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Autore: Shichan    23/02/2011    2 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Qualcosa che non so dire

Qualcosa che non so dire

 

«Non riesco mai a dirlo.»

«Che cosa?»

«...Addio.»

 

«Non voglio che gli riveli che la figlia illegittima dei Nightray è Alice Lewis.» pronunciò Sirjan, lo sguardo su Jack mentre gli accordava il permesso di stabilire un contatto con il più giovane dei Bezarius, ma gli proibiva di pronunciare di fronte a lui quella verità che andava nascosta.

Chissà perché, poi.

Jack tuttavia si limitò ad incurvare le labbra con quel fare gentile e accondiscendente che rivolgeva a Sirjan ogni volta che avevano occasione di interagire.

«Hai la mia parola. Questo argomento non sfiorerà le mie labbra in presenza di Oz.» assicurò al più giovane, di cui colse un sospiro impercettibile; lo incuriosì, come una sfumatura nuova colta per la prima volta.

Anche Sirjan dovette notare la rinnovata attenzione di Jack, e inarcò appena un sopracciglio: «Cosa c'è?» chiese infatti, diretto. L'altro ridacchiò sommessamente, divertito.

«Sembri più stanco, dell'ultima volta. Uhm, in positivo, intendo.» si corresse subito, perché non sembrasse un rimprovero. Sirjan non parve convinto, però: mise le mani in tasca – cosa ben lontana dall'etichetta che esibiva sempre alla perfezione – poggiando la schiena al muro.

«Cosa c'è di positivo nel sembrare più stanco del solito?» domandò infatti, perplesso.

Jack portò una mano dietro la nuca, in un gesto meccanico che anche in vita aveva fatto spesso. O almeno, a Sirjan era familiare.

«Forse mi sono espresso male.» iniziò il biondo: «Non è che sembri più stanco. Forse, è l'impressione che ho perché stavolta non lo stai nascondendo, differentemente dalle altre in cui ci siamo visti.» si corresse Jack, lo sguardo chiaro sull'altro. Sirjan sbuffò, assumendo un'espressione che – lo avesse visto qualcuno – avrebbe fatto crollare l'opinione generale dell'intero istituto: un'aria seccata, ma non di quelle  che rivolgeva a Cheshire nei loro (fortunatamente) rari incontri.

Era un misto dell'irriverenza di un ragazzo giovane, e di quel fastidio dato dal dover mostrare sempre una facciata perfetta per il perfetto mondo in cui si vive. La stanchezza per la finzione, mescolata al fastidio per il doverla calare anche solo un minimo per respirare.

«Tch, quindi mi stai dicendo che sono diventato uno smidollato. Non c'è nulla di simile ad un complimento in queste parole, sai Jack?» lo apostrofò, come se fosse lui il maggiore e il biondo il più piccolo da riprendere.

«Posso farti una domanda, Sirjan?» domandò Jack, eludendo quella domanda retorica che di risposte non aveva bisogno. Sirjan mantenne l'attenzione su di lui a quelle parole: «Quale?» lo incalzò.

«Se sai che scoprire di Alice non sarebbe certo un pericolo per Oz, allora come mai tanto affanno per nascondere la cosa?» chiese a bruciapelo, stupendo forse un poco il suo interlocutore. Kolstoj era stato convinto che Jack, in quanto spirito, sapesse. O, in caso contrario, che potendo osservare i vivi quanto i morti – in special modo quelli di Latowidge – lo avesse capito da solo. Ma la domanda smentiva quel pensiero, sorprendendolo.

«Davvero non lo hai capito da solo?» indagò infatti.

«Più che non averlo capito, diciamo pure che ho un'ipotesi di cui però non ho conferme.» chiarì il biondo, sincero. Nella condizione in cui era, non aveva motivi per mentire, tantomeno a Sirjan che era a conoscenza di molte più cose rispetto a lui.

Il più giovane sospirò piano, quasi con voluta lentezza.

«Diversi motivi. In primis, poiché custode dei segreti di tutte le famiglie, il mio compito in quanto Kolstoj è appunto far sì che certe cose non si sappiano. Questa è fra le tante. I Nightray non ne sarebbero affatto entusiasti.» fu la premessa a cui l'altro diede voce: «Puoi immaginare da te che sarebbero in molti a porsi delle domande. I tre fratelli Nightray che studiano qui per esempio. Senza contare la stessa Alice: non ho da rivelare molti dettagli in proposito, ma quella ragazza sembra non serbare alcun ricordo. Per lei la condizione di Lewis, cugina dei Nightray, è la normalità. Non sospetta minimamente di esserne la sorella minore, seppur illegittima.» continuò, spostando lo sguardo fuori dalla finestra che era l’unica fonte di luce e solo grazie alla luna, il cui leggero bagliore non era offuscato dal cielo nuvoloso che ultimamente sovrastava l'istituto.

«Inoltre, sai bene anche tu dell'odio di Vincent Nightray per Alice. È una catena destinata a spezzarsi, se una sola delle informazioni trapelasse e giungesse all'orecchio di qualcuno dei diretti interessati. Caso vuole che Oz sia molto legato ai principali protagonisti di questa storia: Alice e Gilbert, innanzitutto. E se legati a quest'ultimo, si è inevitabilmente a contatto con Vincent. Inoltre, ho infine avuto modo di notare che tuo fratello sembra in qualche modo anche abbastanza vicino ad Elliot. Capirai quindi da solo che non posso lasciare che scopra nulla. Né potrei mai fare affidamento su una sua promessa di tacere.» aggiunse, facendo forse la figura della persona malfidata.

Ma Jack non parve pensare che fosse per scarsa fiducia, non in senso strettamente offensivo almeno.

«...Tuo fratello ha la sfortuna di essere un amico leale. Per questo non posso dirgli nulla, ed è questo che lo mette nei guai.» pronunciò infine Sirjan, dopo qualche istante in cui aveva mantenuto il silenzio.

Jack socchiuse gli occhi, limitandosi ad un sorriso leggero che l'altro sbirciò fugacemente, senza commentare.

«Piuttosto, Sirjan» riprese il biondo, cambiando argomento: «qualcuno si è appena allontanato dopo averci sentiti parlare, o aver sentito almeno te farlo. Non è da Sirjan Kolstoj permettersi distrazioni simili.» gli fece notare, prendendolo bonariamente in giro. L'altro, ancora nella medesima posizione, socchiuse gli occhi con tutta calma.

«Avevo notato la sua presenza, e so di chi si tratta. È qualcuno già a conoscenza di tutti gli argomenti che abbiamo toccato, pertanto non era necessario preoccuparsene.» disse semplicemente.

 

 

Strinse appena gli occhi, aprendoli lentamente in quella sequenza tipica del risveglio.

Mosse leggermente una mano, ritrovandosi a sfiorare qualcosa che non era stoffa: abbassando lo sguardo, notò che erano senza dubbio capelli. Mise lentamente a fuoco la figura che per una manciata di secondi non sembrò altro che un'ombra indistinta; in un secondo momento – mentre, chiunque fosse, alzò la testa per posare lo sguardo su di lui – ne riconobbe i tratti peculiari: capelli neri, occhi dorati.

Associare le due cose a Gilbert fu istintivo ed immediato.

«Gil...?» mormorò, il tono impastato dal sonno che evidentemente gli impediva ancora dei ragionamenti coerenti. Il moro gli sorrise accondiscendente, aspettando che Oz si tirasse su a sedere. Così fece il biondo, poggiando la schiena al cuscino fra sé e la testiera del letto.

Parve confuso, mentre guardandosi intorno riconosceva la sua stanza: «Aedan è venuto a bussare alla mia porta.» iniziò a spiegare anche se Oz non aveva ancora posto la domanda, intuendo forse quell'interrogativo prima che l'altro gli desse voce.

«Aedan?» mormorò Oz. Impiegò poco a ricordare il discorso affrontato con Shaye nella saletta, soli vista l'ora; le parole dell'altro lo avevano incredibilmente smosso, e si era sfogato fino a crollare esausto lì dove erano. Era plausibile pensare che Aedan fosse andato a chiamare Gilbert perché si occupasse di lui.

Se ne vergognò un po'.

