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Autore: MeggyElric___    14/03/2011    7 recensioni
Il seguito della mia ormai conclusa GOLD IN THE BLUE, è ambiantata circa 18 anni dopo.
"Eppure, per quanto segreto e rinchiuso in antiche immagini, ecco che un lume dai riflessi saettanti torna a fare capolino nella mente, ultimo breve ma bruciante graffio a un cuore ormai dolorante.
E una luce, un sole che più non esiste, torna a splendere, come se non si fosse mai estinto. Ed ecco piombare su di lui, e sul suo respiro pesante e saggio, temprato da mille avventure, una pioggia battente colma di rimorsi e parole ormai spente, illuminati da un barlume che pareva troppo lontano per essere raggiunto, ma allo stesso tempo così vicino da poterlo sfiorare, allungando un braccio al cielo, come a tentare di catturare una stella.
Una luce senza tempo."
Spero davvero in un altro successo :) Buona lettura!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Winry Rockbell
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Inizio col salutarvi tutti e ringraziarvi enormemente per aver seguito il prequel di questa storia. Per chi non lo conoscesse, il titolo è “GOLD IN THE BLUE”, probabilmente conviene leggere prima quella, tanto per rimanere un attimo a passo con il racconto, ma questa è una decisione vostra.

Sono tornata alcuni mesi più tardi dalla conclusione della mia prima storia sperando con tutto il cuore di riuscire a coinvolgervi e a emozionarvi con le mie parole, nelle quali ho messo tutto l’impegno possibile.

Bene, inizio col spiegare alcune cose. “Timeless Light”, ossia questa mia nuova fanfiction, è strutturata in modo diverso da quella precedente, ora mi spiego meglio. La trama è, come dire, intrecciata, passato e presente si mescolano con giochi di flashback e frammenti di ricordo, così da creare una specie di continui lampi di luce, idee improvvise o ricordi offuscati. Inoltre, appaiono alcuni nuovi personaggi, che conosceremo capitolo per capitolo.

Se riesco – cosa assai improbabile – posterò un capitolo alla settimana, molto probabilmente il lunedì attorno alle 18.00.

Ringrazio tutti nuovamente e vi lasco alla mia nuova storia. Un bacio!

 

 

 

Timeless Light

PROLOGO: TUFFO NELLA MEMORIA (PARTE 1)

Bianco. Candore, purezza, gelo. Così, con quest’atmosfera così insolita, si presentava la piccola cittadina di Resembool, persa tra le campagne, la sera del 12 gennaio 1923. La neve polare aveva imbiancato ogni più misero centimetro del paesello, come se ogni debole filo d’erba fosse stato imprigionato in una fredda morsa dai chiari toni.

Era così strano che a Resembool nevicasse, data la posizione geografica e l’aria mite che aleggiava tra campi e vasti prati. Eppure, quella sera, tutto sembrava essersi fermato, per lasciar spazio alla prima inaspettata nevicata degli ultimi quattro anni.

Edward posò una mano sul vetro ghiacciato della finestra, lasciando come traccia moltissime minuscole goccioline di condensa. Batté le palpebre, seguendo con estrema attenzione la danza delicata di un piccolo fiocco di neve, che volteggiava appena al di fuori di quella sottile barriera di vetro. Rimase incantato da tanta purezza, rilasciata da un così minuto oggetto.

Si allontanò di pochi passi dal vetro, dando un ultimo fugace sguardo al calendario e seguendo con gli occhi d’oro la grande scritta sul primo foglio, impressa con un inchiostro nero.

Sorrise, schiudendo le labbra sottili, incorniciate appena da qualche accenno di barba, che doveva aver rasato da poco.

Quant’era mutata la sua vita, nel corso di quegli anni. Ad Amestris regnava la pace, salvo qualche rara e fievole insurrezione ai confini, causata dagli attacchi esterni. Eppure, il passato continuava a infierire nella sua mente, chissà per quale motivo.

Si strinse, rabbrividendo, nella vecchia palandrana rossa – ultima traccia delle sue memorie – chiedendosi per quale ragione non avesse ancora gettato quel panno logoro e malandato. Si colpì la fronte con leggerezza, dandosi mentalmente dell’idiota, per aver pensato anche un solo secondo di sbarazzarsi della sua amata compagna di mille avventure.

