissimo per qualcuno che non conosceva il modo di rapportarsi degli
spiriti, non essendo uno di loro.
Sorrise con uno sbuffo leggero, divertito quasi:
«Aspetta, cercherò di spiegarmi meglio.»
bloccò sul nascere qualsiasi dubbio del minore «Io ho scelto
Latowidge solo nel momento in cui Ada prima e tu dopo siete giunti qui. Ma non
vi sono vincolato: vi giro per mia scelta, perché si tratta di un luogo a cui diversi aspetti del regno dei vivi mi legano. Mio
fratello e mia sorella, e il mio aver frequentato il medesimo istituto.» spiegò con maggiore chiarezza, paziente.
Oz pendeva dalle sue labbra, immagazzinando ogni minima
informazione: «Glen è vincolato a questo
luogo. Vediamo... se Sirjan è il tramite tra vivi e morti, Glen lo
è tra morti e vivi. Sirjan fa sì che nessuno studente si imbatta negli spiriti di Latowidge e Glen lo stesso.
Entrambi cooperano per il quieto vivere, diciamo così.»
continuò, anche se Oz al ricordo di Jabberwocky dubitò seriamente
che uno come Glen potesse puntare alla coesistenza pacifica. Anche se doveva ammettere di essere stato lui a violarne per primo il
territorio, in quel caso.
«Per
il tipo di ruolo che ha, Glen è confinato in un luogo privo di spazio e
di tempo, in un punto imprecisato di Latowidge e allo stesso tempo in una
dimensione completamente estranea alla tua. Vi risiede con Cheshire, per il
semplice fatto che questi è uno spirito inquieto che sfugge facilmente
al controllo. Glen gli garantisce qualcosa, che non ho bene appreso a dire il
vero, ed in cambio Cheshire gli tiene lontano i
ficcanaso. Ma è un tipo irruento, e Sirjan non
lo ama per questo. Tempo addietro attaccò anche Xerxes Break. Se non ci
fu un caso di uccisione, devono tutto a Sirjan e Glen lo sa. Per questo, a
maggior ragione, cerca di calmare Cheshire. Immaginerai, se hai visto
Jabberwocky, che non fatica molto in questo compito.»
concluse, con una nota di sottile ironia.
Ma Oz era stato colpito da altro, e
più precisamente dalla parte riguardante Break.
«Xerxes
Break è stato attaccato da Cheshire? Perché?» domandò, lo sguardo che non abbandonava nemmeno per
un istante Jack. Questi si sorprese appena: aveva creduto che Break, insieme a
Barma e a quel loro tentativo palese di scoprire la verità tramite Oz
piuttosto che tramite gli spiriti, avesse parlato di quell'episodio a suo
fratello.
«Break si era avvicinato fin troppo a qualcosa a cui Cheshire fa la guardia. È qualcosa su cui non
potrò darti dei dettagli, ma Cheshire fu
fermato e quasi annientato completamente da Sirjan. Anche se persino lui
subì qualche danno. Ad ogni modo, Xerxes perse completamente la vista da
un occhio, e ha seriamente rischiato di perdere l'altro e la vita. Sirjan era
furibondo: minacciò di recidere completamente il contratto che
consentiva agli spiriti di dimorare lì. Credo che poi abbia trattato con
Glen la cosa, ristabilendo le condizioni del loro patto.» concluse il
racconto riguardo quell'episodio, mentre nella mente di Oz si delineavano maggiormente i ruoli e le figure del capo dormitorio
e di Glen.
Jack tacque per dargli tempo di assimilare quelle
informazioni, aspettando un gesto del fratello per proseguire con il vero
motivo per il quale ora era lì con lui.
Quando Oz annuì, l'espressione meno confusa, Jack gli sorrise.
«C'è una sola verità che posso mostrarti Oz. Ma la mia
speranza è che sia sufficiente ad allontanarti da tutto ciò che
di sovrannaturale c'è a Latowidge, e dai segreti che non hai davvero
bisogno di sapere per vivere senza dubbi la tua vita.» pronunciò,
una nota di palese preoccupazione nel tono di voce.
Oz ne fu un po' stupito, e si sentì in colpa senza
effettiva ragione – per il momento.
«Di quale verità stai parlando?»
domandò in un mormorio, la voce che tremò per un istante.
«Della mia morte e di quella di Glen.»
pronunciò Jack.
Era stata una sensazione stranissima, quella di avere
l'istinto di stringere gli occhi mentre la stanza veniva
inghiottita nel buio e, riaprendoli, ritrovarsi in un luogo completamente
diverso.
Differente sì, ma non sconosciuto: si trattava infatti dell'atrio di Latowidge, senza il minimo dubbio.
Jack era al suo fianco, e nessuno sembrava averli minimamente notati. I volti
che Oz vedeva erano tutti estranei, nonostante la divisa scolastica fosse
quella e non lasciasse il minimo dubbio sul fatto che si trattasse di studenti
esattamente come lui.
Cercò una qualsiasi conferma sul viso di Jack, il
quale gli sorrise leggermente, posandogli una mano
sulla spalla e chinandosi appena verso di lui; l'altra mano, indicò un
punto davanti ad Oz: «Guarda lì.» esortò.
Il minore spostò lo sguardo nella direzione indicata
dall'altro, e sgranò appena gli occhi stupito:
più avanti a loro, un Jack sedicenne – alto più o meno come
Oz, i capelli più corti legati in un codino anziché nella
familiare treccia, l'espressione spensierata che avrebbe mantenuto anche da
adulto.