«Ha detto che ti avrebbe portato su personalmente, se Sirjan non avesse avuto bisogno di lui. Ha chiesto a me di accompagnarti in stanza.» riportò l'altro fedelmente. Il biondo gli rivolse un sorriso, uno di quelli soliti, forse solo meno smagliante a causa del torpore che ancora lo avvolgeva. Con esso, in breve, sopraggiunse l'imbarazzo: il ricordo del bacio era ritornato prepotentemente e senza il minimo preavviso. Infantilmente, Oz pensò che non fosse affatto corretto tutto quello.

Per contro, Gilbert sembrava un servitore conscio di aver tradito il proprio padrone e che attendeva la punizione che immancabilmente si sarebbe abbattuta su di lui. Il che era quasi allucinante, non fosse stato che era proprio da Gilbert un atteggiamento simile.

«Uhm, Noah?» buttò lì, cercando di non prolungare quel silenzio scomodo che si era venuto a creare. Gilbert parve lieto di cogliere la palla al balzo: «Mi ha aperto quando ti ho riportato in camera. Vedendo che non rientravi, stava per venire a cercarti. Ha detto che sarebbe stato da Wellesday per stanotte.» replicò, chiamando Marcus per cognome – in effetti, pensò Oz, non avevano quasi mai interagito. Suppose che anche Marcus chiamasse praticamente tutta la scuola per cognome; non sarebbe stato affatto sorprendente scoprire che si rivolgeva con familiarità solamente a Noah e forse a Ethan, che aveva appreso essere uno dei pochi esseri umani che Marcus Wellesday considerasse amic--- beh.

Magari “compagni meno odiosi degli altri”, sì.

«Ho capito.» disse Oz ritrovandosi a fissare l'altro perplesso quando questi, senza il minimo preavviso, assunse un'aria serissima, protraendosi in avanti come se dovesse rivelargli una questione della massima urgenza ed importanza.

«Oz, dobbiamo parlare!» esclamò infatti quasi frettolosamente, come se temesse di dimenticare la cosa da riferire se non le avesse dato voce ora, subito. Il biondo rimase in silenzio quasi ad incalzarlo visto che, di qualunque cosa si trattasse, sembrava premergli particolarmente.

Gilbert, deciso, proseguì: «Riguardo al ba--» o meglio, probabilmente l'idea era di continuare sull'onda di quel cipiglio determinato improvviso. Peccato che avvampando l'effetto non fosse esattamente quello.

Quell'arrossire, peraltro, lasciò bene intendere ad Oz quale argomento l'altro stesse cercando di tirar fuori; si sentì in imbarazzo più in risposta al timido disagio del moro che per altro.

Rivedendo in quell'atteggiamento il preludio di un blocco psicologico al quale il più grande era stato soggetto fin da quando si conoscevano, decise di prendere in mano la situazione: si schiarì appena la voce, forse anche nel tentativo di allentare un minimo la tensione.

Era difficile di punto in bianco affrontare il discorso: Gilbert aveva diciannove anni, e certamente non la viveva esattamente come lui, che a sedici anni poteva vantare le poche esperienze avute esclusivamente con una controparte femminile. Peraltro, mai nulla di serio – e non che fossero così numerose o intime. Era pur sempre nell'alta società, dove i rapporti con gli altri erano sotto lo stretto controllo di precise regole: eri molto più soggetto allo scandalo, rispetto ad un normale adolescente.

Inoltre, Oz aveva studiato in casa, prima di andare a Latowidge. Non era esattamente il massimo per potersi dire uomo di mondo.

Se anche avesse messo tutta questa questione da parte, il disagio era comunque presente.

Gilbert era stato il migliore amico – di qualche anno più grande – che dall'infanzia era stato sempre presente finché non era andato via. Servitore, confidente, quasi fratello; spalla su cui piangere quando c'era stata una perdita dolorosa, compagno nei giorni spensierati che avevano preceduto quell'avvenimento.

Poi tanto tempo senza vedersi o essere in contatto, se non tramite i racconti di Ada e le lettere nei periodi scolastici in cui non tornava neanche nel week-end.

Ora, all'improvviso, passava dal lento ricostruirsi del rapporto di amicizia e lealtà reciproca al ruolo di... non sapeva bene come definirlo. Non si erano poi dichiarati o che. E non aveva nemmeno un'idea precisa sul significato di quel bacio.

Sospirò; si stava arrovellando il cervello su discorsi troppo complicati, quando Gilbert sembrava – dal suo colpo di tosse – in attesa di una sentenza di morte: «Non hai fatto nulla di male. Perciò smetti di guardarmi come se dovessi punirti da un momento all'altro.» se ne uscì, forse nel modo che più gli si addiceva, data la sua indole.

Non voleva essere superficiale in merito all'accaduto, ma per contro non voleva nemmeno che ci fosse una costante tensione fra loro da lì in avanti. Forse pretendeva troppo, o una situazione irreale data da una visione infantile.

Gilbert però parve capire: come sempre era stato, come quando in passato ad Oz non era servito pronunciare chissà quali discorsi per arrivare al moro, per fargli comprendere esattamente cosa volesse dire. Gilbert aveva sempre fatto tutto da solo, in quel senso, circondandolo con la gentilezza tipica di lui, che nei confronti del biondo non era mai venuta meno nemmeno a distanza di anni.

Oz se ne accorse quando sentì una mano del moro spostare qualche ciocca bionda dalla sua fronte, per posarvi un bacio leggero; alzando appena lo sguardo, lo notò ancora rosso in viso sebbene meno rispetto a prima – e d'altra parte era lui, ora, ad essere arrossito maggiormente a quel gesto inaspettato.

Lo guardò forse stupito, senza volere.

«Ti ringrazio. Ora... dovresti riposare ancora.» mormorò.

«Che ore sono?» domandò d'istinto Oz mentre seguiva docilmente la leggera pressione delle mani di Gilbert che, sulle sue spalle, lo guidavano per farlo sdraiare.

«Quasi le tre del mattino.» rivelò, rimboccandogli le coperte. Ad Oz venne istintivamente da sorridere; quelli erano i momenti in cui si sentiva come se fosse tornato bambino e Gilbert badasse ancora a lui come un servitore e al tempo stesso un fratello avrebbe dovuto fare.

La sola differenza, era quella sensazione di calore probabilmente fittizia che coglieva sulla pelle, lì dove il moro aveva posato le labbra. Tacitamente, si disse che per lui quella era una risposta sufficiente ai dubbi o alle perplessità che aveva. O almeno, per ora bastava.

«...Dovresti dormire anche tu.» gli fece notare, un broncio leggero e una sfumatura di rimprovero nel tono. Gilbert sorrise.

«Tornerò in stanza non appena ti sarai addormentato.» assicurò: «...domani parleremo di tutto quello che vuoi, Oz. Di Ada, o di Elliot... o di qualsiasi altra cosa.» aggiunse, quel tono di preoccupazione che suo malgrado, quando si trattava del biondo, non era mai in grado di nascondere completamente.

Oz non poté obiettare a quella premura e a quella gentilezza tanto familiari.

Differentemente da quanto accadeva negli ultimi tempi, prese sonno facilmente.

 

 

Si sentì sfiorare una guancia, e nel pieno del dormiveglia diede per scontato che non potesse trattarsi di altri se non Gilbert. Non era nelle condizioni migliori per formulare pensieri complessi, ma confusamente un angolo della sua mente si chiedeva, in effetti, come mai il moro fosse lì.

Man mano che prendeva coscienza, riaffiorava infatti il ricordo di un Gilbert che gli assicurava di rimanere, ma solo fin quando l'altro non si fosse addormentato; si era quindi trattenuto fino a quel momento?

Aprì lentamente gli occhi, mentre una considerazione più sensata prendeva forma: forse Gilbert era semplicemente venuto a svegliarlo. Avrebbe potuto effettivamente pensare a Noah, ma dubitava che l'altro lo svegliasse in maniera così delicata, a dirla tutta.

Quando mise a fuoco la figura che vedeva sopra di sé, ebbe quasi la totale certezza di stare sognando: i capelli biondi, la cui frangia – se la persona si fosse chinata maggiormente verso di lui – avrebbe potuto sfiorargli una guancia erano familiari. Gli occhi verdi che con gentilezza lo abbracciavano tramite il solo sguardo, inconfondibili.