Scosse la lucente massa di capelli aurei, che crescevano sempre più. Cominciavano a essere leggermente fastidiosi, ma sapeva che, se mai li avesse tagliati, avrebbe dovuto subire le violente ire di una meccanica in particolare. A dire il vero, si era anche concesso qualche spuntatina – rigorosamente di nascosto – altrimenti, in quel momento, avrebbe dovuto far attenzione a non inciamparvi sopra. Ok, forse stava un tantinello esagerando. I ciuffi color del grano gli arrivavano a metà schiena e a Winry ciò sembrava bastare, per fortuna.

Si avvicinò a passi lenti al caminetto, gettandovi all’interno alcuni ceppi di legno secco. Al contatto con il fuoco, il legname produsse un crepitio secco e non faticò affatto ad incendiarsi.

Edward allungò le mani verso quella luminosità, riscaldandole beatamente. Le ritirò improvvisamente, riconoscendo in quelle fiamme e in quella luce un pensiero che lo infastidì parecchio.

Roy Mustang e l’alchimia, due presenze fisse nel suo passato.

Due presenze che, alla luce di quello che sarebbe successo in futuro, avrebbe fatto meglio a non dimenticare.

Seguì il movimento danzante delle lingue di fuoco, osservando ogni più misero gioco di luci e di ombre che riusciva a plasmare quella piccola e luminescente forma di calore. Lo scoppiettare allegro del fuoco era l’unico rumore che animava la stanza e la sua mente, facendolo scivolare nell’oblio dei ricordi del passato.

Gli occhi dorati, luminosi, riflettevano quel tiepido lume, parendo ancor più preziosi del semplice anello d’oro che ornava da ormai più di due anni il suo anulare sinistro. L’osservò, rigirandolo sotto lo sguardo.

Sorrise dolcemente, sospirando appena e spostandosi con naturalezza un ciuffo di capelli all’indietro. Ancora, da quel giorno ormai lontano, nella sua mente vibrava un quesito, e lui ancora non era certo d’averne trovato la risposta.

Che fosse tutto un sogno?

Tese le orecchie, udendo un altro debole suono farsi sempre più vicino. Il cuore dell’ex alchimista d’acciaio aumentò il battito, riconoscendo in quel soffice rumore la risposta a ogni suo più piccolo dubbio. Sorrise, di nuovo, socchiudendo le palpebre, e godendosi quello scalpiccio tenero e infantile, che rievocava alla sua mente preziose immagini dai contorni dorati.

Si chinò lentamente e accolse tra le braccia forti quella piccola creatura, che aveva teso le manine insicure verso di lui. Affondò il naso nei soffici filamenti che imperlavano la testina bionda, percependo in essi un rincuorante profumo di famiglia.

Allontanò il viso, scostandosi appena, ma sempre tenendo ben saldo il piccolo con le mani. Incontrò gli occhi puri e innocenti del suo bambino, così preziosi e rilucenti d’oro splendente che non poté non riconoscere nei suoi.

Strinse al petto il piccolo, cullandolo appena, senza mostrare però troppa enfasi. Se qualcuno l’avesse visto in quel momento, così preso e totalmente dipendente da quel bambino, gli avrebbe di sicuro appioppato il termine “sentimentalone” – appellativo comunque per nulla appropriato al suo modo di fare, a detta sua – e lui si sarebbe ovviamente offeso, scatenando un putiferio.

Eppure, non sapeva perché, né come, ma ogni volta che incontrava quel piccolo sguardo – era anche il suo, quello di Al, quello di loro padre – qualcosa si muoveva dentro di lui. Era una sensazione diversa, sconosciuta, ma incredibilmente piacevole.

Era come se, da due anni a quella parte, quel bambino, suo figlio, fosse improvvisamente diventato il centro di tutti i suoi pensieri, la stella più luminosa di tutto il suo piccolo mondo.

Deglutì, tentando di calmare il palpito insistente del suo cuore, veloce e ritmato come il battito delle ali di un colibrì. Inspirò nuovamente il profumo che emanava quella creatura, talmente piccola e fragile da non sembrare nemmeno reale, ma solamente una luminosa allucinazione derivata da anni di profonde ferite nel cuore.

Il piccolo stirò le braccine, assonnato, giocherellando con i ciuffi ribelli che già solleticavano la fronte di suo padre.

-          Papà.