Camminava accanto ad un ragazzo sicuramente della stessa
età, ma che sembrava molto più maturo dagli atteggiamenti che
mostrava: portamento elegante e privo di difetti, serioso e in qualche modo
anche altezzoso. I capelli neri e lisci sfioravano appena il viso con le
ciocche più lunghe, la pelle chiarissima gli conferiva un fascino non
indifferente nonostante fosse ancora nel pieno dell'adolescenza e lontano
dall'essere un uomo fatto e finito. Gli occhi ametista, aveva un atteggiamento
ben diverso dal Jack al suo fianco, che camminava
chiacchierando divertito di chissà cosa, le braccia incrociate dietro la
testa con fare ben poco nobile.
Nonostante le differenze che saltavano a dir poco
all'occhio, quel giovane Glen non sembrava affatto
infastidito dal comportamento del biondo e viceversa; a stupirsi e commentare
molto di più erano i compagni che li notavano.
Il Jack al fianco di
Oz, ridacchiò divertito: «All'epoca Latowidge, o almeno il suo
lato pettegolo, era diviso in due fazioni. Quella che non capiva come potessi
sopportare un altezzoso arrogante come Glen, e quella che non capiva come Glen
potesse accompagnarsi ad uno scemo privo di pudore
come il sottoscritto.» commentò, e Oz colse chiaramente nel tono
un affetto smisurato per il migliore amico e per la situazione che ricordava piacevolmente.
«Eravate amici già a quest'età?»
domandò Oz incuriosito, per un attimo dimentico del motivo per il quale
l'altro gli stesse mostrando tutto quello. Non aveva mai avuto modo di chiedere
al fratello alcune cose: in passato aveva sempre sentito parlare di Glen quando
Jack tornava a casa per i week-end o per le vacanze, e più avanti forse
il moro era anche capitato a casa Bezarius, almeno una volta. Ma a livello di avventure scolastiche, non c'era stato modo
di parlarne granché, anche per la differenza d'età fra loro.
«Glen
si è arreso ad avermi fra i piedi a metà del primo anno. Quindi sì, eravamo già amici. Vieni.» lo incalzò, muovendosi con naturalezza verso
il se stesso di quel ricordo – era a quel punto ovvio che non potesse
trattarsi di altro.
Oz lo seguì senza fiatare, spostando lo sguardo sul Jack a lui coetaneo che parlava con Glen guardando
l'amico anziché in avanti. Cosa che non si rivelò molto
intelligente, visto che in pochi istanti il biondo
urtò contro una studentessa, con l'unico risultato di ritrovarsi
entrambi a terra – specie considerando che l'altra era arrivata di corsa,
probabilmente di fretta per una lezione o qualcosa del genere.
Jack, mugolando dolorante, spostò lo sguardo davanti
a sé notando solo in quel momento contro chi era andato a sbattere;
probabilmente la riconobbe di vista, ma non la conosceva di persona visto come le si rivolse: «Scusa, va tutto bene?» chiese,
portando una mano a grattarsi la nuca un po' in imbarazzo per l'accaduto.
Glen aveva osservato la scena come qualcuno che si aspettava
prima o poi qualcosa del genere, specie visto che
l'amico probabilmente camminava spesso senza fare caso a dove andava.
La ragazza sembrava anche lei della loro età,
notò Oz: capelli castani piuttosto lunghi, gli occhi di un castano
caldo. Era piccolina, dal fisico minuto, ma sorrise impacciata verso Jack senza
la minima traccia di arrabbiatura per l'accaduto.
«S-Scusami tu, correvo senza guardare dove andavo...» mormorò quasi frettolosamente, imbarazzata
anche lei. Jack le sorrise più apertamente, mentre Glen si chinava
leggermente e porgeva la mano proprio alla ragazza: «Non
scusarti, se anche avesse battuto la testa, l'ha così dura da non
arrendersi a guardare dove va anche dopo un anno che glielo faccio notare.
È quindi probabile che non se la sarebbe rotta
comunque.» commentò, ironico tanto che Jack si imbronciò.
La ragazza, con lo stesso fare impacciato rivolto al biondo,
accettò la mano e l'aiuto ad alzarsi bofonchiando un'ennesima scusa
verso Jack; questi fissò Glen: «Gleeen, sei cattivo! E se mi fossi davvero fatto male?» commentò offeso, o cercando di apparire tale
vista la sua totale incapacità di arrabbiarsi col moro, già
comprovata l'anno precedente.
Glen sbuffò appena, rassegnato, allungando quindi la
mano verso l'amico: «Se non ti va bene allora le
nostre strade potrebbero anche dividersi qui, sai Jack?» lo
stuzzicò.
Non rideva, né faceva alcun gesto che desse ad
intendere che non stesse parlando seriamente. Tuttavia, sia lo Jack che
prendeva la sua mano alzandosi e borbottando qualcosa del tipo “figurati se
ti do questa soddisfazione” sia quello al fianco di Oz
sembravano aver capito, da chissà cosa, che quella dell'altro era una
bonaria presa in giro.
Oz si chiese in che modo si potesse arrivare ad avere
un'amicizia tanto profonda da interpretare persino espressioni che non venivano mostrate.