Le labbra incurvate in quel sorriso dolce che gli aveva sempre rivolto... che faceva quasi male.

«...Jack?» riuscì a chiamare stupidamente, con un filo di voce.

Non poteva essere che un sogno, se Jack ora gli sorrideva comprensivo annuendo, come a dire “sono tornato”.

La mano sinistra del più grande si avvicinò con lentezza e un certo timore ingiustificato, fino ad insinuare leggermente le dita fra i capelli del fratello minore; per un attimo sembrò stupirsene lui stesso, come quando un gesto ci è mancato per così tanto tempo che lo si riscopre nel momento stesso in cui lo si fa o lo si riceve nuovamente.

Quella sorta di apparente disagio non durò a lungo: la mano calda di Jack si mosse in breve con più naturalezza in un vero e proprio scompigliargli i capelli, movimento al quale Oz socchiuse gli occhi infantilmente, quasi.

Tutto gli era mancato terribilmente: quel gesto, quel modo di fare, quell'attenzione anche nelle dimostrazioni d'affetto, come se persino quelle potessero ferire.

Nonostante avesse formulato come primo pensiero un razionale “deve trattarsi di un sogno”, fu del tutto istintivo alzarsi di scatto con un colpo di reni e accertarsi di quella presenza sporgendosi verso di essa, alla ricerca di un contatto.

Di un abbraccio, ad essere completamente sinceri.

Ma persino Oz, nel suo sperare in quella conferma fisica, non riuscì a non stupirsi quando il proprio capo finì col poggiarsi al petto del più grande, che sentì lasciarsi sfuggire uno sbuffo divertito poco prima di circondarlo a sua volta con le braccia.

«I tuoi abbracci sono sempre stati un po' un agguato, in effetti...» fece notare con tono bonario nel suo essere canzonatorio; Oz strinse appena gli occhi, godendosi quella sensazione a lungo proibita dall'assenza dell'altro.

Per un attimo sperò infantilmente che la morte di suo fratello fosse stata un sogno e che quella fosse la realtà. Anche se lo sapeva, che non era davvero così.

«Oz?» lo chiamò Jack, il tono calmo; il minore rispose a quel richiamo con lo stringersi dell'abbraccio che non sembrava intenzionato a sciogliere, nell'ingenua convinzione che così ci fossero più probabilità di mantenere “in equilibrio” quel momento, senza permettergli di sbiadire portandosi via Jack.

Questi sospirò impercettibilmente, intuendo forse i pensieri che affollavano la mente del fratello.

«Sono felice. Mi mancavi tanto, fratellino.» mormorò con dolcezza, sincero. Forse si stava dimostrando codardo, pronunciando parole simili come se dovesse rendere il tutto meno difficile, mascherando da fiaba con lieto fine la realtà a cui avrebbe dovuto dar voce in breve.

Nonostante volesse fare tutto tranne che causare dolore ad Oz, non poteva rischiare che l'altro prendesse nel verso errato quella possibilità di incontrarsi; non poteva permettersi e permettergli di credere che sarebbe potuto accadere in ogni momento, o che si sarebbe protratta a lungo quella situazione. Dopotutto era lui, Jack, ad aver approfittato della facilità di uno spirito di insinuarsi nei sogni di una persona particolarmente vicina.

Sentì Oz strusciare appena la testa contro di lui, esattamente come faceva da bambino, e ne fu intenerito; al tempo stesso, però, capì che il motivo di quel gesto era che l'altro si era perfettamente reso conto della precarietà di quel momento.

«Mi dispiace non poter rimanere a lungo. Di non poter tornare. Forse... non avrei nemmeno dovuto mostrarmi ora, ma avevo bisogno di parlare con te, Oz.» aggiunse, abbassando appena lo sguardo ma riuscendo a far rientrare nel proprio campo visivo niente più che il capo del fratello minore.

Non durò molto, tuttavia: colpito e riportato in un certo senso alla realtà dalle parole di Jack, Oz si scostò allentando l'abbraccio quanto bastava per poter alzare il viso verso l'altro.

Ritrovò il sorriso che Jack aveva sempre, sempre rivolto a lui e ad Ada.

«Anche tu mi sei mancato. Mi manchi, Jack.» mormorò come prima cosa, aggiungendo solo in un secondo momento: «Anch'io devo chiederti delle cose.»

Non riuscì a frenare il fiume in piena che il pronunciare quella frase aveva scatenato; troppe volte aveva desiderato poter chiedere la verità direttamente a Jack senza poterlo davvero fare.

«Jack, continuano a chiedermi di te, della tua morte... Mi hanno dato il tuo diario, e mi hanno chiesto di leggerlo. Hanno detto che vi avrei trovato anche la verità su Glen Baskerville, e Sirjan ha anche detto che ci sono persone in questa scuola, che mi mentono. Persone che conosco. Poi ho incontrato Cheshire, e Glen, e...» continuò, incapace di fermarsi, bloccato da un dito di Jack che gli sfiorò appena le labbra suggerendogli di tacere, sebbene senza alcun rimprovero nello sguardo.

«So che hai incontrato Glen. So più o meno ogni cosa. Ho continuato ad osservarti a lungo...» fece una piccola pausa, lasciandosi sfuggire un sorrisetto che Oz riconobbe immediatamente come di quelli impacciati che il fratello ogni tanto mostrava in momenti di particolare disagio: «Mi hanno detto già che sono troppo protettivo anche ora.» ammise in aggiunta, infatti, facendo sorridere anche Oz.

Non era cambiato nulla, sembrava quasi che il tempo – fermatosi – avesse ripreso a scorrere, semplicemente.

«Mi hai osservato... quindi sei sempre stato a Latowidge?» chiese, acquisendo in un secondo momento quella consapevolezza.

L'espressione sul viso di Jack assunse quasi una connotazione colpevole.

«Mi dispiace non averti mai avvicinato in maniera diretta. Ma Sirjan ha detto una cosa molto saggia e giusta: il mio tempo, quello mio e di Glen, si è concluso. Sarai stanco di sentirtelo dire ormai, ma... credo che tu, Oz, debba vivere senza il fantasma di tuo fratello che puntualmente torni da te a ricordarti solo la parte dolorosa del passato.» disse lentamente, dando quasi l'impressione di stare scandendo le parole.

Oz tacque, mordendosi appena il labbro inferiore: lo capiva, ma allo stesso tempo non voleva capirlo affatto.

Jack gli diede qualche istante, consapevole di aver pronunciato una verità dura per l'altro, come per se stesso; dopo un silenzio che minacciava di protrarsi ancora a lungo, riprese la parola: «Nonostante io sia a conoscenza del fatto che tu abbia parlato con Glen, non mi è stato possibile essere lì o ascoltare cosa vi siate detti. Anche se conosco Glen forse troppo bene per non riuscire ad immaginarlo.» ammise con un sorriso lieve.

Oz rimase in silenzio, lasciando che fosse l'altro a parlare.

«Immagino che abbia innanzitutto scongiurato una mia implicazione nella sua morte.» rivelò, cercando conferma nel fratello. Oz annuì lentamente: «Jack... tu e Glen...?» lasciò in sospeso, non sapendo bene come esprimersi mantenendo un minimo di riguardo nei confronti dei sentimenti del maggiore.

«Vuoi sapere se ci siamo mai incontrati come spiriti?» domandò, anticipandolo e facendolo quasi sentire a disagio per la curiosità che ora – differentemente da come era in qualsiasi caso – gli pareva terribilmente fuori luogo.

Si limitò ad annuire nuovamente.

«No, mai. Il contratto che vincola Glen a Latowidge è diverso dal mio o da quello di altri spiriti che sono qui. Si tratta... di scelte diverse che si fanno. Inoltre io sono giunto qui più tardi, rispetto a lui.» spiegò, accorgendosi forse di non essere chiarissimo per qualcuno che non conosceva il modo di rapportarsi degli spiriti, non essendo uno di loro.