Sussurrò il bambino, tra uno sbadiglio e l’altro. Edward, con un sorriso colmo d’emozione, abbassò lo sguardo, fino a trovare quello del figlio. Un rivolo d’aria sfuggì dalle sue labbra, rendendosi conto di non essere affatto sorpreso della sensazione che lo aveva abbracciato, quando aveva incontrato quegli occhi vispi. Quel bambino, sembrava riflettere la sua figura come la superficie lucida di uno specchio. Era lui. Un lui ovviamente più piccolo, che ancora non riusciva a parlare correttamente, ma pur sempre lui.

Si era soffermato molto su quel particolare, osservando le foto che lo ritraevano da bambino, quelle che la zia Pinako custodiva sulla bacheca della sua casa.

-          Che cosa c’è, Daniel?

Rispose l’ex alchimista, un po’ titubante. Si sedette a terra, reggendo comunque tra le braccia il bambino, che nel frattempo aveva afferrato con la manina un lembo della vecchia palandrana rossa.

-          La mamma.

-          La mamma? Che cos’ha combinato la mamma?

Chiese Edward, canzonatorio, scompigliando giocosamente i capelli del figlio. Nonostante tutto, si guardò intorno, facendo scattare lo sguardo da un lato all’altro della stanza, ma della moglie non vi era traccia. S’incupì un po’, forse leggermente preoccupato. Deglutì e scosse la testa, cercando di spazzare via dalla sua mente le immagini della prima gravidanza di Winry.

Non che fosse successo qualcosa di grave, ma il ricordo del travaglio e dopo del parto – e soprattutto delle urla della povera ragazza – risuonò nella mente dell’ex alchimista come l’assordante e monotona sirena di un allarme, agitandolo non poco.

-          Winry?

La chiamò, allarmato, cercandola nuovamente con gli occhi. Vide una scia color miele spuntare da dietro il muro che dava sulle scale. Chiuse gli occhi e sospirò, rassicurato dal volto divertito della moglie dagli occhi color del cielo.

-          La mamma sta bene.

Si limitò a dire lei, raggiungendoli e sedendosi sul divano a pochi passi da loro. Socchiuse le palpebre inviando dolci occhiate al pancione rotondo che portava ormai da otto mesi. Lentamente, vi passò sopra la mano destra, accarezzandolo, raggiunta poi dalla sinistra, che compì lo stesso gesto.

L’ex alchimista arrossì di botto, meravigliato da quella scena. Sorrise beatamente, mentre la sua attenzione tornava a concentrarsi sul biondino che teneva in braccio, il quale sembrava essere veramente interessato a quel panno ormai antico color vermiglio acceso.

-          Dani?

Lo chiamò, squadrandolo con aria truce. Il bambino alzò lo sguardo d’oro, per poi sorridere in modo fin troppo innocente al padre, che già aveva alzato un sopracciglio, confuso.

-          Sì?

-          Che cosa volevi dire prima della mamma?

Daniel alzò un attimo lo sguardo, come a recuperare un pensiero ormai accantonato in un angolo della sua mente. Posò le mani a terra, scendendo dalle gambe di Edward, che seguiva ogni suo movimento incuriosendosi sempre più. Gattonò per alcuni metri, per poi alzarsi in piedi e proseguire con qualche difficoltà verso l’altro lato della stanza, dove si trovava una delle sue “ceste dei giochi”.

Winry voltò la testa, assicurandosi che suo figlio non combinasse qualche marachella. Il biondino, per nulla infastidito dagli sguardi inquisitori dei genitori, si chinò ad aprire la cesta, estraendone un pallone di cuoio dall’aspetto trasandato, forse consumato dall’estate passata a rotolare tra le colline del paese.

Lo trattenne tra le mani a fatica, tentando di fare qualche passo, ma trovò l’impresa troppo ardua da portare a termine. Con un leggero sbuffo, posò il pallone a terra, spingendolo un po’ con le mani, un po’ con i piedi, fino a raggiungere nuovamente l’ex alchimista. Edward l’osservò, inclinando la testa.

-          Ecco.

Sbuffò il bambino, sedendosi a terra accanto al suo giocattolo, producendo in piccolo tonfo. Guardò suo padre per qualche istante, poi tornò a concentrarsi sulla sua palla. Era un regalo di compleanno che lo zio Alphonse gli aveva porto qualche mese prima, invitandolo a non farsi male, mentre ci giocava. Lo ricordava distintamente. Eppure, in quel momento, quel pallone gli pareva tutt’altro rispetto a un gioco potenzialmente pericoloso.