Analizzò con più attenzione il volto della
ragazza che si era scontrata con Jack, e notò due cose: somigliava vagamente ad Alice – i capelli soprattutto,
anche se il modo di fare era totalmente diverso e lei sembrava molto più
fragile dell'amica, anche da un punto di vista fisico – ma soprattutto
gli ricordò quello spirito che aveva incontrato una sola volta, proprio
nell'atrio di Latowidge.
Si voltò verso Jack, aprendo la bocca per dire
qualcosa ma venendo anticipato da un: «L'hai
riconosciuta, vero? La ragazza che hai visto come spirito.»
disse, il tono che Oz non riuscì a decifrare con precisione.
«Come lo sai?» chiese istintivamente,
osservandolo stupito.
Jack tornò con lo sguardo sul se stesso di quel
ricordo: «Lacie non interagisce con gli spiriti.
Lei... vaga, senza quasi rendersi conto di dove va. È legata al mondo
dei vivi dalla paura e dalla tristezza. Spesso smarrisce persino la strada, si
ritrova in mezzo ai vivi e si spaventa. Se uno spirito è mosso da
emozioni instabili, potrebbe anche arrecare danno agli esseri umani.
Solitamente, la seguo. A volte da lontano, perché ci sono dei momenti in
cui anche la mia presenza la spaventa.» spiegò, il tono un misto tra la preoccupazione e il dispiacere. Era
evidente che erano stati amici a lungo, e che non fosse certo idilliaco non
essere riconosciuto dalla ragazza o essere addirittura temuto da lei.
Però
un attimo il minore immaginò che la stessa cosa potesse accadere con
Alice, con la quale aveva instaurato un legame che forse non si poteva
paragonare a quello di anni fra Jack e Lacie, ma che lui reputava ugualmente
importante.
Sarebbe stato… triste.
Si distrasse nel notare che lo scenario sembrava incupirsi
lentamente e al tempo stesso sbiadire; suppose che in breve sarebbe cambiato,
così com'era stato dalla stanza in cui si era risvegliato a quell'atrio
di diversi anni prima.
«Lacie era di origini più umili sia di me che di Glen. Però, anche se
all'inizio sembrava intimidita, alla fine diventammo amici. Lei era importante,
sia per me che per Glen, e noi lo eravamo per
lei.» pronunciò Jack.
Ad Oz sembrò che
in quelle parole ci fosse più il rimpianto che qualsiasi altro
sentimento.
Quando fu possibile mettere nuovamente a fuoco ciò
che aveva davanti e che lo circondava, Oz si chiese se non ci fosse qualcosa di
sbagliato, poiché ad un primo sguardo era
chiaro che si trovavano ancora nell'atrio, vicini all'ingresso stavolta.
Voltandosi però, fu evidente che quello doveva essere
un ricordo diverso: il luogo era infatti addobbato a
festa, in un modo non molto diverso da come lo era stato quel Natale a cui Oz
aveva preso parte per la prima volta.
Molti studenti attendevano le proprie dame, altri le avevano
appena incontrate; il clima di festa era palpabile, e gli abiti tutti diversi
fra loro sia per colore che per modello –
differentemente dalla divisa di tutti i giorni – lasciavano intuire che
il Ballo di Natale fosse una tradizione di molto precedente anche all'arrivo di
Vincent o Gilbert, che erano al loro ultimo anno a Latowidge.
Prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, Oz fu distratto dalla voce simile e per certi versi non proprio
uguale a quella del Jack a cui era abituato; voltandosi, inquadrò il biondo
di quel ricordo: i capelli ormai lunghi oltre la metà della schiena e
già legati nella treccia a cui era abituato, i lineamenti e la voce
innegabilmente più adulti, ma non ancora definitivamente fuori dal
periodo adolescenziale.
Tra l'altro, in quel momento la voce si stava esprimendo in
un lamentoso: «Ahi, ahi, ahi» - che Oz non
riusciva a capire se fosse dolorante o divertito, per assurdo – dovuto al
fatto che una ragazza in abito da sera stava tirando la povera treccia e il
relativo padrone al seguito, l'aria arrabbiata.
«Lottie, Lottie,
non arrabbiartiii!» implorò
infantilmente Jack, mentre a dir poco stupito Oz si voltava verso il fratello
al proprio fianco.
«Charlotte
Baskerville? La mia docente?!» se ne uscì
come se non avesse la forza di crederci, in maniera forse anche un po' comica.
Jack ridacchiò, annuendo: «Proprio lei.
Esattamente come Echo è a Latowidge come servitrice di Vincent, Lottie aveva lo stesso ruolo per Glen.»
spiegò brevemente, mentre Oz tornava con lo sguardo sulla scena che non
avrebbe mai potuto immaginare da solo.
Charlotte Baskerville doveva aver certamente infranto
qualche cuore a scuola: i capelli lunghi erano legati in un ordinato ed
elegante chignon da un fermaglio floreale sul bordeaux,
che riprendeva il colore dell'abito da sera. Le spalle erano scoperte , l'abito non troppo gonfio nella parte inferiore le
scendeva abbastanza fluidamente lungo i fianchi, esaltandone la figura snella.
Le scarpe, com'era norma, non si vedevano e le mani erano coperte non oltre il
polso da dei guanti fini; il viso, forse appena truccato senza il minimo
eccesso, era incorniciato da due ciocche lasciate libere dall'acconciatura.