Sorrise con uno sbuffo leggero, divertito quasi: «Aspetta, cercherò di spiegarmi meglio.» bloccò sul nascere qualsiasi dubbio del minore «Io ho scelto Latowidge solo nel momento in cui Ada prima e tu dopo siete giunti qui. Ma non vi sono vincolato: vi giro per mia scelta, perché si tratta di un luogo a cui diversi aspetti del regno dei vivi mi legano. Mio fratello e mia sorella, e il mio aver frequentato il medesimo istituto.» spiegò con maggiore chiarezza, paziente.

Oz pendeva dalle sue labbra, immagazzinando ogni minima informazione: «Glen è vincolato a questo luogo. Vediamo... se Sirjan è il tramite tra vivi e morti, Glen lo è tra morti e vivi. Sirjan fa sì che nessuno studente si imbatta negli spiriti di Latowidge e Glen lo stesso. Entrambi cooperano per il quieto vivere, diciamo così.» continuò, anche se Oz al ricordo di Jabberwocky dubitò seriamente che uno come Glen potesse puntare alla coesistenza pacifica. Anche se doveva ammettere di essere stato lui a violarne per primo il territorio, in quel caso.

«Per il tipo di ruolo che ha, Glen è confinato in un luogo privo di spazio e di tempo, in un punto imprecisato di Latowidge e allo stesso tempo in una dimensione completamente estranea alla tua. Vi risiede con Cheshire, per il semplice fatto che questi è uno spirito inquieto che sfugge facilmente al controllo. Glen gli garantisce qualcosa, che non ho bene appreso a dire il vero, ed in cambio Cheshire gli tiene lontano i ficcanaso. Ma è un tipo irruento, e Sirjan non lo ama per questo. Tempo addietro attaccò anche Xerxes Break. Se non ci fu un caso di uccisione, devono tutto a Sirjan e Glen lo sa. Per questo, a maggior ragione, cerca di calmare Cheshire. Immaginerai, se hai visto Jabberwocky, che non fatica molto in questo compito.» concluse, con una nota di sottile ironia.

Ma Oz era stato colpito da altro, e più precisamente dalla parte riguardante Break.

«Xerxes Break è stato attaccato da Cheshire? Perché?» domandò, lo sguardo che non abbandonava nemmeno per un istante Jack. Questi si sorprese appena: aveva creduto che Break, insieme a Barma e a quel loro tentativo palese di scoprire la verità tramite Oz piuttosto che tramite gli spiriti, avesse parlato di quell'episodio a suo fratello.

«Break si era avvicinato fin troppo a qualcosa a cui Cheshire fa la guardia. È qualcosa su cui non potrò darti dei dettagli, ma Cheshire fu fermato e quasi annientato completamente da Sirjan. Anche se persino lui subì qualche danno. Ad ogni modo, Xerxes perse completamente la vista da un occhio, e ha seriamente rischiato di perdere l'altro e la vita. Sirjan era furibondo: minacciò di recidere completamente il contratto che consentiva agli spiriti di dimorare lì. Credo che poi abbia trattato con Glen la cosa, ristabilendo le condizioni del loro patto.» concluse il racconto riguardo quell'episodio, mentre nella mente di Oz si delineavano maggiormente i ruoli e le figure del capo dormitorio e di Glen.

Jack tacque per dargli tempo di assimilare quelle informazioni, aspettando un gesto del fratello per proseguire con il vero motivo per il quale ora era lì con lui.

Quando Oz annuì, l'espressione meno confusa, Jack gli sorrise.

«C'è una sola verità che posso mostrarti Oz. Ma la mia speranza è che sia sufficiente ad allontanarti da tutto ciò che di sovrannaturale c'è a Latowidge, e dai segreti che non hai davvero bisogno di sapere per vivere senza dubbi la tua vita.» pronunciò, una nota di palese preoccupazione nel tono di voce.

Oz ne fu un po' stupito, e si sentì in colpa senza effettiva ragione – per il momento.

«Di quale verità stai parlando?» domandò in un mormorio, la voce che tremò per un istante.

«Della mia morte e di quella di Glen.» pronunciò Jack.

 

Era stata una sensazione stranissima, quella di avere l'istinto di stringere gli occhi mentre la stanza veniva inghiottita nel buio e, riaprendoli, ritrovarsi in un luogo completamente diverso.

Differente sì, ma non sconosciuto: si trattava infatti dell'atrio di Latowidge, senza il minimo dubbio. Jack era al suo fianco, e nessuno sembrava averli minimamente notati. I volti che Oz vedeva erano tutti estranei, nonostante la divisa scolastica fosse quella e non lasciasse il minimo dubbio sul fatto che si trattasse di studenti esattamente come lui.

Cercò una qualsiasi conferma sul viso di Jack, il quale gli sorrise leggermente, posandogli una mano sulla spalla e chinandosi appena verso di lui; l'altra mano, indicò un punto davanti ad Oz: «Guarda lì.» esortò.

Il minore spostò lo sguardo nella direzione indicata dall'altro, e sgranò appena gli occhi stupito: più avanti a loro, un Jack sedicenne – alto più o meno come Oz, i capelli più corti legati in un codino anziché nella familiare treccia, l'espressione spensierata che avrebbe mantenuto anche da adulto.

Camminava accanto ad un ragazzo sicuramente della stessa età, ma che sembrava molto più maturo dagli atteggiamenti che mostrava: portamento elegante e privo di difetti, serioso e in qualche modo anche altezzoso. I capelli neri e lisci sfioravano appena il viso con le ciocche più lunghe, la pelle chiarissima gli conferiva un fascino non indifferente nonostante fosse ancora nel pieno dell'adolescenza e lontano dall'essere un uomo fatto e finito. Gli occhi ametista, aveva un atteggiamento ben diverso dal Jack al suo fianco, che camminava chiacchierando divertito di chissà cosa, le braccia incrociate dietro la testa con fare ben poco nobile.

Nonostante le differenze che saltavano a dir poco all'occhio, quel giovane Glen non sembrava affatto infastidito dal comportamento del biondo e viceversa; a stupirsi e commentare molto di più erano i compagni che li notavano.

Il Jack al fianco di Oz, ridacchiò divertito: «All'epoca Latowidge, o almeno il suo lato pettegolo, era diviso in due fazioni. Quella che non capiva come potessi sopportare un altezzoso arrogante come Glen, e quella che non capiva come Glen potesse accompagnarsi ad uno scemo privo di pudore come il sottoscritto.» commentò, e Oz colse chiaramente nel tono un affetto smisurato per il migliore amico e per la situazione che ricordava piacevolmente.

«Eravate amici già a quest'età?» domandò Oz incuriosito, per un attimo dimentico del motivo per il quale l'altro gli stesse mostrando tutto quello. Non aveva mai avuto modo di chiedere al fratello alcune cose: in passato aveva sempre sentito parlare di Glen quando Jack tornava a casa per i week-end o per le vacanze, e più avanti forse il moro era anche capitato a casa Bezarius, almeno una volta. Ma a livello di avventure scolastiche, non c'era stato modo di parlarne granché, anche per la differenza d'età fra loro.

«Glen si è arreso ad avermi fra i piedi a metà del primo anno. Quindi sì, eravamo già amici. Vieni.» lo incalzò, muovendosi con naturalezza verso il se stesso di quel ricordo – era a quel punto ovvio che non potesse trattarsi di altro.

Oz lo seguì senza fiatare, spostando lo sguardo sul Jack a lui coetaneo che parlava con Glen guardando l'amico anziché in avanti. Cosa che non si rivelò molto intelligente, visto che in pochi istanti il biondo urtò contro una studentessa, con l'unico risultato di ritrovarsi entrambi a terra – specie considerando che l'altra era arrivata di corsa, probabilmente di fretta per una lezione o qualcosa del genere.

Jack, mugolando dolorante, spostò lo sguardo davanti a sé notando solo in quel momento contro chi era andato a sbattere; probabilmente la riconobbe di vista, ma non la conosceva di persona visto come le si rivolse: «Scusa, va tutto bene?» chiese, portando una mano a grattarsi la nuca un po' in imbarazzo per l'accaduto.

Glen aveva osservato la scena come qualcuno che si aspettava prima o poi qualcosa del genere, specie visto che l'amico probabilmente camminava spesso senza fare caso a dove andava.

La ragazza sembrava anche lei della loro età, notò Oz: capelli castani piuttosto lunghi, gli occhi di un castano caldo. Era piccolina, dal fisico minuto, ma sorrise impacciata verso Jack senza la minima traccia di arrabbiatura per l'accaduto.