-          Papà?

Lo richiamò, tirandogli un ciuffo di capelli. Edward grugnì sommessamente, alzando gli occhi al cielo, per poi sorridere, pronto ad ascoltare le parole del figlio.

Winry lo incenerì con lo sguardo, mormorando qualcosa sulla “calma verso i figli”. Lui era calmo. Perfettamente. Non avrebbe avuto alcun motivo per essere agitato, in fondo, Daniel non lo aveva ancora chiamato nano. Deglutì, dandosi mentalmente dell’idiota. Winry ridacchiò, avendo intuito i pensieri contorti del marito. Schiuse le labbra in un sorriso colmo di serenità, sussurrando una piccola parola. “Fagiolino”.

Eh no, adesso basta. Lui non era basso. O almeno, non lo era più.

“Prendi e incassa, Winry. Questa me la paghi.”

-          Papà??

Lo chiamò ancora il piccolo, strattonando – questa volta – la palandrana, con una forza e una determinazione che un altro qualsiasi bambino della sua età avrebbe solamente potuto sognarsi. L’ex alchimista si vide costretto ad assecondare i desideri del figlio ed ad ascoltare ciò che aveva da dire.

-          Sì?

-          La mamma.

Disse Daniel, indicando la madre con l’indice della mano destra. Winry inclinò la testa, incuriosita. Pochi istanti dopo, il bambino additò invece il pallone. Sul volto di Edward apparvero i primi segni di una risata rinchiusa e poi ingoiata, trattenuta al limite dello sforzo.

-          Perché la mamma ha mangiato una palla?

Edward si lasciò scappare una risata sguaiata, scompigliando con una mano i capelli del figlio, come a premiarlo per quell’affermazione. Daniel, perplesso, sbatté un paio di volte le palpebre. Sentendosi preso in giro, il piccolo si rattristò e sulle estremità dei suoi occhi d’oro puro comparvero grappoli di lacrime cristalline.

Winry, dapprima divertita dall’accaduto, si alzò dal divano con uno scatto felino non appena vide il pianto farsi strada nello sguardo del biondino. Afferrò la chiave inglese, che si trovava da chissà quanto tempo posata sul tavolino di legno intarsiato accanto al divano e la lanciò senza tanti complimenti sulla testa del povero ex alchimista, che stroncò la sua risata e si afflosciò a terra apparentemente privo di sensi.

-          Sei un idiota!

Lo ammonì Winry, correndo a soccorrere Daniel, che si sfregava gli occhi umidi con le manine strette a pugno. Edward si alzò dolorante, massaggiandosi con la mano destra il grosso bernoccolo che quel dannato arnese gli aveva provocato.

-          Winry, sei impazzita per caso?

Sbraitò, tornato improvvisamente in salute, voltando la testa da un altro lato con fare stizzito. Winry, con in braccio il piccolo, gli si avvicinò pericolosamente. L’ex alchimista indietreggiò poco sul pavimento.

-          Sei un insensibile, Ed.

-          Che cosa? Perché?

-          Ma non hai visto? L’hai fatto piangere!

-          Ma che dici?

-          Potevi non metterti a ridere così! Poverino, ci è rimasto male!

-          Ma hai sentito che ha detto!

-          Certo! Ti ricordo che ha due anni, Ed. Non può sapere come...

-          ... Oh, già. Hai ragione.

Ammise Edward, alzandosi da terra e raggiungendo il piccolo tra le braccia della mamma. Portò una mano verso una lacrimuccia, che si apprestava a scendere dalla guancia paonazza del bambino e l’asciugò. Daniel tirò su con il naso, facendo vibrare le labbra.

-          Scusami, piccolo.

Sussurrò Ed, sfiorando la punta del naso del figlio con quella del suo. Daniel smise di piangere e posò una manina sulla guancia del suo papà. Edward fu scosso da miliardi di brividi ed emozioni diverse.

-          Avevi ragione. La mamma sembra proprio un pallone.

-          Edward!

-          Hey, non contestare le sagge parole di tuo figlio.

-          Umph. Sei impossibile.

-          Lo so.

Disse l’ex alchimista, avvicinandosi questa volta al viso della sua meccanica di fiducia. Arrivò a pochi millimetri dalle sue labbra, socchiudendo gli occhi. Winry sospirò, colta da un’ondata di sensazioni che le fecero battere il cuore.