Nella semplicità di un abito privo di particolare lavorazione, era
splendida. Jack, in quel momento trascinato, non era comunque da meno: camicia
bianca appena visibile sotto la giacca nera formale che arrivava poco sopra al
ginocchio, e pantaloni neri con scarpe del medesimo colore. Anche se non
avresti mai pensato a Jack accostandolo ai colori scuri, nell'eleganza
dell'occasione il nero gli donava esaltandone la figura slanciata, i capelli
– al momento nella presa di Lottie – che
nel loro colore dorato quasi risaltavano sulla stoffa scura.
Finalmente la ragazza sembrò fermarsi, smettendo di
trascinarsi dietro Jack – peraltro Oz non aveva potuto non notare i
risolini divertiti degli altri studenti che li avevano notati, come se quella
fosse una scena abituale ormai.
Lasciata finalmente la treccia e permesso a Jack di tornare
in posizione eretta, non più costretto a seguire la ragazza, Lottie si voltò verso di lui con espressione ancora palesemente
arrabbiata.
«Perché non me lo hai detto?!
E non dirmi che non lo hai notato finora, perché nemmeno tu sei così
stupido Jack. Cos'era, lealtà verso Padron Glen?!»
lo incalzò irritata.
Jack, le mani leggermente alzate quasi in segno di resa,
abbozzò un sorriso leggero: «Lottie, non è questione di notare o di lealtà
verso Glen. In realtà non ne ho mai parlato direttamente con lui,
quindi... non pensare che volessi nasconderti nulla, per favore.» ammise, il tono calmo sebbene con una nota di
dispiacere, probabilmente per quella situazione che si era creata o si stava
creando.
Lottie
non sembrava convinta da quella risposta: «Ma tu
sei con lui tutto il tempo! Cos'è, è divertente sapere dei miei
sentimenti per Padron Glen, Jack? Se scopro che mi stai prendendo in giro– »
«Non è affatto
così.» la interruppe bruscamente Jack, lo sguardo che si era fatto
serio all'improvviso mentre una mano aveva afferrato, pur senza gesti bruschi,
il polso esile della ragazza. Gli occhi verdi erano puntati su di lei, mentre
parlava.
«Non
mi sarei mai preso gioco dei tuoi sentimenti Lottie e
questo lo sai bene. Non trovo affatto divertente
né vedere i tuoi sentimenti non ricambiati, né nulla del genere.
È vero che mi ero accorto di questa cosa, forse persino prima di Glen,
ma... è un altro, il motivo per cui non ho affrontato il discorso con
nessuno. Perciò...»
«E
quale sarebbe questo motivo, sentiamo. Lacie ti aveva chiesto di non dire
nulla? Per questo non ti sei potuto nemmeno fidare di me? Sai perfettamente che
sono consapevole del mio ruolo di servitrice dei Baskerville, e che non avrei
mai osato esternare questi sentimenti, eppure– »
«Sono stanco!» sbottò Jack abbassando lo
sguardo pur senza alzare il tono di voce, conscio probabilmente che potessero
esserci orecchie indiscrete ad ascoltare quel discorso visto
che erano nell'atrio dopotutto.
Oz poté notare lo sguardo di Lottie
farsi confuso, come se improvvisamente le fosse sfuggita un'informazione
di vitale importanza per quel discorso.
La ragazza osservò Jack, senza capire:
«Stanco?» ripeté, il biondo che sembrava non riuscire ad
alzare nuovamente gli occhi chiari su di lei.
«Già.» confermò: «Stanco di
dover... di dovermi preoccupare esclusivamente dei
sentimenti degli altri.» sussurrò. A cosa si riferisse,
Oz non lo comprendeva ancora del tutto. Ma il tremore delle mani di Jack lungo
i fianchi, era qualcosa di impossibile da ignorare.
La voce di Lottie che rispondeva,
lo sguardo ammorbidito rispetto alla rabbia ostentata fino a quel momento, si
affievolì sempre più finché Oz non fu del tutto incapace
di cogliere anche solo una delle parole che sembrava rivolgere al Jack di fronte a lei. Capì che era l'intero
ricordo a sbiadire, ed automaticamente portò lo
sguardo su suo fratello ancora fermo al suo fianco.
Il più grande manteneva gli occhi chiari sulla scena,
a cui poteva assistere come un ospite speciale
già a conoscenza delle battute degli attori che lui aveva vissuto in
prima persona.
«Ero davvero infantile, in un certo qual modo.»
pronunciò dopo un silenzio che ad Oz era
sembrato interminabile. Non lo incalzò chiedendo cosa intendesse,
perché Jack aveva l'aria di chi avrebbe comunque saziato la sua
curiosità senza bisogno di porgli altre domande.
«Lottie
aveva rivelato i sentimenti che nutriva per Glen solo a me. Ma
per la persona immatura che ero a quel tempo, rifiutai di condividerli per
paura che schiacciassero i miei o, che al tempo stesso, li portassero alla
luce. Lasciai credere a Lottie che il motivo di quel
turbamento erano dei sentimenti per Lacie che non
avevo mai confessato, ma... immagino che, a lungo andare, abbia comunque capito
a cosa mi riferissi davvero.» parlò quasi stancamente, come se un
peso invisibile all'improvviso lo stesse schiacciando.