«S-Scusami tu, correvo senza guardare dove andavo...» mormorò quasi frettolosamente, imbarazzata anche lei. Jack le sorrise più apertamente, mentre Glen si chinava leggermente e porgeva la mano proprio alla ragazza: «Non scusarti, se anche avesse battuto la testa, l'ha così dura da non arrendersi a guardare dove va anche dopo un anno che glielo faccio notare. È quindi probabile che non se la sarebbe rotta comunque.» commentò, ironico tanto che Jack si imbronciò.

La ragazza, con lo stesso fare impacciato rivolto al biondo, accettò la mano e l'aiuto ad alzarsi bofonchiando un'ennesima scusa verso Jack; questi fissò Glen: «Gleeen, sei cattivo! E se mi fossi davvero fatto male?» commentò offeso, o cercando di apparire tale vista la sua totale incapacità di arrabbiarsi col moro, già comprovata l'anno precedente.

Glen sbuffò appena, rassegnato, allungando quindi la mano verso l'amico: «Se non ti va bene allora le nostre strade potrebbero anche dividersi qui, sai Jack?» lo stuzzicò.

Non rideva, né faceva alcun gesto che desse ad intendere che non stesse parlando seriamente. Tuttavia, sia lo Jack che prendeva la sua mano alzandosi e borbottando qualcosa del tipo “figurati se ti do questa soddisfazione” sia quello al fianco di Oz sembravano aver capito, da chissà cosa, che quella dell'altro era una bonaria presa in giro.

Oz si chiese in che modo si potesse arrivare ad avere un'amicizia tanto profonda da interpretare persino espressioni che non venivano mostrate.

Analizzò con più attenzione il volto della ragazza che si era scontrata con Jack, e notò due cose: somigliava vagamente ad Alice – i capelli soprattutto, anche se il modo di fare era totalmente diverso e lei sembrava molto più fragile dell'amica, anche da un punto di vista fisico – ma soprattutto gli ricordò quello spirito che aveva incontrato una sola volta, proprio nell'atrio di Latowidge.

Si voltò verso Jack, aprendo la bocca per dire qualcosa ma venendo anticipato da un: «L'hai riconosciuta, vero? La ragazza che hai visto come spirito.» disse, il tono che Oz non riuscì a decifrare con precisione.

«Come lo sai?» chiese istintivamente, osservandolo stupito.

Jack tornò con lo sguardo sul se stesso di quel ricordo: «Lacie non interagisce con gli spiriti. Lei... vaga, senza quasi rendersi conto di dove va. È legata al mondo dei vivi dalla paura e dalla tristezza. Spesso smarrisce persino la strada, si ritrova in mezzo ai vivi e si spaventa. Se uno spirito è mosso da emozioni instabili, potrebbe anche arrecare danno agli esseri umani. Solitamente, la seguo. A volte da lontano, perché ci sono dei momenti in cui anche la mia presenza la spaventa.» spiegò, il tono un misto tra la preoccupazione e il dispiacere. Era evidente che erano stati amici a lungo, e che non fosse certo idilliaco non essere riconosciuto dalla ragazza o essere addirittura temuto da lei.

Però un attimo il minore immaginò che la stessa cosa potesse accadere con Alice, con la quale aveva instaurato un legame che forse non si poteva paragonare a quello di anni fra Jack e Lacie, ma che lui reputava ugualmente importante.

Sarebbe stato… triste.

Si distrasse nel notare che lo scenario sembrava incupirsi lentamente e al tempo stesso sbiadire; suppose che in breve sarebbe cambiato, così com'era stato dalla stanza in cui si era risvegliato a quell'atrio di diversi anni prima.

«Lacie era di origini più umili sia di me che di Glen. Però, anche se all'inizio sembrava intimidita, alla fine diventammo amici. Lei era importante, sia per me che per Glen, e noi lo eravamo per lei.» pronunciò Jack.

Ad Oz sembrò che in quelle parole ci fosse più il rimpianto che qualsiasi altro sentimento.

 

Quando fu possibile mettere nuovamente a fuoco ciò che aveva davanti e che lo circondava, Oz si chiese se non ci fosse qualcosa di sbagliato, poiché ad un primo sguardo era chiaro che si trovavano ancora nell'atrio, vicini all'ingresso stavolta.

Voltandosi però, fu evidente che quello doveva essere un ricordo diverso: il luogo era infatti addobbato a festa, in un modo non molto diverso da come lo era stato quel Natale a cui Oz aveva preso parte per la prima volta.

Molti studenti attendevano le proprie dame, altri le avevano appena incontrate; il clima di festa era palpabile, e gli abiti tutti diversi fra loro sia per colore che per modello – differentemente dalla divisa di tutti i giorni – lasciavano intuire che il Ballo di Natale fosse una tradizione di molto precedente anche all'arrivo di Vincent o Gilbert, che erano al loro ultimo anno a Latowidge.

Prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, Oz fu distratto dalla voce simile e per certi versi non proprio uguale a quella del Jack a cui era abituato; voltandosi, inquadrò il biondo di quel ricordo: i capelli ormai lunghi oltre la metà della schiena e già legati nella treccia a cui era abituato, i lineamenti e la voce innegabilmente più adulti, ma non ancora definitivamente fuori dal periodo adolescenziale.

Tra l'altro, in quel momento la voce si stava esprimendo in un lamentoso: «Ahi, ahi, ahi» - che Oz non riusciva a capire se fosse dolorante o divertito, per assurdo – dovuto al fatto che una ragazza in abito da sera stava tirando la povera treccia e il relativo padrone al seguito, l'aria arrabbiata.

«Lottie, Lottie, non arrabbiartiii!» implorò infantilmente Jack, mentre a dir poco stupito Oz si voltava verso il fratello al proprio fianco.

«Charlotte Baskerville? La mia docente?!» se ne uscì come se non avesse la forza di crederci, in maniera forse anche un po' comica. Jack ridacchiò, annuendo: «Proprio lei. Esattamente come Echo è a Latowidge come servitrice di Vincent, Lottie aveva lo stesso ruolo per Glen.» spiegò brevemente, mentre Oz tornava con lo sguardo sulla scena che non avrebbe mai potuto immaginare da solo.

Charlotte Baskerville doveva aver certamente infranto qualche cuore a scuola: i capelli lunghi erano legati in un ordinato ed elegante chignon da un fermaglio floreale sul bordeaux, che riprendeva il colore dell'abito da sera. Le spalle erano scoperte , l'abito non troppo gonfio nella parte inferiore le scendeva abbastanza fluidamente lungo i fianchi, esaltandone la figura snella. Le scarpe, com'era norma, non si vedevano e le mani erano coperte non oltre il polso da dei guanti fini; il viso, forse appena truccato senza il minimo eccesso, era incorniciato da due ciocche lasciate libere dall'acconciatura. Nella semplicità di un abito privo di particolare lavorazione, era splendida. Jack, in quel momento trascinato, non era comunque da meno: camicia bianca appena visibile sotto la giacca nera formale che arrivava poco sopra al ginocchio, e pantaloni neri con scarpe del medesimo colore. Anche se non avresti mai pensato a Jack accostandolo ai colori scuri, nell'eleganza dell'occasione il nero gli donava esaltandone la figura slanciata, i capelli – al momento nella presa di Lottie – che nel loro colore dorato quasi risaltavano sulla stoffa scura.

Finalmente la ragazza sembrò fermarsi, smettendo di trascinarsi dietro Jack – peraltro Oz non aveva potuto non notare i risolini divertiti degli altri studenti che li avevano notati, come se quella fosse una scena abituale ormai.

Lasciata finalmente la treccia e permesso a Jack di tornare in posizione eretta, non più costretto a seguire la ragazza, Lottie si voltò verso di lui con espressione ancora palesemente arrabbiata.

«Perché non me lo hai detto?! E non dirmi che non lo hai notato finora, perché nemmeno tu sei così stupido Jack. Cos'era, lealtà verso Padron Glen?!» lo incalzò irritata.