Con il suo respiro sulle labbra, Edward concluse il suo discorso, abbozzando un sorrisetto compiaciuto.

-          Ed è per questo che sei innamorata di me.

Mormorò, prima di azzerare la già inesistente distanza che li divideva con un bacio dolce, uno di quei baci che le riservava solo in alcuni momenti, quando erano soli, quando aveva bisogno veramente di averla tutta per sé.

-          Continuo a chiedermi come tu riesca a zittirmi ogni maledetta volta.

Edward sogghignò dolcemente, rubando il figlio dalle braccia della moglie. Lo strinse un po’ al petto, sedendosi sul divano. Winry lo imitò ritrovandosi nuovamente accanto a lui. Daniel si arrampicò sulle braccia di Ed, raggiungendo il pancione della madre.

-          Ma...

Cominciò, mordicchiandosi le labbra.

-          Io posso giocare anche con questo pallone?

Winry si lasciò sfuggire un risolino dolce, intenerita dalla pura ingenuità di quel bambino così meravigliosamente simile al suo papà.

-          No, piccolo.

Gli disse semplicemente, accarezzandogli la testolina bionda. Il bambino assunse un’espressione dapprima pensosa, successivamente sempre più abbattuta.

-          Perché?

-          Perché questo non è un pallone. Qui dentro c’è la tua sorellina.

Gli occhi di Daniel sembrava stessero per uscire, tant’era rimasto sconvolto da quella rivelazione. Posò titubante una manina sul ventre rigonfio della madre, tastando qua e la nel vano tentativo di riconoscervi una figura umana. Sconsolato, posò un orecchio sul pancione ed attese.

Improvvisamente, saltò dalla sua posizione per rifugiarsi tra le braccia di Edward.

-          Mamma! Mamma!

Piagnucolò il bambino, terrorizzato.

-          La sorellina si è mossa!

-          Oh, tesoro!

Disse Winry, con le lacrime agli occhi, riprendendo Daniel, che tornò di buon grado tra le sue braccia. Il bambino appoggiò nuovamente la mano sul “pallone”, invitato dalla mano esperta di sua madre. Tocchettò curioso quella superficie liscia e rigida, eppure morbida e setosa, ricoperta da uno spesso e candido maglioncino di lana.

-          Ciao. Come ti chiami?

Sussurrò Daniel, abbastanza timoroso, rivolgendosi al pancione. Winry scoppiò in un pianto liberatorio, di cui ogni lacrima era pregna di felicità e commozione. Edward le passò una mano sulle spalle, stringendola a sé, mentre l’altra raggiungeva quella del figlio sul giusto luogo, quel ventre rotondo che simboleggiava una nuova parte del loro futuro.

-          Vi amo, più di ogni altra cosa.

-          Anche noi, vero Daniel?

-          Certo papà! Ma perché non mi risponde?

-          Perché ancora non sa parlare. È troppo piccola.

S’intromise Winry, posando la testa su quella del marito. Il fresco profumo d’erba bagnata la travolse, inebriandole i sensi più di quanto non lo fossero già.

-          E quando uscirà da lì?

-          Oh, prima di quanto immagini, piccolo.

Mormorò, abbassando poi lo sguardo al pancione. Un nuovo sorriso si fece strada sul suo volto, già rigato da calde lacrime di gioia. Sentì il sapore salato sulla lingua, passata a inumidire le labbra secche.

-          Arriverai presto da noi.

Sussurrò, a voce bassa, rivolgendosi a lei. Volse lo sguardo alla lontana finestra, scorgendo ancora qualche fiocco di neve imperlare la nottata. Strinse forte la mano di Edward, che la ringraziò con un tenero bacio sul collo.

Nella loro mente, già si formava l’immagine del loro nuovo mattino. Un mattino pieno di sole e di aria tranquilla.

-          Aspetta... ancora per poco.

Un mattino incorniciato dal profumo delle rose bianche, lontano dal freddo di quel vento che ha trascinato lontano ogni traccia di tristezza. Il loro nuovo mattino senza pioggia.

-          Sarai la nostra luce, Rosalie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE ^W^

Ed ecco la prima parte (ce ne saranno tre) del prologo di questa fanfiction. Dunque, che ne pensate? Lasciate qualche recensione, così che io possa sapere come avete trovato l’inizio di Timeless Light!

 

Alla prossima settimana! :D

 

MeggyElric___

 

   
 
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