Oz si chiuse per qualche istante in un silenzio meditabondo
che Jack non spezzò, lasciandogli tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Alla fine alzò lo sguardo su Jack per una manciata di secondi prima di portarlo poi nuovamente davanti
a sé, in attesa che un nuovo ricordo andasse formandosi: «Io non
credo che fossi totalmente dalla parte del torto.» pronunciò quasi
a sorpresa. Né una domanda, né un giudizio: una
constatazione fatta un po' seguendo la verità, un po' seguendo l'affetto
verso il fratello.
Quella sensazione di essere schiacciato dai sentimenti
altrui senza poter dar sfogo ai propri, e la volontà al tempo stesso di
voler nascondere quelli che si reputano solo segni di debolezza, Oz la
conosceva.
In maniera forse ipocrita, osservarli su Jack lo aveva
portato istintivamente a pensare che nel cedere ogni tanto... non ci fosse
nulla di male, che fosse del tutto umano e comprensibile.
Aveva pensato, osservando quel fratello più giovane e
vicino alla sua età in un ricordo di anni prima, che fosse quasi
legittimo.
«Eri
solo spaventato. Lo so, perché... sono spaventato anch'io.» mormorò con un filo di voce, ammettendolo ad
alta voce e sinceramente per la prima volta.
Quando alzò lo sguardo sulla figura di Jack fu per il: «Non è sbagliato quello che
dici. Ma le mie furono parole crudeli, probabilmente.» che aveva pronunciato, al quale era seguito un sussurro che Oz
aveva colto per pura fortuna – o così credeva.
«Come le bugie rivolte al mio unico, migliore amico.»
Oz sussultò dopo che l'ultima immagine del ricordo
del ballo fu sbiadita del tutto, lasciando il posto ad
un'oscurità inconsistente prima di prendere di nuovo forma.
Il sorriso che aveva intravisto sul viso di quel Jack più giovane, rivolto ad un Glen nel cui
sguardo era passato un guizzo di preoccupazione per l'amico, era identico a
quello che Oz aveva sempre, sempre rivolto a chi lo circondava.
Quell'incurvarsi di labbra che racchiudeva la convinzione di
riuscire a mentire nascondendo la verità, e la fragilità di chi
poteva spezzarsi da un momento all'altro.
Strinse i pugni, lo sguardo sul corpo di Oz che sotto le
lenzuola continuava ad agitarsi nel sonno, nonostante i vari tentativi di Noah
di scuoterlo e svegliarlo.
Era rientrato per cambiarsi con calma per uscire,
approfittando del fine settimana; quando aveva notato in
un primo momento quell'agitarsi non si era preoccupato eccessivamente,
attribuendo il tutto ad un sogno o simili. Ma i
lamenti si erano fatti più frequenti, perciò aveva pensato di
svegliare il compagno di stanza: solo allora si era accorto del sudore freddo
che gli imperlava la fronte. E nonostante lo avesse scosso e chiamato diverse
volte, Oz non aveva dato il minimo segno di risveglio.
Probabilmente suonava assurdo dire che la cosa lo aveva
mandato nel panico. Ma il punto era che Oz aveva avuto
altre volte un sonno così agitato da svegliarsi urlante, e soprattutto
il sonno di una persona poteva essere pesante ma mancava poco che Noah quasi lo
buttasse letteralmente giù dal letto.
Senza contare che il sudore freddo – aveva notato in
secondo momento che non si trattava unicamente del volto, ma che il pigiama
aderiva leggermente al corpo, bagnato da quello stesso sudore – poteva
stare a significare anche un malore.
Fu per quello che decise di aprire la porta, e allontanarsi per rivolgersi
all'infermeria o al capo dormitorio se lo avesse trovato più celermente;
uscendo in fretta e furia, tuttavia, poco mancò che la porta cozzasse
contro qualcuno che evidentemente si stava dirigendo verso la loro stanza, o
semplicemente camminava nel raggio d'apertura della porta.
«Ehi!» sentì sbottare il povero mal
capitato, chiunque fosse: «Guardare prima di aprire la porta come un
folle non ti farebbe male, Keynes!» aggiunse, non proprio l'esempio della
cortesia, mentre Noah faceva mente locale e riconosceva la voce. Confermò
l'identità del suo interlocutore portando lo sguardo su di lui ed incrociando quello ceruleo di Elliot Nightray.
Notò fugacemente Reo al suo fianco, ma non vi si
soffermò più di tanto; considerando che il castano indossava
abiti con cui di solito Noah lo aveva visto uscire dall'accademia, il suo
cervello e lo stato abbastanza precario in cui normalmente esso versava avevano
portato ad un farfugliare incomprensibile.
Quando se ne rese conto, allungò una mano a prendere
il polso di Elliot, tirandolo appena verso di sé e la porta della
propria stanza. Lo lasciò praticamente sulla
soglia, la spiegazione: «Oz sta male e non riesco a svegliarlo! Continua
a scuoterlo, io vado a chiamare Kolstoj o chi per lui!» che fu praticamente mezza urlata mentre già si allontanava
di corsa.
Perplesso, Elliot fu anticipato da Reo che entrò
prima di lui, passandogli di fianco.
«Jack, perché continua ad
essere buio?» domandò confuso, notando che lo scenario che
già altre volte era mutato per mostrargli dei ricordi non prendeva una
forma definita. Il più grande si guardò intorno per qualche
istante, prima di dare una risposta.