Jack, le mani leggermente alzate quasi in segno di resa, abbozzò un sorriso leggero: «Lottie, non è questione di notare o di lealtà verso Glen. In realtà non ne ho mai parlato direttamente con lui, quindi... non pensare che volessi nasconderti nulla, per favore.» ammise, il tono calmo sebbene con una nota di dispiacere, probabilmente per quella situazione che si era creata o si stava creando.

Lottie non sembrava convinta da quella risposta: «Ma tu sei con lui tutto il tempo! Cos'è, è divertente sapere dei miei sentimenti per Padron Glen, Jack? Se scopro che mi stai prendendo in giro– »

«Non è affatto così.» la interruppe bruscamente Jack, lo sguardo che si era fatto serio all'improvviso mentre una mano aveva afferrato, pur senza gesti bruschi, il polso esile della ragazza. Gli occhi verdi erano puntati su di lei, mentre parlava.

«Non mi sarei mai preso gioco dei tuoi sentimenti Lottie e questo lo sai bene. Non trovo affatto divertente né vedere i tuoi sentimenti non ricambiati, né nulla del genere. È vero che mi ero accorto di questa cosa, forse persino prima di Glen, ma... è un altro, il motivo per cui non ho affrontato il discorso con nessuno. Perciò...»

«E quale sarebbe questo motivo, sentiamo. Lacie ti aveva chiesto di non dire nulla? Per questo non ti sei potuto nemmeno fidare di me? Sai perfettamente che sono consapevole del mio ruolo di servitrice dei Baskerville, e che non avrei mai osato esternare questi sentimenti, eppure– »

«Sono stanco!» sbottò Jack abbassando lo sguardo pur senza alzare il tono di voce, conscio probabilmente che potessero esserci orecchie indiscrete ad ascoltare quel discorso visto che erano nell'atrio dopotutto.

Oz poté notare lo sguardo di Lottie farsi confuso, come se improvvisamente le fosse sfuggita un'informazione di vitale importanza per quel discorso.

La ragazza osservò Jack, senza capire: «Stanco?» ripeté, il biondo che sembrava non riuscire ad alzare nuovamente gli occhi chiari su di lei.

«Già.» confermò: «Stanco di dover... di dovermi preoccupare esclusivamente dei sentimenti degli altri.» sussurrò. A cosa si riferisse, Oz non lo comprendeva ancora del tutto. Ma il tremore delle mani di Jack lungo i fianchi, era qualcosa di impossibile da ignorare.

La voce di Lottie che rispondeva, lo sguardo ammorbidito rispetto alla rabbia ostentata fino a quel momento, si affievolì sempre più finché Oz non fu del tutto incapace di cogliere anche solo una delle parole che sembrava rivolgere al Jack di fronte a lei. Capì che era l'intero ricordo a sbiadire, ed automaticamente portò lo sguardo su suo fratello ancora fermo al suo fianco.

Il più grande manteneva gli occhi chiari sulla scena, a cui poteva assistere come un ospite speciale già a conoscenza delle battute degli attori che lui aveva vissuto in prima persona.

«Ero davvero infantile, in un certo qual modo.» pronunciò dopo un silenzio che ad Oz era sembrato interminabile. Non lo incalzò chiedendo cosa intendesse, perché Jack aveva l'aria di chi avrebbe comunque saziato la sua curiosità senza bisogno di porgli altre domande.

«Lottie aveva rivelato i sentimenti che nutriva per Glen solo a me. Ma per la persona immatura che ero a quel tempo, rifiutai di condividerli per paura che schiacciassero i miei o, che al tempo stesso, li portassero alla luce. Lasciai credere a Lottie che il motivo di quel turbamento erano dei sentimenti per Lacie che non avevo mai confessato, ma... immagino che, a lungo andare, abbia comunque capito a cosa mi riferissi davvero.» parlò quasi stancamente, come se un peso invisibile all'improvviso lo stesse schiacciando.

Oz si chiuse per qualche istante in un silenzio meditabondo che Jack non spezzò, lasciandogli tutto il tempo di cui aveva bisogno.

Alla fine alzò lo sguardo su Jack per una manciata di secondi prima di portarlo poi nuovamente davanti a sé, in attesa che un nuovo ricordo andasse formandosi: «Io non credo che fossi totalmente dalla parte del torto.» pronunciò quasi a sorpresa. Né una domanda, né un giudizio: una constatazione fatta un po' seguendo la verità, un po' seguendo l'affetto verso il fratello.

Quella sensazione di essere schiacciato dai sentimenti altrui senza poter dar sfogo ai propri, e la volontà al tempo stesso di voler nascondere quelli che si reputano solo segni di debolezza, Oz la conosceva.

In maniera forse ipocrita, osservarli su Jack lo aveva portato istintivamente a pensare che nel cedere ogni tanto... non ci fosse nulla di male, che fosse del tutto umano e comprensibile.

Aveva pensato, osservando quel fratello più giovane e vicino alla sua età in un ricordo di anni prima, che fosse quasi legittimo.

«Eri solo spaventato. Lo so, perché... sono spaventato anch'io.» mormorò con un filo di voce, ammettendolo ad alta voce e sinceramente per la prima volta.

Quando alzò lo sguardo sulla figura di Jack fu per il: «Non è sbagliato quello che dici. Ma le mie furono parole crudeli, probabilmente.» che aveva pronunciato, al quale era seguito un sussurro che Oz aveva colto per pura fortuna – o così credeva.

«Come le bugie rivolte al mio unico, migliore amico.»

Oz sussultò dopo che l'ultima immagine del ricordo del ballo fu sbiadita del tutto, lasciando il posto ad un'oscurità inconsistente prima di prendere di nuovo forma.

Il sorriso che aveva intravisto sul viso di quel Jack più giovane, rivolto ad un Glen nel cui sguardo era passato un guizzo di preoccupazione per l'amico, era identico a quello che Oz aveva sempre, sempre rivolto a chi lo circondava.

Quell'incurvarsi di labbra che racchiudeva la convinzione di riuscire a mentire nascondendo la verità, e la fragilità di chi poteva spezzarsi da un momento all'altro.

 

 

Strinse i pugni, lo sguardo sul corpo di Oz che sotto le lenzuola continuava ad agitarsi nel sonno, nonostante i vari tentativi di Noah di scuoterlo e svegliarlo.

Era rientrato per cambiarsi con calma per uscire, approfittando del fine settimana; quando aveva notato in un primo momento quell'agitarsi non si era preoccupato eccessivamente, attribuendo il tutto ad un sogno o simili. Ma i lamenti si erano fatti più frequenti, perciò aveva pensato di svegliare il compagno di stanza: solo allora si era accorto del sudore freddo che gli imperlava la fronte. E nonostante lo avesse scosso e chiamato diverse volte, Oz non aveva dato il minimo segno di risveglio.

Probabilmente suonava assurdo dire che la cosa lo aveva mandato nel panico. Ma il punto era che Oz aveva avuto altre volte un sonno così agitato da svegliarsi urlante, e soprattutto il sonno di una persona poteva essere pesante ma mancava poco che Noah quasi lo buttasse letteralmente giù dal letto.

Senza contare che il sudore freddo – aveva notato in secondo momento che non si trattava unicamente del volto, ma che il pigiama aderiva leggermente al corpo, bagnato da quello stesso sudore – poteva stare a significare anche un malore.

Fu per quello che decise di aprire la porta, e allontanarsi per rivolgersi all'infermeria o al capo dormitorio se lo avesse trovato più celermente; uscendo in fretta e furia, tuttavia, poco mancò che la porta cozzasse contro qualcuno che evidentemente si stava dirigendo verso la loro stanza, o semplicemente camminava nel raggio d'apertura della porta.

«Ehi!» sentì sbottare il povero mal capitato, chiunque fosse: «Guardare prima di aprire la porta come un folle non ti farebbe male, Keynes!» aggiunse, non proprio l'esempio della cortesia, mentre Noah faceva mente locale e riconosceva la voce. Confermò l'identità del suo interlocutore portando lo sguardo su di lui ed incrociando quello ceruleo di Elliot Nightray.

Notò fugacemente Reo al suo fianco, ma non vi si soffermò più di tanto; considerando che il castano indossava abiti con cui di solito Noah lo aveva visto uscire dall'accademia, il suo cervello e lo stato abbastanza precario in cui normalmente esso versava avevano portato ad un farfugliare incomprensibile.

Quando se ne rese conto, allungò una mano a prendere il polso di Elliot, tirandolo appena verso di sé e la porta della propria stanza. Lo lasciò praticamente sulla soglia, la spiegazione: «Oz sta male e non riesco a svegliarlo! Continua a scuoterlo, io vado a chiamare Kolstoj o chi per lui!» che fu praticamente mezza urlata mentre già si allontanava di corsa.

Perplesso, Elliot fu anticipato da Reo che entrò prima di lui, passandogli di fianco.

 

 

«Jack, perché continua ad essere buio?» domandò confuso, notando che lo scenario che già altre volte era mutato per mostrargli dei ricordi non prendeva una forma definita. Il più grande si guardò intorno per qualche istante, prima di dare una risposta.

«Probabilmente il tempo a nostra disposizione si sta avvicinando alla fine. È probabile che qualcuno stia cercando di svegliarti; forse, è già mattina.» dichiarò, il tono un misto di tante cose che Oz credeva di riconoscere, risultando magari arrogante. Avvertiva il peso della separazione che si avvicinava, della consapevolezza che dopo quella volta forse non lo avrebbe davvero rivisto. Magari Jack non avrebbe più potuto avvicinarlo, forse il patto con Sirjan glielo avrebbe impedito. Oppure chissà, quella di parlare con lui poteva essere la famosa “questione in sospeso” di cui si leggeva nei libri, e allora Jack sarebbe andato semplicemente in un posto lontano e inconsistente, che non si vede e non si può raggiungere.

«C'è un'ultima cosa che posso mostrarti, nel tempo che ci rimane. Credo che sia la più importante, perché tu possa capire.» risuonò nuovamente la voce di Jack, mentre la sua mano raggiungeva quella di Oz e la prendeva gentilmente, cercando di rassicurarlo il più possibile.

Il più giovane strinse la presa di rimando, puntando lo sguardo di fronte a sé: per una volta, dopo tanto tempo, sentiva che qualsiasi cosa si fosse parata davanti ai suoi occhi non avrebbe dovuto guardare altrove.

E vide di nuovo una scena farsi sempre più chiara, acquistando senso.

Non era Latowidge, questo fu chiaro, ma Oz riconobbe ugualmente quel luogo – non senza stupirsene: una stanza in penombra che conosceva fin troppo bene si era delineata di fronte a loro. La camera di Jack, del periodo in cui il fratello era sempre più frequentemente costretto al letto; istintivamente, Oz gli strinse ancora di più la mano, come se fosse un appiglio per non sfuggire alla realtà.

Il Jack del ricordo era a letto, gli abiti informali di una persona malata: era più pallido, e la stanchezza si notava sul volto nonostante gli occhi verdi non avessero del tutto perso quel guizzo brillante che li aveva sempre caratterizzati. Il lenzuolo e la coperta lo coprivano fino alla vita, mentre la schiena poggiava su due guanciali sistemati in modo che la posizione da seduto non lo stancasse ulteriormente.

I capelli biondi erano legati in una treccia, ma molto più morbida, data l'intimità della propria stanza; gli occhi passavano dalle proprie mani – l'una vicina a quello che Oz riconobbe come il diario del fratello, l'altra posata sulla copertina dello stesso – ad un punto preciso della stanza, vicino alla finestra.

Anche Oz deviò la propria attenzione in quella direzione, e sussultò impercettibilmente notandovi la figura di Glen in piedi che aveva ormai imparato a riconoscere. Tuttavia non avrebbe davvero saputo dire chi, tra Jack e Glen, fosse la persona malata: il moro aveva lo sguardo spento, era ugualmente pallido, e sembrava guardare fuori dalla finestra come se non ci fosse nient'altro al mondo degno della sua attenzione più di un giardino visto chissà quante volte.

Il Jack in quel ricordo non azzardava a spezzare il silenzio che pesantemente gravava nella stanza; l'espressione mesta si mescolava ad una carica di senso di colpa.

Oz si chiese se non fosse stato quello il giorno in cui suo fratello aveva scritto sul suo diario di considerarsi un assassino, nonostante non avesse commesso alcun reato in vita.

«...Jack?» sentì chiamare il nome del biondo da Glen, in un tono basso appena percettibile. L'altro voltò appena la testa verso di lui, rispondendo con un: «Dimmi, Glen.» poco più alto di un mormorio.

Oz vide il Glen di quel ricordo alzare appena la testa, ma continuare a guardare fuori.

Era quasi certo che in realtà non vedesse nulla.

«Non era un incidente.» decretò quasi freddamente. Eppure, al tempo stesso, nel tono con cui pronunciò quelle poche parole ad Oz parve di cogliere disperazione e rabbia, di quelle che ti logorano e non ti lasciano scampo.

«Lacie è stata uccisa.» aggiunse il moro. Mentre quella pesante accusa riecheggiava nella stanza e nella mente di Oz, questi spostò istintivamente lo sguardo sul Jack che nel suo letto di morte prossima stringeva appena la copertina di un diario.

«Glen... c'è una cosa che devo dirti.» mormorò piano, trovando chissà dove il coraggio di alzare lo sguardo su di lui esattamente mentre il moro portava il proprio sul suo migliore amico.

«Io... sto morendo Glen. Non c'è possibilità che io... possa rimanere con te ancora a lungo.» pronunciò.

Mentre l'immagine di due persone consumate dalla solitudine e dal dolore spariva come gli altri ricordi avevano fatto fino a quel momento, Oz fu certo di sentirla.

Una voce che si scusava disperatamente.

Era la voce di Jack.

 

 

«...Jack!» pronunciò, boccheggiando appena come se gli fosse mancata l'aria, svegliandosi di soprassalto; una mano verso l'alto, gli occhi chiari spalancati inquadrarono in breve la figura di Elliot che sopra di lui l'aveva probabilmente scosso fino a quel momento.

Quando quel pensiero divenne concreto nella sua testa, scattò con rabbia verso di lui, afferrandolo malamente per il colletto della camicia.

«Perché mi hai svegliato?! Perché... perché mi hai...?

«Datti una calmata!» sbottò quello di rimando, afferrando il polso del moro in una presa salda e costringendolo a lasciarlo andare. Oz fu per un attimo perso, e confuso.

Rimase con la mano a mezz'aria, in parte protesa verso Elliot – solo allora notò Reo dietro di lui – senza sapere esattamente cosa fare o come muoversi. Cosa credere.

Poi, quasi violentemente, l'immagine del diario stretto tra le mani di Jack nell'ultimo ricordo lo fece voltare verso il comodino: senza la minima attenzione alle lenzuola, o al pigiama che gli aderiva addosso a causa del sudore, aprì malamente il cassetto in cui aveva nascosto il diario dalla propria vista per molto tempo.

Recuperatolo, lo sfogliò febbrilmente, senza curarsi degli sguardi confusi e increduli dei due Nightray nella stanza. Temette quasi di perdersi qualche pagina per strada a causa dell'impazienza, dell'urgenza improvvisa di sapere quello che aveva voluto ignorare per molto tempo.

Poi, la trovò.

La pagina di diario scritta dopo la morte di Glen Baskerville.

 

 

Non sono mai andato fiero di aver mentito a Glen,

anche se dirlo il giorno del suo funerale può sembrare ipocrita.

Dopo la morte di Lacie, Glen è sprofondato nella disperazione;

guardava il mondo con gli occhi di chi vede qualcosa di vuoto e completamente inutile,

e lo disprezza.

Ma al tempo stesso,

Glen non era mai stato in grado di abbandonare il mondo dov'era stata Lacie.

"La felicità è scomparsa"; credo fosse questo che pensava..

Ma sosteneva che in un parte del suo cuore, c'era una piccola speranza ancora.

Lo ha detto una sola volta, a voce.

Sussurrava, per la verità.

«Jack, tu sei una speranza piccola come la fiamma di una candela.»

Sapevo che Glen non avrebbe resistito,

alla disperazione di perdere anche la  speranza a cui si aggrappava

per non cedere al dolore che lo stava logorando;

e pur sapendolo, gli ho detto che non sarei vissuto ancora a lungo.

...Non mi importa se pensano di me che sono un egoista, un assassino, un eroe, o chissà cos'altro.