«Probabilmente
il tempo a nostra disposizione si sta avvicinando alla fine. È probabile
che qualcuno stia cercando di svegliarti; forse, è già
mattina.» dichiarò, il tono un misto di
tante cose che Oz credeva di riconoscere, risultando magari arrogante.
Avvertiva il peso della separazione che si avvicinava, della consapevolezza che
dopo quella volta forse non lo avrebbe davvero rivisto. Magari Jack non avrebbe
più potuto avvicinarlo, forse il patto con Sirjan glielo avrebbe
impedito. Oppure chissà, quella di parlare con lui poteva essere la
famosa “questione in sospeso” di cui si leggeva nei libri, e allora
Jack sarebbe andato semplicemente in un posto lontano e inconsistente, che non
si vede e non si può raggiungere.
«C'è
un'ultima cosa che posso mostrarti, nel tempo che ci rimane. Credo che sia la
più importante, perché tu possa capire.»
risuonò nuovamente la voce di Jack, mentre la sua mano raggiungeva quella
di Oz e la prendeva gentilmente, cercando di rassicurarlo il più
possibile.
Il più giovane strinse la presa di rimando, puntando
lo sguardo di fronte a sé: per una volta, dopo tanto tempo, sentiva che
qualsiasi cosa si fosse parata davanti ai suoi occhi non avrebbe dovuto
guardare altrove.
E vide di nuovo una scena farsi sempre più chiara,
acquistando senso.
Non era Latowidge, questo fu chiaro, ma
Oz riconobbe ugualmente quel luogo – non senza stupirsene: una stanza in
penombra che conosceva fin troppo bene si era delineata di fronte a loro. La
camera di Jack, del periodo in cui il fratello era sempre più
frequentemente costretto al letto; istintivamente, Oz gli strinse ancora di
più la mano, come se fosse un appiglio per non sfuggire alla
realtà.
Il Jack del ricordo era
a letto, gli abiti informali di una persona malata: era più pallido, e
la stanchezza si notava sul volto nonostante gli occhi verdi non avessero del
tutto perso quel guizzo brillante che li aveva sempre caratterizzati. Il
lenzuolo e la coperta lo coprivano fino alla vita, mentre la schiena poggiava
su due guanciali sistemati in modo che la posizione da seduto non lo stancasse
ulteriormente.
I capelli biondi erano legati in una treccia, ma molto
più morbida, data l'intimità della propria stanza; gli occhi
passavano dalle proprie mani – l'una vicina a quello che Oz riconobbe
come il diario del fratello, l'altra posata sulla copertina dello stesso
– ad un punto preciso della stanza, vicino alla
finestra.
Anche Oz deviò la propria attenzione in quella
direzione, e sussultò impercettibilmente notandovi la figura di Glen in
piedi che aveva ormai imparato a riconoscere. Tuttavia non avrebbe davvero
saputo dire chi, tra Jack e Glen, fosse la persona malata: il moro aveva lo
sguardo spento, era ugualmente pallido, e sembrava guardare fuori dalla
finestra come se non ci fosse nient'altro al mondo degno della sua attenzione
più di un giardino visto chissà quante volte.
Il Jack in quel ricordo
non azzardava a spezzare il silenzio che pesantemente gravava nella stanza;
l'espressione mesta si mescolava ad una carica di senso di colpa.
Oz si chiese se non fosse stato quello il giorno in cui suo
fratello aveva scritto sul suo diario di considerarsi un assassino, nonostante
non avesse commesso alcun reato in vita.
«...Jack?» sentì
chiamare il nome del biondo da Glen, in un tono basso appena percettibile.
L'altro voltò appena la testa verso di lui, rispondendo con un:
«Dimmi, Glen.» poco più alto di un mormorio.
Oz vide il Glen di quel ricordo alzare appena la testa, ma
continuare a guardare fuori.
Era quasi certo che in realtà non vedesse nulla.
«Non era un incidente.» decretò quasi
freddamente. Eppure, al tempo stesso, nel tono con cui pronunciò quelle
poche parole ad Oz parve di cogliere disperazione e
rabbia, di quelle che ti logorano e non ti lasciano scampo.
«Lacie è stata uccisa.» aggiunse il moro.
Mentre quella pesante accusa riecheggiava nella stanza e nella mente di Oz,
questi spostò istintivamente lo sguardo sul
Jack che nel suo letto di morte prossima stringeva appena la copertina di un
diario.
«Glen... c'è una cosa che devo dirti.»
mormorò piano, trovando chissà dove il coraggio di alzare lo
sguardo su di lui esattamente mentre il moro portava il proprio sul suo
migliore amico.
«Io...
sto morendo Glen. Non c'è possibilità che io... possa rimanere
con te ancora a lungo.» pronunciò.
Mentre l'immagine di due persone consumate dalla solitudine
e dal dolore spariva come gli altri ricordi avevano fatto fino a quel momento,
Oz fu certo di sentirla.
Una voce che si scusava disperatamente.
Era la voce di Jack.
«...Jack!»
pronunciò, boccheggiando appena come se gli fosse mancata l'aria,
svegliandosi di soprassalto; una mano verso l'alto, gli occhi chiari spalancati
inquadrarono in breve la figura di Elliot che sopra di lui l'aveva
probabilmente scosso fino a quel momento.
Quando quel pensiero divenne concreto nella sua testa,
scattò con rabbia verso di lui, afferrandolo malamente per il colletto
della camicia.