Io ho mentito a Glen su molte cose,

compreso il tipo di sentimento che avevo:

non ero davvero felice, quando osservavo lui e Lacie.

Ma non l'ho fatto per eroismo, né sono qualcosa di anche solo vagamente simile ad un martire.

Io credo che a volte si possa, o si debba mentire; logorarsi, e restare a guardare.

Anche quando la felicità degli altri non coincide con la nostra.

Credo che sia semplicemente... sì.

Credo solo che sia anche questo un modo di amare qualcuno.

 

 

Come la decantata metafora letteraria di un puzzle, Oz vedeva le parole di quella pagina unirsi ai ricordi osservati in quel sogno in cui suo fratello era stato nuovamente una presenza tangibile al proprio fianco.

Jack non era mai stato innamorato di Lacie.

In un modo persino più profondo di quanto fosse accaduto ad Oz nei confronti di Gilbert, il legame che aveva unito Jack a Glen era mutato in maniera univoca; il biondo si era riscoperto a provare un amore che con il tempo era diventato tante e troppe cose diverse – quello per il migliore amico prima, per un fratello poi, ed infine per una persona dalla quale si vorrebbe ricevere egoisticamente tutto forse.

Jack era stato confuso, spaventato da quel sentimento che aveva infine scelto di soffocare totalmente. Nonostante non avrebbe mai voluto mentire alla persona per lui più importante, lo aveva fatto per garantirne la felicità. Tuttavia Oz capiva anche che Jack non si era mai idealizzato per quello.

Capiva che suo fratello aveva rinunciato non solo per la felicità di Glen, ma anche per la paura che – al pensiero di essere allontanato se si fosse esposto – lo paralizzava.

Il legame tra suo fratello e il suo migliore amico era stato forte, per certi versi incomprensibile dall'esterno. Era qualcosa che probabilmente nemmeno i diretti interessati avrebbero potuto spiegare con chiarezza; allo stesso modo, la morte che li aveva uniti ancora una volta – date non troppo distanti, e l'apparente dipendenza l'una dall'altra – non aveva alcuna verità da rivelare forse.

Jack non era morto a causa di Glen, e Glen non era morto a causa di...

 

«Lacie è stata uccisa.»

«Io... sto morendo Glen.»

 

Oz sgranò appena gli occhi, ignaro dell'espressione di Elliot che si era fatta preoccupata, nonostante il castano non avrebbe di certo voluto darlo a vedere. Il biondo, però, iniziava a preoccuparlo: non aveva detto nulla dopo quello scatto nervoso con cui lo aveva afferrato per il colletto ed ora aveva l'espressione di chi non riesce a credere a quello che vede – la conosceva bene, Elliot, la sensazione di terrore di fronte ad una verità da cui si vuole distogliere lo sguardo.

Allungò istintivamente una mano, posandola sulla spalla di Oz per scuoterlo appena, con un'insospettabile delicatezza. Il più giovane, quasi fosse stato riportato alla realtà, alzò lo sguardo su di lui pur senza lasciar sfumare la sensazione di confusione ed incredulità che lo animava.

«Glen Baskerville...» soffiò appena, tanto che Elliot non sarebbe stato certo di aver sentito bene se solo fosse stato appena più lontano da lui.

«Glen Baskerville ha... scelto di morire.» aggiunse ancora incredulo.

Contrariamente a quanto chiunque avrebbe potuto pensare, sembrava a quel punto ovvio il motivo del suicidio, la ragione che sfuggiva a tutti – perché l'erede dei Baskerville aveva sempre avuto tutto agli occhi di chi lo osservava. E invece gli erano state portate via le uniche cose che aveva desiderato, senza che lui potesse fare nulla.

Impotente contro un omicidio.

Impotente contro una malattia.

«Bezarius, non capisco cosa stai dicendo.» pronunciò Elliot, il più garbato possibile: si rendeva conto che l'altro era di poco lontano da uno stato di shock, e non sarebbe stato di certo l'ideale scuoterlo maggiormente.

«Io... devo incontrare Glen ancora una volta.» mormorò Oz: «Devo... devo assolutamente riferirglieli.»

«Cosa?» fece eco Elliot istintivamente, senza soppesare più di tanto la domanda.

Oz tacque, la frangia che copriva appena lo sguardo, tanto che i due Nightray non avrebbero saputo dire che espressione avesse mentre stringeva il diario.

«I sentimenti di Jack.»

 

 

Note dell'autrice (ancora viva)

 

Ebbene sì, ogni tanto resuscito dalle mie ceneri 8D

Nonostante io sia stata brutalmente boicottata (esami, esami, esami, e fatemi pensare... esami?), il 18 ha visto la luce – spero senza mietere vittime fra i lettori x°°

Non ho ancora fatto un calcolo ben preciso (che probabilmente farò in occasione di Rinnega 19), ma non siamo proprio lontanissimi dalla fine. Diciamo che ci stiamo avviando, cosa che forse era intuibile dal minimo di chiarezza che man mano acquistano tutte quelle questioni che avevo disseminato prima XD

La frase in apertura è del telefilm “Brothers & Sisters”.

Passo a rispondere alle recensioni! <3

 

FiammaDrakon: come hai sottolineato, Sirjan è un personaggio in continua evoluzione in un certo senso. Siccome è un original inserito, non credevo nemmeno io che alla fine avrebbe avuto un ruolo simile. Tra l'altro, spesso mi sorprendo anche io nello scoprire che un determinato atteggiamento gli si addice XD Credo che il suo avere tanti lati “nascosti”, sia dovuto al fatto che è stato tante cose diverse, molte delle quali influenzate (nel bene) da Alyster <3

Elliot è amore. Di conseguenza, renderlo ancora più amore appena se ne ha la possibilità è doveroso u_u tra l'altro adoro i battibecchi a tre con Oz e Reo, fin dalla prima volta che la Mochizuki li ha anche solo accennati, quindi appena posso ne piazzo uno *_*”

Aedan era l'unico a cui vedessi bene addosso quel ruolo in quel momento: tanto per cambiare non era pianificato, ma è a conti fatti forse l'unico personaggio (battendo persino Noah) che possiede quell'ingenuità e quella semplicità che si ritrovano solo in un bambino.

Per la questione di Alice, dovrete pazientare, ma è tutto molto vicino! XD

 

Nuit: innanzitutto lasciami dire grazie e complimenti per la pazienza di riscrivere la recensione XD (ho notato che hai dovuto farla di nuovo).

I tuoi complimenti mi lusingano davvero: sono contenta che lo stile, le vicende narrate e l'IC dei personaggi siano di tuo gradimento, e ti ringrazio in special modo per il giudizio sui pg originali che temevo potessero non risultare graditi all'inizio. Riguardo il ruolo di Alice in quanto figlia illegittima e al legame suo e di Gilbert con Jack senza lo zampino dell’Abisso a fare casini, dovrete pazientare, ma come ho detto in risposta a Flamma, non tantissimo XD

Infine sì: Break e Rufus non hanno concezione della parola “tatto”. Fortunatamente, Sirjan sa giostrare bene la cosa XD

Ti ringrazio infine, per la segnalazione che ha permesso a questa longfic di essere aggiunta fra le Storie scelte. E' stata una piacevole sorpresa, ed una grande soddisfazione <3

Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento!

 

AcchanBaka: tu devi essere partecipe dell'immensa difficoltà che io ho avuto nel descrivere Jabberwocky inquietante, dopo che in altre sedi l'immagine ricorrente che ho di lui è quella di un grifone formato caricatura che fa la faccia beata mentre Jack lo grattinizza (e non dirò altro oltre il fatto che in quella stessa sede, Jack lo chiama “Jabby”XD).

Detto ciò, ti ringrazio per i vari complimenti alle varie scene (che ho già commentato nelle altre due risposte, e che è superfluo ripetere) e per quelli allo stile. Ci sono periodi in cui, come sai, mi scervello per cambiare lo stile che puntualmente mi sembra troppo pesante; ma suvvia, se non vi lamentate voi che leggete, suppongo che sia accettabile XP

Ed ecco finalmente in questo capitolo l'incontro che aspettavi. So che soffrirai come un vitello, sì 8D *pat pat

 

   
 
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