«Perché mi hai svegliato?!
Perché... perché mi hai...?!»
«Datti una calmata!» sbottò quello di
rimando, afferrando il polso del moro in una presa salda e costringendolo a
lasciarlo andare. Oz fu per un attimo perso, e confuso.
Rimase con la mano a mezz'aria, in parte protesa verso
Elliot – solo allora notò Reo dietro di lui – senza sapere
esattamente cosa fare o come muoversi. Cosa credere.
Poi, quasi violentemente, l'immagine del diario stretto tra
le mani di Jack nell'ultimo ricordo lo fece voltare verso il comodino: senza la
minima attenzione alle lenzuola, o al pigiama che gli aderiva addosso a causa
del sudore, aprì malamente il cassetto in cui aveva nascosto il diario
dalla propria vista per molto tempo.
Recuperatolo, lo sfogliò febbrilmente, senza curarsi
degli sguardi confusi e increduli dei due Nightray nella stanza. Temette quasi
di perdersi qualche pagina per strada a causa dell'impazienza, dell'urgenza
improvvisa di sapere quello che aveva voluto ignorare per molto tempo.
Poi, la trovò.
La pagina di diario scritta dopo la morte di Glen
Baskerville.
Non sono mai andato fiero di aver mentito a Glen,
anche se dirlo il giorno del suo funerale
può sembrare ipocrita.
Dopo la morte di Lacie, Glen è sprofondato nella
disperazione;
guardava il mondo con gli occhi di chi vede qualcosa di vuoto e
completamente inutile,
e lo disprezza.
Ma al tempo stesso,
Glen non era mai stato in grado di abbandonare il mondo
dov'era stata Lacie.
"La felicità è scomparsa"; credo
fosse questo che pensava..
Ma sosteneva che in un parte del
suo cuore, c'era una piccola speranza ancora.
Lo ha detto una sola volta, a voce.
Sussurrava, per la verità.
«Jack, tu sei una speranza piccola come la fiamma di
una candela.»
Sapevo che Glen non avrebbe resistito,
alla disperazione di perdere anche la speranza a cui si aggrappava
per non cedere al dolore che lo stava logorando;
e pur sapendolo, gli ho detto che non sarei vissuto ancora a
lungo.
...Non mi importa se pensano di me
che sono un egoista, un assassino, un eroe, o chissà cos'altro.
Io ho mentito a Glen su molte cose,
compreso il tipo di sentimento che avevo:
non ero davvero felice, quando osservavo lui e Lacie.
Ma non l'ho fatto per eroismo, né sono qualcosa di
anche solo vagamente simile ad un martire.
Io credo che a volte si possa, o si debba mentire;
logorarsi, e restare a guardare.
Anche quando la felicità degli altri non coincide con
la nostra.
Credo che sia semplicemente... sì.
Credo solo che sia anche questo un modo di amare qualcuno.
Come la decantata metafora letteraria di un puzzle, Oz
vedeva le parole di quella pagina unirsi ai ricordi osservati in quel sogno in
cui suo fratello era stato nuovamente una presenza tangibile al proprio fianco.
Jack non era mai stato innamorato di Lacie.
In un modo persino più profondo di quanto fosse
accaduto ad Oz nei confronti di Gilbert, il legame che
aveva unito Jack a Glen era mutato in maniera univoca; il biondo si era
riscoperto a provare un amore che con il tempo era diventato tante e troppe
cose diverse – quello per il migliore amico prima, per un fratello poi,
ed infine per una persona dalla quale si vorrebbe ricevere egoisticamente tutto
forse.
Jack era stato confuso, spaventato da quel sentimento che
aveva infine scelto di soffocare totalmente. Nonostante non avrebbe mai voluto
mentire alla persona per lui più importante, lo aveva fatto per
garantirne la felicità. Tuttavia Oz capiva anche che Jack non si era mai
idealizzato per quello.
Capiva che suo fratello aveva rinunciato non solo per la
felicità di Glen, ma anche per la paura che – al pensiero di
essere allontanato se si fosse esposto – lo paralizzava.
Il legame tra suo fratello e il suo migliore amico era stato
forte, per certi versi incomprensibile dall'esterno. Era qualcosa che
probabilmente nemmeno i diretti interessati avrebbero potuto spiegare con
chiarezza; allo stesso modo, la morte che li aveva uniti ancora una volta
– date non troppo distanti, e l'apparente dipendenza l'una dall'altra
– non aveva alcuna verità da rivelare forse.
Jack non era morto a causa di Glen, e Glen non era morto a
causa di...
«Lacie è stata uccisa.»
«Io... sto morendo Glen.»
Oz sgranò appena gli occhi, ignaro dell'espressione
di Elliot che si era fatta preoccupata, nonostante il castano non avrebbe di certo voluto darlo a vedere. Il biondo,
però, iniziava a preoccuparlo: non aveva detto nulla dopo quello scatto
nervoso con cui lo aveva afferrato per il colletto ed
ora aveva l'espressione di chi non riesce a credere a quello che vede –
la conosceva bene, Elliot, la sensazione di terrore di fronte ad una
verità da cui si vuole distogliere lo sguardo.
Allungò istintivamente una mano, posandola sulla
spalla di Oz per scuoterlo appena, con un'insospettabile delicatezza. Il
più giovane, quasi fosse stato riportato alla realtà, alzò
lo sguardo su di lui pur senza lasciar sfumare la sensazione di confusione ed incredulità che lo animava.
«Glen Baskerville...»
soffiò appena, tanto che Elliot non sarebbe stato certo di aver sentito
bene se solo fosse stato appena più lontano da lui.
«Glen Baskerville ha... scelto di morire.» aggiunse ancora incredulo.
Contrariamente a quanto chiunque avrebbe potuto pensare,
sembrava a quel punto ovvio il motivo del suicidio, la ragione che sfuggiva a
tutti – perché l'erede dei Baskerville aveva sempre avuto tutto
agli occhi di chi lo osservava. E invece gli erano state portate via le uniche
cose che aveva desiderato, senza che lui potesse fare
nulla.
Impotente contro un omicidio.
Impotente contro una malattia.
«Bezarius, non capisco cosa stai dicendo.»
pronunciò Elliot, il più garbato possibile: si rendeva conto che
l'altro era di poco lontano da uno stato di shock, e non sarebbe stato di certo
l'ideale scuoterlo maggiormente.
«Io... devo incontrare Glen ancora una volta.»
mormorò Oz: «Devo... devo assolutamente riferirglieli.»
«Cosa?» fece eco Elliot istintivamente, senza
soppesare più di tanto la domanda.
Oz tacque, la frangia che copriva appena lo sguardo, tanto
che i due Nightray non avrebbero saputo dire che espressione avesse mentre
stringeva il diario.
«I sentimenti di Jack.»
Note dell'autrice (ancora viva)
Ebbene sì, ogni tanto resuscito dalle mie ceneri 8D
Nonostante io sia stata brutalmente boicottata (esami,
esami, esami, e fatemi pensare... esami?), il 18 ha
visto la luce – spero senza mietere vittime fra i lettori x°°
Non ho ancora fatto un calcolo ben preciso (che
probabilmente farò in occasione di Rinnega 19), ma non siamo proprio
lontanissimi dalla fine. Diciamo che ci stiamo avviando, cosa che forse era
intuibile dal minimo di chiarezza che man mano acquistano tutte quelle
questioni che avevo disseminato prima XD
La frase in apertura è del telefilm “Brothers & Sisters”.
Passo a rispondere alle recensioni! <3
FiammaDrakon:
come hai sottolineato,
Sirjan è un personaggio in continua evoluzione in un certo senso.
Siccome è un original inserito, non credevo
nemmeno io che alla fine avrebbe avuto un ruolo simile. Tra l'altro, spesso mi
sorprendo anche io nello scoprire che un determinato
atteggiamento gli si addice XD Credo che il suo avere tanti lati
“nascosti”, sia dovuto al fatto che è stato tante cose diverse,
molte delle quali influenzate (nel bene) da Alyster <3
Elliot è amore. Di conseguenza, renderlo ancora
più amore appena se ne ha la possibilità
è doveroso u_u tra l'altro adoro i battibecchi
a tre con Oz e Reo, fin dalla prima volta che la Mochizuki
li ha anche solo accennati, quindi appena posso ne piazzo uno *_*”
Aedan era l'unico a cui vedessi
bene addosso quel ruolo in quel momento: tanto per cambiare non era
pianificato, ma è a conti fatti forse l'unico personaggio (battendo
persino Noah) che possiede quell'ingenuità e quella semplicità
che si ritrovano solo in un bambino.
Per la questione di Alice, dovrete pazientare, ma è
tutto molto vicino! XD
Nuit:
innanzitutto lasciami dire grazie e
complimenti per la pazienza di riscrivere la recensione XD (ho notato che hai
dovuto farla di nuovo).
I tuoi complimenti mi lusingano davvero: sono contenta che
lo stile, le vicende narrate e l'IC dei personaggi siano di tuo gradimento, e
ti ringrazio in special modo per il giudizio sui pg originali che temevo potessero
non risultare graditi all'inizio. Riguardo il ruolo di Alice in quanto figlia illegittima e al legame
suo e di Gilbert con Jack senza lo zampino dell’Abisso a fare casini,
dovrete pazientare, ma come ho detto in risposta a Flamma, non tantissimo XD
Infine sì: Break e Rufus non hanno concezione della
parola “tatto”. Fortunatamente, Sirjan sa giostrare bene la cosa XD
Ti ringrazio infine, per la segnalazione che ha permesso a
questa longfic di essere aggiunta fra le Storie
scelte. E' stata una piacevole sorpresa, ed una grande
soddisfazione <3
Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento!
AcchanBaka:
tu devi essere partecipe dell'immensa
difficoltà che io ho avuto nel descrivere Jabberwocky inquietante, dopo
che in altre sedi l'immagine ricorrente che ho di lui è quella di un
grifone formato caricatura che fa la faccia beata mentre Jack lo grattinizza (e non dirò
altro oltre il fatto che in quella stessa sede, Jack lo chiama “Jabby”XD).
Detto ciò, ti ringrazio per i vari complimenti alle varie scene (che ho già commentato nelle altre due
risposte, e che è superfluo ripetere) e per quelli allo stile. Ci sono
periodi in cui, come sai, mi scervello per cambiare lo stile che puntualmente
mi sembra troppo pesante; ma suvvia, se non vi lamentate voi che leggete,
suppongo che sia accettabile XP
Ed ecco finalmente in questo capitolo l'incontro che
aspettavi. So che soffrirai come un vitello, sì 8D *pat pat